L'Unione Europea deve
rispettare e garantire il pluralismo linguistico
Ad ognuno la propria libertà linguistica
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Bolzano, Göttingen, Lussemburgo,
15.3.2000
L'Associazione per i
popoli minacciati - internazionale richiama l'attenzione sulla
"risoluzione sulla cittadinanza dell'Unione europea" (1991),
adottata dal Parlamento Europeo (P.E.), il cui punto 3 contiene
un esplicito impegno espresso dal P.E., perché i diritti
delle minoranze etno-linguistiche entrino a far parte dei diritti
fondamentali dei cittadini dell'Unione Europea.
Il P.E.
raccomandava di inserire nel nuovo Trattato dell'Unione (1991) le
seguenti norme:
- L'Unione ed i suoi
Stati membri, consapevoli che la ricchezza del patrimonio
culturale europeo è costituita essenzialmente dalla sua
multiformità, riconoscono l'esistenza sul loro territorio
di gruppi etnici e/o linguistici minoritari. Prendono le misure
necessarie alle preservazione ed al libero sviluppo della loro
identità linguistica e culturale.
- L'Unione ed i suoi
Stati membri riconoscono a tali gruppi il diritto
all'auto-organizazzione democratica. Per favorire l'espressione
dell'identità delle comunità etno-linguistiche
minoritarie storicamente presenti sul territorio degli Stati
membri e la buona convivenza nelle regioni interessate, l'Unione
ed i suoi Stati membri assicurano garanzie speciali per
realizzare la sostanziale uguaglianza dei cittadini ed adottano
particolari forme di tutela delle lingue minoritarie, di
autogoverno locale, territoriale o di gruppo, di cooperazione
interregionale anche transfrontaliera.
Pensiamo che con
questi due provvedimenti si siano stabiliti alcuni importanti
nuovi criteri e si sia migliorato sensibilmente lo standard dei
diritti culturali e linguistici delle minoranze. In una fase in
cui in tutta l'Europa stanno scoppiando e si stanno moltiplicando
conflitti di natura etnica e si diffondono razzismo e xenofobia,
è di grande rilievo la scelta di quei Parlamenti che
rinunciano spontaneamente alla finzione della omogeneità
nazionale, linguistica, culturale (religiosa) degli stati e si
preparano piuttosto a riconoscere nuovi diritti alle
comunità minoritarie di lingue diverse da quelle
dominanti. Il trasferimento di sovranità sinora
"nazionali" a livelli soprannazionali e comunitari completa ed
arricchisce questo quadro. La condizione in cui verrano poste le
minoranze etniche, linguistiche, nazionali e - talvolta -
religiose è una specie di cartina di tornasole per la
salute della democrazia e della convivenza.
Diritti linguistici -
diritti umani
Il P.E. ha
riconosciuto la libertà linguistica: l'Associazione per i
popoli minacciati - internazionale (APM) chiede l'inserimento dei
diritti linguistici nella costituzione europea, per garantire la
libertà linguistica e la democrazia
linguistica:
- Ogni persona ha il
diritto di esercitare le proprie attività pubbliche nella
propria lingua nella misura in cui, quest'ultima, è anche
la lingua del territorio dove essa risiede.
- Ogni persona ha il
diritto d'usare la propria lingua nella sfera personale e
familiare.
L 'APM considera come
diritti personali inalienabili da potersi esercitare in qualsiasi
situazione:
- Il diritto
d'essere riconosciuto come membro d'una comunità
linguistica;
- Il diritto di
parlare sia in pubblico sia in privato la propria
lingua;
- Il diritto di
usare il proprio nome;
- Il diritto
d'entrare in contatto e d'associarsi con altri membri della
propria comunità d'origine;
- Il diritto di
conservare e sviluppare la propria cultura, nonché tutti
gli altri diritti legati alla lingua così come contemplati
della Convenzione Internazionale dei Diritti Civili e Politici
del 16 dicembre 1966, nonché dalla Convenzione
Internazionale dei Diritti Economici, Sociali e Culturali della
stessa data.
Varie dichiarazioni
garantiscono il diritto personale d'usare la propria
lingua:
- La Dichiarazione
Universale dei diritti dell' uomo del 1948 afferma nel preambolo
la "fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità
e nel valore della persona umana, nell'uguaglianza dei diritti
degli uomini e delle donne" e che, all'articolo 2 stabilisce che
"ognuno può avvalersi di tutti i diritti e di tutte le
libertà" senza distinzione di razza, origine nazionale o
sociale, di posizione economica, nascita o di quant'altra
condizione";
- La Convenzione
Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 16 dicembre 1966
(art. 27) e la Convenzione Internazionale sui Diritti Economici,
Sociali e Culturali della stessa data dichiaranti, nei loro
preamboli, che l'essere umano non può essere libero se non
instaurando condizioni che gli permettano di godere sia dei suoi
diritti civili e politici che dei suoi diritti economici, sociali
e culturali;
- La risoluzione n.
47/135, del 18 dicembre 1992, dell'Assemblea generale
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (Dichiarazione dei
diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o
etniche, religiose e linguistiche);
- Le dichiarazioni e
gli accordi del Consiglio d'Europa, tra cui la Convenzione
Europea per la protezione dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali del 4 novembre 1950 (art. 14), la
Convenzione del Consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa del
29 giugno 1992 che addotta la Carta europea sulle lingue
regionali e minoritarie, la Dichiarazione del vertice dei
Consigli d'Europa del 9 ottobre 1993 sulle minoranze nazionali e
la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali
del novembre 1994;
- La Convenzione n.
169, del 26 giugno 1989, dell'Organizzazione Internazionale del
Lavoro, riguardante i popoli indigeni;
- Il rapporto della
Commissione dei Diritti Umani del Consiglio Economico e Sociale
della Nazioni Unite del 20 aprile 1994 sul testo provvisorio
della Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni, che
considera i diritti individuali alla luce dei diritti
collettivi.
L'Europa - Esperienze
positive
Tra gli elementi
positivi e propositivi dell'esperienza sinora acquisita
dall'Unione si potrebbero enumerare i seguenti:
- Si è messo
in moto un processo di integrazione che ha avvicinato "nemici
storici", ha reso poco rilevanti i confini statali, ha prodotto
comuni politiche e comuni organi
istituzionali,
- è stato
sviluppato un diritto federale comune - almeno in certi limiti e
per certi ambiti - e si è costruito un fondo comune di
diritti, obblighi ed opportunità anche direttamente per i
cittadini,
- il processo di
integrazione si svolge sinora in larga misura nel rispetto di
importanti elementi di diversità e di molteplicità
(p.e. delle lingue e culture, perlomeno "nazionali", più
insoddisfacente è la situazione a livello
"infra-nazionale").
Rischi ed aspetti
negativi
Bisogna annotare, che
l'Unione a tutt'oggi è una struttura fortemente centrata
sull'economia e la finanza, a carattere marcatamente
tecnocratica, che si distingue tra l'altro per alcuni
fondamentali deficit:
- Deficit
democratico: un Parlamento votato dalla cittadinanza europea
si trova confrontato con una robusta "somma di esecutivi
nazionali" (il Consiglio dei ministri) ed un (meno robusto)
"esecutivo comunitario" (la Commissione), che tuttora non
è neanche eletto dal Parlamento; altri strumenti per la
partecipazione e la codecisione democratica mancano
totalmente,
- deficit
federalista: gli stati nazionali fanno la politica
dell'Unione attraverso il Consiglio; di regionalismo ce
n'è appena qualche debolissima traccia; l'Unione non
"obbliga" i suoi stati membri ad alcuno standard minimo in fatto
di regionalismo, autonomie, tutela delle minoranze, decentramento
del potere e dell'amministrazione (mentre è molto esigente
in fatto di imballaggi standardizzati, caratteristiche del latte
in polvere, ecc.).
Quali sarebbero i passi
necessari?
Il superamento di
questi deficit dovranno andare in direzione di una profonda
ristrutturazione dell'Unione ed in particolare
verso:
- Il primato della
politica piuttosto che dell'economia e della moneta, e quindi
forte approfondimento della dimensione politica dell'integrazione
europea, anche indipendentemente dal progresso e dal
consolidamento di una unione economica e monetaria; a questo
proposito possono utilmente influire anche altri "tavoli"
dell'integrazione europea, quali la CSCE o il Consiglio
d'Europa;
- Deciso inserimento
di elementi democratici nel processo di integrazione europea, per
non confinarlo ulteriormente in una dimensione tutta economica ed
intergovernativa;
- Piena apertura a
tutti quei paesi che desiderino entrare nella Comunità;
possibilità di una partecipazione politica all'Unione
senza invece la partecipazione al mercato
comune;
- Regionalismo,
autonomie, tutela delle minoranze come elementi co-essenziali
dell'architettura interna di una tale Comunità europea. Le
concessioni alla "sussidiarietà" sinora previste sono
assolutamente insufficienti. In un simile contesto dovrebbero
poter trovare spazio anche "regioni europee" che superino le
attuali frontiere statali europee. Una vincolante "Carta dei
diritti delle etnie e delle minoranze" ed una garanzia minima
vincolante per tutti i membri della Comunità che obblighi
al decentramento del potere statale e all'adozione di ordinamenti
autonomisti e regionalisti dovrebbe far parte degli elementi
costitutivi e delle condizioni imprescindibili per l'appartenenza
all'Unione.
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di Vieste