"E’ meglio accendere una candela che maledire il buio."
(Proverbio cinese)

A cura di Amnesty International
Gruppo di Bolzano I 203

DIRITTI CALPESTATI



Art. 3: Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona.

Art. 5: Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti.

Come viene affermato nella Dichiarazione universale dei diritti umani, il diritto alla vita è inerente alla persona umana. Questo diritto deve essere protetto dalla legge. Nessuno può essere privato della propria libertà, se non per i motivi e secondo la procedura prevista dalla legge.

Il diritto a non subire una condanna a morte viene riconosciuto, purtroppo, solo dagli Stati "abolizionisti" e, benché il diritto a non subire torture sia una norma internazionale, in più di due terzi dei Paesi del mondo la tortura è una prassi ordinaria, anche se quasi nessuno Stato ammette di torturare.

DOVE E COME VENGONO VIOLATI QUESTI DIRITTI

Purtroppo c’è un lungo elenco di Stati in cui viene applicata la pena di morte, in 94 Paesi:
Afganistan, Albania, Algeria, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita, Armenia, Azerbaidhzan, Bahamas, Bangladesh, Barbados, Belize, Benin, Bielorussia, Bosnia Erzegovina, Botswana, Bulgaria, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Cile, Cina, Corea del Nord, Corea del Sud, Cuba, Dominica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Eritrea, Estonia, Etiopia, Gabon, Gambia, Georgia, Ghana, Giamaica, Giappone, Giordania, Grenada, Guatemala, Guinea, Guinea Equatoriale, Guyana, India, Indonesia, Iran, Iraq, Iugoslavia, Kazakhstan, Kenya, Kuwait, Kyrgyzstan, Laos, Lesotho, Lettonia, Libano, Liberia, Libia, Lituania, Malawi, Malaysia, Marocco, Mauritania, Mongolia, Myanmar, Nigeria, Oman, Pakistan, Qatar, Russia, Saint Lucia, Sierra Leone, Singapore, Siria, Somalia, St. Christopher e Nevis, St. Vincent e le Granadines, Stati Uniti, Sudan, Swaziland, Tagikistan, Taiwan, Tanzania, Tailandia, Trinidad e Tobago, Tunisia, Turkmeninstan, Ucraina, Uganda, Uzbekistan, Vietnam, Yemen, Zaire, Zambia, Zimbabwe.

I Paesi che mantengono la pena capitale per reati eccezionali, quali reati commessi in tempo di guerra o previsti dal Codice militare sono 15:
Argentina, Brasile, Canada, Cipro, El Salvador, Figi, Israele, Malta, Messico, Nepal, Paraguay, Perù, Regno Unito, Seychelles, Spagna.

I Paesi abolizionisti "de facto", cioè quei Paesi e territori in cui la pena di morte è in vigore, ma non sono state eseguite condanne da almeno 10 anni, sono 27:
Bahrein, Belgio, Bermuda, Bhutan, Bolivia, Brunei Darussalam, Burundi, Comoros, Congo, Costa d’Avorio, Filippine, Gibuti, Madagascar, Maldive, Mali, Nauru, Niger, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centroafricana, Ruanda, Samoa (Ovest), Senegal, Sri Lanka, Suriname, Togo, Tonga, Turchia.

I Paesi che hanno abolito completamente la pena capitale sono 58:
Andorra, Angola, Australia, Austria, Cambogia, Capo Verde, Città del Vaticano, Colombia, Costa Rica, Croazia, Danimarca, Ecuador, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Guinea Bissau, Haiti, Honduras, Hong Kong, Irlanda, Islanda, Isole Marshall, Isole Salomone, Italia, Kiribati, Liechtenstein, Lussemburgo, Macedonia, Mauritius, Micronesia, Moldavia, Monaco, Mozambico, Namibia, Nicaragua, Nuova Zelanda, Norvegia, Olanda, Palau, Panama, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Repubblica Dominicana, Romania, Slovenia, San Marino, Sao Tomè e Principe, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Tuvalu, Ungheria, Uruguay, Vanuatu, Venezuela.

Dai dati risulta che in 125 Paesi al mondo (pari al 70%) si può essere condannati a morte. Lo Stato può decidere per legge di togliere la vita a una persona, ma la pena di morte non può essere separata dai Diritti umani internazionali tutelati. Vi sono anche motivi etici religiosi che ci devono fare riflettere; molte religioni sostengono che l’uomo non può decidere di togliere la vita , dono di Dio, ad un altro uomo. Inoltre fino dal lontano 1700 l’illuminista Cesare Beccaria sosteneva che le pene dovrebbero avere come fine il miglioramento e la riabilitazione delle persone e non la loro eliminazione. La pena capitale non può essere giustificata in nome della sicurezza dei cittadini, né come legittima difesa dello Stato contro la criminalità. Il desiderato effetto dissuasivo o deterrente non esiste; i dati ci dimostrano che nei Paesi, in cui si applica la pena di morte, la criminalità non diminuisce affatto. Lo Stato ha a disposizione mezzi alternativi per combattere il crimine.

Inoltre la pena di morte è irreversibile e sappiamo che spesso vi sono degli errori giudiziari. In Paesi dove non vi è democrazia, viene usata come strumento di repressione, di eliminazione di oppositori politici; diventa uno strumento per violare altri diritti (diritto alla libertà di espressione, di opinione, di religione ecc.). Tra le vittime delle esecuzioni vi sono perseguitati per motivi politici o religiosi, a volte persone che non hanno né usato né istigato all’uso della violenza e sono "colpevoli" di soli reati di opinione. La violazione del diritto alla vita si concretizza anche con metodi più sofisticati: vengono messe in atto le esecuzioni extragiudiziali e le sparizioni. Nel primo caso si tratta di veri e propri omicidi commessi dagli Stati (spesso attraverso corpi paramilitari tragicamente noti come "squadre della morte" o attraverso le stesse forze di polizia a cui viene garantita la più totale impunità) senza che la vittima sia arrestata o sottoposta a un regolare processo. Nel secondo caso i governi negano la sparizione arbitraria di una persona, facendola letteralmente "sparire". Queste sparizioni negli anni '70 avvennero in Paesi come il Cile, la Cambogia, l’Argentina, l’Uganda, per eliminare gli oppositori politici. In molti Paesi tali omicidi sono tollerati nel tentativo di ridurre la micro-criminalità generata dal degrado sociale: è il caso dei "bambini di strada" quotidianamente uccisi in Brasile, Colombia, Guatemala.

Allo stesso modo omicidi di massa sono avvenuti in anni recenti in presenza di un collasso dell’autorità statale: è il caso dell’ex-Jugoslavia, dell’Afganistan, della Regione dei Grandi Laghi. Se l’esecuzione capitale non viene inflitta ovunque, così non è per la tortura. Amnesty International ha documentato, nel 1996, casi di tortura in ben 124 Paesi e le vittime sono migliaia di persone; trattamenti inumani, crudeli, degradanti sono praticati nelle corti di giustizia, nelle stazioni di polizia e nelle carceri. Non è possibile per motivi di spazio, raccontare della violazione di questi diritti con riferimento ad ogni Paese (per informazioni dettagliate si consulti "Rapporto Annuale" '98 di Amensty International). Ci si limita quindi ad esporre delle situazioni riguardanti due Paesi diversissimi tra loro per cultura, tradizioni, sviluppo economico ed ideologia: U.S.A. e Cina.

U.S.A.
Gli U.S.A. vennero fondati nel nome della democrazia, dell’uguaglianza politica e sociale e della libertà individuale ed hanno assunto un ruolo fondamentale nello sviluppo degli standard internazionali per la protezione dei diritti umani. Tuttavia non riescono ancora a mantenere la fondamentale promessa di assicurare uguali diritti per tutti. Nonostante i tentativi intrapresi per debellare il razzismo, gli U.S.A. non sono riusciti a sradicare trattamenti discriminatori nei confronti degli afro-americani, dei latino-americani e di altre minoranze, inclusi i nativi americani e le persone di origine asiatica o araba. Le leggi statunitensi proteggono numerosi diritti civili. Gli U.S.A. hanno avuto un ruolo fondamentale nell’adozione nel 1948 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, non hanno però ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, né quella sui diritti del Fanciullo ed hanno espresso riserve sulla facoltà di giustiziare persone minorenni al momento del crimine. In tutti gli U.S.A. molte persone vengono ferite o uccise da poliziotti, che fanno uso eccessivo della forza o a causa di trattamenti deliberatamente brutali. Decine di persone hanno subìto pestaggi o sono state colpite da armi da fuoco degli agenti o hanno perso la vita a causa dell’uso di dispositivi di costrizione: spray chimici o armi elettriche. La maggior parte di questi incidenti avviene nel corso di arresti, perquisizioni, posti di blocco o per strada. Riportiamo alcuni casi emblematici:

Caroline Sue Batticher, una donna afro-americana, disarmata, venne uccisa nel ’97 da agenti di polizia di West Charlatte, in North-Caroline, con 22 proiettili esplosi verso l’auto, dove si trovava come passeggera, perché non si era fermata a un posto di blocco.

William Whitfield, un afro-americano disarmato, fu ucciso dalla polizia in un supermercato di New York il 25 dicembre '97; i poliziotti affermano di avere scambiato le sue chiavi per una pistola. L’agente venne assolto, nonostante fosse stato precedentemente coinvolto in altre otto sparatorie.

Ogni persona ha il diritto a non essere maltrattata o torturata, ma ogni giorno nelle carceri di tutti gli U.S.A. questo diritto viene calpestato. Più di 1.700.000 sono i detenuti nelle carceri americane, più del 60% appartiene a minoranze. In molti istituti di pena gli stupri e gli abusi sessuali continuano ad essere perpetrati. Molto spesso i detenuti, compresi quelli malati di mente, vengono limitati nei movimenti in modi inumani e crudeli. In Alabama e in Arizona i reclusi sono incatenati assieme e rimangono con i ferri ai piedi durante i turni di lavoro forzato e chi cerca di ribellarsi può essere punito venendo legato per ore sotto il sole. Le sedie di costrizione, che permettono di immobilizzare il detenuto, sono largamente utilizzate nelle prigioni. Nel 1997 gli agenti ammisero di aver usato le 16 sedie in dotazione almeno 600 volte in sei mesi. Oltre sedie, catene, manette e spray, vengono anche usate delle cinture elettriche in grado di infliggere scariche elettriche con un pulsante a distanza. La cintura di controllo tecnologico elettronico telecomandato invia scariche ad alto voltaggio causando dolore e difficoltà di movimento. L’estrema forma di tortura è senz’altro data dall’insieme delle circostanze che accompagnano una condanna a morte e la sua esecuzione; sono torture psicologiche e fisiche. Più di 350 persone sono state giustiziate negli U.S.A. dal 1990, più di 3.300 si trovano nel braccio della morte. Nel "braccio della morte" attendono anni prima di essere giustiziati, alternando la speranza di vivere con la necessità di prepararsi a morire. Amnesty International ritiene che le differenze di razza influiscano in maniera rilevante sull’infliggere condanne a morte; più del 42% dei condannati a morte negli U.S.A. sono neri, nonostante i neri costituiscano il 12% della popolazione. E’ stato rilevato che la probabilità che un nero, accusato dell’omicidio di un bianco, venga condannato a morte è assai più elevata quella che un bianco venga condannato a morte per l’omicidio di un nero. L’applicazione della pena capitale è razzista; le condanne spesso dipendono più dalla composizione della Corte giudicante e dall’avvocato che dal crimine (nonostante la decisione della Corte Suprema del 1986 ancora oggi i neri vengono spesso esclusi dalle giurie). Un imputato, che non si possa permettere un legale esperto e competente, va più facilmente incontro alla condanna.
Calvin Burdine, un omosessuale dichiarato, fu condannato alla pena capitale al termine di un processo durante il quale il suo avvocato Frank Cannon fece riferimento agli omosessuali con termini triviali e offensivi, non interrogò nessun testimone per preparare la difesa e si addormentò diverse volte nel corso delle udienze. Calvin Burdin è ancora nel braccio della morte e per quattro volte è stato vicino all’esecuzione.

Né la minore età, né la malattia mentale possono salvare dalla pena di morte e a volte non sono neppure un’attenuante.

Amnesty International ha preso in esame i casi di minori condannati a morte: la maggioranza di questi giovani proveniva da ambienti degradati, molti avevano subìto gravi abusi sessuali o fisici da bambini, avevano un livello di intelligenza al di sotto del normale, soffrivano di malattie mentali o avevano subìto danni al cervello.

Nollie Martin, giustiziato in Florida nel maggio ’92, aveva un quoziente di intelligenza di 59 e soffriva delle conseguenze di gravi ferite alla testa riportate quando era bambino; anche lui inoltre aveva subìto violenze fisiche e sessuali. Soffriva di depressioni suicide, psicosi, paranoia e desiderio di automutilazione. Fu condannato a morte per sequestro e omicidio di una donna bianca, trascorse più di 13 anni nel braccio della morte rotolandosi sul pavimento della cella, aveva continuo bisogno di cure mediche a causa dei suoi disturbi mentali.

Più di 100 Paesi nel mondo hanno abolito la pena di morte, gli U.S.A., al contrario, hanno incrementato le esecuzioni e i reati punibili con la morte; ben 38 Stati americani contemplano la pena di morte nei loro codici. Alto è il rischio di uccidere un innocente. Questi processi dovrebbero richiedere garanzie particolari a favore degli imputati. Vi sono aspetti che influiscono in maniera negativa sull’efficacia delle garanzie: la discrezionalità della pubblica accusa, l’ineguatezza e i limiti eccessivamente ristretti alla possibilità di ottenere un riesame.

Il 20 maggio 1992 Roger Colemann fu mandato sulla sedia elettrica. Le sue ultime parole furono: "Un uomo innocente sarà ucciso questa notte. Quando la mia innocenza sarà stata dimostrata, spero che gli americani capiranno l’ingiustizia della pena di morte come hanno fatto tutti gli altri Paesi civili." Colemann era stato accusato dello stupro e omicidio della cognata; era rappresentato da avvocati che non furono in grado di esibire diverse prove, incluso l’alibi dell’imputato. Il ricorso in appello, a causa dell’involontario errore procedurale dei suoi avvocati, fu presentato con un giorno di ritardo e la Corte Suprema decise che Colemann aveva perso il diritto all’appello federale. Nonostante la moltitudine di prove a suo favore e la dichiarazione giurata della signora Horn, in cui afferma che un abitante della zona ha confessato di essere l’assassino, "giustizia " fu fatta. Lo stesso sceriffo Frank Hinke, che aveva arrestato Colemann 11 anni prima, fa una dichiarazione bomba: "Io penso che sia stato condannato per tranquillizzare la comunità."

Jesse Dewajne Jacobs è stato ucciso nel '95 in Texas con un’iniezione di veleno, essendo stato ritenuto in un primo tempo colpevole del sequestro e dell’uccisione di una donna, reati commessi, come è stato adeguatamente dimostrato in un processo successivo, fondato su nuove prove, da un’altra persona. La verità non è emersa ad esecuzione avvenuta, ma era già nota prima. La colpevole è stata condannata a 10 anni di reclusione. Jacobs presentò ricorso alla Corte di Appello di New Orleans, per sentirsi rispondere che non spettava alla Corte affermare che in almeno una delle due giurie era stato commesso un errore. Presentò ricorso alla Corte Suprema degli Stai Uniti, che respinse la richiesta di sospensione dell’esecuzione. La stessa Corte emise una sentenza contraddittoria: suggeriva che doveva considerarsi incostituzionale per uno Stato mandare a morte una persona considerata innocente, ma non giudicava di sua competenza dichiarare l’innocenza del condannato.

Abbiamo riportato due esempi, scelti fra i tanti, che dimostrano come un giorno di ritardo abbia impedito il riesame del caso. Nel secondo esempio si evidenzia come una Corte abbia commesso un errore e che per motivi burocratici i processi non sono stati riesaminati.

I metodi di esecuzione impiegati negli U.S.A. sono: la sedia elettrica, la camera a gas e l’iniezione letale; nessuno è indolore, al contrario, sono da considerarsi metodi di tortura. La morte non sopravviene istantaneamente. Nel 1996 sono state giustiziate 4.272 persone in 39 Paesi del mondo e 7.107 sono state condannate a morte in 76 Paesi. Questi dati comprendono solo i dati noti a Amnesty International; è quindi possibile che le cifre reali siano più elevate. La maggior parte delle esecuzioni hanno avuto luogo nei seguenti Paesi: 3.500 in Cina, 167 in Ucraina, 140 nella Federazione Russa, 110 in Iran ecc.

CINA
Il mondo ha guardato con orrore i carri armati che si avviano verso Piazza Tienanmen nel giugno '89, distruggendo ogni cosa sul loro cammino. Milioni di persone hanno visto immagini televisive di spari, terrore e panico. A molti anni di distanza le violazioni dei diritti umani in Cina continuano su larga scala e troppo spesso chi ha frequenti contatti con le autorità cinesi , governi e investitori stranieri, sceglie di ignorare il tema dei diritti umani. Il governo cinese dice di riconoscere l’universalità dei principi dei diritti, ma continua ad affermare che gli Stati devono essere liberi di agire in base alle loro condizioni culturali, storiche e politiche. In pratica questa libertà si traduce nella licenza, da parte dello Stato, di violare i più basilari diritti umani. Il governo cinese dice che il diritto alla sussistenza e allo sviluppo è il più importante per il popolo cinese, ma la necessità di sfamare gli affamati non potrà mai giustificare la tortura e non c’è nessuna prova che la violazione dei diritti fondamentali migliori le condizioni economiche. In Cina è ancora molto diffusa la tortura e il maltrattamento dei prigionieri nei centri di detenzione, nelle prigioni o nei campi di lavoro; in alcuni casi i maltrattamenti sono causa di morte.

Il continuo uso della tortura da parte della polizia per accelerare le confessioni è stato ammesso dal quotidiano ufficiale "Guangming Daily". Le più comuni forme di tortura comprendono: percosse, calci, frustate, l’uso di bastoni elettrici che provocano forti shock, l’uso prolungato di manette e catene ai piedi, la sospensione per le braccia spesso accompagnata a percosse, carenza di cibo e di cure mediche per i detenuti. Chiunque rischia di subire questi trattamenti se fermato dalla autorità, mentre coloro che infliggono torture restano per lo più impuniti. La tortura viene anche usata come strumento di repressione politica contro chi protesta e, specialmente in questo caso, il torturatore gode della massima impunità.

Riportiamo alcuni esempi:

Zheng Musheng, un cittadino cristiano della contea di Donkan, provincia dell’Henan, è stato torturato a morte in prigione nel gennaio '94. La famiglia, che ha visto il corpo solo dopo 11 giorni, ha riferito che aveva profonde ferite alle caviglie e segni di accoltellamento sul corpo. L’azione legale intrapresa dalla famiglia non ha avuto nessun risultato.

Li Dexian, protestante di 43 anni di Guangzhan, è stato picchiato e preso a calci al pube dalla polizia durante un’irruzione nella chiesa di Beixing nel febbraio '95. Alla stazione di polizia è stato ancora percosso e colpito in faccia con la Bibbia. Rilasciato dopo otto ore non poteva muovere la testa, aveva fratture alle costole e dolori ovunque. Non sembra sia stata avviata alcuna indagine.

Ai primi del '95 Tongyi, una prigioniera politica, è stata ripetutamente percossa da due "fiduciari" nel campo di lavoro di Hewan a Wuhan, nel Hubei, dopo essersi lamentata per le lunghe ore di lavoro; dopo aver protestato per le percosse è stata nuovamente picchiata da più di dieci detenute.

Il giornale di "Henan Legal Daily" ha riportato nel '93 che 41 prigionieri "sospetti" innocenti sono morti sotto tortura durante gli interrogatori tra il 1990 e il 1992 nella sola provincia dell’Henan. Nell’articolo si dice anche che i metodi di tortura sono diventati più crudeli, citando casi in cui le vittime sono state immerse in acqua bollente, scottate con sigarette e torturate con elettrodi applicati ai genitali. La maggior parte dei giustiziati sono sottoposti a processi sommari: le indagini e i processi sono accelerati, la punizione è esemplare per creare paura. Molte sono le esecuzioni di massa e alcune sono pubbliche. I prigionieri condannati a morte vengono prima fatti sfilare in pubblico.

Zheng Jian, un prigioniero condannato a morte che aveva tentato di suicidarsi, sarebbe stato portato in barella sul palco di un raduno di massa a Sheuzhen, dove la sua condanna venne annunciata e quindi portato davanti al plotone di esecuzione. Egli faceva parte di un gruppo di 62 persone giustiziate il 30 ottobre 1996.

Nel luglio '94 due contadini della provincia di Henan, condannati per il furto di 36 mucche e di alcuni attrezzi agricoli, e 12 persone, colpevoli di furti d’auto, sono state messe a morte a Shangai.

Nell’ottobre '94 è stato ucciso Yu Jianan, ex vice presidente dell’ospedale di Linxian (provincia di Henan), per aver ricevuto denaro in cambio di certificati falsi di sterilità rilasciati a donne che intendevano evitare la sterilizzazione coatta.

Nel febbraio '95 sono stati condannati a morte 18 imputati per avere rubato timbri e avere comperato e venduto false ricevute con lo scopo di ricavarne un profitto. La sentenza rileva che il comportamento criminale ha seriamente pregiudicato l’attuazione del nuovo regime di tassazione e ha rovinato il normale ordine economico, minacciando seriamente il progresso della nazione.

Le autorità cinesi ricorrono alla pena di morte per creare paura. La pena capitale è stata ed è largamente usata per eliminare le opposizioni. Gli imputati spesso vengono processati senza un avvocato e senza conoscere l’accusa fino al momento di entrare in tribunale. Le condanne avvengono in seguito a processi sommari, ma anche in seguito a confessioni estorte con la tortura.

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