|
|
Le minoranze linguistiche d'Italia ** Costituzione dimenticata ** Proposte legislative |
La legittima
aspirazione delle minoranze a vedere tutelata la propria
specialità culturale, storica e linguistica, in altre
parole la loro "identità", costituisce espressione di
rilievo degli attuali valori della democrazia come è
testimoniata dal preciso riferimento della Costituzione
[...].
Ministro degli
Interni, Nicola Mancino, "Primo rapporto sullo stato delle
minoranze in Italia", (1994)
La
mancanza di tutela porta alla scomparsa
"La repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche": L'articolo 6 della Costituzione è una garanzia di base che deve essere precisata con apposite norme giuridiche per concedere alle minoranze, che si trovano in una posizione di soggezione subalterna di fronte alla maggioranza, una tutela effettiva. Non è sufficiente la non-persecuzione, la non-proibizione, non è sufficiente la non-considerazione: alle lingue minoritarie vanno forniti gli strumenti legislativi, amministrativi e istituzionali, affinché possano mantenere ed evolvere la propria identità.
La tutela delle minoranze come si presenta oggi in Italia è parziale e contraddittoria. L'atteggiamento nei loro confronti è segnato innanzitutto dal silenzio. È stata concessa una tutela solo alle minoranze che avevano uno strumento di ricatto, come ammise apertamente il ministro Pastore. Nel periodo caldo del Sudtirolo (1962), sindaci ed amministratori delle cinque comunità tedesche del Piemonte rivolsero al ministro della Pubblica Istruzione una petizione affinché fossero ripristinate nelle rispettive località le scuole bilingue così com'erano prima del 1915. La risposta del ministro: "La concessione di una seconda lingua oltre quelle materna è stata finora accordata esclusivamente a quelle regioni a statuto speciale che potevano rappresentare nell'immediato dopoguerra una grave minaccia per l'integrità dello stato". È un atteggiamento cinico e dispettoso (oltre ad essere un invito all'insurrezione). La morale della favola: chi non minaccia non ha tutela. Politica dunque come arte del ricatto - e anziché essere l'attuazione dei principi costituzionali e dei diritti umani, la tutela delle minoranze si limita a concedere a malavoglia l'inevitabile.
Misure di tutela delle minoranze sono state prese infatti per la Valle d'Aosta per scongiurare una possibile annessione alla Francia, per i Tedeschi della provincia di Bolzano per evitare che si riunissero all'Austria, per gli Sloveni della provincia di Gorizia, le cui scuole furono istituite già dai partigani - ed erano dunque moralmente inappellabili, e per gli Sloveni della provincia di Trieste/Trst, perché l'Italia vi era obbligata dal trattato di pace. Si tratta dunque di vere e proprie costrizioni dovute a pressioni internazionali o addiritura alla violenza (come in parte per il Sudtirolo), ma mai per la Costituzione stessa che sarebbe una delle più avanzate d'Europa.
Per il mancato adempimento delle norme di tutela e per 50 anni di politica anticostituzionale metà delle minoranze sono sull'orlo della scomparsa. Dall'indagine "euromosaic" (commissionata dalla Commissione Europea) emerge che l'albanese (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia), il grecanico (Calabria e Puglia), il catalano (Sardegna), il croato (Molise), l'occitano (Calabria, Liguria e Piemonte) e il sardo sono "fortemente ipotecati nella propria sopravvivenza". "Bisognosa di miglioramenti" viene considerata la situazione del francese (Val d'Aosta), del friulano e dello sloveno.
Alla maggior parte dei cittadini di lingua minoritaria non è concesso il diritto di usare la propria lingua nei rapporti con la pubblica amministrazione, non è consentito l'insegnamento della lingua minoritaria nelle scuole, le lingue minoritarie sono presenti solo minimamente nei mass-media. È particolarmente spiacevole che l'alleanza di centro-sinistra finora non abbia fatto i passi per recuperare il tempo perduto.
La consapevolezza negli ultimi anni è aumentata notevolmente. Così il prefetto Raffaele Lauro nell'introduzione al "Primo Rapporto sullo stato delle minoranze in Italia" parla della "attenta considerazione che deve essere attribuita agli insediamenti minoritari nel nostro Paese, nel convincimento che la discriminazione e la forzata omogeneizzazione culturale ed etnica violano i principi fondamentali della Costituzione". A livello parlamentare però non sono ancora seguiti testi legislativi per assegnare compiti e diritti.
Euromosaico a rischio
La
metà dei gruppi lingustici è
minacciata
In occasione della "Giornata delle minoranze linguistiche d'Europa", tenutasi il 12 aprile 1997, l'Associazione Internazionale per i Popoli Minacciati e l'Unione Federalista dei Gruppi Etnici Europei (Fuev) hanno rivolto un appello alla Commissione Europea affinché siano tratte le conclusioni dall'indagine sullo stato delle lingue minoritarie. Da questa indagine, denominata "euromosaic", commissionata dalla stessa UE, emerge che su 48 lingue minoritarie dell'Unione Europea ben 23 dispongono di una "capacità di sopravvivenza molto limitata" o adirittura di "nessuna forza di sopravvivenza".
In Italia, come
riferisce l'indagine, sono sei su tredici le comunità
linguistiche che non hanno nessuna speranza di sopravvivere. La
situazione di altre comunità linguistiche minoritarie
viene definita come "suscettibile di miglioramenti". Solo la
situazione della minoranza tedesca nel Sudtirolo è
positiva in più o meno tutti gli
aspetti.
Tutto ciò
è frutto di 50 anni di politica ostile alle minoranze
etnico-linguistiche. L'articolo 6 della Costituzione infatti per
la maggior parte delle minoranze non è mai stato tradotto
in prassi politica e non è stato affiancato da relativi
testi legislativi: le "apposite norme" sono tuttora inesistenti.
Non sono dunque le comunità linguistiche alloglotte, non
sono le minoranze, è la maggioranza a non rispettare la
Costituzione della Repubblica.
Lingue tagliate - Cittadini
dimezzati
Con l'eccezione di
valdostani, tedeschi bolzanini e sloveni di Trieste e Udine, per
loro, per tutti gli altri, la Costituzione della Repubblica non
vale. I governi e le maggioranze parlamentarie succedutisi in
trent'anni hanno trattato la Costituzione come un inutile,
retorico pezzo di carta.
Tullio De Mauro,
"L'Italia delle Italie", 1974
Dopo più di
un secolo di mancata tutela (non soltanto linguistica) da parte
dello stato, è ovvio che le minoranze siano al limite
della loro sopravvivenza. Tra pochi decenni in Italia non ci
saranno più minoranze. Tutte le lingue diverse
dall'italiano saranno tagliate. Il genocidio sarà stato
compiuto.
Sergio Salvi, "Le
Lingue tagliate", 1974
Il modo scelto
è stato il più delicato di questo mondo: si
è scelta la totale indifferenza, nella convinzione che
prima o poi una coltre di silenzio si sarebbe stesa su tutti gli
altri "diversi".
Massimo Olmi,
"Italiani dimezzati", 1986
Tutelare la
varietà linguistica del paese, come chiedono i documenti
delle Nazioni Unite, del Consiglio Europeo o la stessa
Costituzione della repubblica italiana, significa in Italia
tutelare una pluralità che è un prezioso carattere
originario della storia delle popolazioni vissute in Italia.
Nell'attuale plurilinguismo riconosciamo il segno prezioso d'una
lunga, ricca storia civile e cultura.
Tullio De Mauro,
"L'Italia delle Italie", 1974
Le
minoranze linguistiche d'Italia
Consistenza numerica
(secondo il rapporto sulle minoranze del Ministero
degli Interni, 1994)
Albanesi 100.000
- Abruzzo (Rosciano, PE); diversi comuni della Basilicata (PZ),
della Calabria (CZ e RC), Campania (AV), Molise (CB), Puglia (FG
e TA), Sicilia (PA)
Catalani 18.000 - Sardegna (Alghero, SS) Croati 2.600 - Molise (Acquaviva Collecore, Montemitro, San Felice) Francesi 11.000 - Piemonte, valli valdesi (Pellice e Germanasca, TO), Valle d'Aosta Francoprovenzali 90.000 - 4.000 Piemonte (CN, TO), Aosta (praticamente l'intero territorio esclusa l'isola germanofona), Puglia (Faeto, Celle San Vito prov. FG) Friulani 780.000 - Province di Udine, Gorizia, Pordenone (escluse le parti slovene presso confine orientale e le isole germanofone) Greci 20.000 - una ventina di comunità in Calabria e Puglia Ladini 30.000 - Val Badia, Val Gardena (prov. BZ), Val di Fassa (prov. TN), Fodom/Livinallongo e Col, Ampezzo (prov. BL) Occitani 180.000 - Piemonte: ca. 50 comuni in valli montane prov. CN e TO, Calabria: Guardia Piemontese (CS), Liguria: Olivetta San Michele (IM) Sardi 1.650.000 - Sardegna (esclusa isola catalana) Sloveni 80.000 - ca. 30 comuni prov. GO, TR e UD Tedeschi nelle isole germanofone 12.850 - Friuli Venezia-Giulia (UD), Veneto (VR, VI, BL), Trentino, Piemonte (NO e VC) e Aosta (Walser), Tedeschi nel Sudtirolo 287.500 - (censimento 1991) Sinti e Rom ca. 60.000 - Presenti sull'intero territorio |
Costituzione dimenticata
Per
il diritto di vivere con un minimo di dignità - L'Italia
democratica non può procedere con la
discriminazione
La questione delle minoranze linguistiche e la loro repressione è di origine risorgimentale, il che però non giustifica la politica antiminoritaria della Repubblica Italiana e il mancato adempimento dell'articolo 6 della Costituzione.
L'amministrazione nel dominio dei Savoia era bilingue, cioè francese nella parte transalpina e italiano nell'area cisalpina. Il conte Camillo Cavour, benché si esprimesse più facilmente in francese che in italiano, diceva che fatta l'Italia occoreva fare gli Italiani. In questo progetto unificatore rientrava la necessità di disporre di una lingua unificatoria, di una lingua "nazionale". Ovviamente fu scelto l'italiano, le altre lingue presenti sul territorio del nuovo stato italiano vennero messe in uno stato di soggezione e rimasero escluse fino ad oggi dall'ufficialità.
Se le minoranze linguistische annesse dal 1859 al 1866 (albanesi, catalani, croati, friulani, greci, occitani, sardi) erano sconosciute ai più o non erano ancora riconosciute come lingue proprie (e dunque all'inzio non v'era cattiva intenzione), la liberazione delle "terre irredente" e le annessioni successive al 4 novembre 1918 ponevano l'Italia in netta contraddizione con l'idea stessa dello stato nazionale, da cui la nuova Italia era nata, e con la vantata "superiorità" proclamata dal Presidente del Consiglio A. Lamarmora nel 1864: "L'Italia è una: ha un'unica religione, un'unica lingua, una patria sola, a fronte di quella dell'impero austriaco che è un amalgama di popoli diversi di lingua, di religione". Alle fine della prima guerra mondiale l'Italia si ritrovò anch'essa "amalgama di popoli". Le lingue minoritarie divennero "italiane" per forza in quanto conquistate, e non per libera aggregazione come invece era avvenuto nella confederazione svizzera, e in quanto sottoposte a massicci interventi di italianizzazione.
Con l'avvento del fascismo ci fu in un primo periodo paradossalmente una contraddizione positiva; con la riforma scolastica del 1923 fu amesso l'uso del dialetto nella scuola quale strumento didattico ausiliare per tener conto della cultura originaria dell'allievo. Questa contraddizione tra l'ideologia nazionalista e il rispetto di fatto delle minoranze linguistiche (nelle comunità tedesche delle province di Bolzano e Trento l'insegnamento continuò ad essere bilingue fino nel 1925) fu ben presto abolita.
L'assimilazione delle minoranze linguistiche negli anni successivi divenne più violenta e vessatoria. Furono italianizzati tutti i nomi di battesimo, i cognomi, i toponomi; venne vietato e perseguitato l'insegnamento ed il solo uso delle lingue minoritarie nelle scuole. Nel Friuli Venezia-Giulia andarono in fiamme i centri di cultura slovena. La problematica delle minoranze linguistiche, che oggi a molti può sembrare marginale o quasi esotica, fu ispiratrice della più indomita resistenza sin dai primi anni della dittatura. Gli sloveni hanno dato il più alto numero di condannati a morte e di condanne in genere nei famigerati processi per "reati contro la sicurezza dello Stato". L'insurrezione delle minoranze costituì uno dei moventi fondamentali della lotta di liberazione, fatto purtroppo trascurato dalla politica del dopoguerra.
Nel 1945
l'Assemblea Costituente affrontò il problema delle
minoranze linguistiche affidandolo ad una apposita
sottocommissione. Nel rapporto si distinguono due categorie di
minoranze.
Le minoranze della
prima categoria sono la diaspora degli Albanesi nell'Italia
meridionale, le comunità croate del Molise, le
comunità greche della Puglia, della Calabria e della
Sicilia. Alla prima categoria appartengono pure le isole tedesche
dell'arco alpino: i walser della Valle d'Aosta e del Piemonte, i
cimbri dei tredici comuni veronesi, i mocheni e i cimbri del
Trentino, i carinziani del Bellunese e del Friuli, ed i catalani.
In totale tra 150.000 e 200.000 alloglotti che mai posero allo
stato problemi di confine o di appartenenza territoriale,
dimonstrandosi "italiani in tutto ad eccezione della
lingua".
Le minoranze della seconda categoria invece hanno creato allo stato "problemi seri e gravi": i francesi della Valle d'Aosta e delle valli valdesi (in realtà occitani), i tedeschi del Sudtirolo e gli sloveni. Per queste minoran-ze occorrevano le "apposite norme" (che solo qui vennero realizzate), norme che ebbero forma giuridica nelle autonomie a statuto speciale.
Per salvare le minoranze dalla scomparsa è necessario un intervento legislativo complessivo che rispetti tutte le minoranze. Finora dei tentativi ci sono stati, ma non vennero mai portati a termine.
Nel 1980 il Comitato Nazionale Federativo Minoranze Linguistiche e la Lega per le Lingue delle Nazionalità Minoritarie proposero un disegno di legge per la tutela delle minoranze non protette che aveva già ottenuto l'approvazione della Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati e l'impegno da parte del Presidente della Camera on. Nilde Jotti ad accellerare l'iter che doveva portare il documento alla discussione e successiva approvazione in aula. La crisi del governo del 1987 pose termine alle speranze.
L'odissea della legge nei mari dei burrascosi cambi di governi e parlamenti continua fino ad oggi. Il 20 novembre 1991 la Camera dei Deputati aveva approvato con larghissima maggioranza le legge nr. 612 ("norme in materia di tutela delle minoranze lingustiche") che il Parlamento aveva elaborato con l'apporto di ricercatori, giuristi, glottologi e storici. La legge non ricevette dal Senato alcuna approvazione: lo scoglimento delle Camere del 1992 chiuse una promettente parentesi. Lo stato delle minoranze è intanto peggiorato; il coninvolgimento delle comunità linguistiche minore nel inevitabile e gigantesco processo globale rende dificilissimo conservare e sviluppare la propria lingua. Metà delle minoranze oggi è sull'orlo della scomparsa, l'altra metà ad eccezione della sola minoranza tedesca del Sudtirolo seguirà fra una o due generazioni se non si cambia immediatamente l'intero assetto legislativo. Sarebbe una perdita gravissima per il Paese che si ritroverebbe uniforme, noioso e culturalmente svigorito come una statua di cera. Misure legislative sono dunque urgentissime. Il danno provocato nel passato è ancora in parte ricuperabile.
Qualche segnale
positivo tuttavia si vede. Qualche mese fa nella Camera dei
deputati è stata approvata una Legge Quadro per la tutela
delle minoranze. La legge attende tuttora l'approvazione da parte
del Senato. Così anche questa volta si rischia di non
arrivare al traguardo. Il fatto dispiace perché dal primo
governo di centrosinistra le minoranze s'attendevano, in un
atteggiamento diverso e libero dal nazionalismo e centralismo del
passato, un cambiamento di rotta. La legge quadro, come approvata
dalla Camera dei deputati, è da considerarsi un primo
passo che necessiterà in futuro di significativi
miglioramenti. Tra l'altro la legge mette a disposizione 20
milliardi di lire annui per l'attuazione della legge. Considerate
le necessità, come il sostegno a pubblicazioni, a
trasmissioni radiotelevisive, a norme amministrative per
l'inserimento della lingua minoritaria negli atti pubblici,
l'insegnamento nelle scuole della lingua minoritaria, considerate
le somme che lo stato spende (e molte anche per cose altamente
inutili). 20 sono una derisione. La tutela delle minoranze
linguistiche non vale dunque nemmeno chilometro di
superstrada.
|