450 Rom in fuga dai campi del Kosovo dagli estremisti albanesi
L'APM solleva pesanti accuse contro 
la KFOR e l'ACNUR
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Bolzano, Göttingen, 24 settembre 1999


Secondo informazioni dell'APM ben 450 Rom e Aschkali del campo istituito dall'ONU a Krusevac vicino ad Obilic sono in pericolo di vita. Un collaboratore dell'APM ha riferito giovedì scorso dal campo: "gli autobus che trasportavano 87 famiglie con 100 bambini sono stati attaccati svariate volte nel viaggio da Obilic a Blace da Albanesi che scagliavano sassi contro l'autobus. Ad un uomo rifugiatosi insieme ad altri in una fabbrica di cemento abbandonata è stata letteralmente spaccata la testa con un martello da un estremista albanese. Collaboratori dell'APM hanno infine portato l'uomo in un ospedale albanese dove pero' gli e' stato rifiutato il trattamento".

"Questa fuga di massa è responsabilità diretta delle unità britaniche della KFOR e dell'ACNUR'', ha dichiarato Tilman Zülch, presidente dell'APM internazionale. In agosto Zülch si era recato nel campo di Krusevac dove ha potuto constatare che i rifugiati che vi vivono non possono contare sulla protezione delle forze ONU e KFOR, nè su di un'assistenza medica sufficiente. Le condizioni nel campo di Krusevac, costruito a fine luglio su un terreno altamente inquinato vicino ad una centrale di carbone, erano disastrose fin dall'inizio. A garantire la sicurezza dei rifugiati ci sono solo due agenti disarmati dell'ONU, dotati solo di una radio per chiamare le forze KFOR in caso di necessità. Gli stessi agenti però ammettono di "sparire" all'arrivo di estremisti albanesi armati, che ormai entrano ogni 2-3 giorni nel campo mal recintato minacciando e a volte picchiando selvaggiamente i rifugiati. Tra questi estremisti, che spesso arrivano mascherati, vi sono anche appartenenti alle milizie dell'UCK. Negli scorsi tre mesi quasi l'80% della popolazione Rom e Aschkali è stata cacciata dal Kosovo e vi sono già stati gravi tumulti. Non c'è quindi da meravigliarsi se i rifugiati del campo di Krusevac vivono nel continuo terrore temendo per la propria vita.

Un collaboratore dell'APM che vive costantemente nel campo riferisce sulle condizioni sanitarie disastrose: ''Un medico albanese visita quotidianamente il campo ma spesso non fa altro che distribuire antidolorifici. La neonata di 6 mesi Silvana Gashi ha perso la vita dopo che avevo richiesto aiuto via radio all'ACNUR  ma non è arrivato nessun mezzo, inoltre gli agenti dell'ONU si sono rifiutati di trasportare la bambina in un ospedale. Due donne incinte hanno perso i loro bambini: H.R. si lamentava da giorni di dolori e per il freddo, la dottoressa albanese non ha potuto costatare niente che non andasse. Il giorno dopo H.R. è stata trasportata al lazzaretto di Polje dove si è riusciti a salvarle la vita ma per il suo bambino non c'è stato niente da fare. Inoltre il freddo ha iniziato a fare le prime vittime tra gli anziani".

Il campo è infestato dai topi, grandi ratti e scarafaggi. I bagni chimici sono in parte inutilizzabili poichè non vengono svuotati abbastanza spesso, ci sono delle doccie, ma non c'è l'acqua calda. L'acqua potabile viene da cisterne di 10.000 litri che vengono riempite solo a scadenze irregolari, inoltre non è chiaro come si pensi di garantire l'erogazione di acqua potabile quando tra poco ci saranno i primi geli notturni. L'approvigionamento con generi alimentari basta appena per la sopravvivenza: "solo dopo la visita di Zülch nel campo e al quartier generale dell'ACNUR arriva una volta in settimana latte in polvere per i neonati, carne di manzo ogni tre settimane e tre volte in settimana frutta quasi sempre acerba e dura", riferisce ancora il collaboratore dell'APM. "Il rifornimento di vestiario è praticamente inesistente, i rifugiati hanno finora ottenuto solo delle scarpe dopo un prolungato periodo di pioggie, per settimane le famiglie hanno dovuto dividersi un unico materasso, la quantità di coperte è del tutto insufficiente e non arrivano pannolini per i neonati. Molti ospedali si rifiutano di curare appartenenti alle minoranze Rom e Aschkali. Accompagnando un ferito grave all'ospedale di Pristina siamo stati pesantemente minacciati se non ce ne fossimo andati subito, e solo nel lazzaretto di Kosovo Polje, a 5 chilometri, gli appartenenti a queste minoranze riescono ad essere assistiti senza grandi problemi".
 

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