Nell'avvicinarmi al popolo Mapuche, alla sua storia e alla sua
recente lotta per la conquista dei diritti fondamentali, un
elemento in particolare assume rilevanza, rappresenta forse una
sorta di "messa a fuoco" per leggere e capire un universo
così affascinante e differente, distante dalle
modalità con cui siamo abituati a pensare noi stessi e
l'altro, noi stessi e il mondo che ci circonda. La chiave di
lettura è il nome stesso di questo popolo del sud del
mondo, che per secoli ha abitato la terra che Neruda descrive
come un petalo che si allunga sul mare, il Cile. Mapuche
significa infatti "popolo della terra" (mapu=terra, che=uomo). Ed
è proprio il rapporto con la terra il fondamento da cui
muovono e in base al quale prendono forma la cultura,
l'organizzazione politica e sociale, l'economia e la stessa vita
quotidiana del popolo Mapuche.
Le loro battaglie, la lunga ed estenuante resistenza al dominio
spagnolo così come la lotta e le rivendicazioni che stanno
portando avanti dalla fine della dittatura di Pinochet a
tutt'oggi, acquisiscono il loro senso reale e profondo a partire
da un peculiare rapporto con la terra, dall'intenso sentimento di
appartenenza ad un suolo e ad una natura pervasi di
sacralità in ogni aspetto e manifestazione. Dalla terra,
dalla natura, nasce la vita e proviene la morte, è
insegnata all'uomo la saggezza e il modo in cui dev'essere
condotta l'esistenza. La natura guarisce e consente la
comunicazione con la sfera divina, è pervasa da forze
misteriose e sconfinate, parla e ascolta, circonda e invade.
L'uomo è minuscolo, non è al centro di qualcosa, ma
inserito in meccanismi e dinamiche che lo contengono e in cui
egli stesso è contenuto, non può che avere uno
sguardo di meraviglia e gratitudine, timore. Non domina, ma
neppure è completamente assoggettato a qualcosa, passivo.
Sembra piuttosto un'ombra danzante su di una parete, che si
mescola e si confonde in un tutto che risulta essere, infine,
armonioso.
In tutto il Sudamerica i Mapuche sono l'unico popolo che è
riuscito a resistere alla dominazione spagnola per oltre trecento
anni, in un alternarsi di attacchi alle postazioni spagnole nei
momenti di esasperazione e sopruso, difesa dei territori rimasti
terra indigena e periodi relativamente pacifici in cui avvenivano
incontri tra capi delle comunità e autorità
dell'esercito, scambi commerciali, accordi di pace. Il confine
tra terre mapuche e terre in mano ai conquistatori europei non fu
mai netto e immobile, continuò sempre ad oscillare verso
sud o verso nord a seconda dell'esito delle battaglie,
contribuendo così a creare un clima di tensione ed
incertezza per i nativi e di sconcerto per i conquistatori,
increduli di fronte alla determinazione e alla capacità di
resistere di coloro i quali essi definivano "selvaggi".
L'incontro- scontro tra europei e nativi, nelle Americhe, è un argomento che è stato ampiamente dibattuto e al cui proposito è possibile trovare una bibliografia ampia e interessante, differenti punti di vista ed opinioni. Le barbarie compiute dai cosiddetti popoli civili nei confronti delle popolazioni indigene è un fatto ormai tristemente noto, come è noto l'effetto di distruzione a livello sia culturale che sociale che la Conquista ebbe sui nativi. La resistenza e la perseveranza nella difesa del proprio mondo, dei propri diritti e delle proprie tradizioni appaiono disperate e preziose, e hanno creato una rete di scambi e di sostegno a livello internazionale. Un punto di vista che mi pare significativo citare è quello dello studioso Sergi Villalobos R. [ 1 ] che sostiene una posizione di critica verso le attuali rivendicazioni dei mapuche, considerandoli protagonisti essi stessi della dominazione subita. Lo storico comincia esponendo un fenomeno secondo la sua opinione universale, che si ripeterebbe ovunque una cultura avanzata si impone su un'altra meno evoluta: un popolo che viene gradualmente conquistato e sottomesso verrebbe inevitabilmente attratto e quindi soggiogato dai beni portati dall'invasore, che diventerebbero col tempo necessari e fonte di prestigio. Secondo Villabos questo processo di assimilazione avrebbe caratterizzato il popolo mapuche, che sarebbero stati affascinati da ad esempio dall'uso del cavallo, del ferro e dal consumo di alcolici. Allo stesso modo la lingua casigliana e la morale cristiana si sarebbero lentamente imposte sulla cultura e la tradizione precedenti. La lotta degli Araucani contro gli Spagnoli, infine, sarebbe stata di minore durata e intensità di quello che si è creduto sinora, dal 1662 gli scontri sarebbero stati sporadici, eccezioni ad una pacifica vita di frontiera. Inoltre il fronte degli Araucani, sostiene ancora Villabos, sarebbe stato per nulla unito, data la presenza di contingenti di "indios amigos" a poco a poco incorporati nell'esercito spagnolo. Lo storico conclude definendo i mapuche come "parte dell'apparato di dominazione", dal momento che avrebbero accettato la sottomissione e si sarebbero adattati ad essa in cambio dei benefici portati dai bianchi, di una civilizzazione materiale. A questa visione piuttosto spietata e a mio parere poco approfondita risponde con fermezza e precisione il sociologo Danilo Salcedo Vodonizza [ 2 ] con un interessante analisi che esordisce sostenendo che il popolo Mapuche, con le sue peculiarità culturali, sociali e religiose, è riconosciuto e rispettato in quanto tale dalla Comunità Internazionale.
Non è dunque possibile sostenere di trovarsi di fronte ad un popolo che si è assimilato alla cultura e al modo di vita dei dominatori, anche perché i benefici materiali di cui parla Villabos e dai quali gli indigeni sarebbero stati attratti , per ottenere i quali avrebbero abbandonato le proprie tradizioni, non sono per nulla presenti nella vita e nelle odierne comunità mapuche. Uno dei maggiori problemi che caratterizzano le comunità odierne è infatti l'estrema povertà, l'emarginazione e la difficoltà a provvedere alle elementari necessità di sussistenza. Il sociologo presenta quindi l'immagine di una cultura che non ha mai rinunciato alle proprie tradizioni, ma che anzi è eroicamente sopravvissuta nonostante il dominio e l'influenza culturale straniera, continuando sempre a porteare avanti la lotta per i propri diritti.
Dalla lettura di questi due articoli e dallo studio del popolo mapuche, come di fronte a moltissime altre situazioni in cui una minoranza etnica, una popolazione indigena, una tradizione antica, lotta per la propria sopravvivenza e per i propri diritti, nasce una riflessione difficile, in cui si mescolano differenti aspetti. Nella realtà contemporanea, caratterizzata da una sempre maggiore globalizzazione economica, da una circolazione sempre più ampia di merci e da una crescente mobilità delle prsone, è difficile trovare un posto alle tradizioni locali e individuare il modo giusto di mantenerle in vita senza però confinarle nella povertà, nell'arretratezza e nell'emarginazione. Com'è possibile mantenere una tradizione senza però restare isolati e in disparte rispetto ad un mondo che sembra muoversi sempre più nel globale, annullando differenze e peculiarità? Come si possono difendere e rivendicare queste peculiarità in un contesto di dilagante omogeneizzazione? La risposta è forse quella proposta da alcuni studiosi del fenomeno della globalizzazione e anche dai movimenti politici e culturali nati negli ultimi decenni, che vede la globalizzazione possibile come una globalizzazione innanzitutto culturale ed umana, dove cioè sia possibile uno scambio e una libera circolazione di idee e identità culturali, senza però che alcuna peculiarità venga intaccata, nel rispetto e nella rivendicazione dell'alterità.
Per risalire alle origini del popolo mapuche, conosciuto nella
storia recente come unica popolazione nativa che non fu dominata
dagli Spagnoli, bisogna partire dal 800- 700aC, quando una
tribù probabilmente imparentata con i Guaranì del
Brasile (gruppo etno- linguistico del Sudamerica stanziato dalla
costa atlantica del Brasile meridionale fino al Paraguay)
attraversò le Ande stanziandosi poi nella parte centro-
meridionale del Cile, diffondendosi a nord fino ai confini del
deserto di Atacama. Questa popolazione si attribuì il nome
di Mapuche, che significa letteralmente "popolo della terra"
(mapu=terra, che=popolo) , un nome che è successivamente
diventato simbolo della resistenza contro gli Spagnoli e della
attuale lotta per i diritti fondamentali. I Mapuche erano un
popolo di cacciatori e raccoglitori, con un forte senso di valore
guerriero, che rimase una loro caratteristica anche
successivamente, quando divennero agricoltori e appresero
l'irrigazione dagli Atacamenos (popolazione che viveva nel
deserto di Atacama).
Questi indios sudamericani, proprio per l'indole guerriera che li
caratterizzava e che non permise agli Spagnoli di sottometterli,
avevano spesso scontri violenti non solo con le popolazioni
vicine ma anche fra gruppi interni allo stesso popolo mapuche,
dal momento che non esisteva un'organizzazione politico- militare
centralizzata e solida, ma una confederazione di tribù tra
loro indipendenti. Gli Inca attribuirono ai Mapuche l'appellativo
"Auca", che significa ribelle, feroce proprio perché essi
opponevano resistenza alla loro dominazione, continuando a
mantenere la propria organizzazione politica e sociale, senza mai
sentire l'esigenza nè di una maggiore centralizzazione,
nè di una società rigida e fortemente strutturata
come quella incaica.
All'arrivo degli Spagnoli nel 1541, capeggiati da Pedro de
Valdivia, i Mapuche erano circa due milioni e occupavano un vasto
territorio del cono sud del continente, territorio ricco di
risorse naturali e metalli. Il gruppo etnico dei Picunche
(Picun=nord e che=popolo) venne soggiogato dopo feroci scontri,
il nord del territorio mapuche cadde quindi in mano agli
Spagnoli, che dalle regioni settentrionali, in cui furono subito
innalzati forti e postazioni dell'esercito, partivano con
offensive nel sud, per conquistare anche la parte meridionale
delle terre indigene, mentre i nativi dei gruppi del nord erano
costretti al lavoro delle terre oppure venivano assoldati nelle
truppe ausiliarie.
Le terre occupate erano spartite tra ufficiali e soldati, in seguito furono vendute a costi bassissimi o anche cedute ad Europei per incentivare la migrazione e la colonizzazione del continente. La resistenza agli Spagnoli da parte del popolo Mapuche fu da subito molto feroce, soprattutto di forza inaspettata. Nel 1553 Pedro de Valdivia venne ucciso, episodio che rese evidente la differenza della situazione del sud rispetto alle Ande centrali e settentrionali. Molte sono le ipotesi che potrebbero spiegare la straordinaria lotta, che durò più di trecento anni, fino alla costituzione dello stato cileno nel 1881, portata avanti dai Mapuche.
Nel 1521 Cortes aveva conquistato, dopo tre anni di scontri, l'Impero atzeco in Messico e tra il 1531 e il 1533 Pizarro aveva portato a termine l'assoggettamento dell'Impero Inca in Perù. Com'è stata possibile una resistenza tanto lunga da parte di una popolazione considerata primitiva e arretrata ad un esercito allora tra i più forti?
Eduardo A. Cruz Farias, docente di Sociologia presso
l'Università di Concepciòn (Cile), propone
un'analisi [ 3 ] della lunga resistenza dei
Mapuche attraverso un confronto con gli Atzechi. Il "popolo della
terra" era un popolo di guerrieri, abituato allo scontro e da
sempre indipendente, mai soggetto ad un forte controllo da parte
di un potere centralizzato. Inoltre in questa società
(diversamente dall'Impero Atzeco e da quello Incaico) non era
presente il concetto di schiavitù, non era concepibile
l'idea di una dominazione straniera, esterna, al di sopra della
popolazione stessa. La storia di questo popolo era costellata di
guerre e forgiata dallo scontro, attraverso il quale venivano
sempre definiti il potere e la forza. Il valore del guerriero era
ingrediente della vita quotidiana di ogni Mapuche. Anche la
religione, che dava particolare importanza al culto degli
antenati e ancorava i Mapuche ai loro luoghi d'origine, dava
forti motivazioni per la difesa delle proprie terre e del proprio
modo di vita. Altro elemento importante fu la flessibilità
e la capacità di imparare e fare proprie le tecniche di
guerra del nemico, così come quella di adottare le sue
armi. Nell'arte della guerra questo popolo si dimostrò
innovativo e creativo, fu il primo tra i nativi del Sudamerica ad
utilizzare l'artiglieria e adottò anche una strategia che
combinava fanteria e cavalleria per potersi muovere meglio e
più velocemente anche sui terreni più difficili,
mentre in situazioni in cui il rischio della sconfitta era troppo
alto usavano sottomettersi agli Spagnoli aspettando il momento
opportuno per la ribellione, una volta abbassata la guardia dei
conquistatori.
I Mapuche adottarono subito l'uso del cavallo, già alla
fine del 1500 avevano una cavalleria di larga formazione, oltre
alla tattica della guerriglia, per cui il tipo di ambiente
(giungla e terreno montagnoso) era adatto, lo spionaggio presso
il nemico, le fortificazioni e le sentinelle, le avanguardie.
Generalmente questo popolo mantenne però soprattutto le
proprie tradizionali armi (lance, bastoni) , ritenendo più
importante la tattica e la capacità di sorprendere il
nemico. In conclusione si può affermare che furono gli
aspetti politici, religiosi e militari della società
Mapuche a fare la differenza nello scontro con gli Spagnoli, che
senza dubbio non si aspettavano una così fiera resistenza.
Il sociologo Farias tiene infine a sottolineare che l'arrivo dei
conquistatori alterò in ogni caso irrimediabilmente la
vita e la cultura di questo popolo, forse non con una definitiva
sconfitta militare ma con armi più sottili e al contempo
più destabilizzanti, come l'imposizione di aspetti
culturali e sociali estranei, ad esempio il sistema
dell'encomienda, l'espropriazione delle terre e la messa a
coltura in larga scala, i tentativi di cristianizzazione e di
appropriazione delle ricchezze offerte dal territorio. Moltissimi
indios furono inoltre sterminati dalle malattie provenienti
dall'Europa.
Nel 1598 a Curalabà i Mapuche attaccarono le truppe dell'allora governatore Martìn Garcìa Onez de Loyola, sconfiggendole e uccidendo de Loyola. Questo fu un segnale forte di affermazione della necessità di una comune battaglia per la libertà, di un'alleanza di tutti i Mapuche (concetto di Gvla- Mapu, che significa "tutta la nazione Mapuche"). Gli scontri dell'inizio del 1600 ebbero come causa scatenante la fondazione del forte di Santa Cruz all'affluenza dei fiumi Loja e Biobìo. Inoltre gli Spagnoli erano militarmente indeboliti e poco motivati, mentre tra gli indios cresceva la mobilitazione, l'esperienza in battaglia e in particolare l'esasperazione per la presenza straniera che si caratterizzava anche per la sua crudeltà. Nel 1612 il governatore Alonso de Ribera decise di riconoscere il fiume Biobìo come confine del territorio Mapuche e condurre una guerre difensiva, pensando ad una situazione momentanea, con l'intenzione di un'avanzata futura.
Nel 1608 il re aveva dato il suo permesso per utilizzare gli indios prigionieri come schiavi e dopo il 1612 si rafforzarono i pretesti per continue "spedizioni punitive" in cui venivano fatti prigionieri poi venduti come schiavi mentre l'esercito, al suo passaggio, lasciava dietro di sé terra bruciata. A nord del Biobìo gli indios venivano utilizzati come forza- lavoro, data la grande necessità di manodopera in sudamerica in quel periodo, o come soldati in truppe ausiliarie. I più feroci attacchi Mapuche furono causati da provvedimenti spagnoli, nel 1654- '56 ebbe luogo l'ultimo grande scontro di questo secolo, in risposta alle spedizioni di cattura degli schiavi in Araucania. Gli spagnoli si ritirarono alla foce del Biobìo e 200km a nord oltre il fiume Male. Dopo poco però si tornò ad avere il Biobìo come confine. Ma il 1600 non fu caratterizzato soltanto da scontri, la realtà quotidiana dell'Araucania comprendeva anche aspetti di convivenza e scambio, la vita nelle terre di confine era regolamentata da frequenti accordi di pace, definiti durante incontri chiamati "parlamentos", cerimonie sontuose e abbastanza frequenti, in cui i capi Mapuche si incontravano con autorità politiche, religiose e militari dei bianchi. Il primo e più noto di questi avvenimenti è il trattato di Quillìn del 1641, l'ultimo di questo secolo è del 1683, anno in cui viene proibita la schiavitù, che sancì un lungo periodo di pace al confine, caratterizzato anche da frequenti scambi commerciali.
Il 1700 fu un periodo relativamente pacifico, in cui ebbero
luogo due guerre, nell'estate 1723 fino al 1724 e tra il 1766 e
il 1770. Nel 1723 l'attacco fu provocato dal comandante delle
truppe di confine, Manuel de Salamanca, che si rese colpevole di
gravi abusi nel tentativo di realizzare un monopolio commerciale.
Tentò di impedire agli indios la scelta dei loro partners
commerciali, punendoli con il rapimento e la vendita di donne e
bambini se interrompevano la consegna delle merci. L'attacco dei
Mapuche raggiunse Isola Laja, valle centrale tra i fiumi Laja e
Biobìo, gli Spagnoli dovettero così rinunciare ad
alcuni forti a sud del Biobìo. Nel 1766 i Mapuche furono
costretti nella valle centrale a sud del Biobìo in
villaggi coloniali , provvedimento adottato dal governatore
Antonio de Guill y Gonzaga che voleva imporre un ordine del re
risalente al 1665. Questo provocò la feroce ribellione
degli indios, che ancora una volta non si lasciarono soggiogare.
Durante il 1700 ebbero luogo dieci "parlamentos", alcuni per la
spinta dei capi indigeni che tenevano in grande considerazione le
cerimonie e lo scambio di doni. Spesso lo scopo di questi
incontri non era solo la decisione di una tregua ma anche la
risoluzione di problemi legati alla vita quotidiana.
Oltre alla parte sud del loro territorio ancestrale i Mapuche
avevano conservato anche delle terre a ovest, odierna Argentina,
un territorio che andava dalle Ande al Rio de la Plata.
All'arrivo dei conquistatori la Pampa era popolata
prevalentemente da indios che vivevano di caccia e raccolta,
durante il 1600 i primi Mapuche valicarono le Ande per la cattura
di bovini e cavalli inselvatichiti, mentre i gruppi della Pampa
erano stati decimati durante il periodo della colonizzazione dai
numerosi scontri e dalle malattie europee. Scontri avvenivano
inoltre anche tra gli stessi indios: i cacciatori della Pampa, i
Mapuche e i Tehuelche (gruppo della Patagonia). Gli abitanti
della Pampa che rimasero si mescolarono a queste popolazioni e
agli Spagnoli. Durante il 1700 gruppi di indios araucani si
stanziarono nel territorio argentino, fenomeno denominato
"araucanizzazione della Pampa", non solo per la migrazione degli
indigeni del Cile ma anche per l'influenza che la loro cultura
ebbe sui cacciatori originari di queste terre. Anche i Mapuche
adottarono alcuni aspetti della vita della Pampa, come ad esempio
l'uso della tenda di pelle.
Già all'inizio del 1800 gli Araucani dominavano tutta la
Pampa e la migrazione continuò anche nel periodo
successivo, dal momento che le terre argentine avevano abbondanza
di animali, cavalli, bovini e guanacos. Dal 1776 Buenos Aires
divenne sede del viceré spagnolo, vennero costruiti un
forte e un confine. In questa regione, presso Rio de la Plata, i
raporti con gli indigeni erano allora prevalentemente pacifici.
Nel 1806 gli inglesi occuparono Buenos Aires, in questa
circostanza molti capi Mapuche della Pampa offrirono il proprio
aiuto agli Spagnoli, decidendo di unirsi a loro per combattere la
nuova occupazione, ma gli Spagnoli rifiutarono l'offerta. Nel
1810 ebbero inizio in Sudamerica le lotte per la liberazione dal
dominio spagnolo, che portarono alla costituzione degli stati
indipendenti di Cile e Argentina.
ARGENTINA
I disordini politici in questa regione portarono
all'indebolimento delle postazioni di confine a La Plata. Nelle
valli a ovest delle Ande (Pampa est) trovavano rifugio presso i
Mapuche sia criminali che rifugiati politici. In questo periodo
si formarono bande di bianchi e indios che compivano attacchi e
scorrerie sia sul territorio cileno, sia sulle postazioni
militari di Buenos Aires. Dal 1820 l'esercito argentino
cominciò ad eseguire delle campagne mirate contro i
Mapuche della Pampa ovest, anche se essi partecipavano raramente
agli attacchi dei gruppi della Pampa est. Dietro a queste "azioni
punitive", in cui i Mapuche fungevano evidentemente da capro
espiatorio, si celavano molti interessi. Fino al 1828, infatti,
l'esercito argentino, secondo le direttive del Presidente
Rodriguez, conquistò ampi territori spingendosi sempre
più ad ovest, territori che servivano per i pascoli.
Dietro a questa appropriazione c'erano gli interessi dei
latifondisti.
Ci furono tre campagne militari importanti, nel 1821, nel 1823 e
nel 1824, che portarono alla fondazione a Sierra Tandil di Forte
Indipendencia e all'avanzata fino a Sierra de la Ventana. Tra il
1826- 27 vennero fondati nuovi forti sul territorio occupato:
Bàhia Blanca, Independencia, 25 de Mayo e Junìn.
Secondo la politica argentina l'unica possibilità di pace
con gli indios era che essi rinunciassero alle loro
rivendicazioni, riconoscendo l'ampliamento territoriale
violentemente portato avanti dai bianchi. Dopo feroci scontri nel
1833 in cui l'esercito era condotto da Juan Manuel Rosas, i
territori più fertili della Pampa a est di Buenos Aires
furono occupati dai bianchi e subito dopo passarono nelle mani
dei latifondisti, che fondarono le Haziendas, grandi fattorie.
Fino al 1852 Rosas fu dittatore a la Plata, gli scontri con gli
indigeni furono sporadici e di piccole dimensioni, dal momento
che Rosas decise di mantenere una situazione pacifica attraverso
regolari forniture di bestiame e merci.
Dopo le campagne di Rosas i Mapuche occupavano soltanto le
regioni più aride della Pampa centrale ed est, trovando
poca terra adatta al pascolo. La metà della popolazione
india di questi territori viveva ormai nei luoghi conquistati dai
bianchi, e veniva definita "indios amigos". In Argentina, dopo la
caduta del dittatore Rosas nel 1852, si creò un vuoto di
potere a cui seguirono disordini interni e guerra civile. Per un
breve periodo, fino al 1862, i Mapuche riuscirono ad approfittare
della situazione di caos. Ma appena il potere argentino
ricominciò a consolidarsi l'esercito riprese l'avanzata
nel territorio degli indios, nel 1874 il confine venne spostato
ancora, con l'intenzione di comprendere in futuro l'intero
territorio Mapuche. L'Argentina cominciò a rafforzarsi
economicamente e politicamente, intanto, con il progresso
tecnico, si fortificò anche l'idea di superiorità
dei bianchi sui nativi, che riuscivano ad assumere solo una
posizione di difesa. Nel 1879 la conquista della Pampa fu
completata senza che l'esercito incontrasse forte resistenza,
anche perché in molti tra i Mapuche erano fuggiti al di
là delle Ande.
CILE
Nel 1817 i Realisti vennero sconfitti dalle truppe sotto il
comando di San Martìn e O'Higgins, presso Chacabuco. Da
qui si diressero ancora verso sud, in Araucania, e la mancanza di
soldati indusse gli ufficiali ad arruolare più uomini
possibile, di qualunque provenienza, nel proprio esercito.
Così sia coloro che combattevano per l'indipendenza sia i
Realisti cercavano di attirare gli indios dalla propria parte con
la prospettiva di un bottino. I Mapuche, divisi dalle frequenti
faide interne, decisero sia per uno che per l'altro fronte. Dal
1819 al 1822 durarono gli scontri tra Realisti e Patrioti. Questa
guerra fu poi denominata "guerra a muerte" a causa della violenza
che la caratterizzò da entrambe le parti. I decenni
seguenti trascorsero senza incidenti, anche il commercio ebbe un
momento di prosperità. Anche nella guerra civile del 1851
entrambe le parti cercarono e trovarono l'appoggio dei Mapuche.
Le discordie interne a questo popolo giocarono dunque nuovamente
un ruolo importante, impedendo una forte e costante unità.
Ma questa volta la partecipazione degli indios alla guerra fu
minore e più breve.
Dalla fine dell'epoca coloniale molti bianchi si stabilirono nel
territorio Mapuche, a sud del Biobìo, occupando le terre o
espropriandole con la forza. Vennero aperte miniere per
l'estrazione del carbone e fonderie per il rame, oltre a
fabbriche di mattoni. I bianchi che vivevano in questa regione si
dedicavano inoltre all'allevamento di bovini e pecore per
l'esportazione verso il nord e la coltivazione in grande
quantità di cereali. I bianchi continuarono ad avanzare
verso il fiume Mallevo e questo portò a nuove dispute con
gli indigeni che si sentivano sempre più braccati, mentre
anche nel sud dell'Araucania i bianchi guadagnavano sempre
più terreno. Nel 1846 ebbe inizio nella regione di
Valdivia l'immigrazione dai paesi tedeschi. Il governo cileno
incentivava l'immigrazione soprattutto di contadini, per
promuovere l'agricoltura, una buona parte di coloro che
arrivavano erano anche artigiani, molti fuggivano da una
situazione politicamente ed economicamente difficile dell'Europa
centrale. L'arrivo dei coloni dal centro Europa portò ad
un progresso economico nel sud e di conseguenza gli indigeni
furono sempre più schiacciati in spazi esigui, in un
territorio insufficiente anche per la semplice sopravvivenza. Ala
fine del 1862 l'esercito cileno avanzò ancora fino ad
ottenere un forte ad Angol, azione militare giustificata come una
sanzione contro uno dei capi Mapuche che nella guerra civile
scoppiata nel 1859 si era schierato dalla parte dei liberali.
A questo punto della storia Mapuche si incontra un avvenimento particolare e di fonti incerte, ma sicuramente curioso e degno di nota. Il re di Araucania e Patagonia Nel 1858 arrivò in Cile un avvocato francese, Orelie Antoine de Tounens, che con il permesso di uno dei capi Mapuche, Kùlapan, si stanziò in Araucania, presso Angol. Qui, conquistatosi la fiducia degli indios, creò una monarchia costituzionale ed ereditaria e si autoproclamò re Aurelio primo, regnante su Araucania e Patagonia. Kùlapan insieme ad altri capi elevò don Aurelio al rango di Ministro e Generale. Nel gennaio 1862 venne catturato dalle truppe cilene, processato e rispedito in Francia, dove continuò a fare propaganda per il suo regno. Quasi 10 anni dopo tornò in Sudamerica, in Argentina, nel 1871 raggiunse l'Araucania attraverso la Patagonia. Il generale Saavedra, però, saputo dei suoi spostamenti, mise una taglia sulla sua testa e re Aurelio tornò in Argentina e da lì in Francia. In Europa mantenne il titolo di Re di Araucania e Patagonia e si preoccupò che fosse tramandato ai suoi successori.
Questo breve resoconto è tratto dall'opera di Schindler
[ 4 ]. L'autore è incerto sulla
ricostruzione delle gesta di de Tounens e sul reale valore
storico di questa figura, anche perché esistono solo due
fonti importanti sulla vicenda: la descrizione dello stesso de
Tounens e il rapporto del generale Saavedra, comunque poco
obiettivo dal momento che lo considerava un ostacolo ai suoi
progetti di sottomissione dei Mapuche. Ma il punto di vista degli
stessi Mapuche sembra essere diverso. Il resoconto della vicenda,
riportato in alcuni siti internet che forniscono informazioni
anche storiche gestite da associazioni mapuche, oltre ad essere
più dettagliato, conferisce a questa figura una luce
più positiva e il carattere di difensore dei diritti degli
indigeni.
L'immagine è quella di un uomo attratto dalle vicende
dell'unico popolo che era riuscito a resistere agli spagnoli,
affascinato da un mondo indigeno in cui si era integrato subito,
adottandone il modo di vestire, la lingua e guadagnandosi il
rispetto delle autorità Mapuche. Inoltre la costituzione
del Regno di Araucania e Patagonia viene presentata come una
possibilità per il popolo della terra di avere la propria
indipendenza e trovare appoggio, alleanze e riconoscimento
internazionale. La creazione di questo Regno venne discussa a
lungo dai Mapuche, dopo numerose consultazioni, il 17 novembre
1860 venne approvata una Costituzione.
Fu allora che i governi cileno e argentino organizzarono una propaganda molto negativa per screditare il nuovo Regno e quando, nel 1862, imprigionarono de Tounens, lo dichiararono insano di mente, dal momento che consideravano anomalo che un bianco agisse in difesa di coloro che erano definiti "selvaggi". Questa è una versione Mapuche, che specifica che il legittimo successore di re Aurelio primo detiene a tutt'oggi il titolo di re di Araucania e Patagonia, e vive in Francia, "in esilio". Al di là delle differenze tra le due versioni è importante sottolineare che questa figura molto raramente viene citata nelle ricostruzioni della storia del popolo Mapuche, sia che siano di studiosi esterni, sia che siano degli stessi Mapuche. Rimane quindi una vicenda non ben definita, e forse anche questo contribuisce a sottolineare il suo carattere romantico e particolare.
Nel 1867 l'esercito cileno avanzò fino al fiume Mallevo ed Angol fu incluso nella nuova linea di confine, dai nuovi forti cominciò una guerra che lasciava dietro di sé terra bruciata, come nel 1600 donne e bambini venivano imprigionati e il bestiame rubato. Epidemie e fame sterminarono la popolazione Mapuche già messa a dura prova dagli scontri e dalle scorrerie dell'esercito. La resistenza degli indios cominciò ad affievolirsi a partire dal 1872, alcuni capi che risiedevano nel sud si dichiararono neutrali. Il confine rimase fermo fino al 1878, quando l'esercito si spinse fino a Rio Traiguèn, fondando una colonia a metà tra Angol e Temuco. In questi anni la guerra contro Perù e Bolivia portò allo spostamento del confine cileno a nord fino ad Arica. Tra il 1880- 81 i Mapuche videro un'occasione di riscatto dal momento che la guarnigione di confine era stata sostituita da una guardia civica, ma non raggiunsero risultati significativi. Nel febbraio 1881 l'esercito avanzò fino a Rio Cautìn e fondò Temuco, che sarebbe diventata la città più importante della regione. Nel gennaio 1883 la conquista dell'Araucania era stata completata.
Dopo la conquista, alla fine del 1800, il governo cileno classificò le regioni del sud come "scarsamente popolate" e venne nuovamente favorita l'immigrazione così come la fondazione di colonie. Lo Stato cileno espropriò il 90% delle terre mapuche, costringendo questo popolo a vivere in meno di mezzo milione di ettaro. Cinque milioni di ettari furono venduti all'asta ai bianchi, che fondarono colonie che divennero velocemente paesi e città oltre che sedi dell'amministrazione statale, come ad esempio Temuco, Valdivia e Osorno. I bianchi vedevano la popolazione nativa come un ostacolo al progresso e l'occupazione violenta dei loro territori era ormai ordinaria. Tra il 1884 e il 1929 la maggioranza dei Mapuche venne relegata nelle "Reducciones", sorta di riserve, descritte nei documenti dell'epoca come "Titulos de merced". Tutto questo, l'espropriazione di terre, l'avanzare dell'esercito, gli spostamenti forzati e la perdita dei luoghi legati alla tradizione, viene definito dalla storia ufficiale "Pacificazione dell'Araucania".
Secondo il diritto cileno le Reducciones erano
proprietà collettive inalienabili, gli abitanti non
avevano tasse da pagare e alla morte dei proprietari la terra
doveva essere suddivisa tra i figli, anche se spesso non era
sufficiente. Inoltre il terreno, a causa delle coltivazioni
intensive e dei disboscamenti a cui anche gli stessi Mapuche si
trovarono costretti data la scarsità del terreno
coltivabile e adatto al pascolo a loro disposizione, cominciava
ad inaridirsi. Dopo l'occupazione dell'Araucania il governo
aspirava ad una veloce integrazione degli indios nella
società cilena, per questo vennero costruite scuole e fu
reso obbligatorio il servizio militare, anche la presenza delle
Missioni venne rinforzata. L'estrema scarsità di terreno a
disposizione (meno di un ettaro a famiglia) provocò la
migrazione verso le città dei Mapuche più giovani
in cerca di lavoro.
Intanto continuava l'appropriazione di terre da parte dei
bianchi, sia con la violenza che con trucchi legali. Il governo
sapeva perfettamente delle difficoltà dei Mapuche per la
mancanza di terre e vedeva due diverse soluzioni a questo
problema: cedere più terra agli indios oppure rafforzare
l'esodo dalla campagna. Il governo Allende optò per la
prima possibilità, durante questo periodo centinaia di
famiglie Mapuche ricevettero terreni, ricavati anche dalla
ridistribuzione della proprietà fondiaria. Questo governo
portò infatti avanti una riforma agraria che fino al 1972
restituì ai Mapuche 700. 000 ettari di terre, alcuni di
loro parteciparono all'occupazione di terreni appartenenti ai
latifondisti, circa 75.000 ettari. Inoltre Allende emanò
una legge, Ley No. 17. 729 del 1972, che garantiva ai Mapuche
diritti fondamentali:
- restituzione dei diritti di proprietà sulle terre che
erano state espropriate
- allargamento dei diritti territoriali
- sostegno agli aspetti sociali e culturali
- miglioramento del sistema sanitario
- insegnamento della lingua madre, Mapudungun.
Dopo il 1973, con il colpo di stato e la dittatura del
generale Pinochet, i progressi fatti in questa direzione vennero
quasi del tutto annullati. Il 22 marzo 1979 venne emanato il
decreto legge 2568, che facilitava la spartizione delle
Reducciones in proprietà private. Questa politica aveva
infatti scelto la via dell'incentivazione dell'esodo dalle
campagne, riducendo così il numero dei Mapuche che
vivevano come piccoli contadini, in modo da lasciare spazio ai
grandi latifondi. Secondo questo decreto la terra doveva essere
suddivisa tra gli "ocupantes", cioè coloro che la
abitavano e lavoravano da più anni, tra essi erano
però moltissimi a non essere Mapuche. Così venne
semplicemente legalizzato uno status quo che era stato realizzato
nel corso degli anni con metodi illegali ed arbitrari. Questa
legge stabiliva inoltre la non vendibilità della terra ma
la possibilità di cederla in appalto. Considerando che
erano possibili contratti di appalto di oltre 99 anni la non
vendibilità della terra era facilmente aggirabile.
Un altro punto a sfavore degli indigeni e in contrasto con le
loro consuetudini culturali è quello che sanciva
l'impossibilità di suddividere ulteriormente la
proprietà terriera tra gli eredi, questo, secondo il
governo, per non ingrandire il problema dei mini- fondi. Ma gli
effetti di questo provvedimento intaccavano la struttura
familiare Mapuche, basata sul fatto che i figli, lontani o vicini
che fossero, davano il loro aiuto ai genitori nel lavorare la
terra sapendo di poter poi contare su una proprietà
comune. Così anche i giovani che migravano nelle
città in cerca di lavoro sapevano di poter sempre
ritornare a casa con una possibilità di sussistenza. Ma
dal momento che solo uno dei figli poteva ereditare la terra,
spesso gli altri preferivano stabilirsi in città
definitivamente, mancando in questo modo anche il sostegno ai
genitori. Il governo sperava che con il tempo gli appezzamenti di
terreno pù piccoli venissero rilevati dai grandi
proprietari, rafforzandosi in questo modo sia il latifondismo che
l'esodo dalle campagne e quindi l'assimilazione degli indios alla
società cilena. Una frase di Augusto Pinochet rende l'idea
della politica assunta dalla dittatura nei confronti dei Mapuche:
"Non esistono popolazioni indigene, siamo tutti Cileni" (A.
Pinochet; pogrom 160/91 p. 62). Appare chiara la linea di
pensiero del dittatore, la sua intenzione di annientare la
peculiarità culturale delle popolazioni indigene. Nel 1979
ci fu una segnalazione da parte del comitato interamericano per i
diritti umani in America Latina (Comitè Interamericano de
Derechos Humanos en America Latina) che constatò la
persecuzione dei Mapuche in quanto popolazione indigena. Da
subito dopo il colpo di stato fino alla fine degli anni '80
Pinochet portò avanti una politica di repressione
violenta.
Esercito e polizia occupavano e distruggevano intere comunità, molti Mapuche vennero assassinati o torturati, tutte le organizzazioni che rendevano possibile una partecipazione degli indigeni nelle decisioni riguardo il loro destino a livello politico e sociale vennero abolite, i loro membri arrestati e torturati. Le leggi sulla proprietà, in primo luogo la legge n. 2. 568 del 1979, resero possibile la distruzione della proprietà collettiva ma anche di tutte le strutture e istituzioni politiche, sociali, economiche e culturali dei Mapuche, tradizionalmente legati alla gestione collettiva del territorio. Alla fine degli anni '80, delle 2. 060 comunità Mapuche esistenti agli inizi degli anni '70, ne rimasero solo 665. Ma già nel settembre 1978 i Mapuche, non accettando la situazione in modo passivo, cominciarono ad organizzarsi in Centros Culturales (centri culturali) per mantenere la propria identità e avere uno strumento di difesa.
Per dare uno sguardo d'insieme sull'attuale condizione del popolo Mapuche e su come questa si è sviluppata da dopo la dittatura di Pinochet fino ad oggi, per capire e cogliere il senso della mobilitazione del "popolo della terra" è utile seguire il filo del pensiero di Josè Aylwin, avvocato che lavora all'interno dell'Instituto de Estudios Indigenas all'Università de la Frontiera di Temuco. In due articoli in particolare [ 5 ] Alwin fornisce una descrizione chiara degli eventi e delle motivazioni che hanno portato alla situazione odierna. Un aspetto interessante che viene messo in luce in questi scritti è il rapporto della società cilena con la cultura indigena, quindi con quelle che sono le sue radici, le sue origini. Il Cile ha storicamente negato la sua appartenenza etnica così come le proprie origini culturali, relegando l'immagine degli indigeni a un passato che sembra non far parte della sua storia, a qualcosa di "folkloristico", adatto ai turisti. In particolare la borghesia ha costruito e interiorizzato nella mente delle persone l'idea che la società cilena è una società etnicamente omogenea, basata prevalentemente su origini europee. Quest'idea è stata promossa per secoli in differenti modi, dall'educazione scolastica, alla famiglia, alla letteratura, ed è diventata dominante durante il periodo repubblicano. La storiografia tradizionale ha portato avanti una prospettiva che vedeva una società omogenea risultato della fusione di europei e indigeni, ma con netto predominio degli europei e della loro cultura. Gli indigeni venivano visti come "popolazioni" isolate, appartenenti al settore rurale e in condizioni di povertà, che avevano bisogno di essere assimilate alla cultura cilena e allo sviluppo del Paese. Questa concezione e l'assoluta negazione di una realtà composta da differenti realtà etniche e culturali, contribuiscono a spiegare la politica assimilazionista e di non rispetto della realtà indigena portata avanti anche dopo la dittatura di Pinochet.
Il censo della popolazione del 1992 ha lasciato sorpresa e riluttante la società cilena, rilevando che il 10% della popolazione del Paese si dichiarava appartenente a una delle tre "culture"indigene riconosciute (Aymara, Rapa Nui, Mapuche). L'incapacità di settori importanti della società cilena di accettare la diversità etnica esistente nel Paese ha contribuito a porre enfasi sulla riforma dell'ordinamento giuridico come modalità per risolvere i conflitti sorti nel territorio Mapuche. Attraverso decreti e organi istituzionali si è cercato di risolvere quello che veniva visto come un disagio legato alle condizioni economiche e sociali di un settore della società, quando invece alla base delle richieste e delle rivendicazioni dei Mapuche c'è la necessità di un riconoscimento, il bisogno di avere dei diritti non solo individuali ma anche come popolo, come realtà culturale, come identità etnica e storica. Soltanto in questo modo, sottolinea più volte Aylwin, possono risolversi conflitti e disagi, senza il riconoscimento dell'altro appaiono del tutto inutili i provvedimenti giuridici, peraltro molto spesso rimasti senza applicazione pratica o addirittura non rispettati dallo stesso Stato.
SINTESI DELL'ATTUALE SITUAZIONE SOCIALE DEI
MAPUCHE
I Mapuche sono il gruppo indigeno più numeroso del Cile,
secondo il censo del 1992 sono circa 928. 060. Poco numerosi sono
fra loro quelli che continuano a vivere in comunità rurali
nel sud del Paese, l'80% di loro vive prevalentemente in aree
urbane. La terra a disposizione è insufficiente, e
soprattutto i giovani preferiscono migrare verso le città
come Temuco o Santiago in cerca di lavoro. L'età media di
coloro che continuano a vivere nelle comunità rurali si
è alzata negli ultimi anni. Anche il livello di
scolarizzazione è basso, così come la
qualità della vita: il 73. 22% di giovani tra i 20 e i 24
anni ha terminato le scuole elementari, solo il 10% delle case
mapuche ha la corrente elettrica e in molti non hanno né
radio né alcun tipo di equipaggiamento elettronico (1995)
Inoltre il 31, 43% della popolazione attiva dell'area rurale
lavora fuori dalla propria comunità, non possedendo
terreno sufficiente per la sussistenza della famiglia. Le
condizioni dei Mapuche urbani non sono migliori, vivono ai
margini delle grandi città e vengono considerati i poveri
tra i poveri, se trovano lavoro è tra gli impieghi
più umili, mal pagati e senza nessun tipo di garanzie di
stabilità e sicurezza. Gli appartenenti alla popolazione
indigena del Cile parteciparono attivamente alla restaurazione
della democrazia dopo la dittatura, nel 1990. Le organizzazioni
indigene che erano state create durante la resistenza al regime
militare ebbero un ruolo importante, per questo molte delle loro
richieste divennero parte del programma di governo che venne
presentato dalla coalizione dei partiti democratici
(Concertacion) nelle elezioni del 1989.
ACCORDO DI NUEVA IMPERIAL 1989 E LEGGE INDIGENA
1993
Nel 1989 le organizzazioni rappresentative indigene firmarono un
accordo con la coalizione democratica (il cui candidato
presidenziale era Patricio Aylwin) per cui, in cambio del loro
appoggio i democratici si impegnavano al riconoscimento legale e
costituzionale di alcuni diritti fondamentali come il
riconoscimento della loro peculiarità culturale, della
loro identità e della loro lingua, la possibilità
di uno sviluppo economico in armonia con le loro tradizioni e il
diritto di partecipare alle decisioni riguardanti il loro futuro.
Per elaborare la proposta di riconoscimento legale e
costituzionale di questi diritti venne formata una Commissione
Speciale composta sia da rappresentanti del governo che da
rappresentanti indigeni delle diverse etnie eletti dalle
organizzazioni. Questa proposta venne discussa in centinaia di
incontri nelle comunità rurali e urbane e nel gennaio 1991
al Congresso Nazionale degli Indigeni. La proposta venne
presentata dal governo al Congresso Nazionale nel 1991, tra tutti
gli aspetti che conteneva, tra cui un emendamento costituzionale
e la ratifica della Convenzione169 della Organizzazione
Internazionale del lavoro, venne preso in considerazione solo
un'iniziativa legale e due anni dopo il Congresso approvò
la legge No 19253 del 1993 per la "protezione, promozione e
sviluppo della popolazione indigena". Questa legge, anche se dava
una risposta molto limitata alle richieste indigene, riconosceva
diritti che vennero ritenuti di grande rilevanza dalle
organizzazioni indigene.
Alcuni fra questi:
- Il riconoscimento della società cilena come una
realtà multietnica e multiculturale
- Il riconoscimento del dovere della società cilena e in
particolare del governo, di rispettare, proteggere e promuovere
lo sviluppo di queste popolazioni, le loro comunità e le
loro famiglie così come le loro terre.
- la protezione delle terre garantite agli indigeni dallo Stato
in passato e la costituzione di un fondo per l'acquisizione di
diritti sulle acque e terre o per il trasferimento agli indigeni
di diritti su di esse detenuti dallo Stato.
- la costituzione di un fondo di sviluppo per fornire alle
comunità e alle famiglie un supporto finanziario per la
promozione di iniziative economiche e culturali atte a migliorare
la qualità della vita in modo conforme alla loro
cultura.
- Il riconoscimento del diritto di essere considerati ed
ascoltati in merito a decisioni che li riguardavano o
riguardavano la loro vita
- Il riconoscimento e la protezione della loro cultura e della
loro lingua
- La nascita della Corporazione Nazionale per lo Sviluppo
Indigeno (CONADI) composta sia da esponenti del governo che da
rappresentanti indigeni, che venne costituita nel 1994.
Attraverso l'azione della CONADI sono stati fatti progressi
riconosciuti da tutti i settori della società:
- Diritti di partecipazione: creazione di un numero crescente di
organizzazioni indigene legalmente riconosciute che permetteva di
esporre le loro richieste così come la partecipazione
attiva alla CONADI
- Diritti sulla terra: assicurazione della protezione delle terre
Mapuche e dell'impossibilità della divisione delle
rimanenti terre comuni, trasferimento ai Mapuche di circa 75. 000
ettari di terreni nel loro territorio.
Inoltre il fondo di sviluppo istituito per le popolazioni
indigene ha permesso la creazione di iniziative economiche e
culturali autogestite dalle organizzazioni indigene, in aree sia
urbane che rurali. Anche se insufficienti rispetto ai reali
bisogni delle comunità indigene, queste iniziative hanno
portato dei risultati e dei miglioramenti che vanno riconosciuti:
hanno permesso lo sviluppo di agricoltura e allevamento in aree
rurali, di industrie su piccola scala in area urbana, la
costruzione di centri per le comunità, programmi di
educazione bilingue e interculturale. Il lavoro di collaborazione
tra CONADI e esponenti delle culture indigene ha inoltre portato
degli sviluppi positivi nel rapporto con la società
cilena, che ha cominciato a riconoscere il contributo passato e
presente di questi differenti gruppi etnici all'interno della
società. Ma la legge infine promulgata dal governo
è frutto di numerose modifiche che danneggiarono
notevolmente il riconoscimento della domanda indigena.
- Diritto di partecipazione: in sostanza la legge del 1993
riconosce agli indigeni una partecipazione di carattere
consultivo, la loro opinione non risulta quindi in nessun modo
vincolante. Inoltre proibisce alle associazioni di assumere la
rappresentanza delle comunità e non contempla la
possibilità di costituire confederazioni di associazioni o
di comunità.
- Diritti sulla terra: in questa materia la legge
enfatizzò il riconoscimento delle terre indigene, quelle
occupate dalle comunità o dai singoli indigeni nel 1823, e
sulla protezione giuridica di questi terreni, oltre che
sull'intenzione di ampliarli.
Ma oltre ad essere insufficiente ai bisogni degli indigeni la
terra loro destinata, il Congresso non ha inserito nella legge
molte richieste dei Mapuche, come ad esempio il fatto che gli
indigeni, in uguaglianza di condizioni con altri interessati,
detengano un diritto di precedenza per i diritti su acqua,
produzione mineraria, ricchezze boschive, uso della costa. Non
c'è quindi una reale protezione dei diritti sulle risorse
naturali delle terre indigene. Appare evidente che i progetti che
erano destinati al riconoscimento del popolo indigeno, come ad
esempio la ratifica del Convenio No. 169 della Organizzazione
Internazionale del Lavoro, non sono stati presi nella giusta
considerazione e molte richieste e necessità degli
indigeni sono state ignorate. Bisogna però riconoscere il
valore dell'azione della CONADI, che ha cercato, finchè
è stato possibile, di rendere concreti e reali i
riconoscimenti dei diritti riconosciuti dalla legge del 1993.
Questa istituzione, inizialmente con l'appoggio di gran parte del
movimento indigeno, ha portato avanti una serie di progetti e
programmi come l'acquisizione già menzionata di 75. 000
ettari di terra da parte di individui e comunità Mapuche
tra il 1994 e il 1997 o l'appoggio a iniziative di sviluppo
economico, sociale e culturale indigene mediante il Fondo di
Sviluppo o ancora la costituzione di aree di sviluppo indigene,
due delle quali in territorio Mapuche. A questo punto bisogna
considerare la contraddizione esistente tra queste iniziative, il
dovere di tutela che la legge assegna allo Stato rispetto alle
comunità indigene del Paese e la linea politica
dell'amministrazione del Presidente Frei Ruz- Tagle, con il suo
appoggio ai "progetti di sviluppo" che mettono in pericolo la
sopravvivenza materiale e culturale dei Mapuche.
GLOBALIZZAZIONE E POLITICA DEL GOVERNO
I progressi, non ancora sufficienti, che sono stati fatti e i
risultati raggiunti con la legge del 1993 e attraverso la CONADI
sono stati presto smentiti dalla politica economica governativa,
orientata verso la globalizzazione e l'apertura del Cile al
mercato internazionale. La linea politica del Presidente Eduardo
Frei, che orienta gran parte dell'attività economica verso
l'esportazione, e porta avanti numerosi progetti di sviluppo
all'interno del territorio indigeno. Questi progetti sono basati
sull'uso e sull'appropriazione delle terre indigene, delle acque
e delle risorse naturali in generale, su cui non solo è
basata la sussistenza di molte comunità ma che sono
fondamentali per la loro cultura e il loro modo di vita.
La legislazione esistente, che non ha tenuto conto già nei
primi anni '90 di molte richieste dei rappresentanti indigeni, no
garantisce una protezione sufficiente alle risorse naturali del
territorio indigeno. Inoltre le comunità indigene non sono
state consultate (contrariamente a quanto stabilito nella legge
del 1993, che a questo punto sembra essere priva di valore anche
nei limitati risultati raggiunti) e la politica "compensatoria"
nei loro confronti è comunque insufficiente. I progetti
che vengono portati avanti nel territorio indigeno, anche se
provengono da settori privati, coinvolgono la partecipazione
dello Stato, sia con l'intervento diretto di agenzie pubbliche,
sia indirettamente attraverso autorizzazioni e supporto.
Centrali idroelettriche sul fiume
Biobìo
Già negli anni '60 ENDESA (Ente Nazionale per l'Energia,
ora una società privata) pianificò la costruzione
di una serie di centrali idroelettriche sul fiume Biobìo,
in un'area che è il territorio ancestrale di un gruppo
Mapuche, i Pehuenche. Nel 1996, nonostante l'opposizione dei
gruppi indigeni venne ultimata la costruzione di una prima diga,
nel 1994 ENDESA annunciò la costruzione di una seconda
diga, Ralco, progetto che comporterebbe lo spostamento obbligato
di 100 familie pehuenche, circa 500 persone. Nel 1997 il governo
ha deciso di autorizzare il progetto, senza considerare né
la netta opposizione dei Mapuche, né il fatto che si sono
opposte anche venti agenzie governative, compresa la CONADI, a
causa dell'impatto negativo che la costruzione di questa diga
avrebbe sulla vita presente e futura delle comunità di
Pehuenche. Questa decisione viene giustificata con la crescente
necessità di energia elettrica nella regine, a causa
dell'industrializzazione e delle necessità delle industrie
forestali, che, tra l'altro, contribuiscono a loro volta
all'appropriazione e allo sfruttamento del territorio indigeno.
Il governo non ha tenuto da conto nemmeno la netta opposizione
della CONADI, il cui consenso, secondo la legge, avrebbe dovuto
essere vincolante. ENDESA sta quindi portando avanti il progetto
con l'appoggio e il consenso del governo.
Industria forestale
Negli ultimi anni l'industria forestale ha avuto una grossa
crescita in Cile, in particolare per il mercato estero,
espandendosi soprattutto nel sud del Paese. Molto terre vengono
usate per piantare specie esotiche che crescono più
rapidamente, come ad esempio l'eucalipto, e queste piantagioni
sono arrivate a circondare le comunità Mapuche, e ad
occupare le loro terre, portando cambiamenti non solo nel tipo di
flora esistente sul territorio ma anche nel suolo, provocando
erosione e affaticamento. Non essendo prese in considerazione il
disagio degli indigeni dal governo, tra il 1997 e il 1998 molte
comunità hanno portato avanti azioni di protesta contro le
compagnie forestali, come l'occupazione della terra. La reazione
dello Stato appare contraddittoria: mentrela CONADI ha cercato di
mediare e trovare una soluzione ai giusti reclami degli indigeni,
il governo ha continuato a usare ogni mezzo, repressione inclusa,
per impedire il ripetersi di azioni di protesta di questo
tipo.
La costruzione di autostrade
In questo caso i progetti che mettono in pericolo la
sopravvivenza materiale e culturale delle comunità Mapuche
provengono direttamente dallo Stato. Il ministro dei Lavori
Pubblici ha infatti pianificato la costruzione di due autostrade
che attraverserebbero il cuore del territorio Mapuche. Una
è la Coastal Highway, 949 km, lunga la costa del Pacifico
nel sud del Cile, dalla regine del Biobìo alla regine di
Los Lagos. L'altro progetto è la costruzione di
un'autostrada che da Santiago arrivi a Puerto Montt. Questi
"progetti di sviluppo" non solo sono stati portati avanti
ignorando l'opposizione del popolo Mapuche ma anche trasgredendo
diritti che la legislazione vigente riconosce agli indigeni e il
dovere di protezine e tutela che lo Stato si era assunto nei
confronti di questi popoli. Per molti indigeni è difficile
comprendere la politica del governo dal momento che è
nettamente in contrasto con l'Accordo di Nueva Imperial. le
modalità, la velocità e le dimensioni dei progetti
portati avanti nel territorio Mapuche hanno portato alcune
organizzazioni indigene a definire questa situazione "seconda
occupazione dell'Auracania". La stessa CONADI, dopo aver
manifestato la sua opposizione alla linea politica del governo,
ha subito delle modifiche al suo interno. L'amministrazione Frei
ha infatti sostituito il precedente Direttore Nazionale con
qualcuno più disponibile ad accettare i progetti che
minacciano la sopravvivenza dei Mapuche. Nel novembre 1997 il
Congresso Nazionale Mapuche ha reso pubblica la propria
opposizione ai progetti di sviluppo, denunciando il loro impatto
negativo sulla vita sociale e culturale di molte comunità.
Durante il 1998 le organizzazioni Mapuche hanno optato per una
strategia differente in difesa dei loro territori, dal momento
che le loro proteste e richieste non venivano prese in
considerazione. Hanno portato avanti "azioni di disturbo"
bloccando strade e occupando le terre che gli appartengono e che
vengono utilizzate per i progetti di sviluppo dalle grandi
multinazionali o dallo Stato stesso.
A questo punto appare evidente che l'era dell'Accordo di Nueva
Imperial è terminata, lasciando spazio ad una situazione
di nuovo conflitto. Il rapporto tra Stato e Mapuche si è
deteriorato. Il governo ha avuto un atteggiamento ambivalente di
fronte alle proteste ed alle azioni delle organizzazioni
indigene, alcune autorità hanno cercato il dialogo con le
comunità, altre invece hanno optato per l'applicazione
della Legge di Sicurezza Interna Nazionale e per disporre delle
forze di polizia. Lo Stato, con i cambiamenti fatti all'interno
della CONADI, si è assicurato inoltre un maggior controllo
su questa istituzione. In questa situazione i Mapuche si sono
allontanati sia dallo Stato che dalla CONADI, nonostante gli
sforzi realizzati nel 1999 dall'amministrazione di Frei Ruiz-
Tagle per trovare degli accordi, il distacco si è
acutizzato da entrambe le parti, sembra che questa sia una nuova
fase caratterizzata dal fraintendimento e dalla mancanza di punti
di incontro.
UNA NUOVA FASE DI CONFLITTO E DI RICHIESTA
MAPUCHE
Negli ultimi anni c'è stata una significativa evoluzione
della domanda del popolo Mapuche rispetto a quella formulata al
termine del regime militare. Mentre prima le richieste erano
incentrate sul diritto alla terra e sulla possibilità di
partecipazione all'interno dello Stato, si sono in seguito
evolute verso il diritto ad uno sviluppo politico e culturale
autonomo all'interno i un territorio rivendicato come indigeno e
mai del tutto riconosciuto come tale dallo Stato. C'è
quindi un di stanziamento forte dal governo, una necessità
di muoversi autonomamente invece che al suo interno, per questo
anche la CONADI, che in ultima istanza risponde al governo, non
è compatibile con questa nuova domanda. Questa evoluzione
nasce indubbiamente dall'insoddisfazione dei Mapuche rispetto
alla politica del governo, dalla consapevolezza crescente della
non considerazione della vita economica e culturale delle
comunità indigene, dall'evidente non rispetto dell'impegno
di tutela assunto nel 1993. Ma ha influito anche il dibattito che
si è sviluppato a livello internazionale rispetto ai
diritti dei popoli indigeni. Molti forum internazionali hanno
evidenziato la necessità di un riconoscimento dei diritti
di questi popoli.
- Organizzazione Internazionale del Lavoro: nell'Accordo No. 169
del 1989 riconosce ai popoli indigeni il carattere di tali e il
loro diritto a partecipare alla definizione delle materie che li
riguardano, oltre al diritto di possesso e proprietà delle
terre che tradizionalmente occupano e sulle risorse
naturali.
- Organizzazione degli Stati Americani: riconoscimento di
importanti diritti a livello politico territoriale e culturale
dei popoli indigeni attraverso la Commissione Interamericana di
Diritti Umani nel 1997.
- Organizzazione delle Nazioni Unite: adotta nel 1994, attraverso
la SottoCommissione di Prevenzione della Discriminazione e di
Protezione delle Minoranze, il Progetto di Dichiarazione delle
Nazioni Unite riguardo i Diritti dei Popoli Indigeni.
Anche se si tratta di progetti di dichiarazione e non di
approvazione di normative, hanno avuto un certo impatto sulla
politica di alcuni Stati, come il Canada o la Danimarca, che
hanno riconosciuto diritti di autonomia e sulla terra alle
minoranze al proprio interno. I popoli indigeni del Cile hanno
partecipato attivamente ai dibattiti internazionali riguardo
questi diritti, e questo confronto con la situazione mondiale ha
influito sull'enfasi che le organizzazioni Mapuche pongono negli
ultimi anni nelle loro richieste e rivendicazioni. Inoltre le
organizzazioni indigene sono aumentate e si sono fortificate
elaborando nuove proposte e ribadendo i diritti delle
comunità.
In risposta a questa nuova situazione il governo ha promosso
alcune iniziative nel 1999. Oltre alla costituzione di una
Commissione in Tema di Sviluppo Indigeno e l'annuncio di una
serie di iniziative destinate a promuovere lo sviluppo indigeno
il Presidente Frei si è impegnato a riconoscere
costituzionalmente i popoli indigeni come tali e a ratificare
l'Accordo No. 169 della OIT e alla realizzazione di un "giro di
consultazioni" delle comunità indigene attraverso i
così chiamati "dialoghi comunali" in cambio della
sottoscrizione da parte delle organizzazioni indigene del Patto
per il Rispetto Cittadino attraverso il qule si pretendeva
"…la pace il rispetto e la celebrazione della
diversità estirpando l'ignoranza, la violenza e la
discriminazione. " Ma molti di questi provvedimenti non sono
ancora stati realizzati e il conflitto nel territorio Mapuche si
sta acutizzando, dl momento che le problematiche delle
comunità indigene continuano ad essere le stesse e
continuano a non essere prese nella giusta considerazione. Il
governo continua a dare il suo appoggio ai "progetti di sviluppo"
e ha incrementato la repressione contro le azioni di opposizione
portate avanti dai Mapuche.
Non appare possibile il superamento dei conflitti con queste
modalità. C'è la necessità di un dialogo e
di un confronto profondi, e alla base di qualunque iniziativa
dovrebbe esserci un reale riconoscimento del popolo Mapuche,
della sua storia, della sua cultura e della sua esistenza come
realtà etnica diversa all'interno del Cile, non come un
settore disagiato e marginale della popolazione. Devono essere
poste la basi per una convivenza interetnica, senza questo
presupposto la riforma dell'ordinamento giuridico e il
riconoscimento di alcuni diritti, peraltro spesso smentito dalla
linea politica del governo, risultano del tutto inutili. È
inoltre fondamentale tenere conto della mobilitazione a livello
internazionale degli ultimi anni che ribadisce la
necessità di una globalizzazione non solo di dimensione
economica, ma anche e soprattutto di dimensione etica e
culturale.
Negli ultimi anni la lotta del popolo Mapuche si è fatta
più difficile, ma anche più forte. Il governo
utilizza come mezzo di repressione la legge sulla sicurezza
interna, nel 2003 95 indigeni erano prigionieri politici nelle
carceri cilene, tra cui anche numerosi minorenni. Nel luglio 2003
Rodolfo Stavenhagen, l'incaricato speciale delle Nazioni Unite
per le questioni indigene, dichiarò legittime le richieste
dei Mapuche e pacifica la loro lotta, condannando allo stesso
tempo la legge cilena per la sicurezza interna.
IL PARLAMENTO MAPUCHE
Dal 6 al 12 ottobre 2003 ha avuto luogo, a Lota, città
costiera nelle vicinanze di Concepciòn, il "congresso per
un'Alleanza Strategica del popolo Mapuche". L'obiettivo del
Congresso era quello di discutere la modalità con cui
portare avanti la rivendicazione di diritti umani e civili e
anche darsi una nuova struttura e rappresentanza, in un contesto
che offre la possibilità di una organizzazione unitaria,
dal momento che erano presenti 330 delegati, in rappresentanza
delle entità territoriali Mapuche di tutto il Paese.
L'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha dato il
patrocinio al Congresso, garantendo la copertura finanziaria. I
risultati raggiunti in queste giornate, che hanno permesso in
primo luogo di ritrovare un sentimento di unità come
popolo e quindi una grande forza per la propria lotta, sono i
seguenti:
- Un'Alleanza Strategica delle Entità Territoriali Mapuche
per la difea e il mantenimento della propria lingua e cultura,
per la soluzione dei conflitti in corso e per il generale
miglioramento delle condizioni di vita.
- La decisione di creare un Parlamento Mapuche, Parlamento
Naciòn Mapuche, che dovrà essere formato dai
ministeri di Economia, Relazioni Internazionali, Giustizia,
Sanità e Casa, Educazione e Cultura, e sarà
composto da quattro delegati per ogni Entità
Territoriale.
- La decisone di lavorare per il riconoscimento costituzionale
del popolo Mapuche da parte del governo e dei partiti politici
cileni, di chiedere la ratifica della Convenzione ILO 169 da
parte dello Stato Cileno.
- L'appoggio ad una soluzione rapida a favore dei Mapuche nelle
zone di conflitto
- Solidarietà con i prigionieri politici Mapuche.
- Sarà chiesta la riparazione del debito storico.
Le osservatrici internazionali dell'APM hanno rilevato diversi
elementi positivi in questa importante iniziativa. In primo luogo
il fatto che il Congresso sia stato realizzato su desiderio dei
Mapuche stessi, senza alcuna pressione dall'esterno, né da
parte dell'APM, né da parte di partiti politici o altre
rappresentanze. Altro punto molto importante, gli organizzatori
hanno cercato di riunire i rappresentanti di tutte le
Entità Territoriali (anche se alcune non hanno voluto o
potuto partecipare) e quante più organizzazioni ed
associazioni Mapuche possibile. Non vi sono state rotture
interne, l'idea di fondo è rimasta per tutti i giorni del
Congresso, quella di un agire comune. Non ci sono stati ostacoli
neppure dall'esterno. Infine, molto rilevante è il fatto
che lo svolgimento del Congresso è stato caratterizzato da
democrazia e trasparenza, tutte le decisioni sono infatti state
prese dall'intera assemblea, così come anche l'ambito di
lavoro del Parlamento è stato definito da tutti i
delegati, non soltanto dal comitato organizzatore. Tutto questo
ha creato una base per un lavoro autonomo e orientato verso il
futuro.
ECONOMIA
La terra del popolo Mapuche si trova nel Cono Sur del Sudamerica,
oggi territorio cileno e argentino. L'universo ancestrale dei
Mapuche (Wall- Mapu) comprende le comunità Puelche
(dell'Est) , Pikunche (del Nord) , Villiche (del Sud) , Pewenche
(Araucaria) , Lafkenche (del mare) , Nagche (della pianura) ,
Wenteche (delle vallate). Oggi questo popolo che ha le sue radici
nel periodo precolombiano, risiede soprattutto nelle province del
Bìo- Bìo, di Arauco, Mallevo, Cautìn,
Valdivia, Osorno, Llnquihue e Chiloè. In molti si sono
trasferiti nei grandi centri urbani di Santiago,
Concepciòn, Valparaiso, Temuco e Valdivia. Al loro arrivo
nel centro sud del territorio cileno i Mapuche erano un popolo
nomade di cacciatori e raccoglitori. Il nuovo ambiente permise
con il tempo lo sviluppo di un'agricoltura in piccola scala, con
coltivazioni di mais, zucche, patate e peperoni. La caccia e la
raccolta di piante selvatiche caratterizzavano la sussistenza nel
nord, la pesca e la raccolta di frutti del mare quella del sud.
Le abitazioni tradizionali sono case di legno ricoperte di
giunchi, chiamate "ruka", costituiscono uno spazio domestico
molto importante, nel quale la famiglia si riunisce sia durante
il giorno per le pratiche quotidiane che in occasioni speciali.
Alla loro economia di vita ha sempre contribuito anche la
manifattura di oggetti di uso quotidiano e di tessuti. Inoltre
già nel periodo preispanico i Mapuche conoscevano l'arte
della lavorazione dei metalli: oro, rame e argento, con cui
fabbricavano ornamenti. Con l'arrivo degli Spagnoli questo tipo
di artigianato fu utilizzato anche per la fabbricazione di merci
utili alla guerra (ad esempio i finimenti per i cavalli) , che
diventarono, insieme agli ornamenti, oggetti di scambi
commerciali.
ORGANIZZAZIONE SOCIALE
Centrale nella cultura Mapuche, come dimostra il nome stesso di
questo popolo, è il legame con la terra e l'ambiente
naturale, che oltre ad avere una dimensione sacra, è
considerata proprietà di nessuno in particolare, ma
patrimonio della comunità intera. Questo aspetto comporta
anche un'organizzazione collettiva del lavoro , in cui la
comunità nel suo insieme è impegnata per la propria
sussistenza. L'organizzazione politica non è di tipo
centralizzato, il popolo Mapuche è organizzato in
comunità distinte e tra loro in relazione, con rapporti
sia di conflitto che di scambio e alleanze. Si può
affermare che la cultura Mapuche basa la sua organizzazione
sociale sulla struttura della famiglia estesa, denominata Lof.
È quindi la famiglia ad avere un ruolo centrale.
Secondo il loro costume tradizionale, il matrimonio Mapuche deve
realizzarsi tra persone di differenti lignaggi e dev'essere la
donna a stabilirsi nel territorio del lignaggio del marito. Nel
matrimonio, pur essendo subalterna all'uomo, la donna gode di una
certa indipendenza economica, disponendo anche di animali propri,
per i cui spostamenti e per la cui vendita è necessario il
suo consenso, oltre che delle ceramiche e dei tessuti che
confeziona. La donna ha ruolo molto importante sia nella
religiosità che nella trasmissione della cultura, aspetto
evidente nelle figure della Machi, colei che comunica con gli dei
della vita, e della Kalku, colei che conosce gli dei della morte.
La madre Mapuche partoriva in casa, mentre il padre si manteneva
in disparte ed era incaricato di adempiere al compito
tradizionale di seppellire poi la placenta in un luogo appartato.
Poco dopo la nascita era il padre a dare il nome al neonato senza
nessuna cerimonia, che viene celebrata durante il sesto anno di
età del bambino, che durante il rituale chiamato Lakutun,
riceve dal nonno paterno e da un altro anziano il nome che gli
era stato attribuito alla nascita.
Le famiglie erano riunite in diversi lignaggi, legate dalla
parentela secondo una discendenza patrilineare. Si insediavano in
un medesimo territorio, coltivando la terra, praticando raccolta
e allevamento di piccoli animali. Ogni comunità è
tradizionalmente rappresentata dal Lonko, il capo, il vertice
dell'insieme di autorità che governano le comunità
Mapuche secondo usanze ancestrali, tra cui troviamo il Werken
portavoce, ambasciatore, il Ngenpin, sacerdote e custode della
memoria storica collettiva e i Nidol, gli educatori. Il Lonko
è la maggiore autorità all'interno delle
comunità, con ad esempio l'incarico di ridistribuire le
ricchezze durante le feste cerimoniali. In tempo di guerra i
Mapuche si organizzano in Ayllarehue (8 rehue/lonko) e un
Consiglio dei Lonko che rappresenta tutte le regioni (Butalmapu)
sceglie un Toqui, responsabile e a capo dell'esercito.
La lotta contro i conquistatori spagnoli probabilmente
modificò in seguito questo aspetto della vita sociale
mapuche, accrescendo il potere e le responsabilità del
Toqui e rendendolo infine una carica permanente. Nel momento in
cui la popolazione aumentava e la regione occupata diventava
insufficiente, alcuni uomini si spostavano con le loro famiglie e
occupavano altre terre dando origine ad un nuovo lignaggio. Con
il tempo si perdevano i legami di sangue con il lignaggio
d'origine, ma il ricordo di un antenato comune manteneva vivo
l'antico vincolo. Si trattava di un antenato mitico, che poteva
essere rappresentato da un animale (ad esempio: Nahuel=tigre,
Filu=serpente) o da un elemento naturale (ad esempio:
Curà=pietra, Antu=sole) , che dava il suo nome a tutti i
lignaggi che si ritenevano con esso imparentati.
COSMOLOGIA E TRADIZIONE
Anche nella visione del mondo e nella spiritualità del
popolo Mapuche resta in primo piano il legame con la terra e gli
elementi naturali. La loro lingua, il Mapudugun (linguaggio della
terra) , trasmesso di generazione in generazione per via orale,
riflette questo vincolo, emerge infatti dall'ascolto della terra
e di tutti i suoi elementi, suoni, movimenti, un modalità
comunicativa che nasce in primo luogo dal rapporto dei Mapuche
con l'ambiente che li circonda. La vita stessa deve la sua
origine alla natura, sono gli elementi naturali a permettere la
sopravvivenza, così come hanno il potere di scatenarsi
come forze malvage. Molte divinità sono legate ad animali
ed elementi naturali, da questi è stata trasmessa la
conoscenza, così come l'ordine sociale, ai padri del
"popolo della terra". L'uso e l'organizzazione dello spazio
è un aspetto molto rilevante nella società Mapuche,
è infatti a partire da uno spazio culturalmente definito
che si sviluppano la cosmologia e le credenze di questo
popolo.
Secondo la tradizione il cosmo è suddiviso in sette
livelli, che si sovrappongono verticalmente nello spazio. I
quattro livelli superiori (mondo etereo: Wenu mapu) sono abitati
dalle divinità, dagli antenati e dagli spiriti benefici.
Tra questi livelli e il livello terrestre trova collocazione un
livello in cui risiedono entità malefiche, Wekufe (dio
della morte e della distruzione). Il livello terrestre (mondo
fisico, topografia naturale e ecosistema in cui si realizza la
vita sociale: Mapu) è quello in cui vivono i Mapuche, qui
si manifestano sia le forze del male che le forze del bene,
condizionando il comportamento umano. L'ultimo livello è
sotterraneo, in esso risiedono gli uomini malvagi, Caftrache,
anch'essi malefici. In accordo con l'importanza rivestita dalla
famiglia all'interno dell'organizzazione sociale di questo popolo
troviamo in ambito religioso la credenza nell'esistenza di una
"famiglia divina" e la rilevanza attribuita alla figura
dell'antenato. Questa famiglia è composta da due coppie di
divinità, una giovane e una anziana, chiamate Elmapun ed
Elchen, Ngunemapun e Ngunechen. ? Secondo la tradizione questa
famiglia, considerata in costante interazione con il livello
terrestre attraverso le forze del bene e quelle del male, ha
creato e sostiene costantemente l'uomo e la natura. Queste
divinità non detengono però il potere della vita,
che è invece strettamente legato alla terra e all'ambiente
naturale, è la loro benevolenza a permettere che dalla
natura emani questo potere. Il livello terrestre, chiamato
"mapu", è costantemente pervaso sia da forze e influssi
benefici che malefici, che si esprimono in un caso attraverso
ordine e armonia, nell'altro attraverso caos, distruzione ed
incertezza, supportando o punendo l'uomo. Secondo questa
concezione ne mondo devono essere in equlibrio il bene e il male,
la luce e le tenebre, le vita e la morte.
La figura dell'antenato è centrale nella cultura Mapuche,
rappresenta infatti la storia totale del loro popolo, incarna la
loro tradizione, dagli antenati ha origine la conoscenza di tutto
il pensiero e le azioni umane, essi ne sono la fonte. Esistono
due tipologie differenti di antenati: quelli autentici e quelli
mitici. L'antenato autentico è legato ai vivi e da essi
riconosciuto mediante una linea di discendenza diretta e assolve
alla funzione di mediatore per gli uomini di fronte al dio
maggiore: Ngenechen. All'antenato mitico non si può invece
risalire mediante la ricostruzione di una linea di discendenza
diretta, che è molto antica ed è andata perduta nei
registri orali di parentela di qualunque lignaggio. A questi
antenati ci si riferisce nel mito di creazione e nella mitologia
rituale. Per questo, per non essere vincolati a nessun lignaggio
particolare, essi contribuiscono ad una omogeneità
culturale, a tenere unita un'ampia popolazione attraverso una
credenza interregionale, una referenza religiosa comune. La
celebrazione degli antenati autentici, così come quella di
alcuni dei locali, spesso personaggi zoomorfi, subisce variazioni
a livello locale e regionale, coinvolge quindi una cerchia
più ristretta. Ma cosa significa che gli antenati sono la
fonte della conoscenza riguardo tutto il pensiero e le azioni
umane?
Presso i Mapuche l'ordine sociale e spaziale del mondo in cui
vivono (livello del Mapu) è modellato secondo
l'orientamento del mondo ancestrale, è come se essi si
muovessero all'interno di un continuum di episodi passati e
presenti che è definito dalle azioni storiche degli
antenati e di coloro che sono morti da poco. Il comportamento dei
vivi deve quindi essere conforme al comportamento ed agli
insegnamenti dei padri. L'organizzazione del mondo ancestrale fu
appresa a sua volta, all'origine, da animali e piante del mondo
fisico, che secondo la tradizione Mapuche, insegnarono agli
antenati la corretta organizzazione sociale e spaziale. Dunque la
conoscenza ancestrale e l'esperienza sono le principali fonti di
conoscenza in questa società, le principali fonti di
informazione storica riguardo il mondo naturale e sociale.
Un'azione è considerata giusta perché è
stata compiuta o è stata insegnata dagli antenati, che a
loro volta l'hanno appresa, in origine, dalla natura e dalla
terra stessa. Il comportamento corretto, dunque, è un
comportamento conforme alla tradizione, che ripete gesti che sono
gli stessi da centinaia di anni e che si muove dentro i binari
della consuetudine. È la storia ancestrale a dare il senso
di correttezza o scorrettezza ed è una legge
consuetudinaria (Adamapu) a regolare il comportamento quotidiano,
un codice di comportamento trasmesso da una figura di un
"saggio", Ulmen, che si occupa anche di risolvere conflitti e
dispute interne e di stringere alleanze in tempo di guerra, oltre
ad assicurarsi che venga rispettata la legge comune e che i
membri della comunità mantengano un comportamento ad essa
conforme.
Elementi soprannaturali (divinità, antenati, spiriti)
vegliano sull'uomo, agendo conseguentemente al suo comportamento
lo puniscono o lo sostengono, esigono cerimonie ed offerte, si
inseriscono nella quotidianità in un mondo fisico che
è costantemente pervaso sia da forze buone che malvage, in
lotta tra loro. In questa realtà dunque i doveri e i
diritti tradizionali sono sanciti attraverso il soprannaturale.
Anche il prestigio sociale è strettamente vincolato alla
tradizione, rispecchia la capacità di prendere buone
decisioni usando la conoscenza della storia ancestrale. Le regole
abituali e le credenze vengono trasmesse sia attraverso racconti
mitici e canzoni riguardanti il mondo naturale e quello
soprannaturale che attraverso le cerimonie, durante le quali lo
spazio cerimoniale diventa un punto di intersezione tra mondo
etereo e spazio fisico. La ritualità può essere
definita come "un momento di tempo sincronico che rinforza la
relazione tra conoscenza ancestrale immagazzinata nel mondo
etereo e la sua introduzione nel mondo dei vivi per un uso
sociale e ideologico".
RITUALITA' E CERIMONIE RELIGIOSE
Tutto il comportamento cerimoniale Mapuche è
caratterizzato da un costante confronto con le soglie del mondo
etereo, da un contatto e un legame con le entità che lo
abitano. "Il riferimento a divinità, antenati e spiriti
nel mito, nella narrazione e nella ritualità è
molto più di un riferimento religioso verso un ambiente
soprannaturale di personaggi che controllano e obbligano la
popolazione ad un determinato comportamento, queste entità
sono rappresentazione metaforica della conoscenza corretta o
falsa della condotta tradizionale, dell'uomo, dell'ambiente e
della storia Mapuche. " La vita spirituale non si basa quindi su
punizioni e concessioni, colpe e meriti, ma è un continuo
rinnovamento dell'incontro e del rispetto di una sorta di antica
saggezza che deriva da esperienza ancestrale e insegnamenti del
mondo naturale e che indica all'uomo, che si trova costantemente
a muoversi tra forze malvage e benefiche, una via di armonia con
il cosmo.
Dimensione spaziale
Come affermato precedentemente lo spazio cerimoniale rappresenta
la congiunzione tra spazio etereo e mondo fisico, tra Wenu- mapu
e Mapu, dimensione delle entità soprannaturali e
dimensione in cui si muovono gli uomini in interazione con
elementi naturali e spiriti degli antenati. Il pensiero e
l'azione rituale integrano tutti i livelli cosmologici in un
unico spazio di interazione in cui la conoscenza immagazzinata
dagli antenati "passa" ai vivi attraverso un intermediario
rituale che ha accesso alle fonti dell'esperienza ancestrale di
tutti gli antenati e personaggi che popolano il mondo etereo.
Durante le cerimonie lo spazio organizzato in livelli verticali
si contrae metaforicamente dando origine ad uno spazio unico e
compatto in cui dei e antenati interagiscono con i vivi.
Dimensione temporale
Nella cerimonia il mondo ancestrale diacronico si converte in
sincronico, in questo ambito di tempo diacronico contratto la
storia totale dei Mapuche è collocata in un episodio
rituale di reciproci obblighi tra vivi e morti. Due cerimonie
rituali sono particolarmente rilevanti per il "popolo della
terra": il rito della fertilità, Nguillatùn, e il
rito del funerale, Awn. Lo Nguillatùn è diretto ad
un gruppo pan- mapuche di antenati mitici e divinità,
mentre l'Awn è più specifico, di lignaggio, serve
per accompagnare il morto fino al Wenu- mapu, entrambi hanno
l'intento di mantenere una relazione tra i vivi e i loro
antenati, tra mondo fisico e mondo etereo. Queste cerimonie hanno
una struttura generale comune, ma presentano variazioni a livello
regionale e locale.
Nguillatùn- Rito della
fertilità
Questa cerimonia si svolge in un campo sacro comune a diversi
lignaggi, che non può essere coltivato e ha forma di "U"
con l'apertura rivolta verso est. Sono presenti tre lignaggi di
anfitrioni e ognuno occupa un'area designata in modo permanente
lungo uno dei lati del campo. Gli intermediari rituali di questa
cerimonia sono il Nguillatufe, che si occupa dell'amministrazione
secolare dell'evento e sta nel centro superiore del campo (ovest)
e la Machi che dirige i servizi cerimoniali al centro. Al centro
del campo è collocato il Rewe (un palo verticale di legno)
, l'altare usato dalla Machi per stabilire la comunicazione con
gli antenati, che è attorniato da piante sacre e mediche e
intorno al quale vengono offerti agli antenati in sacrificio
animali, alimenti e il "mudai" (preparato di mais o grano).
Questo palo verticale nella struttura orizzontale de
lNguillatùn ha rappresenta l'intersezione tra mondo
ancestrale e mondo dei vivi. Questo può avere un
differente numero di pioli, che rappresentano i livelli del cosmo
Mapuche, più è alto il numero dei pioli (da 4 a 7)
più è alto il livello di conoscenza rituale e
potere della Machi.
Awn- Rito del funerale
Questa cerimonia ha la funzione di accompagnare il defunto fino
al Wenu- mapu, perché possa, come ogni Mapuche che muore,
elevare la sua esperienza di vita recente al mondo etereo,
rendendola parte così della conoscenza ancestrale. Durante
la veglia funebre (Awn) il Weupufe (intermediario rituale nelle
cerimonie funebri ma anche in quelle di nascita e di matrimonio)
pronuncia un discorso (Weupin) nel quale vengono menzionati gli
antenati autentici del lignaggio del defunto e vengono elencate e
celebrate la sue azioni in vita, quindi gli vengono ricordati i
suoi obblighi nella cura dei vivi quando sarà giunto nel
mondo etereo. Infine viene fatto riferimento agli dei regionali e
agli antenati mitici. Il luogo in cui i defunti vengono
seppelliti si trova in un terreno elevato dentro i limiti del
territorio della comunità cui appartiene, il dislivello fa
in modo che essi siano più vicini al Wenu- mapu e meno
soggetti alle influenze malvage del mondo inferiore. L'autore fa
riferimento ad alcune testimonianze nel riferire la consuetudine
di aggiungere ogni anno della terra sul luogo della sepoltura,
atto che servirebbe a elevare lo spirito del defunto ad un
livello superiore del mondo etereo. Questa costruzione verticale
della tomba dovrebbe assicurare l'entrata nei livelli superiori
del Wenu- mapu. Questa consuetudine ricorda i pioli del Rewe,
anch'essi organizzati secondo una gerarchia verticale che
rispecchia l'ordine spaziale del cosmo.
La figura della Machi (questo è infatti un ruolo
prevalentemente femminile) è molto importante presso i
Mapuche, un punto di riferimento centrale nella loro cultura, che
ha una funzione sia religiosa, come tramite tra l'uomo e le
divinità, che medica, oltre che di custode del sapere e
della storia della propria comunità e del popolo Mapuche,
in virtù del quale detiene il ruolo di consigliere, che
sostiene il capo nelle decisioni importanti e nei momenti
difficili. Secondo la concezione degli Araucani, il ruolo di
Machi non dipende da una volontà personale, ma si viene
prescelti da forze superiori, indipendentemente dal proprio
volere. Si tratta di una vera e propria "chiamata" da parte delle
divinità, che avviene solitamente subito dopo la
pubertà, anche se è possibile che si verifichi in
momenti diversi della vita.
Tre elementi ricorrono molto spesso nella caratterizzazione di
tale evento:
- Sogni e visioni
- Gravi malattie
- Avversione alla chiamata.
I Mapuche considerano i sogni come manifestazione di
divinità e altre forze sovrannaturali, i messaggi e i
significati in essi contenuti hanno quindi molta rilevanza, sono
segnale di un contatto con il divino. La malattia è invece
considerata come un modo per rompere la resistenza della persona
prescelta, per piegarne la volontà. Nell'interpretazione
di questi segni e riguardo la loro attendibilità il
giudizio della precedente Machi è fondamentale, essa
partecipa quindi alla designazione della prescelta. Al momento
della "chiamata" segue un periodo di studio di circa un anno, in
cui la prescelta viene seguita da una sola Machi, e deve imparare
soprattutto a gestire il contatto con le divinità
attraverso la trance e a interpretare i modi in cui le forze
sovrannaturali si manifestano, capacità che le
servirà anche nell'arte medica. Lo stato di trance viene
raggiunto con una particolare procedura. La Machi mette un
fazzoletto sopra gli occhi e batte il ritmo sul KULTRUN (tamburo
sacro sul quale è simbolicamente rappresentata la
configurazione del mondo Mapuche, strumento personale e
caratterizzante della Machi) camminando in cerchio intorno al
palo cultuale, il Rewe (palo di legno con un numero variabile di
pioli, usato dalla Machi per esempio durante il rituale dello
nguillatun) , o andando avanti e indietro da esso, o ancora
appendendosi con le gambe e penzolando con il busto.
Dal momento in cui la Machi si trova in stato di trance sono le divinità o altre entità spirituali a parlare attraverso la sua bocca e a condurre il suo agire. Quando esce da questo stato la Machi non ricorda nulla, deve perciò appoggiarsi ad una persona di fiducia con il ruolo di riferirle ogni particolare. Al termine del periodo di studio la prescelta viene presentata alla comunità con una cerimonia di consacrazione, che si svolge con modalità differenti a seconda della comunità. Elementi fondamentali e comuni sono un periodo di isolamento e digiuno prima della consacrazione, l'usanza che prevede che la nuova Machi fissi nel terreno un palo cultuale e la presentazione alla comunità delle sue capacità. Ma la formazione della Machi dura fino alla morte dell'insegnante, che accompagna le più giovani nel loro percorso, insegnando loro tutti i segreti e le conoscenze che possiede sulla comunità, la natura, la storia e la magia, ritirandosi con le allieve in luoghi appartati in cui passare giorni di formazione e meditazione. L'arte medica della Machi si basa su una profonda conoscenza di erbe medicinali, la cui varietà e tipologia varia a seconda della zona e dell'ambiente. Per la cura delle malattie più gravi, attribuite a demoni malvagi, viene utilizzato uno specifico rituale chiamato Machitun, una cerimonia difficile e molto lunga, che prevede la purificazione del paziente dal male che ha preso possesso del suo corpo. L'abitazione della Machi all'interno della comunità si riconosce dalla presenza, al suo esterno, del palo cultuale, Rewe. Questa fondamentale figura religiosa dirige molte cerimonie, come ad esempio lo nguillatun o la cerimonia dell'anno nuovo mapuche, nella notte più lunga dell'emisfero sud, e mantiene una grande importanza ancora oggi, sia nelle comunità rurali che nell'ambiente urbano.
Per lungo tempo si è adottato il punto di vista che
considera tutti i segmenti della popolazione Mapuche come
appartenenti al medesimo gruppo etnico e le caratteristiche
culturali di questo popolo come assolutamente omogenee. Ma questa
può essere una messa a fuoco difettosa, che non permette
di comprendere a fondo il significato dell' "essere Mapuche". Uno
studio e una interessante riflessione sulla natura della
"etnicità Mapuche" e sul significato che questa
omogeneità può avere, sono stati fatti da Tom D.
Dillehay. Questo studioso parte dal constatare che nella seconda
metà del 1500 occupavano la zona centro- sud del Cile
quattro principali gruppi indigeni: i Picunches, i Mapuches, gli
Huilliches e i Pehuenches (ad oggi sono sopravvissuti i Mapuche e
in parte gli Huilliches). Questi gruppi occupavano territori
distinti e il loro stile di vita si presentava in parte
differenziato.
Prima di analizzare diversità e uniformità
culturali di queste popolazioni, l'autore si sofferma sul
concetto di etnicità, appoggiandosi all'analisi di Barth
che considera quattro principali componenti
dell'etnicità:
1 - Una popolazione biologicamente autoperpetrante
2 - Forme e norme culturali condivise
3 - Una lingua comune
4 - Autoidentificazione (noi) e identificazione rispetto agli
altri (voi).
Risalta dunque l'importanza dell'identità soggettiva
riconosciuta dal gruppo in una situazione di interazione, si
afferma quindi che l'etnicità può essere
circostanziale, vale a dire che alcuni segmenti di popolazione o
gruppi etnici possono unirsi ad altri in un particolare momento
per giungere a mete comuni. Così è stato ad esempio
per i Mapuche e i Pehuenches nel 1500: la meta comune era la
difesa della propria libertà e modo di vita, il noi
rappresentava coloro che lottavano contro il conquistatore
straniero mentre il voi era impersonato dagli Spagnoli. All'epoca
dell'arrivo degli Spagnoli, come già ricordato, i Mapuche
erano uno dei quattro gruppi araucani che occupavano la regione
centro- sud del Cile, gruppi affini ma con alcune differenze
determinate sia dalle diverse zone ecologiche in cui erano
insediati, sia dalla particolarità delle interazioni
socioculturali interne e verso l'esterno. La lingua era la stessa
nella struttura di base ma presentava variazioni dialettali,
così come le pratiche economiche si differenziavano in
accordo con l'ambiente: l'attività di raccolta poteva
riguardare la zona costiera anziché quella delle foreste,
da qui si diversificavano anche i tipi di insediamenti, i tempi e
i modi in cui procurarsi il cibo e di conseguenza alcuni aspetti
della vita sociale. Questo aspetto, la particolarità di
ognuno di questi gruppi, secondo l'autore è stato per
lungo tempo trascurato, si è infatti partiti da una
situazione particolare (i Mapuche) per poi generalizzare
considerando la popolazione del sud del Cile come omogenea.
Già durante la conquista spagnola, però, una
frammentazione è evidente nel fatto che non tutti i gruppi
aderirono agli scontri, alcuni infatti scelsero di rimanere
pacifici. (ad esempio i gruppi che vivevano più a nord,
che furono quasi subito assoggettati dai conquistatori). L'autore
sottolinea la natura occasionale e frammentaria del sentimento di
unità di questi gruppi, probabilmente determinato
più dalla necessità di combattere l'occupazione
straniera che da una effettiva omogeneità. È
ipotizzato da Dillehay che queste popolo avesse, prima
dell'arrivo degli Spagnoli, una tradizione di differenziazione
regionale e locale, aspetto che può anche essere visto
riflesso nell'organizzazione politica frammentaria, senza alcun
elemento di centralizzazione, ma questo non impediva l'esistenza
di aspetti comuni e un sentire collettivo di appartenenza, che
forse fu risvegliato e rinforzato, o addirittura posto in essere
concretamente, proprio da una improvvisa e feroce
necessità di difesa. Da questo momento in avanti, poi,
numerosi fattori influenzarono e determinarono l'evoluzione
dell'etnicità Mapuche.
Un aspetto importante è l'ubicazione degli indios in
"reducciones", sorta di riserve, quindi la costrizione in un
determinato spazio che era costantemente da difendere e nel quale
era possibile l'espressione della propria cultura e del proprio
modo di vita, costantemente minacciati. Uno spazio con un
confine, confine che determina in modo concreto la dicotomia
noi/voi. Da una parte lo spazio è Mapuche, tradizione,
familiarità, consuetudini, aspetti conosciuti e portati
avanti da sempre; dall'altra parte, oltre una linea, lo spazio
diventa ostile, ambiguo, occupato da genti ignote e gestito da
norme non riconoscibili perché lontane e differenti da una
tradizione radicata. Inoltre, questo confine si muove in
continuazione, oscillando in avanti e indietro a seconda degli
scontri, delle guerre, dei trattati di pace, fino a lasciare
sempre meno spazio agli indigeni. La condizione, dunque, è
quella di una costante e ribadita dicotomia noi/voi, in cui il
noi si difende e si chiude sempre di più in sé
stesso, facendosi fronte unico contro il nemico esterno (prima
gli Spagnoli e in seguito la società cilena) ,
dimenticando o dando comunque poco peso alle tradizionali
differenziazioni regionali e locali, in alcuni casi ancora
esistenti. La coesione interna si rinforza, appoggiandosi a
elementi unificatori come le credenze religiose, la lingua, il
modo di vestire, le istituzioni politiche e il valore del
guerriero.
L'etnicità Mapuche non è data da tratti culturali
omogenei ma da mete sociali, ideologiche ed economiche comuni
dovute alla necessità di differenziazione dallo Stato
nazionale. Il movimento pan- mapuche del Ventesimo secolo, di
rivendicazione dei propri diritti e del proprio essere Mapuche,
della possibilità di vivere sulle proprie terre e secondo
la propria tradizione è un momento di incontro/scontro con
l'altro, dove l'altro sono la società e le istituzioni
cilene, e in cui di nuovo questo popolo ritrova la forza di una
coesione che non è omogeneità ma piuttosto
affinità data dal bisogno vitale di portare avanti un
obiettivo comune in un contesto che rimane comunque di pluralismo
e sfumature particolari nei diversi gruppi araucani, che non
hanno appiattito le differenze esistenti tra loro ma
semplicemente le hanno collocate in un ambito collettivo comune.
L'analisi di Dillehay è molto attenta e mette in luce
aspetti che spesso, nella descrizione dei Mapuche rimangono
marginali. Lo studioso esamina una realtà dal punto di
vista storico e considera l'evoluzione avvenuta nei secoli di
un'identità Mapuche.
Ma, in definitiva, come vede se stesso il "popolo della terra"?
Come si descrive, come si rappresenta? È molto probabile
che il sentimento di unità sia stato condizionato dalle
circostanze storiche, dalla necessità di dover difendere
la propria vita, la propria cultura, la propria terra. Vorrei
però sottolineare che, quali che siano le cause che lo
hanno generato, questo sentire c'è, è presente,
è la forza e il motore che permette ancora oggi una
rivendicazione dei propri diritti e del riconoscimento della
propria identità. Nello scrivere di sé, così
come nei resoconti di osservatori esterni, i Mapuche si
considerano un popolo unitario, non omogeneo, con differenze
regionali importanti e riconosciute, suddiviso in aree
geografiche distinte e con particolarità culturali, ma
comunque un popolo, pervaso da un forte senso di unità ed
appartenenza. Forse anche in questo aspetto possiamo leggere la
profonda conoscenza e vicinanza con la terra e la natura, che
rappresenta un tutto differenziato al suo interno senza smettere
di essere un tutto, senza che alcuna particolarità possa
turbare un'armonia globale.
Bibliografia