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Nell’ultimo dei propri rapporti
sui diritti umani, intitolato “Basta sangue per il petrolio nel Sud-Sudan”,
l’APM ha documentato come il regime sudanese sta facendo sistematicamente
deportare la popolazione civile dall’area petrolifera. In quei luoghi vivono
i popoli (in gran parte cristiani) dei Dinka e dei Nuer. I loro villaggi
sono presi d’assalto, le persone vengono uccise, le donne violentate, le
capanne incendiate. Gli insediamenti vengono bombardati e mitragliati con
armi montate su elicotteri da combattimento.
Secondo stime del Programma
Alimentare Mondiale (PAM) almeno 400.000 deportati del Sudan meridionale
rischiano la morte per fame.
L’APM chiede urgentemente alla compagnia svedese Lundin Oil AB, ed all’amministrazione austriaca degli oli minerali OMV, di interrompere immediatamente le proprie attività nel Sud-Sudan. Se non lo facessero, queste imprese si renderebbero corresponsabili del genocidio ai danni degli abitanti del Sudan meridionale, che ha già causato 2.500.000 vittime. Nell’area di estrazione petrolifera si confrontano le truppe governative sudanesi e le unità del Movimento di Liberazione del Sud-Sudan (SPLA). Secondo le dichiarazioni dell’ideologo nord-sudanese del Fronte Nazionale Islamico (NIF), Hassan Al-Turabi, le entrate derivanti dal commercio petrolifero devono essere impiegate nella produzione e nell’acquisto di armamenti. La guerra in Sudan costa circa la metà del bilancio nazionale, cioè un milione di dollari Usa al giorno, ed il commercio del petrolio potrebbe contribuirvi nella misura di 400 milioni di dollari annui, servendo così alla stabilizzazione del regime militare islamico radicale di Khartum (lo stesso che nel 1992 aveva dichiarato “guerra santa” il genocidio dei sud-sudanesi). Le riserve petrolifere complessive del Sudan meridionale sono stimate tra gli 800 milioni ed i tre miliardi di barili di greggio (un barile corrisponde a 159 litri circa).
In occasione del colloquio, fissato per il 27 marzo 2000, tra rappresentanti dell’Unione Europea e del governo sudanese, l’APM sollecita con urgenza il Presidente della Commissione dell’Unione europea Romano Prodi a rendere la situazione dei diritti umani nel Sud-Sudan come pietra di paragone di ogni rapporto con il Sudan. L’UE deve indurre gli imprenditori europei al ritiro da quella regione. Mentre l’attività della società estrattiva canadese Talisman nel Sudan meridionale è stata duramente criticata dai governi statunitense e canadese, la Lundin Oil e l’OMV continuano a realizzare indisturbate i propri saggi di trivellazione, ed a costruire strade ed infrastrutture.
Ma i diritti umani non possono
essere sacrificati al profitto.
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