Lettera aperta al
Parlamento italiano sulla situazione in
Kurdistan
L'associazione per i popoli minacciati - internazionale protesta energicamente contro le spiegazioni del governo turco per l'ondata di profughi curdi. I profughi curdi per la Turchia sono degli avventurieri mossi da motivazioni economiche. La repubblica turca nega decisamente le motivazioni politiche per un tale esodo. In questo modo i Turchi restano fedeli ai fondatori della repubblica, il triumvirato Talaat - Enver - Djemal e Mustafa Kemal Ataturk, i quali con il genocidio armeno voluto dai vertici dello stato, hanno posto le fondamenta della nuova Turchia. Almeno un milione e mezzo di Armeni vennero sterminati dal governo dei "Giovani turchi" con massacri e deportazioni.
Nel 1923 la nazione turca è stata creata dalla carta costituzionale ed il turco dichiarato come unica lingua di stato. Da allora è iniziata la guerra dei Turchi contro i Curdi. Dal 1925 al 1927 un milione di Curdi furono deportati nella Turchia occidentale. Contemporaneamente scoppiò l'insurrezione dell'Ararat, che vide Curdi e Armeni alleati contro il governo turco; tre anni dopo l'insurrezione venne soffocata nel sangue ed oltre diecimila Curdi uccisi. Nel 1937 una nuova insurrezione nella regione di Dersim costò la vita ad oltre cinquantamila Curdi.
Nel 1945 l'utilizzo della lingua curda in pubblico venne vietata, come anche il tradizionale abbigliamento curdo. La Turchia, ormai entrata nella Nato, dalla fine della seconda guerra mondiale portò avanti una feroce politica di assimilazione forzata e di sottosviluppo economico nella regione anatolica orientale. Mentre nella Turchia occidentale oltre l'80% delle abitazioni dispongono di acqua corrente, in quelle orientali la percentuale scende al 40%. Il 66% delle abitazioni nel Kurdistan del nord (Anatolia orientale) hanno il bagno al di fuori della casa, mentre nella Turchia occidentale sono solo il 20%. Nel Kurdistan del nord il tasso di analfabetismo arriva al 44%, mentre nel resto della Turchia è attorno al 20%.
Soprattutto gli Armeni e i Curdi hanno sofferto a causa della nascita della nazione turca. La Turchia ha anche esportato la sua politica nazionalistica della pulizia etnica. Con il pretesto della protezione della minoranza turco-cipriota dai golpisti fascisti greci, la Turchia occupò nel 1974 un terzo di Cipro. Durante le operazioni nel nord dell'isola l'esercito turco attuò una campagna di terrore fatta di omicidi, fucilazioni, stupri e torture. Complessivamente oltre 200.000 abitanti, soprattutto greco-ciprioti, tra i quali anche appartenenti alla minoranza maronita e armena di Cipro, dovettero fuggire nel sud dell'isola. Questa è la politica turca.
* La Turchia ha promulgato con questo spirito una legge antiterrorismo, che vieta la "propaganda" scritta od orale, le marce di protesta e le dimostrazioni, per evitare la "distruzione dell'unità indivisibile dello stato e della nazione".
* La Turchia regolamenta la libertà d'opinione con più di 150 leggi e 700 paragrafi. Solo nel 1995 sono state sequestrate oltre 1.400 pubblicazioni, sono stati vietati quotidiani curdi ed incarcerati oltre 100 giornalisti. Il sociologo turco Ismail Besikci si trova da 20 anni in carcere per aver scritto i suoi saggi scientifici sul Kurdistan. Dal 1992 sono stati uccisi 28 giornalisti. Fino ad oggi su questi omicidi non è ancora stata fatta luce.
* Con l'articolo 81 della legge sui partiti sono stati vietati i partiti di nazionalità non turca. Secondo questa legge ai partiti non è consentito "affermare che esistano minoranze nazionali o di altro tipo che si distinguono per religione, cultura, confessione, razza o lingua". Ai partiti è quindi vietato "introdurre altre lingue e culture che creino minoranze in Turchia con lo scopo di distruggere l'unità nazionale". Per questo motivo è stato vietato il partito democratico DEP ed arrestati i suoi parlamentari regolarmente eletti. Leyla Zana si trova in carcere dal marzo del 1994. Con questa politica una parte della popolazione del Kurdistan del nord non ha avuto altra scelta che arruolarsi nell'armata del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan). La distruzione delle organizzazioni democratiche curde va senz'altro a vantaggio del PKK. Anche questo corrisponde alle intenzioni dello stato turco.
* Nel 1991 è stata abolita la legge del 1983 che vietava l'utilizzo del curdo in pubblico, però fino ad oggi se ne tollera l'uso soltanto in privato. Ancora oggi milioni di bambini curdi non possono studiare nella propria lingua. Non viene loro concesso il diritto di portare nomi curdi, come anche non possono dare nomi in curdo ai loro paesi, fiumi e strade. La Turchia nel 1995 ha ratificato l'articolo 51 della convenzione dell'ONU per i diritti per l'infanzia, con riserve nei confronti degli articoli 17, 29 e 30 riguardanti le minoranze. In tredici delle ventidue province curde la gente convive da vent'anni con la legge marziale e da oltre 13 anni regna la guerra. Più di 3.000 scuole nelle regioni dove è stato dichiarato lo stato d'emergenza sono state chiuse per "motivi di sicurezza".
Le province dell'Anatolia orientale sono tutte o in parte in stato di emergenza. In queste zone senza diritto ogni arbitrio é permesso: incarcerazioni, torture, deportazioni e fucilazioni. L'esercito e le unità antiterrorismo hanno dichiarato la guerra alla popolazione curda: i raccolti sono stati distrutti, il bestiame ucciso. Dal 1989 i pascoli d'altura non possono più essere utilizzati. Allora l'esercito turco aveva iniziato con le deportazioni degli abitanti dei villaggi curdi. L'associazione turca per i diritti dell'uomo Insan Haklari Dernegi (IHD) aveva documentato le prime deportazioni nel 1989 e l'Associazione Olanda-Kurdistan le aveva confermate come operazioni congiunte: all'ombra dei riflettori puntati sulla guerra del golfo l'esercito turco aveva iniziato a far terra bruciata nelle zone di confine turco-irachene. Soprattutto negli anni 1993/94 questa politica di deportazione regionale ha portato ad uno spopolamento totale. Solo nel 1995 l'associazione per i diritti umani turca ha contato oltre 200 villaggi distrutti od evacuati.
Nel 1993 una Commissione d'inchiesta del Parlamento turco ha verificato la distruzione di 500 villaggi curdi. Nel 1994 l'allora ministro per i diritti dell'uomo Ahmet Köylüoglu ha parlato dell'evacuazione di 1.400 villaggi. Secondo un recente rapporto parlamentare turco dal 1984 sono stati evacuati 2.500 villaggi. Come conseguenza delle evacuazioni forzate 365.000 persone si sono riversate nelle città maggiori. Ad Istanbul vivrebbero oggi tra i tre e i quattro milioni di curdi (nell'autunno del 1992 ogni giorno si sono insediate 320 persone ad Istanbul e 220 ad Izmir, di cui uno su quattro veniva dal sudest del paese).
L'intensa migrazione verso l'ovest crea di conseguenza tensioni sociali ed economiche, che in vista dell'appesantirsi del clima anticurdo possono scoppiare in ogni momento. La pressione da parte delle autorità sulla popolazione dei quartieri curdi è notevole. Anche nelle cittá piccole nella Turchia occidentale regna un pericoloso clima di tensione. Persone che per anni hanno convissuto pacificamente in paesi come Söke, Selcuk o Fethiye ora non si salutano più, non comprano nei negozi degli altri e si incontrano in modo ostile.
Nell'estate del 1994 l'esercito turco per la prima volta ha concentrato in campi di raccolta curdi di villaggi che erano stati evacuati. Vicino a Evrek e Topcular i detenuti di questi campi per più giorni non sono stati alimentati, sono stati picchiati e torturati. Esistono anche dei piani che prevedono l'insediamento dei curdi deportati in "villaggi di confine".
La presunta guerra del governo contro il PKK - una guerra che prima di tutto fa vittime tra la popolazione civile - secondo fonti ufficiali turche finora è costata la vita a 36.925 persone. Oltre 26.000 sarebbero terroristi curdi del PKK, oltre 5.000 persone civili e altre 5.000 soldati turchi.
Per questo molti curdi decidono di fuggire e spesso la loro fuga non termina entro i confini del loro paese. Non si sentono più al sicuro in Turchia e quindi fuggono verso la Grecia, l'Italia e la Germania. La lista dei paesi dai quali provengono i richiedenti asilo, ad esempio in un paese come la Germania, nel 1996 è stata rinfoltita dai profughi provenienti dalla Turchia. Quando vengono respinti alle frontiere con molta probabilità al loro rientro in patria vengono arrestati ed interrogati. Negli ultimi venti mesi sono stati registrati dall'Associazione per i diritti dell'uomo IHD solamente ad Istanbul 295 casi di persone scomparse. L'IHD presume che la cifra reale sia tre volte tanto. Amnesty international e l'IHD hanno indagato in modo attento sui tanti casi di arresti e di scomparse. Per i profughi curdi è quindi molto probabile che subiscano pesanti conseguenze dopo essere stati respinti alle frontiere.
L'IHD ha messo seriamente in dubbio la promessa del governo turco di trattare umanamente i casi dei profughi che rientrano una volta respinti alle frontiere. L'avvocata Kudret Göztürk, membro del direttivo dell'IHD, ha dichiarato: "in Turchia governa non il governo ma il Comitato di sicurezza nazionale, composto da sei generali, un direttore di polizia e cinque poliziotti. Alle decisioni del Comitato si adegua anche il Parlamento". Il Comitato di sicurezza nazionale ha deciso per una linea politica anticurda.
L'APM
internazionale chiede alla Turchia:
* di riconoscere nella
vita ufficiale il popolo curdo, la sua lingua, tradizione e
cultura;
* di riconoscere in
modo incondizionato partiti democratici curdi, sindacati e altre
istituzioni;
* di concedere al
popolo curdo il diritto all'autodeterminazione, fissato dalla
Carta delle Nazione Unite, tramite elezioni libere e democratiche
affinché possa decidere sul suo status
futuro;
* di interrompere
immediatamente le azioni militari, con le quali vengono violati
continuamente i diritti umani della popolazione civile curda e di
cercare tramite trattative una soluzione politica al
conflitto.
L'APM
internazionale chiede all'Italia:
* di approvare
immediatamente la legge sul diritto d'asilo;
* di non respingere i
profughi curdi alla frontiera;
* di non fornire
più armi, aiuti economici e finanziari alla
Turchia;
* di promuovere con
l'Unione Europea una conferenza sul
Kurdistan;
* e di adottare scelte
politiche coerenti contro la Turchia e a favore dei curdi e delle
altre minoranze della Turchia.
Breve bibliografia sul Kurdistan
N. Fuccaro, The Lost Kurds. The Yazidis of Modern Iraq, Tauris, London 1997.
David McDowall, A Modern History of the Kurds, Tauris, London 1997.
A. Vali, Kurdish Nationalism. Identity, Sovereignty and Violence in Kurdistan, Tauris, London 1997.
Laura Schrader, Canti d'amore e di libertá del popolo kurdo, Newton, Roma 1993.
Laura Schrader, I fuochi del Kurdistan: la guerra del popolo in Turchia, Datanews, Roma 1995.
Jasim Tawfik Mustafa, L'ingerenza umanitaria: il caso dei Kurdi, Serantini, Pisa 1996.
Felice Froio, I curdi: il dramma di un popolo dimenticato, Mursia, Milano 1991.
Mirella Galletti, I curdi nella storia, Vecchio Faggio, Chieti 1990.
Lo sbarco dei clandestini curdi sembra ormai avere i connotati dell'emergenza albanese e dei relativi sbarchi sulle coste pugliesi e calabresi. Se peró si guarda alla storia del popolo curdo anche solo degli ultimi decenni, si capisce che questo esodo era inevitabile. A ció si aggiungono gli interessi delle varie mafie che fanno della disperazione della gente uno squallido business.
La Turchia, inoltre, con il suo regime militare che controlla ogni aspetto della vita sociale e politica del paese, compresa l'informazione, ha ereditato il peggio dalle ceneri dell'Impero ottomano e cioè l'avversione al riconoscimento delle proprie minoranze etniche e religiose. Da ció nasce la politica turca nei confronti della questione curda. Per tornare solo agli ultimi anni di storia, bisogna riflettere sul fatto che quasi 4.000 villaggi curdi sono stati distrutti dal regime di Ankara (le distruzioni sono tutte documentate).
In una situazione in cui nemmeno l'ONU riesce a garantire l'incolumità di questa gente che vive nella zona di protezione istituita nel Nord dell'Iraq alla fine del conflitto che ha coinvolto il Kuwait, si capisce perché l'unica strada che rimane ai Curdi é quella della fuga. Non è una soluzione impedire l'imbarco con arresti da parte della Polizia turca. Tantomeno può essere considerata una soluzione il rimpatrio dei clandestini. Secondo un'indagine di organizzazioni per i diritti umani tedesche e turche, un gran numero di clandestini curdi rimpatriati in Turchia finiscono nelle prigioni per non uscirci mai più. Il rimpatrio come è praticato da diversi stati europei dunque significa complicità con i crimini contro i diritti umani del regime turco.
Alla riunione delle Polizie dei paesi europei maggiormente interessati dalla questione curda, il governo turco ha sottolineato come il problema non sia di natura politica, bensí di natura economica. Al di là del sofismo di tale affermazione (come se le due cose non fossero legate) dovrebbero bastare i leader sindacali e di partito curdi incarcerati o perseguitati, per smentire una tale ipocrisia. Il premio Sacharov e deputato al parlamento turco Leyla Zana si trova tuttora in carcere nonostante le pressioni internazionali, ultimo un appello di 130 deputati del congresso USA. Il sociologo turco Ismail Besikci é in carcere quasi ininterrottamente da ormai 30 anni senza che si intraveda la fina della sua odissea giudiziaria.
Il governo turco non si ferma nemmeno davanti alla palese antieconomicità della guerra nel Kurdistan. Eppure molti degli stessi ambienti economici turchi suggeriscono che se il quarto di Pil che attualmente viene buttato nella guerra in Kurdistan fosse usato come investimento produttivo nelle stesse zone la questione curda sarebbe già risolta. Ma la guerra non è solo una cifra negativa: i costi umani non hanno un valore quantificabile ed il prezzo che tutta la Turchia ed il Kurdistan stanno pagando è infinitamente alto. Ed è proprio questo prezzo, fatto di vite umane, che l'Italia e l'Europa adesso dovranno pagare con la Turchia. Soprattutto l'Italia e la Germania non hanno fatto bene i conti quando hanno venduto e a volte regalato armi, mine, elicotteri da combattimento al governo turco. L'ondata di profughi è il risultato di una politica scellerata dell'Europa nei confronti della Turchia e di questi nei confronti dei propri curdi.
Come pensiamo che si possano comportare milioni di persone che non hanno nessuna speranza di sopravvivenza (ancora prima che di benessere) in uno stato dove la connivenza tra mondo politico e trafficanti di armi e droga è arrivata al massimo livello. Sarebbe tempo di finirla con i buoni proclami natalizi e di tacere sui misfatti umanitari di un governo che ha già un piede in Europa. Non si può andare in visita in una Turchia dove le carceri scoppiano di detenuti politici che muoiono facendo lo sciopero della fame e sorridendo far finta che tutto ció non esista.
Adesso è proprio il momento di imporre alla Turchia severe sanzioni economiche e condizionare i rapporti commerciali all'impegno a sedersi ad un tavolo delle trattative con i rappresentanti curdi, poiché ormai i profughi curdi sono già nelle nostra case a raccontare le loro storie di disperazione. Adesso è il momento di aprire gli occhi sulla realtá curda, poiché é vergognoso che passi un servizio al TG1 (7 gennaio ore 13.30) in cui il giornalista si chiede dove i profughi vadano a prendere i soldi per fuggire piuttosto che chiedersi questi soldi a chi vanno a finire.
Gli episodi che periodicamente riportano all'attenzione internazionale la questione kurda stentano a generare una piena presa di coscienza della sua gravità. Nel 1988, quando Saddam Hussein era uno dei più preziosi alleati degli Stati Uniti (1), pochi furono toccati dal massacro di Halabja, il villaggio kurdo che l'esercito irakeno aveva raso al suolo con l'uso massiccio di gas tossico. Tre anni dopo, durante la guerra del Golfo, i Kurdi riuscirono a muovere un debole fremito di compassione - comunque rigorosamente limitato al Kurdistan irakeno. In altre parole, erano solo una riprova della "crudeltà satanica" di Saddam Hussein, tanto è vero che appena terminato il conflitto furono subito rimessi nel dimenticatoio.
Negli ultimi anni, quando la Turchia si è accanita contro i Kurdi con durezza spietata, si è preferito chiudere gli occhi per non disturbare le manovre diplomatiche tese ad inserire il paese eurasiatico -che copre il fianco sud della NATO- nell'Unione Europea (2). Un obiettivo che molti ministri europei, fra i quali Lamberto Dini, perseguono con cura certosina. In questo quadro si inserisce la vicenda di Leyla Zana, la parlamentare kurda che dal marzo 1994 si trova rinchiusa nelle tristemente note carceri turche (3).
Leyla, prima donna curda eletta nel Parlamento di Ankara, viene accusata di "opinioni separatiste" per il suo impegno in favore del popolo al quale appartiene. Il governo turco, in particolare, non le perdona di aver sollevato la questione kurda davanti alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE, oggi OSCE) nel 1993. E' proprio il suo rilievo internazionale che la rende particolarmente scomoda: nel 1995 ha ricevuto il Premio Sacharov dal Parlamento Europeo, e l'anno successivo è stata fra i finalisti del Premio Nobel per la Pace.
Naturalmente il caso di Leyla Zana non deve impedire quella quadratura del cerchio che è l'adesione della Turchia all'UE: i 15 membri attuali, alcuni dei quali non perdono occasione per dare lezioni di diritti umani, sono al tempo stesso smaniosi di accogliere un paese come la Turchia. Lo stesso paese che da 21 anni occupa la parte settentrionale di Cipro e tratta la minoranza kurda in un modo che ripugnerebbe perfino a certe dittature militari del Sudamerica.
In questi mesi si parla molto di Europa, e quasi non passa giorno che un dibattito televisivo non tessa le lodi del Trattato di Maastricht. Senza entrare nel merito della questione, vogliamo ripetere che l'Europa non può ridursi ad una semplice operazione economico-finanziaria fatta di costi e ricavi. Ci sono anche dei costi umani che devono essere valutati: parole che suoneranno ingenue o folkloristiche a chi è abituato a misurare il mondo con gli indici della Borsa. Ma non stiamo facendo del folklore: l'Europa è un obiettivo nobile e perfino indispensabile, ma crediamo che sia altrettanto importante chiedersi se la strada imboccata per costruirla non esiga il sacrificio dei Kurdi, dei Tibetani e di tanti altri popoli che lottano per non scomparire.
NOTE
(1) L'avvenimento
che aveva cementato l'alleanza fra Stati Uniti e Irak era stata
la prima guerra del Golfo (1980-1988), sorta dall'invasione
irakena dell'Iran. In quell'occasione l'Irak era apparso un
alleato prezioso per controbilanciare il fondamentalismo di
Teheran.
(2) Un quadro della
tematica è in Çigdem Nas, "The Enlargement Policy
of the European Union and its Link with the External Dimension of
Human Rights Policy with Special Emphasis on the Turkish Case",
MARMARA JOURNAL OF EUROPEAN STUDIES, V, n. 1-2, 1997, pp.
179-198. La rivista CONFLUENCES MEDITERRANEE ha dedicato un
numero monografico al tema: "La Turquie interpelle l'Europe", n.
23, automne 1997. Per un quadro aggiornato della giurisprudenza
recente sulla questione kurda in Turchia cfr. Catherine Pierse,
"Violation of Cultural Rights of Kurds in Turkey", NETHERLANDS
QUARTERLY OF HUMAN RIGHTS, XV, n. 3, September 1997, pp.
325-341.
(3) Cfr. Leyla Zana,
"Ecrits de prison", Des Femmes, Paris 1996.
INDIRIZZI UTILI: American Kurdish Information Network: 2623 Connecticut Ave. NW, Washington DC 20008, USA, tel. 001-202-4836444, fax 4836476, E-mail: akin@kurdish.org, http://www.kurdistan.org
Institut Kurde: 106, rue Lafayette, F-75010 Paris, France, tel. 0033-1-48246464, fax 0033-1-47709904.
International Journal of Kurdish Studies: 157 West 79, Suite 5/B, New York, NY, USA, tel-fax 001-212-3626188.
Kurdistan Web: http://www.humanrights.de/~kurdweb
Absender: english@ozgurlluk.xs4all.nl
Betreff: Turkish report: Officials ordered bombings, killings
Datum: Di 03.02.98, 06:11 (erhalten: 04.02.98)
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Jan. 29
1998
Turkish report: Officials ordered bombings, killings
A.P. - ANKARA, Turkey -- Turkish officials spent vast sums on assassins and were involved in murders, kidnappings and bombings -- many targeting Kurds -- according to a report released yesterday that confirms years of accusations by human rights groups. Security officials ordered the killings of prominent Kurds and allowed police officers to carry out summary executions, the report said. The government also was behind the bombing of the Kurdish newspaper Ozgur Gundem in 1994 and the killing that year of a Kurdish businessman who helped finance it, the document said.
The report, parts of which were leaked last week, focused on incidents from 1993 to 1996, under the government of former Prime Minister Tansu Ciller. She and Turkey's current prime minister, Mesut Yilmaz, who commissioned the report, are old political enemies.
The 120-page report was published yesterday in Turkish newspapers, minus 11 pages withheld for security reasons. Even though it said that hitmen were on the government payroll long before 1993, it implied that Ciller was responsible for the abuses. Ciller has responded by calling the report a "children's storybook," and has said she would stand by the "heroic sons of this country who fought with their lives for the unity of the nation".
According to the report, Turkey spent $50 million on assassins. The report identified 30 people killed by security forces and concluded that government agents had carried out many of Turkey's 14,000 "unsolved" murders, particularly those of suspected Kurdish rebels and businessmen who allegedly helped the rebels. "We have been saying all along that the state was involved in political murders", Jonathan Sugden of Amnesty International said in a telephone interview from London. "They were routinely denying all of this. Now they have acknowledged them all".
Press Agency Ozgurluk
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Il 12 gennaio 1998 é stato arrestato ad Ankara il poeta, scrittore e politico curdo Hamdi Turanli (nome curdo Hemres Reso). Turanli é cittadino tedesco, membro della SPD dal 1968, membro del Consiglio dell'Associazione per i popoli minacciati (APM) e Presidente del Partito democratico del Kurdistan (KDP) della Turchia, un partito in vista di vecchie tradizioni democratiche, che si impegna con mezzi pacifici per la realizzazione dei diritti umani dei cittadini curdi come anche il riconoscimento della lingua curda in Turchia. Il KDP, come anche altri partiti democratici curdi, in Turchia é stato messo fuori legge.
L'APM si appella al Parlamento italiano perché faccia pressioni sul governo turco per l'immediata liberazione di Turanli. Non é arrestando le personalitá curde che lottano con mezzi pacifici e democratici che si contribuisce alla soluzione del problema curdo. La storia di Turanli é quella di tanti altri esponenti di partito curdi e turchi: ricordiamo per tutti la parlamentare Leyla Zana, che si trova tuttora in carcere per aver richiesto come parlamentare una soluzione per la questione curda. Stessa sorte é toccata al sociologo turco Ismail Besikci, in carcere da oltre 20 anni per aver condotto studi scientifici sulla popolazione curda.
In questo modo il
governo turco legittima la politica definita terroristica del
PKK, del quale chiede la condanna, senza peró consentire
una discussione libera e democratica del problema, sia esso
politico od economico. Un tale atteggiamento del governo turco
non produrrá altro che nuove violenze e nuove ondate di
profughi curdi verso l'Europa ed in primo luogo verso
l'Italia.
APM-Firenze Alessandro Michelucci
APM/GfbV-Bolzano/Bozen/Balsan Mauro di Vieste
CIEMEN-Aosta/Aôta Claudio Magnabosco
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