In: Home > DOSSIER > Sinti e Rom in Europa. Da secoli discriminati ed emarginati
Lingue: ITA | DEU
Pogrom bedrohte Völker n. 254, 3/2009
Bolzano, luglio 2009
Index
Editoriale, Mauro di Vieste | Premessa di Hans-Gert Pöttering, Presidente del
Parlamento europeo: Sinti e Rom in Europa | Intervista a Viktoria Mohacsi: "La situazione attuale
somiglia molto a quella di prima della Seconda guerra
mondiale" | Tina Schmidt - Sinti e Rom
austriaci durante la seconda guerra mondiale | Gerlinde Schmidt - Vita Rom in Austria: Ludwig Horvath
| Christiane Fennesz-Juhasz - Ceija Stojka |
Thomas Huonker - La Svizzera e gli "Zingari":
divieto di ingresso e sottrazioni di bambini | Peter Mercer sulla situazione dei Rom in Gran Bretagna: "Il
Governo ha un ruolo importantissimo nella lotta alla
discriminazione" | Elisabetta Vivaldi - Rom in
Italia: il vento dell'intolleranza | Paul
Polansky - Sinti e Rom nella Repubblica Ceca durante la Seconda
guerra mondiale e oggi | Till Mayer -
Repubblica Ceca: sterilizzazione coatta delle donne Rom |
Gwendolyn Albert - Repubblica Ceca: Rom, una vita
nel terrore | Fadila Memisevic e Belma Zulcic
- Rom in Bosnia-Herzegovina | Stephan Mueller
- Rom in Serbia: la situazione attuale | Sarah
Reinke - Rom in Russia: Povertà, violenza e assenza di
prospettive ai margini della società
Di Mauro di Vieste
Sinti e Rom in Europa. Da secoli discriminati ed emarginati, pogrom / bedrohte Völker 254 (3/2009).
Care lettrici, cari lettori,
la minoranza di Sinti e Rom in Italia continua a vivere in una
situazione di degrado inaccettabile. Purtroppo anche in altri
paesi europei, nonostante decennali politiche di integrazione, la
situazione migliora troppo lentamente per poter parlare di
successo. Si tratta quindi di una vera e propria emergenza. Ma se
andiamo a guardare i numeri la situazione dovrebbe essere
perfettamente gestibile: secondo alcune stime nel mondo ci
dovrebbero essere circa 12 milioni di Sinti e Rom. In Italia le
persone appartenenti a questi due gruppi etnici sono appena
150.000, il che corrisponde allo 0,25% della popolazione
italiana. Ciò nonostante vengono considerati alla stregua
di un fattore di rischio per la sicurezza nazionale e sono
vittime di violenza, discriminazione e razzismo. Sembra essere
proprio questa la chiave di lettura del problema: il razzismo,
quello che nel testo viene definito "vento dell'intolleranza" che
man mano che soffia andrà a colpire fasce sempre diverse
della nostra società europea in generale ed italiana in
particolare.
L'aver bisogno del capro espiatorio denota una povertà
culturale di fondo che sembrava che la nostra società
avesse abbandonato dopo il disastro della Seconda guerra
mondiale: i segnali allora erano stati l'adozione delle leggi
razziali; le conseguenze Olocausto per gli Ebrei, Porrajmos per
Sinti e Rom.
Oggi i proclami di diversi politici e amministratori sembrano
appartenere proprio ai tempi passati del fascismo, periodo in cui
nacquero le leggi razziali. La situazione è molto grave,
perché invece di immaginare politiche di integrazione per
la minoranza rom, si soffia sul fuoco del populismo e del
razzismo. Un atteggiamento inutile e pericoloso che produce
ulteriori pregiudizi tanto nella popolazione di maggioranza
quanto in quella di minoranza.
Anche l'atteggiamento troppo morbido assunto in passato dalle
istituzioni europee nei confronti del governo italiano sembra
alla fine un tacito assenso verso questa pericolosa deriva
razzista. La realtà che si nasconde dietro il presunto
problema rom è di ben altra natura e riguarda soprattutto
le politiche per la casa e più in generale per
l'integrazione della minoranza rom in Italia. La realtà
dei campi nomadi degradati, tipica italiana, nel frattempo
è diventata la regola. L'Italia è l'unico paese
dell'UE ad avere una rete di ghetti pubblicamente organizzata. In
questo modo si impedisce ai Rom di partecipare alla vita della
società o di avere contatti e integrarsi nella
società.
Le condanne delle Istituzioni europee nei confronti dell'Italia
relativamente al trattamento della minoranza rom non sono
isolate: già nel 2005 il Comitato Europeo per i Diritti
Sociali aveva dichiarato ammissibile il Reclamo Collettivo contro
l'Italia, depositato dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom
(ERRC), che sostiene che l'Italia, in teoria ed in pratica, opera
una segregazione razzista ai danni dei Rom nell'ambito delle
politiche per la casa.
In questi anni non è stata implementata nessuna politica
per la casa a livello governativo lasciando la
responsabilità della soluzione dei problemi ai Comuni:
dopo i brutti episodi di maggio 2008 nei campi rom di Napoli e
Milano cosa dobbiamo ancora aspettarci? E dopo Rom e Sinti quale
sarà la prossima minoranza vittima del populismo dei
nostri governanti?
Questo numero speciale ci aiuta ad avere un quadro generale sulla
reale situazione dei Sinti e Rom in Europa e lascia accesa la
speranza che presto la situazione possa cambiare, secondo le
parole del Presidente del Parlamento europeo Hans-Gert
Pöttering, grazie a un cambiamento nella nostra
società. Un vero auspicio per un futuro di convivenza in
una Europa democratica e rispettosa dei diritti di tutte le
minoranze.
Mauro di Vieste
Hans-Gert Pöttering, da gennaio 2007 a luglio 2009 Presidente del Parlamento europeo.
Care lettrici e lettori,
il Parlamento europeo si impegna da sempre per la realizzazione
dei diritti umani in Europa e nel mondo. Inoltre è
rilevante soprattutto l'impegno a favore dei diritti delle
minoranze. I circa 10 milioni di Sinti e Rom dell'Unione europea
vivono ancora oggi in una situazione di discriminazione
strutturale. Il Parlamento europeo ha osservato con molta
attenzione gli sviluppi per i Sinti e Rom durante la legislatura
2004-2009 e si è adoperato in maniera chiara e decisa
nelle proprie risoluzioni a favore della parità di
trattamento. In quanto unica istituzione dell'Unione europea
eletta democraticamente, il Parlamento europeo si pone sempre
dalla parte di Sinti e Rom e sostiene la loro inclusione
paritaria in tutti gli ambiti della vita pubblica e
privata.
Da un punto di vista storico Sinti e Rom hanno raggiunto un ruolo
importante nelle società di molti dei paesi membri
dell'Unione europea, senza raggiungere però una completa
inclusione sociale. Emarginazione sociale, povertà e
discriminazione razzista ancora oggi non rappresentano purtroppo
una rarità. Per questo ritengo giusto ed importante, che
il Parlamento europeo nelle sue risoluzioni si ponga come
obiettivo un migliore accesso dei Sinti e Rom al mercato del
lavoro e alla formazione scolastica. L'impegno del Parlamento
europeo è stato per questo anche elogiato l'8 aprile 2009,
Giornata internazionale dei Rom, dalla stessa comunità dei
Rom in Europa.
Per il miglioramento della situazione dei Sinti e Rom nell'Unione
europea oltre alle necessarie decisioni politiche è
fondamentale soprattutto un cambiamento della società. Per
questo mi fa particolarmente piacere che la presente edizione di
"bedrohte Völker - pogrom" si occupi dei problemi e delle
sfide di Sinti e Rom, e con questo dia un contributo per
migliorarne la situazione.
Hans-Gert Pöttering, Presidente del Parlamento europeo, 22
giugno 2009
Viktoria Mohacsi, Parlamentare europea ungherese.
Viktoria Mohacsi (34 anni) è Rom ungherese e dal 2004 parlamentare europea della Frazione dell'Alleanza dei Liberali e dei Democratici. "bedrohte Völker - pogrom" le ha chiesto del suo lavoro presso il Parlamento europeo e del suo punto di vista sulla situazione dei Rom in Europa.
"bedrohte Völker - pogrom": Come giudica
l'attuale situazione generale di Sinti e Rom in Europa come anche
in Ungheria, suo paese d'origine?
Mohacsi: Non conosco l'attuale situazione dei
Sinti sufficientemente a fondo, da poter esprimere un giudizio
generale. Per questo la mia risposta sarà limitata ai Rom
in Europa. La loro situazione è quantomeno preoccupante.
Soprattutto in Italia e in Ungheria, ma anche in altri paesi
europei, la situazione assomiglia molto a quella degli anni prima
dello scoppio della Seconda guerra mondiale. A mio parere
l'atmosfera odierna, sebbene non nella stessa misura, ricorda
molto il processo di radicalizzazione che ha portato alle forme
più palesi di antisemitismo, omofomiche, antizigane e
xenofobe durante la grande crisi economica che precedette la
Seconda Guerra mondiale. Se gli stati membri dell'UE e la
comunità nel suo insieme vogliono impedire che la stessa
tragedia si ripeta, devono agire subito.
"bedrohte Völker - pogrom": Come può
l'Unione europea migliorare la situazione dei Rom?
Mohacsi: L'UE fa molto a livello legislativo.
Esistono numerose e ottime direttive che se venissero applicate
in maniera corretta porterebbero a risultati più evidenti.
Naturalmente la legislazione europea potrebbe essere
ulteriormente migliorata, nuove direttive e regolamenti
potrebbero migliorare la situazione dei diritti umani dei Rom. Ma
ciò che oggi è maggiormente importante è che
le attuali leggi in vigore vengano realmente applicate e
ciò riguarda non solo la legislazione europea ma anche le
leggi dei singoli stati. Mi faccia fare un esempio: da alcuni
anni in Ungheria c'è una legge che impedisce la
realizzazione di scuole separate per i bambini Rom. Nonostante
ciò ci sono ancora scuole e classi separate per i Rom.
Questo è il risultato quando una buona legge non viene
applicata. Mi sono impegnata molto personalmente per questo e ho
esercitato pressioni sui politici affinché proprio questa
legge venisse applicata, purtroppo con scarso successo.
"bedrohte Völker - pogrom": Cosa possono
fare i Rom per migliorare la propria situazione e come possono
sostenerli gli altri?
Mohacsi: Questa domanda viene posta molto
spesso: "Come possono aiutare se stessi i Rom?" oppure
"Perché i Rom non fanno di più per se stessi?".
Ebbene, loro fanno quello che possono. Per esempio le
organizzazioni Rom tentano di esercitare una certa influenza
facendo lavoro di lobby sulla politica e sulla società.
Cosa possono fare gli altri? Penso che si dovrebbe ascoltare i
pensieri e le preoccupazioni espressi dai Rom e coinvolgerli in
generale nei processi decisionali, in particolare naturalmente
per le decisioni che li riguardano. La politica non dovrebbe mai
tollerare esternazioni razziste e sentimenti anti Rom.
"bedrohte Völker - pogrom": Secondo lei
come si svilupperà la situazione dei Rom nei prossimi
dieci anni?
Mohacsi: Questo non lo so, non sono una
veggente. Posso solo sperare che le iniziative positive, come il
decennio dell'integrazione Rom, possano portare a un decisivo
miglioramento della situazione. Nel caso peggiore penso che i Rom
vengano ignorati da tutto il mondo, ulteriormente emarginati e
costretti in ghetti ancor più disumani e miseri. Spero
tuttavia che questo non sia il loro futuro.
Di Tina Schmidt
Oggi in Austria vivono tra i 20.000 e i 40.000 Sinti e Rom. Tra il 1938 e il 1945 morirono circa 8.000 Sinti e Rom austriaci, circa due terzi di quelli che si trovavano sul territorio all'epoca. Dal 1940 in poi vennero costretti ai lavori forzati nel "lager per zingari" di Lackenbach, molti furono deportati in campi di sterminio.
Appello dei prigionieri Rom a Lackenbach nel 1949/41.
Prima del periodo nazionalsocialista in Austria vivevano più o meno 11.000 Sinti e Rom (1); tra loro vi erano Sinti trasferitisi nella seconda metà del XIX secolo in massa dalla Germania e piccoli gruppi di Lovara e Calderari. Il gruppo maggiore era costituito dai Rom del Burgenland, che vi si trasferirono nel XVI secolo (allora Ungheria occidentale) e che vi furono forzatamente insediati nel XVIII secolo. Dovettero rinunciare al proprio istinto nomade e alla loro indipendenza, rimanendo però un gruppo escluso dalla società austriaca: abitavano infatti in "campi per zingari" simili a ghetti al di fuori dei centri abitati. Negli anni '30 i Rom nel Burgenland erano tra i 7000 e gli 8000.
Dominio dei nazionalsocialisti e sterminio dei Sinti e
dei Rom
La situazione per i Rom peggiorò soprattutto a partire
dagli anni '20. La polizia austriaca iniziò una caccia ai
Rom e ai Sinti per contrastare la "piaga sociale degli zingari".
Dal 1928 in poi utilizzarono un apposito archivio che per
più di 14 anni raccolse nomi e impronte digitali di circa
8000 Sinti e Rom.
Negli anni '30 i nazionalsocialisti alimentarono il clima di odio
creatosi contro i Rom con frasi razziste del tipo "Burgenland
libero dagli zingari". Tobias Portschy, che già prima
della seconda guerra mondiale e anche dopo il 1945 agiva contro i
Rom austriaci, pubblicò nell'agosto 1938 un memoriale
sulla soluzione della "questione zingara". In questo testo
propose che per eliminare i due popoli si ricorresse ai lavori
forzati, alla deportazione e alla sterilizzazione.
Sotto la direzione di Portschy nel marzo 1938 furono adottate le
prime misure di persecuzione sistematica: fu loro proibita la
frequentazione di scuole e la permanenza in luoghi pubblici. I
Rom del Burgenland in grado di lavorare potevano essere solo
costretti ai lavori forzati. Una legge del dicembre 1938
definì quindi la "Regolamentazione della questione zingara
a partire dalla razza". Commissariati di polizia elaborarono
ricerche sugli zingari e crearono elenchi genealogici, sulla cui
base venivano arrestati Sinti e Rom.
Le prime deportazioni si ebbero l'anno successivo in seguito alla
promulgazione della legge "Per la lotta alla piaga sociale degli
zingari nel Burgenland". I Rom non potevano più
abbandonare i luoghi di residenza abituale. Dal 1940 dovettero
svolgere lavori forzati nei lager per zingari. Tramite queste
misure il Partito nazionalsocialista aveva realizzato il suo
obiettivo di "esclusione dei parassiti biologici dal popolo
tedesco". Dopo singole deportazioni nei campi di concentramento,
dal 1940 in poi tutti i Sinti e i Rom furono inviati nei campi di
raccolta di Lackenbach e Salisburgo-Maxglan e nel campo di lavoro
di Weyer.
Documento del Campo di concentramento austriaco di Lackenbach.
Il lager per zingari Lackenbach
Il più grande lager di raccolta era il lager di
Lackenbach, aperto il 23 novembre 1940 in un maso al centro del
Burgenland, e gestito dalla Gestapo viennese. La maggior parte
dei prigionieri provenivano dal Burgenland, quindi la maggior
parte era composta da Rom. Molti Sinti, tra cui alcuni
provenienti dal sud della Germania, vi furono deportati. Fin
dall'inizio tra i prigionieri vi si trovavano anche donne e
bambini.
I prigionieri venivano costretti ai lavori forzati, alcuni
all'esterno del lager. Lavoravano duramente e soffrivano per la
carenza di provviste alimentari e di acqua. Stalle venivano usate
come dormitori, che accoglievano fino a 200 persone in una
stanza. Impianti sanitari furono costruiti solo nel 1941/42,
quando scoppiò un'epidemia di tifo che mise a rischio la
sicurezza dei gestori del lager. I prigionieri vennero pertanto
rinchiusi nel lager e lasciati a se stessi senza servizi medici:
l'epidemia causò 250-300 morti.
Tra il 1940 e il 1945 nella quotidianità del lager
rientravano punizioni, appelli in piedi per ore, fame e lavori
forzati. Si lavorava quotidianamente dalle 8 alle 11 ore senza il
permesso di parlare. Nel caso di violazioni delle regole le
guardie ricorrevano a maltrattamenti e punizioni. Anche i bambini
dovevano lavorare. Chi tentava di fuggire veniva ucciso a colpi
di fucile.
Per la maggior parte dei prigionieri, Lackenbach era solo un
punto di passaggio. Il criterio distintivo era la capacità
lavorativa. Molti bambini piccoli e anziani furono deportati per
questo motivo. Prima della prima deportazione il lager contenne,
numero massimo raggiunto, 2.335 persone. 2000 di questi furono
trasportati nel campo di concentramento di Lodz, e da lì a
Kulmhof. Almeno 2.760 Sinti e Rom furono deportati a
Auschwitz-Birkenau dal 1943 in poi e uccisi.
Dei circa 4000 prigionieri del lager di Lackenbach solo un paio
di centinaia vissero fino alla liberazione a fine marzo 1945.
Poco prima dell'arrivo delle truppe sovietiche, i dirigenti si
ritirarono e lasciarono i prigionieri a se stessi. Ufficialmente
furono confermate 237 morti in quel lager. Testimonianze parlano
però di numeri maggiori.
Il destino dei superstiti
I superstiti erano indeboliti e avevano subito gravi danni alla
salute. Molti erano stati sottoposti a esperimenti all'interno
del lager, alcuni avevano accettato "spontaneamente" la
sterilizzazione per evitare la deportazione ad Ausschwitz. Chi
tornò a casa non possedeva più niente. Le case
erano state distrutte, i Comuni non li accettavano più.
Dovettero vivere in colonie in periferia, ancora più
lontane dai Paesi rispetto a quelle del primo dopoguerra.
Ex detenuti del campo di Lackenbach lottarono per anni per
ottenere risarcimenti. Un primo riconoscimento delle sofferenze
subite durante la seconda guerra mondiale fu rappresentato dal
monumento alla memoria dei Sinti e dei Rom inaugurato il 6
ottobre 1984 nell'ex-lager di Lackenbach. Tutto questo fu, tra
l'altro, merito di anni di impegno da parte della storica ebrea
Selma Steinmetz e della collaboratrice dell'Associazione per i
popoli minacciati austriaca Miriam Wiegele. Ma non si ebbe mai, a
differenza di ciò che accadde in Germania dal 1979 in poi,
una revisione della storia dei Sinti e dei Rom in Austria.
Nel Burgenland vivono oggi poco meno di 700 Rom. I "campi
zingari" stanno scomparendo. Pochi Rom hanno una formazione
scolastica o professionale completa. Nonostante si siano adattati
alle condizioni di vita della popolazione, solo pochi riescono a
ottenere risultati di accettazione sociale. Nel 1993 il governo
austriaco li ha riconosciuti ufficialmente come minoranza. Ma
ancora oggi Rom e Sinti subiscono gravi discriminazioni.
(1) Erika Turner: Roma im Burgenland/Österreich. Das "Zigeunerlager" Lackenbach. In: Pogrom Nr. 116/117, Gesellschaft für bedrohte Völker, Göttingen 1985.
Di Gerlinde Schmidt
Ludwig Horvath con la moglie Rom unghesere.
Con gli insediamenti orientali baiuvari del IX secolo che precedettero la creazione dell'Austria orientale di lingua tedesca, anche la parte occidentale dell'Ungheria, il futuro Burgenland, si trasformò in una regione a maggioranza tedesca. Nel 1921, con la fine della monarchia austriaca, l'Ungheria dovette cedere quella parte di territorio all'Austria. Il nuovo Land austriaco era abitato, oltre che da una maggioranza di lingua tedesca, anche dalla minoranza linguistica ungherese di antico insediamento (oggi costituisce il 2,4%, da una minoranza Rom e da una minoranza croata, giunta nella regione in seguito all'avanzata turca del XV secolo e che nel 1921 ammontava al 15% della popolazione e oggi costituisce solo il 6% della popolazione regionale. Nonostante la "Legge sui gruppi etnici" austriaca e il sostegno delle minoranze da parte dell'Unione Europea, le comunità etniche minoritarie austriache, e in particolare i Rom, lamentano una crescente discriminazione e assimilazione al gruppo maggioritario tedesco.
Ludwig lavora da quando ha imparato a camminare e a
raccogliere quanto trovava. Era una questione di sopravvivenza.
Nato nel 1951 dell'insediamento Rom di Oberwart, Ludwig crebbe
tra adulti segnati dal trauma dei campi di concentramento in un
comune che ignorava l'insediamento dei Rom. La sua origine
determinò anche la sua carriera scolastica. Non aveva un
posto per studiare visto che la famiglia, composta da dieci
persone, era costretta a vivere in 16 metri quadri, senza
elettricità né acqua corrente e il petrolio per le
lampade che andava usato con parsimonia. La maggior parte delle
persone dell'insediamento era analfabeta e la lingua dominante
era il Romanes del Burgenland, non certo il tedesco. "Gli
insegnanti preferivano che non venissimo neanche a scuola oppure
ti dirottavano direttamente alle scuole speciali". Quando Ludwig
aveva otto anni, la polizia si presentò a scuola: "Tutti i
bambini Rom vennero presi dalle aule scolastiche e portati alla
stazione di polizia, dove fummo fotografati e presero le nostre
impronte digitali. Gli insegnanti non protestarono e nemmeno i
genitori che avevano paura delle autorità. La carriera
scolastica di Ludwig finì dopo gli otto anni di obbligo
scolastico, durante i quali fu bocciato quattro volte.
A partire dai 15 anni di età Ludwig iniziò a
lavorare nei cantieri edili di Vienna visto che a Oberwart non
c'era alcuna possibilità di lavoro per lui. Il lavoro duro
in cantiere a partire dalla giovane età segnò il
fisico e la salute. A vent'anni conobbe una ragazza Romni
ungherese, la sposò e si trasferì in Ungheria,
dove, per la prima volta in vita sua, gli fu offerta la
possibilità di una vita migliore. Fece una formazione come
operaio forestale e il lavoro nei boschi gli piaceva molto. "La
mia condizione economica e anche quella generale migliorò
moltissimo. Quando mio fratello veniva a trovarci, uscivamo a
mangiare tutti insieme e potevo permettermi di pagare per tutti."
La fortuna non durò a lungo visto che Ludwig non
nascondeva le sue origini. Il suocero di Ludwig, nonostante fosse
a sua volta sposato ad una Romni ungherese, lo esortò a
interrompere ogni contatto con i Rom, e così Ludwig
tornò con la moglie e i due figli a Oberwart.
Il ritorno in patria segnò la fine di una vita normale,
Ludwig dovette tornare a lavorare nei cantieri edili, dove ad
ogni passo fu confrontato con la discriminazione che scaturiva
dalla sua origine etnica. I suoi superiori si comportarono in
modo corretto con lui, altrettanto non si poteva dire per i
colleghi di lavoro. Ludwig smise di frequentare anche la
trattoria locale, visto che vent'anni fa, come Rom, era probabile
che non si venisse nemmeno serviti. La discriminazione nei
confronti dei Rom non si fermava nemmeno di fronte ai bambini e i
soprusi della polizia nel villaggio rom costituivano la
normalità.
La situazione cambiò solo con la creazione delle prime
associazioni di Rom. Nel 1995 quattro persone dell'insediamento
Rom di Oberwart morirono in un attentato a matrice razzista.
Improvvisamente i Rom di Oberwart erano su tutti i mezzi di
informazione e il comune si trovò costretto a prendere
atto della situazione disastrosa in cui erano costretti a vivere
i Rom. Le case fatiscenti furono finalmente rinnovate, gli atti
evidenti di discriminazione non furono più tollerati e
migliorarono così anche le condizioni generali di vita dei
figli di Ludwig, in particolare dei due figli minori che
approfittarono del buon lavoro svolto dalle associazioni
rom.
Inizialmente Ludwig mostrava poco interesse per le
attività delle associazioni rom e tanto meno per la
propria lingua d'origine. Oggi invece è un fervido
sostenitore dell'associazione "Roma-Service" grazie alla quale
Ludwig ha imparato a scrivere nella sua lingua fino a
trasformarsi in scrittore di poesie e fiabe. Quando nel 2006
l'associazione diede vita al progetto "Testimoni del tempo
dell'Olocausto", progetto importante sia per la storiografia Rom
sia in generale per la ricerca sull'argomento, Ludwig fu chiamato
a condurre le interviste. Oggi Ludwig lavora anche come
volontario per la chiesa locale. Nel 2005 Ludwig fu costretto a
lasciare il lavoro per motivi di salute. Un anno dopo venne
dichiarato di nuovo sano e da allora è disoccupato. Le sue
condizioni fisiche non gli permettono più di svolgere
lavori fisicamente faticosi ma per tutti gli altri lavori non ha
la formazione necessaria. "In questo sistema un manovale
semplicemente non ha alcuna possibilità".
Di Christiane Fennesz-Juhasz. Per gentile concessione di Romano Centro
La Rom austriaca Ceija Stojka: deportata a Auschwitz nel 1943, liberata nel 1945 a Bergen Belsen.
Il bellissimo volume, l'ultimo libro della scrittrice e
pittrice Rom austriaca Ceija Stojka e non ancora pubblicato in
italiano, si apre con due poesie della scrittrice che delineano
le esperienze che più l'hanno plasmata e al tempo stesso
la sua filosofia di vita, o forse è meglio dire la sua
filosofia di sopravvivenza. La prima poesia, che da il titolo al
libro, ricorda i terribili luoghi in cui ha trascorso la prima
infanzia e il cui ricordo ha continuato a portarsi dentro per il
resto di tutta una vita: Auschwitz dove fu deportata nel 1943
quando aveva solo nove anni insieme alla madre e ai cinque
fratelli, Ravensbrück e Bergen Belsen da cui fu liberata nel
1945.
La seconda poesia invece è dedicata al fiore preferito
dell'autrice: "è vita ... il girasole ci regala il riso".
Seguendo questi due leitmotiv, il libro presenta, in ordine solo
apparentemente casuale, 80 opere di Ceija Stojka: i ricordi
traumatici dei campi di concentramento e delle atrocità
delle SS danno il cambio a immagini colorate di una natura in
fiore.
La pittura e la scrittura quotidiana sono attività a cui
Ceijka Stoijka si dedica in primo luogo per se stessa, come
confessa anche nel libro: "Se dovessi seppellire dentro di me i
miei ricordi molto probabilmente ne sarei schiacciata". Oltre ai
ricordi di morte, Ceija Stojka sente anche il bisogno di
recuperare le immagini custodite dentro di se su "come vivevano e
vivono i Rom".
Tutte le immagini sono corredate da un titolo, da un breve
commento, in tedesco e romanes, che ne spiega il contenuto, dalla
data e dalle indicazioni sul formato dell'opera originale, sulla
tecnica e i materiali usati. I quadri presentati nel libro
(creati tra il 1991 e il 2008) e la serie di grafiche "Anche la
morte ha paura di Auschwitz" (1997-2004) rappresentano uno
spaccato dell'ampissima produzione dell'artista. Il volume
è infine completato dal testo introduttivo "Erano Rom del
gruppo dei Lovara" e da un breve compendio della storia Rom in
appendice.
Nell'introduzione Ceija Stojka ricorda la quotidianità
della sua famiglia nell'epoca tra le due guerre per passare poi
al toccante racconto delle persecuzioni naziste e della
sofferenza e sopravvivenza nei campi di concentramento.
Libri di Ceijka Stojka pubblicati in Italia: Forse sogno di vivere. Una bambina rom a Bergen-Belsen, Ed. La Giuntina, 2007, 82 pag.
Di Thomas Huonker. Per gentile concessione di Romano Centro.
L'occupazione dell'areale del lido vicino alla casa dei trasporti di Lucerna del 1985 contribuì a dare forza alle richieste della Radgenossenschaft der Landstrasse per maggiori spazi di sosta e di transito per gli Jenische.
In Svizzera è stato emesso uno dei primi divieti di ingresso per Rom, precisamente nel 1471 a Lucerna. Fino al 1972 questo piccolo stato tra le Alpi ha tentato di tenere lontane quelle che in modo sprezzante chiamava "bande di zingari", contro cui annualmente venivano organizzata una vera e propria "caccia al mendicante" attraverso cui attuare i decreti di espulsione. Chi veniva catturato, veniva picchiato e marchiato a fuoco, chi risultava fermato per la seconda volta veniva impiccato o venduto per le galere di potenze amiche.
Nuovi cittadini di seconda classe
Nel XIX secolo le persone senza diritti erano chiamate "senza
patria" ed erano considerate elementi pericolosi. L'ondata
rivoluzionaria del 1848 portò solo in Svizzera alla
formazione di un governo liberal-democratico stabile e tra le
persone senza documenti anche i girovaghi, gli Jenische,
ottennero la cittadinanza svizzera e il diritto di voto. La
naturalizzazione però venne delegata alle comunità
montane più povere dove i nuovi cittadini divennero
cittadini di seconda classe senza alcun diritto di usufrutto dei
pascoli e dei boschi comunali.
Contemporaneamente la legge di naturalizzazione del 1850
proibì loro "il girovagare con bambini in età
scolastica", quindi di fatto proibì il loro stile di vita
tradizionale. A partire dal 1874 le leggi cantonali sui venditori
ambulanti resero loro particolarmente difficile se non
addirittura impossibile guadagnarsi da vivere come ambulanti. Chi
non osservava alla lettera le norme redatte con l'obiettivo di
rendere i girovaghi sedentari veniva considerato un criminale. Di
conseguenza gli Jenische non hanno mai potuto contare con una
rappresentanza presso gli organi statali che rispecchiasse la
reale proporzione della loro popolazione nel paese, né vi
possono contare oggi.
Divieto di ingresso dal 1882 al 1972
Se non altro i Liberali del 1848 fissarono la libertà di
movimento, lavoro e permanenza sul territorio per tutti, inclusi
i saltimbanchi, ammaestratori e altri Rom provenienti dall'Europa
dell'est. La concessione rimase in vigore per 40 anni, poi, nel
1888, i cantoni di confine decisero nuovamente di limitare
l'accesso al paese agli "zingari". Nel 1906 venne fissato il
"divieto per tutti gli zingari" di viaggiare con le ferrovie
svizzere, eccezion fatta per le deportazioni nel vagone
carcere.
Nel 1911 l'impiegato della polizia di Berna Eduard Leupold
sviluppò un particolare procedimento contro tutti coloro
considerati sommariamente "zingari". Le famiglie Sinti, Rom e
Jenische entrate illegalmente nel paese venivano fermate dalla
polizia e separate. Gli uomini erano condotti al carcere di
Witzwil, le donne e i bambini internati in case della Caritas e
dell'esercito di salvezza. Nel corso della cosiddetta "detenzione
a scopo identificativo" le persone erano fotografate e venivano
prese le loro impronte digitali. I dati personali così
ottenuti costituivano un "registro degli zingari" nazionale e
venivano scambiati con dati simili delle prefetture di Monaco e
di Vienna.
Dopo alcuni mesi le famiglie venivano ricongiunte presso un luogo
di frontiera per essere deportate. Le espulsioni e deportazioni
venivano eseguite senza alcun accordo precedente con i paesi
vicini, tant'è che spesso le famiglie, una volta varcato
il confine oltre la Svizzera erano fermate dalla polizia del
paese e ricacciate in Svizzera. Dopo decenni di via e vai, nel
1936 le autorità svizzere si decisero ad autorizzare in
via eccezionale la permanenza sul territorio di tre famiglie
sinti che da decenni vivevano illegalmente in territorio
svizzero. Tutte le altre persone identificate come "zingari"
continuavano ad essere espulse. Non fu fatta alcuna eccezione
nemmeno durante il regime del Terzo Reich e nel 1944 il giovane
Sinto Anton Reinhard fu espulso e ricondotto nella Germania
nazista dove fu assassinato nel 1945 dal soldato delle SS Karl
Hauger.
Separazione di famiglie, sottrazione di bambini, abusi
e castrazione
In seguito alla prima guerra mondiale e nel corso dei
procedimenti di separazione delle famiglie e di espulsione ideati
da Leupold, alcuni bambini jenische, sinti e rom erano rimasti
soli e isolati dai propri familiari. I bambini e adolescenti, in
tutto circa una ventina, furono alternativamente trasferiti in
istituti oppure consegnati a famiglie contadine come lavoratori
(minori) a basso costo. Tra questi bambini e adolescenti c'era
anche Josef Anton R. che nel 1934 fu visitato a Berna dallo
psichiatra tedesco e di fede nazista Herbert Jancke. In base al
referto psichiatrico Josef Anton fu castrato e trascorse il resto
della sua vita, fino alla morte nel 1972, imprigionato in
istituti svizzeri.
Con il sostegno del governo, la fondazione svizzera pro Juventute
portò avanti dal 1926 al 1972 un programma di intervento
sugli Jenische non dissimile da quanto appena descritto.
L'insegnante Alfred Siegfried, condannato e allontanato nel 1924
dall'insegnamento per atti di pedofilia, gestì fino al
1958 il "programma assistenziale per i bambini della strada"
della fondazione pro Juventute. Con un iter definitivamente
extra-giudiziario le autorità assegnarono all'insegnante
pedofilo circa 600 bambini jenische, che furono in parte
ricollocati in famiglie contadine come forza lavoro a basso costo
e in parte sistemati in istituti. Molti di questi bambini e
ragazzi così come i genitori che osavano protestare hanno
trascorso anni in istituti penitenziari senza aver mai subito
alcun processo o condanna.
Decine di bambini strappati alle proprie famiglie e sotto tutela
del cosiddetto programma assistenziale finirono come casi
permanenti in case di cura psichiatriche, dove i loro dati furono
usati come dimostrazione della teoria razzista dello psichiatra
svizzero Josef Jörger secondo cui gli Jenische sarebbero
stati geneticamente inferiori. La teoria di Jörger,
pubblicata per la prima volta nel 1905 in una rivista per
"l'igiene della razza" fu poi ripresa da Robert Ritter, figura
centrale del genocidio nazista di Sinti, Rom e Jenische.
Il successore di Siegfried alla pro Juventute fu Peter
Döbeli, anch'egli pedofilo che abusò dei minori posti
sotto la sua tutela. Ciò nonostante la fondazione venne
sciolta solamente nel 1973. In alcuni cantoni, come ad esempio
nel Canton Schwyz, le autorità cantonali continuarono a
praticare le separazioni di famiglie, i ricoveri coatti in
istituti e la sterilizzazione coatta delle donne jenische. In
questi cantoni la persecuzione sistematica degli Jenische da
parte delle autorità continuò fino agli anni
'80.
Tempi diversi per la fondazione delle organizzazioni
di Jenische, Sinti e Rom
Nel 1975 le vittime della persecuzione statale fondarono a Berna
l'associazione per i diritti umani e civili "Radgenossenschaft
der Landstrasse". Composta principalmente da Jenische,
l'associazione chiedeva posti di sosta per le roulotte, visione
degli atti riguardanti gli Jenische, rielaborazione
storico-scientifica della persecuzione e l'abolizione o almeno la
riduzione delle tasse per la vendita ambulante. Restie ad
accogliere le richieste degli Jenische, le autorità
riuscirono a trascinare la questione per decenni. La richiesta di
elaborazione scientifica delle persecuzioni e della
discriminazione fu particolarmente difficile da far accettare
visto che risultavano direttamente sotto accusa diversi rami
della scienza (giustizia, psichiatria, medicina). La questione fu
accolta negli ambiti scientifici solo a partire dal 1998 e in
diverse tappe.
Le prime organizzazioni di Rom furono fondate solo a partire
dagli anni '90. Un importante spinta alla creazione delle
organizzazioni rom fu la concessione di asilo politico da parte
della Svizzera ai molti profughi di guerra rom proveniente nel
corso degli anni '90 dalla ex-Jugoslavia. Altri gruppi di Rom
erano giunti in Svizzera già a partire dagli anni '60
senza però farsi riconoscere come tali.
In Svizzera si è quindi avuto uno sviluppo inverso
rispetto all'Austria e alla Germania, in cui i primi ad
organizzarsi furono Sinti e Rom mentre gli Jenische hanno
iniziato da relativamente poco tempo a fondare proprie
organizzazioni e a chiedere il riconoscimento come gruppo etnico
a sé stante. Inoltre anche gli Jenische come Sinti e Rom
chiedono il riconoscimento delle persecuzioni naziste nei loro
confronti, tema su cui negli scorsi anni sono stati finalmente
pubblicati diversi testi e ne seguiranno certamente altri.
Su questo argomento specifico si consiglia di leggere i libri di Mariella Mehr. Ecco alcuni titoli tradotti in italiano: Steinzeit; Accusata; La bambina; Notizie dall'esilio.
Peter Mercer.
Peter Mercer, oggi uno degli anziani del movimento gypsy britannico, ha collaborato per molti anni con l'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ed è stato uno dei promotori dell'Unione Romanì internazionale. Nel 1981 ha contribuito in modo determinante al successo del Primo Congresso Mondiale Rom, organizzato a Göttingen dall'APM e patrocinato dalla premier indiana Indira Ghandi e dal grande umanista e "cacciatore di nazisti" Simon Wiesenthal. Ho avuto l'onore di poter vivere per due settimane nella roulotte della famiglia Mercer a Peterborough e di poter osservare da vicino il grosso e variegato lavoro che Peter svolge per i suoi compatrioti gyspy. Insieme a Peter e a Katrin Reemtsma abbiamo organizzato una conferenza stampa a Dublino per i Tinker irlandesi, allora particolarmente discriminati, e abbiamo presentato una documentazione sulla loro situazione. (Tilman Zülch)
APM: Quando ha iniziato a partecipare in modo
attivo al movimento Rom?
Peter Mercer: lavoro nel movimento dal 1972. Mi
sono occupato della legislazione e della discriminazione che
allora era molto diffusa, soprattutto a Petersborough vicino a
Cambridge, dove vivo. Iniziai a lavorare per un partito locale e
fondammo anche il "East Anglia Gyspy Council" (Consiglio gitano
dell'Anglia orientale) che continua a svolgere un importante
lavoro di base. Nel corso del tempo sono state create parecchie
organizzazioni non governative (ONG) che sostengono a livello
regionale gli interessi dei Rom. Tutto ciò ha aiutato a
mettere in rete le diverse comunità gitane e a
rafforzarle. E' ciò che ha contribuito a far cambiare la
loro situazione.
APM: Come giudica l'attuale situazione dei
Gitani in Gran Bretagna?
Peter Mercer: La loro situazione è
migliorata negli ultimi anni ma resta tuttora insostenibile.
Ovviamente è più difficile migliorare la situazione
di una popolazione girovaga che non si ferma stabilmente in un
determinato posto.
APM: Qual'è la Sua attuale
attività?
Peter Mercer: Sono tuttora coinvolto nel
movimento Rom, sia a livello locale sia a livello internazionale.
Faccio parte del direttivo di diverse organizzazioni Rom e
attualmente detengo la presidenza della federazione Nazionale
delle associazioni gitane. Per 13 anni ho rappresentato il mio
popolo al parlamento e ora sono membro dell'Unione Internazionale
dei Rom (IRU) che insieme all'APM ha organizzato nel 1981 il
Congresso dei Sinti e Rom a Göttingen. Per il mio lavoro
sono stato insignito del titolo "Member of the British Empire"
(membro dell'Impero britannico) e posso aggiungere la sigla MBE
al mio nome. Il mio compito principale consiste nel dibattere con
i diversi ministeri del governo su questioni legislative come sul
trattamento riservato alle diverse comunità Rom.
APM: Cosa fa il governo britannico per i
Rom?
Peter Mercer: L'attuale governo si è
impegnato a ristrutturare i vecchi luoghi di sosta e accampamento
dei Gitani, in parte ne vengono addirittura costruiti di nuovi.
Inoltre sta lavorando molto sulla questione della
discriminazione. Il governo ha un ruolo importantissimo nella
lotta alla discriminazione. Le attività del governo sono
talmente numerose che a volte nemmeno noi ne siamo informati. Non
sempre siamo in accordo con il governo ma c'è un buon
dialogo, si realizzano molti incontri, discussioni e conferenze.
Anche se molto è già stato fatto, possiamo dire che
siamo solo agli inizi per quanto riguarda la presa di coscienza
del problema.
APM: Quali sostegni ricevete dall'UE?
Peter Mercer: E' molto difficile collaborare con
l'UE. Riceviamo poche risposte - evidentemente l'UE ha da fare
con i propri problemi.
APM: Cosa fa la comunità gitana per se
stessa?
Peter Mercer: Stiamo realizzando numerosi
progetti, ma purtroppo non tanti quanti vorremmo. Collaboriamo
anche con i Rom dell'Europa dell'est e stiamo tentando di
costruire una rete rom europea. Offriamo corsi per Rom tenuti da
insegnanti rom, come p.es. la formazione nella mediazione di
conflitti o semplici programmi di formazione. Vorrei che si
arrivasse ad offrire molti più corsi di questo tipo.
APM: le definizioni "Gitani" e "Rom" sono solo
definizioni molto generiche e superficiali. Come vi auto-definite
in Gran Bretagna?
Peter Mercer: Ci sono diversi gruppi.
Innanzitutto ci sono i Rom, i Gitani inglesi tradizionali,
soprattutto in Inghilterra e nel Galles. Poi ci sono i cosiddetti
Kale nel Galles settentrionale, e poi ci sono i Rom provenienti
dall'Europa: dalla Polonia, dalla Repubblica ceca e da altri
paesi ancora. I Viaggianti irlandesi non sono Gitani, esattamente
come non lo sono i viaggianti scozzesi o i cosiddetti Longboat
People. Come vedi, ci sono tanti gruppi diversi.
APM: Secondo Lei, cosa dovrebbero fare i
governi, le ONG e i Gitani stessi per migliorare la loro
situazione?
Peter Mercer: Per secoli i Rom sono stati
discriminati ed esclusi dalla società. Essere un Rom
equivale ad essere un pericoloso criminale. Si tratta di una
situazione che rende molto difficile lavorare per se stessi,
modernizzarsi e tentare di farsi accettare dal resto della
popolazione. Le leggi anti-discriminazione sono state di grande
aiuto. Il governo può aiutare molto mettendo a
disposizione luoghi di sosta e accampamento e permettendo
così ai Gitani di insediarsi. Ma non tutti vogliono
diventare sedentari e vorrebbero invece continuare a mantenere il
loro stile di vita girovago. In Gran Bretagna ciò è
considerato nomadismo, ma il nomadismo qui è illegale.
Quindi bisogna ridefinire il concetto di nomadismo. Il girovagare
e il viaggiare nel nostro senso deve essere permesso e reso
legale. I diversi campi sosta dovrebbero creare una rete in modo
tale che le famiglie Rom sappiano dove possono andare e fermarsi
per qualche giorno senza correre il pericolo di essere
continuamente cacciati da un posto all'altro. Il governo deve
istituire dei programmi per sorvegliare la situazione nei luoghi
di sosta, anche in quelli attrezzati per la sosta permanente. Ho
paura che il prossimo governo non sarà più disposto
a fare per i Rom tanto quanto fa questo governo. Per questo
dobbiamo tentare di risolvere ora tanti problemi quanto
più è possibile.
APM: Secondo lei, come cambierà la
situazione dei Rom nei prossimi anni?
Peter Mercer: Come già detto, devono
essere messi a disposizione più campi di sosta e la gente
deve avere la possibilità di insediarsi se lo desidera. In
questo caso il governo ricopre un ruolo importante. Ma è
anche importante dare attenzione ai bisogni individuali delle
famiglie. Bisogna collaborare con le famiglie e facilitare la
loro integrazione sociale, quindi mettere a loro disposizione
educazione, sanità, ecc. Tentiamo di ottenere tantissimo,
ma le cose procedono solo molto lentamente. Bisogna collaborare
con tantissima gente per riuscire a spezzare la resistenza della
società, per esempio quando una comunità non vuole
un campo sosta in vicinanza del proprio villaggio. Spero che
prima o poi il duro lavoro svolto negli scorsi decenni dia i suoi
frutti perché finora purtroppo abbiamo raggiunto davvero
poco.
Di Elisabetta Vivaldi
"Affinché l'Italia non dimentichi la vergogna delle leggi razziali": bambini rom ad una manifestazione in Italia nel 2008.
Sono passati ormai secoli dall'arrivo dei primi rom in Italia.
Secondo alcuni studiosi la loro venuta in Europa risale al XV
secolo come testimoniato dalle cronache del tempo. Documenti
ufficiali riferiscono di compagini che si spostavano sul
territorio con donne e bambini, carri e cavalli, condotti da un
capo, vojvoda, duca, capitano o signore che dir si voglia. Alcuni
di questi gruppi vennero definiti "penitenti" o "pellegrini" che
vivevano delle elemosine pubbliche e di concessioni
private.
Tra le prime attestazioni della presenza rom nella Penisola
c'è la Cronica di Bologna del 1422 che cita un tale duca
Andrea, arrivato in città assieme alla sua gente
dall'Ungheria. Secondo la fonte, il gruppo rom menzionato fu
cristianizzato con la forza da un sovrano magiaro che uccise chi
non volle sottomettersi al suo volere. I ribattezzati ricevettero
un salvacondotto per pellegrinare alla volta di Roma e
raggiungere il Vaticano prima di poter rimpatriare. Secondo il
manoscritto quel lasciapassare li autorizzava "a rubare in
qualunque luogo al mondo decidessero di andare senza consentire
di giustiziarli". Arrivati a Bologna, i rom si accamparono presso
"la porta di Galiera" mentre il loro duca fu ospitato dal re. Si
credeva che la sua consorte avesse doti magiche, di preveggenza,
e che potesse quindi discernere il vero dal falso. I rom sin da
allora dicevano di provenire dall'India, come riportato nel
Cronicon fratris Hieronymi de Forlivi e, a detta dell'autore, si
dimostravano "non molto morigerati, anzi piuttosto simili ad
animali selvaggi".
Lungo il loro cammino, i rom, detentori di una cultura profonda e
millenaria propria, hanno stimolato la fervida produzione
immaginativa di chi li incontrava ma, durante epoche diverse,
sono stati sempre classificati con coloriti epiteti che nella
maggioranza dei casi celavano un contenuto poco rispettoso delle
loro peculiarità e assai contaminato da retaggi
pregiudiziali totalmente infondati. L'Italia fu raggiunta da due
differenti direzioni, meridionale e settentrionale, come conferma
il fatto che il romanés meridionale non ha prestiti dalle
lingue germaniche.
Negozietto Rom ad un angolo di strada a Roma.
"Rom", "Sinti", "viaggianti", "camminanti", "pellegrini",
"Zingari", circensi, giostrai, signori o accattoni, ladri o
artisti: chi sono queste genti a cui si riferiscono le fonti del
passato? Sebbene essi preferiscano essere chiamati semplicemente
col loro nome, rom (uomo), molti, per volontà o mera
ignoranza, adottano tutt'oggi una terminologia non corretta. Come
soprannome, gli è stato dato dagli scrittori romantici,
quello di "figli del vento". Ma quale vento li portò e
ancora li sospinge ad attraversare terre senza trovare pace?
Sicuramente una brezza che soffiò e che a tratti nel tempo
spira ancora, più vigorosa che mai, una corrente che
troppo spesso colpisce il popolo rom indifferentemente da dove
esso si trovi: il vento dell'intolleranza.
A distanza di più di mezzo millennio dalla stesura dei
suddetti manoscritti, il grado di conoscenza dei rom e dei sinti
da parte della maggioranza della popolazione italiana è
rimasto piuttosto limitato. La popolazione, infatti, li definisce
più o meno allo stesso modo delle antiche cronache,
chiamandoli denigratoriamente "zingari" e dipingendoli nella
stessa erronea maniera di secoli orsono. In Italia, stereotipi e
conseguenti pregiudizi emergono tuttora e casi di discriminazione
ai danni di persone identificate come "nomadi" (inclusi minori)
sono all'ordine del giorno. Le istituzioni pubbliche e una grande
porzione di popolazione civile sono affette da una crescente
"romafobia" che prescinde dalla preferenza politica o dal livello
d'istruzione.
Gli errori nascono dall'incomprensione, i non-rom non conoscono
la cultura del popolo rom, anzi, sono spesso fin troppo convinti
che essi siano "nomadi, disonesti ed incapaci di inserirsi nella
società moderna". In Italia è possibile bipartire i
rom in due sottogruppi: quelli che appartengono ad una minoranza
storica e che, pertanto, possiedono documenti italiani e quelli
appartenenti a gruppi emigrati, relativamente di recente, a causa
di diversi fattori di spinta. Alcuni sono giunti nel "Bel Paese"
dopo la II Guerra Mondiale, vittime del Samudaripen (genocidio,
uccisione collettiva) 1) e della diaspora; altri
negli anni '50-'60 si sono trasferiti per motivi economici,
perché facevano lavori itineranti o per ricongiungersi
alla propria famiglia allargata.
Donne Rom che danzano ad una manifestazione davanti al Colosseo a Roma.
Durante gli anni '90, molti nuclei familiari sono scappati
dall'ex Jugoslavia a causa dei conflitti che ne facevano target
per tutte le fazioni in lotta. Si sono lasciati alle spalle ogni
cosa, incluso i beni immobili, sperando di poter richiedere asilo
come rifugiati ma hanno ottenuto, solo parzialmente lo status di
"protezione temporanea" e di rado sono stati aiutati
efficientemente dal punto di vista economico e dell'integrazione,
piuttosto sono stati costretti ad abitare nei "campi nomadi",
strutture senza servizi fondamentali e che spesso non hanno
consentito, nei fatti, agli arrivati e ai loro figli e nipoti,
nati in Italia, di accedere agli stessi diritti garantiti alla
popolazione italiana.
Con la costituzione di nuove Repubbliche indipendenti e sovrane,
inoltre, il loro vecchio passaporto della Repubblica Socialista
Federale di Jugoslavia è stato invalidato. In molti casi
nuovi documenti non sono mai arrivati. L'apolidia, infine, ha
lasciato intere famiglie sospese nella totale incertezza, senza
documenti per condurre una vita normale: affittare una casa,
trovare un lavoro, certificare un reddito, andare a scuola
autonomamente senza l'intervento di ong o istituzioni esterne che
facessero loro da garante. Giunti per ultimi sono i rom rumeni,
cittadini di uno stato membro dell'UE ma ugualmente bersagliati
indiscriminatamente dalle istituzioni, dalla stampa e
dall'opinione pubblica.
Denominatore comune per tutti i gruppi rom, indipendentemente
dalla provenienza geografica, dall'appartenenza a comunità
storiche, sedentarie o semi-itineranti è quindi l'essere
vittime di intolleranza, di dicerie su di loro, di miti vecchi e
nuovi creati per discreditarli. Troppo spesso si tende a far
coincidere la nazionalità con l'asocialità, la
povertà e la mancanza di pari opportunità e diritti
con la criminalità.
Crescente fobia per i Rom in Italia: dimostrazione Rom contro il "Vento dell'intolleranza".
La loro mobilità, spesso anche all'interno di uno
stesso paese, è dovuta a motivazioni correlate a
disfunzioni conflittuali di vario genere, anche economiche. Gli
svantaggi rappresentano il primo fattore di spinta migratoria
mentre il secondo è la paura di essere lesi che purtroppo,
come si riscontra ultimamente non è frutto di un'illusione
ma una certezza che si pone a fondamento di una scelta
inevitabile ritenuta necessaria alla sopravvivenza. In Italia,
sin dagli anni '80, varie leggi regionali intendevano proteggere
le "culture nomadiche" senza però considerare che la
maggior parte dei rom non è più nomade da
generazioni.
Fondandosi su una visione romanticizzata dei rom "figli del
vento", molte decisioni adottate dai non rom mediante le loro
leggi si sono dimostrate inefficaci. La loro percezione degli
"Zingari", per quanto stimolante e folkloristica, non è
sempre stata totalmente conforme alla realtà dei fatti e
quindi non del tutto immune dal retaggio di vecchi pregiudizi
ormai consolidati. Ai rom troppo spesso in passato non è
stato chiesto di partecipare direttamente e senza intermediazione
alle scelte fatte in loro vece. Mentre si è
istituzionalizzato il nomadismo di comunità sedentarie, la
maggior parte dei rom in Italia chiedeva e ancora chiede case,
lavoro ed eguaglianza nel rispetto, però, del proprio
patrimonio culturale.
Invece di riscontrare un miglioramento nella condizione dei rom
in Italia, la situazione è notevolmente peggiorata e negli
ultimi anni si sono moltiplicati discorsi che fomentano l'odio
razziale (hate speaches) contro i rom particolarmente in campagna
elettorale, momento molto importante per vita sociale e politica
del Paese. Politici, giornalisti ed altri personaggi che hanno
influenza diretta sulle masse, hanno ignorato totalmente la
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la Carta dei Diritti
Fondamentali dell'Unione Europea, la stessa Costituzione
Italiana, numerose leggi e raccomandazioni ufficiali. Tutti
infervorati da convinzioni stereotipate ed antiquate atte a
scuotere l'animo del popolo italiano e a sollecitare le sue
più profonde paure, hanno evocato il ricordo di antiche
dicerie usate per spaventare i bambini, senza però
preoccuparsi dell'influenza negativa e pericolosa delle loro
affermazioni.
"Attento che ti prendono gli zingari" o "gli zingari sono furbi e
cattivi, anche i bambini, e lasciano strani segni sui muri delle
case per indicare chi derubare". Sono riemerse le figure
immaginarie della zingara rapitrice di bambini, dello zingaro
infido e ladro che uccide senza scrupoli, dei genitori zingari
che sfruttano e abusano i figli che hanno procreato, rendendoli
un puro strumento di profitto. E' risorta l'idea
dell'asocialità del popolo zingaro visto come "un pericolo
per l'ordine pubblico", riesumata dalle destre conservatrici e
nostalgiche e dalla xenofoba e separatista Lega Nord
2).
La questione rom non è stata approcciata come violazione
dei diritti di un popolo e non è mai stata affrontata in
modo appropriato da nessuna fazione politica, seppure di corrente
diversa. I rom che vivono in Italia, stanno attraversando uno dei
momenti più bui della loro storia.
Dal maggio 2008 è stato dichiarato lo stato di emergenza
"nomadi" nelle Regioni Campania, Lazio e Lombardia che sarebbe
dovuto durare fino a marzo 2009 ma l'emergenza sicurezza è
stata poi prolungata ed estesa anche ad altre aree. Poteri
straordinari, che normalmente vengono concessi durante gravi
emergenze ambientali, sono conferiti ai Prefetti sulla base della
legge 225/92. Tre ordinanze del Consiglio dei Ministri hanno
messo in atto quanto stabilito in precedenza. I Prefetti sono
diventati "Commissari Straordinari" subordinati al Ministro degli
Interni con l'incarico intervenire nella loro Regione per
risolvere l'emergenza campi nomadi attraverso il monitoraggio, il
censimento e l'espulsione degli abitanti irregolari.
Come rapportato da numerose agenzie ed organizzazioni, i rom
abitanti dei campi, sono stati censiti e l'indagine ha coinvolto
anche i minori. Sono state prese le impronte digitali, scattate
fotografie e raccolti dati privati di vario genere
3). A Maggio dell'anno scorso, inoltre, la
popolazione rom è stata violentemente attaccata
soprattutto nella zona di Ponticelli (Napoli) dove una folla di
gente inferocita e armata di mazze e pietre, ha accerchiato un
campo abitato da rom romeni e l'ha dato alle fiamme. Non sono
stati segnalati feriti ma gli abitanti sono dovuti scappare
lasciandosi alle spalle tutto ciò che avevano. Secondo
quanto riportato il campo di Ponticelli è stato dato alle
fiamme altre tre volte successivamente per non far riavvicinare i
rom.
Gli autori dell'attacco non sono stati identificati ed il
movente, sul quale sono state ricamate varie interessanti
ipotesi, sembra trovare fondamento nell'intolleranza della
popolazione e forse anche su altri motivi che però non
sono stati mai né confermati né smentiti da
appropriate indagini. Bisogna dire che, in passato, numerosi
episodi di incendio sono stati riportati nei campi rom di
Catania, Milano, Roma ma anche in altri luoghi. Nel 2007, quattro
bambini rom arsero vivi nel "rogo di Livorno" e i loro genitori
furono arrestati per "abbandono di minore". Il gruppo EveryOne
che ne diede la notizia, fece circolare una petizione per
liberare i genitori e per investigare su di alcuni elementi che
comprovavano l'ipotesi di omicidio a sfondo razziale causato da
una bottiglia incendiaria tirata da razzisti, piuttosto che da un
caso fortuito.
Il caso di "Angelica", rom romena di appena sedici anni, accusata
di aver tentato di rapire un bambino napoletano, è da
considerarsi come la ciliegina sulla torta costituita di una
serie di devastanti eventi che hanno colpito sia rom che sinti
durante lo scorso maggio 4). Madre di una bimba,
"Angelica" si è trovata al centro di un'articolata
vicenda, divenendo involontariamente testimonial di un caso
emblematico. Pochi mesi dopo la pubblicazione di un interessante
studio 5) a comprova che le rom in Italia non
hanno mai rapito bambini, anzi che spesso sono le istituzioni ad
agire con criteri differenti da giudice a giudice , la giovane ha
ricevuto una punizione esemplare.
Non sono bastati numerosi appelli degli attivisti,
l'interessamento dell'Europarlamentare rom ungherese
Viktória Mohácsi e del presidente dell'Union Romani
Juan de Dios Ramirez Heredia, ex europarlamentare gitano di
Spagna, che si era offerto di "indossare la toga per difenderla
". La romnì, sottoposta a detenzione cautelare sin dal
momento dell'arresto, ha rifiutato le agevolazioni correlate
all'ammissione di colpa continuando a dichiararsi innocente.
É stata condannata, l'11 gennaio 2009, a tre anni e otto
mesi per un reato che parte da un minimo di 8 mesi di reclusione
perché le è stata data l'aggravante di "minorata
difesa". Il caso di Angelica desta ancora numerose
perplessità, come del resto molti altri, pertanto ci si
augura che non venga dimenticato e che non vengano trascurati
neppure gli eventi di Ponticelli e di tanti altri luoghi in cui
rom e sinti sono stati attaccati a causa della loro appartenenza
etnica.
Note:
1) Sul termine "Samudaripen" vedi Hancock, I.: Te Patrin Web
Journal. Sul termine "Porrajmos": http://www.geocities.com/~patrin/holcaust.htm
2) Discorso razzista di Giancarlo Gentilini contro i Rom
(compresi i bambini) e altre minoranze durante la "Festa dei
Popoli" a Venezia il 14 settembre 2008: www.youtube.com/watch?v=_WCZNQJkV3E
3) Una rete di diverse organizzazioni ha redatto il rapporto
dettagliato "Security á la Italiana. Fingerprinting,
Extreme Violence and Harrassment of Roma in Italy":
www.soros.org/initiatives/brussels/articles_publications/publications/fingerprinting_20080715
4)
www.everyonegroup.com/EveryOne/MainPage/Entries/2008/5/18_Anti-gypsy_sentiments_out_of_control_in_Italy._The_truth_about_the_kidnapping_in_Naples.html
5) Informazioni sullo studio: S. Bontempelli, "I Rom rubano i
bambini? Uno studio dimostra che non è vero" (November 12,
2008):
http://sergiobontempelli.wordpress.com/2008/11/12/zingararapitrice/
Di Paul Polansky
L'ex campo di lavoro Lety oggi: un enorme allevamento di maiali. Foto: Archivio Paul Polansky.
Un qualcosa che i Rom chiamano "magla" (una nebbia che tutto
nasconde) continua ad avvolgere ciò che ai Sinti e Rom
dell'odierna Repubblica ceca è successo durante la Seconda
Guerra mondiale. Negli oltre dieci anni di ricerche fatte negli
archivi cechi e durante le interviste a più di 100 Sinti e
Rom sopravvissuti all'Olocausto, ho incontrato solo pochi
scienziati, collaboratori di governo o mezzi di informazione
cechi che veramente volessero sapere cosa esattamente abbiano
subito Sinti e Rom durante quel periodo. Il motivo del loro
disinteresse è evidente. La responsabilità della
popolazione ceca per l'annientamento delle comunità sinti
e rom durante la seconda guerra mondiale è molto maggiore
di quanto la maggior parte non sia disposta ad ammettere. Secondo
un articolo del New York Times del 1939, che si richiama a fonti
di Praga e Bratislava, nell'odierna Repubblica ceca vivevano
prima della Seconda Guerra Mondiale circa 35.000 Sinti e Rom e
altri 80.000 nell'attuale Slovacchia. A fine guerra il governo
cecoslovacco riportò che nella zona ceca erano
sopravvissuti appena 300 Sinti e Rom mentre era sopravvissuto il
90% dei Sinti e Rom slovacchi.
Secondo i sopravvissuti da me intervistati, all'inizio della
guerra la maggior parte dei Sinti e Rom era cosciente del fatto
che avrebbero avuto maggiori possibilità di sopravvivenza
nelle regioni slovacche del paese. Coloro che avevano la
possibilità di riparare in Slovacchia vi fuggirono
perché tutti sapevano qual'era la considerazione che i
Cechi avevano degli "zingari". Ancora prima che l'esercito
tedesco entrasse a Praga, il governo ceco emise una legge per
l'istituzione di campi di lavoro in cui deportare i cosiddetti
"restii al lavoro". Nonostante la maggior parte dei Sinti e Rom
avesse un lavoro fisso o svolgesse un lavoro artigianale furono
comunque arrestati e deportati.
Molti nobili cechi come il principe Karel Schwarzenberg
sfruttarono la legge sui campi di lavoro per ottenere lavoratori
a basso costo per le proprie tenute. Nel 1939 una tempesta di
neve causò gravi danni ai circa 10.000 ettari di bosco
della tenuta di Schwarzenberg. Per recuperare il legname,
Schwarzenberg richiese al governo lavoratori dai campi (prima
Ebrei e poi Zingari) e ottenne anche un contributo dal governo
per aver istituito un campo di lavoro nei pressi della sua
proprietà ad Orlik. Si trattava del campo di lavoro di
Lety, gestito esclusivamente da personale ceco e da un comandante
ceco. Ciò che una volta era un famigerato campo in cui,
secondo le testimonianze dei sopravvissuti, centinaia morirono di
fame, furono picchiati a morte o gasati nei camion, oggi è
un'enorme allevamento di maiali.
Lety era solo uno dei complessivamente 199 campi di lavoro
forzato istituiti su territorio ceco. Il fatto che il campo di
Lety sia stato istituito, costruito e gestito esclusivamente da
Cechi ne fa un simbolo per la posizione assunta da una fetta
della popolazione nei confronti di Sinti e Rom durante e anche
dopo la Seconda Guerra Mondiale, tant'è che negli anni '70
l'ex-campo fu trasformato in allevamento di maiali senza alcuna
considerazione per le fosse comuni che vi si trovavano. La
comunità internazionale rivolse diverse richieste ai vari
governi cechi affinché l'ex campo di Lety fosse
trasformato in un luogo di ricordo, come previsto dalla
Convenzione di Helsinki per i campi di morte della Seconda Guerra
Mondiale. A partire dal governo del presidente Havel che nel 1995
promise di chiudere l'allevamento di maiali senza però
dare seguito alla promessa, ogni governo ceco ha capitolato di
fronte alla pressione pubblica e l'allevamento di maiali è
cresciuto da 5.000 fino a 20.000 maiali.
Nell'odierna Repubblica Ceca non ci sono più i nazisti
tedeschi a imporre al governo ceco la sua politica nei confronti
di Sinti e Rom. Quindi il paese non ha più alcuna scusante
per le molte persone appartenenti a questa minoranza che tuttora
si vedono costrette a fuggire e a chiedere asilo politico in
altri paesi. Nel 1996 ho vissuto in prima persona i motivi per
cui così tanti Sinti e Rom fuggono dal pese. Ospite in un
insediamento rom, ho visto con i miei occhi le pattuglie della
polizia ceca scaricare gruppi di skinhead di fronte
all'insediamento che poi avrebbero attaccato, e leggendo gli
articoli attuali nella stampa ceca capisco che nulla è
cambiato. Nella repubblica Ceca i Rom continuano ad essere
aggrediti in casa propria, qualche volta muore qualche bambino
rom ma pochi ne sembrano veramente preoccupati.
E' raro che un presunto paese civile come la Repubblica ceca sia
così orgoglioso di un suo simbolo maleodorante come un
allevamento di maiali.
Paul Polansky dirige dal 1999 il gruppo di lavoro dell'APM in Kosovo/Serbia.
Di Till Mayer
Elena Gorlova nel suo piccolo ufficio dell'organizzazione di auto aiuto 'Vzajemne Souziti'. Circa 60 donne di Ostrava aspettano invano di ricevere almeno le scuse formali per la sterilizzazione subita.
Convincere le donne rom con molti bambini a farsi sterilizzare faceva parte della politica della Cecoslovacchia comunista. Per raggiungere l'obiettivo le autorità non disdegnavano le minacce e le pressioni, come riportano le associazioni per i diritti umani. Le vittime di questa politica attendono tuttora un risarcimento o almeno delle scuse ufficiali che non arrivano. Invece continuano ad emergere casi sempre nuovi di abusi. Un gruppo di auto-aiuto di donne di Ostrava nella regione di Moravia-Slesia si attiva.
Ostrava/Moravia-Slesia. Ci sono momenti in cui Elena Gorlova
vorrebbe semplicemente urlare il più forte possibile per
liberare tutta la rabbia, tutto il senso di impotenza che si
porta dentro. Ma c'è stato un periodo, mesi, in cui la
tristezza dentro di lei era talmente grande da ammutolire anche
la voglia di urlare. Mesi in cui non trovava rabbia dentro di
sé, ma solo un'indifferenza pesante che l'avvolgeva tutta,
togliendole anche il respiro. "Era come se i miei stessi pensieri
mi soffocassero", racconta la quarantenne oggi.
Elena Gorlova fa un respiro profondo. Di fronte a lei, una fila
di vecchie case di mattoni rossi. Nei giroscala delle abitazioni
multifamiliari casca l'intonaco, le finestre che non proteggono
da alcuna corrente risalgono ai tempi prima della guerra, e
laddove si sono rotte, i telai sono stati semplicemente riempiti
con file di mattoni. Nel cortile sono parcheggiate macchine
costruite durante l'era socialista, i bambini giocano a calcio
davanti ad una casa in procinto di essere demolita. Un lato del
piccolo quartiere è delimitato da un muro dietro al quale
si scatena il traffico della superstrada che porta in Polonia.
L'intero quartiere trasmette una sensazione di pesante
desolazione proprio nel cuore dell'Europa.
Helena Balogova si fidava ciecamente del medico -
è analfabeta
"Questa parte di Ostrava-Privoz è un ghetto", commenta
Elena Gorlova. La voce della donna ha un tono triste, sa
esattamente di cosa parla perché fino a poco tempo fa
anche lei viveva qui. Oggi invece viene a visitare Helena
Balogova. La donna 47-enne ha problemi finanziari, da anni non
riesce a trovare un lavoro stabile e ciò che guadagna il
marito come manovale non basta per arrivare a fine mese. Pochi
giorni fa le è stata tagliata la luce e spento il
riscaldamento. A casa sua fa freddissimo, davanti a casa la neve
forma una coperta bianca e ghiacciata. Le montagne sono vicine,
qui l'inverno è lungo e freddo.
Oggi Helena non fa entrare i suoi ospiti, non può offrirci
nemmeno una tazza di te e se ne vergogna. Elena l'ha già
aiutata molto, semplicemente essendoci e ascoltandola. E
capendola quando racconta della tristezza che dopo tanti anni non
svanisce. Entrambe hanno subito lo stesso sopruso. Nel 1990
Helena Balogova voleva farsi mettere una spirale. Aveva
già quattro figli e per il momento non ne voleva altri.
Alla visita ginecologica in ospedale il medico le ha detto
"questa volta ci sarà bisogno di un piccolo intervento
chirurgico." Un intervento chirurgico per mettere una spirale?
Helena si è fidata ciecamente del medico.
Non così il marito di Helena, ma quando arriva in ospedale
è già troppo tardi. Anche se volesse, Helena non
potrà più avere figli. Durante l'intervento
è stata sterilizzata. Il marito inizia a urlare, a
imprecare e a maledire i medici. Il ginecologo arriva e gli
mostra l'autorizzazione all'intervento firmata da sua moglie,
ricorda Helena. Ma Helena non poteva sapere cosa stava firmando,
è analfabeta e sa solamente fare la propria firma.
"Dopo due tagli cesarei i medici pensarono che fosse
necessario sterilizzarmi"
Elena Gorlova e Helena Balogova hanno entrambe la pelle un po'
scura rispetto alla media delle donne ceche. Entrambe sono Rom,
entrambe sono state sterilizzate nello stesso anno, senza esserne
state informate prima. Poco prima della nascita del secondo figlio i medici informarono
Elena che anche questo parto necessitava di un taglio cesareo, ma
che non si presentavano altre complicazioni. "Solo a travaglio
inoltrato, quando ormai ero semi-incosciente per il dolore delle
doglie, mi misero sotto il naso un pezzo di carta. Firmai senza
neanche leggere."
Elena aveva firmato l'autorizzazione alla sterilizzazione.
"Nessuno mi aveva spiegato cosa c'era scritto. I medici lo hanno
semplicemente fatto perché secondo loro, dopo due parti
cesarei era meglio così." Il giorno dopo il medico le dice
con poche parole che non potrà mai più avere figli,
che la sterilizzazione era necessaria per il proprio bene. "Era
la prima volta in vita mia che sentiva la parola
sterilizzazione", ricorda Elena.
"Mi hanno rubato una parte di me, del mio essere
donna"
"Si tratta del mio corpo. Solo io ho il diritto di deciderne. Dio
mio, mio marito ed io avremmo tanto voluto una figlia. Con la
sterilizzazione mi hanno rubato una parte di me, del mio essere
donna. E' come se mi mancasse una parte di me". In seguito alla
sterilizzazione non voluta, Elena si è rivolta
all'assistenza sociale ma nessuno era disposto ad ascoltarla. "Mi
hanno semplicemente buttata fuori", e ovviamente il suo caso non
finisce in tribunale. "Impotenza e rabbia", ricorda, "già
conoscevo questa sensazione. Le stesse facce serrate che nel
corso della mia vita ho ancora e ancora incontrato. A iniziare
dalla ricerca di un appartamento fino a così tante piccole
cose quotidiane. E' così se sei Rom."
Quando nel 2003 il difensore civico Otakar Mojteil inizia a
indagare sui casi di sterilizzazione coatta, il caso di Elena
Gorlova è già caduto in prescrizione -
un'ingiustizia che Elena non ha mai voluto accettare. Oggi Elena
lavora per la piccola associazione "Vzajemne Souziti" (Vivere
insieme), cerca donne che hanno subito lo stesso destino, o
simile, le incoraggia a testimoniare. Donne come Helena Balogova.
Molte di loro vivono in povertà. Nella regione e nella
città di Ostrava ce ne sono 60 e tutte loro sono state
sterilizzate contro la propria volontà o senza aver
ricevuto previe ed esaurienti informazioni. Tutte loro sono
Rom.
Il caso più recente è di appena due anni fa. Una
donna 40-enne è stata spinta da un'assistente sociale a
farsi sterilizzare. Per poter ottenere delle agevolazioni avrebbe
dovuto dimostrare di non poter avere altri figli, e, minaccia
l'assistente, se non avesse acconsentito alla sterilizzazione le
sarebbe stata tolta la tutela di due dei quattro figli.
L'associazione "Vzajemne Souziti" si prepara a portare il caso in
tribunale ma per la vittima è tutt'altro che facile fare
questo importante passo.
Nessuno sa quante donne esattamente siano state
vittime della sterilizzazione coatta
L'ultimo caso di sterilizzazione coatta rispecchia una lunga e
triste tradizione ceca. Nel 2005 il difensore civico Otakar
Mojteil conclude le sue indagini. Nel rapporto finale parla di 87
casi a lui conosciuti, che coprono un lasso di tempo che va dagli
anni '60 fino al presente. Le raccomandazioni al legislatore
contenute nel rapporto suggeriscono una migliore informazione
delle pazienti, l'obbligatorietà del far trascorrere un
certo lasso di tempo tra i colloqui con il medico e l'intervento
stesso e il risarcimento finanziario per le vittime. "Nonostante
non vi siano state precise indicazioni in tal senso da parte
dello stato, resta evidente che questo si debba assumere la
responsabilità di aver implicitamente approvato le
procedure praticate e di averle sostenute attraverso l'operato
delle istituzioni sociali, cosa che risulta oggi inaccettabile",
si legge nel rapporto. Secondo Mojtel, la procedura adottata non
si basava però su motivazioni di natura razziale.
Secondo Gwendolyn Albert quest'ultimo punto del rapporto non
è esatto. Gwendolyn lavora per la sezione ceca
dell'organizzazione "Peacework" e in tale veste sostiene le donne
di "Vzajemne Souziti". Da anni si occupa delle sterilizzazioni
coatte di donne rom e spiega l'accaduto con poche parole chiare:
"Nella Cecoslovacchia comunista il governo esortò le
istituzioni sociali a convincere le donne alla sterilizzazione
come metodo di controllo delle nascite. L'obiettivo principale
erano le donne rom e le donne che vivevano in condizioni di
povertà. Il loro tasso di natalità era, secondo il
linguaggio di allora, alto e insano. Gli assistenti sociali
offrivano alle donne dei buoni spesa per mobili oppure soldi in
cambio del loro consenso, oppure minacciavano le donne di mettere
i figli in istituti statali.
Nessuno sa quante donne esattamente siano state vittime della
sterilizzazione coatta. Se però consideriamo il lungo
lasso di tempo in cui venne praticata la sterilizzazione coatta e
il fatto che essa veniva praticata in tutto il territorio
cecoslovacco, allora possiamo stimare che si è trattato di
centinaia di donne, se non addirittura un migliaio e più.
Nel 1991 questa politica fu sospesa, ma le sterilizzazioni coatte
continuano. Oggi si tratta prevalentemente di donne Rom che,
senza il loro consenso, vengono sterilizzate durante un taglio
cesareo o durante piccoli interventi ginecologici. Il razzismo
nei confronti dei Rom è diffuso in tutti gli ambiti della
società ceca, la sanità non ne fa eccezione."
Nessun risarcimento finanziario
Insieme alle altre 60 donne del suo gruppo Elena Gorlova aspetta
il risarcimento finanziario, o almeno delle scuse ufficiali da
parte dello stato. "Il nostro gruppo si batte affinché le
nostre figlie e nipoti non rischino la stessa sorte. Ogni madre
deve poter dare vita a tanti figli quanti vuole e il legislatore
deve fissare in modo chiaro e irrevocabile questo punto", chiede
la 40-enne. E lo stato che dice? In un messaggio inviato alle
Nazioni Unite e leggibile in Internet, lo stato parla di "casi
individuali e isolati del passato" per cui non furono rispettate
le leggi e annuncia una legislazione chiara e precisa per la
procedura di sterilizzazione, nonché la costituzione di
una commissione che indaghi sui casi del passato. Per Gwendolyn
Albert si tratta semplicemente di una tattica per ritardare
provvedimenti concreti: "dalla presentazione del rapporto del
difensore civico sono passati quattro anni in cui è stato
fatto poco e nulla."
Il maggiore successo sembra per ora essere quello di un ospedale
di Ostrova che si è visto costretto a chiedere
ufficialmente scusa a una ragazza 21-enne, sterilizzata nel 2007
durante un parto cesareo. L'ospedale è riuscito ad evitare
il risarcimento finanziario deciso nella prima istanza
giudiziaria perché per una questione di poche settimane il
caso è risultato caduto in prescrizione. Un simile
verdetto è stato emesso solo poco tempo fa da un altro
tribunale.
Il gruppo di donne di "Vzajemne Souziti" non si accontenta di
poche scuse obbligate. Le donne organizzano incontri e piccole
manifestazioni. Elena Gorlova ha parlato anche davanti alle
Nazioni Unite a New York. Vogliono ottenere un cambiamento nel
modo di pensare e quindi parlano anche con i diretti responsabili
della loro mutilazione. "Pochi giorni fa abbiamo incontrato un
gruppo di medici di un ospedale. Abbiamo tentato di spiegare loro
che le pazienti hanno una volontà propria, che loro non
possono decidere tutto da soli. C'era anche una dottoressa che mi
aveva visitato durante la mia ultima gravidanza. Allora aveva
parlato della necessità di un parto cesareo ma non aveva
mai detto niente a proposito della necessità di una
sterilizzazione. L'unica cosa che ora è riuscita a dirmi
è che allora lei era un medico giovane e inesperto.
Ciò nonostante spero che i nostri colloqui abbiano mosso
qualcosa dentro di loro", conclude Elena.
"Molta gente pensa: quelli hanno troppi
figli"
Elena Gorlova ha lottato e ha ottenuto molto. Non vive
più nel ghetto ma in un appartamento preso in affitto dal
comune in un quartiere notevolmente migliore. I muri di casa sua
sembrano appena tinteggiati, il pavimento è in laminato,
un divano comodo e un piccolo cane che come una pallina di gomma
salta dietro ad ogni mano che vede allungarsi. Elena, suo marito
e i figli hanno rinnovato da se tutto l'appartamento. Continuano
ad esserci pochi soldi per vivere. Lo stipendio di Elena presso
"Vzajemne Souziti" è scarso e il marito, operaio in
fabbrica, è attualmente infortunato e percepisce un
piccolo sussidio malattia. Ma forse il figlio più giovane
riuscirà a frequentare l'università. Elena stessa
ha deciso di impegnarsi nella formazione ed è tornata a
studiare.
"Noi Rom siamo parte della storia di questo paese, viviamo qui da
secoli, è la nostra patria. Mio nonno è stato
deportato in un campo di concentramento perché era Rom,
mio marito ha prestato servizio nell'esercito e poi ha sempre
lavorato molto. La mia famiglia, otto persone, ha vissuto per
anni in un bilocale. Io stessa ho iniziato da adolescente a
lavorare in fabbrica. Ci siamo veramente dati da fare e abbiamo
lottato. Abbiamo risparmiato e ci siamo costruiti passo dopo
passo una vita un po' migliore. E dopo tutti i sacrifici sai che
la maggior parte della gente in strada pensa: va bene che abbiano
sterilizzato le zingare. Quelle hanno troppi figli, non ne
verrà mai fuori niente."
Di Gwendolyn Albert
Aggressioni mirate: nella Repubblica Ceca i Rom sono regolarmente presi di mira da gruppi neonazisti.
Nelle prime ore del mattino del 19 aprile 2009, nel villaggio
di Vitkov nella Repubblica Ceca, alcuni malviventi, tuttora
liberi, hanno lanciato tre bombe molotov in una casa abitata da
Rom. Il fuoco che si è sviluppato in seguito ha gravemente
ustionato tre persone, tra cui una bambina di due anni ancora in
lotta per la vita all'ospedale Ostrava Teaching Hospital. La
bambina ha riportato ustioni di secondo e terzo grado sull'80%
della superficie cutanea. Poco prima che si scatenasse l'inferno
di fiamme, la nonna ha sentito una macchina rallentare davanti a
casa e un uomo urlare "Ehi, zingari, bruciate!". Poco prima alla
famiglia era stata tagliata la fornitura di acqua e così
la casa è bruciata fino alle fondamenta.
Secondo la polizia, sia la macchina sia i passeggeri sono stati
identificati, ma finora nessuno è stato incriminato, a
quanto pare per mancanza di prove. Nonostante la polizia abbia
determinato senza ombra di dubbio che il fuoco sia stato
appiccato da estranei, circolano strane voci secondo cui la
famiglia avrebbe essa stessa dato fuoco alla propria casa. Dopo
l'aggressione la famiglia ha dovuto trasferirsi in un locale di
otto metri quadri, praticamente nel cortile posteriore di una
clinica veterinaria. Mentre il vicinato ha raccolto circa un
milione di corone (circa 37.411 euro) per permettere loro di
trovarsi una nuova sistemazione, nessuno vuole che la famiglia si
sistemi vicino a casa propria. Le poche offerte immobiliari
ricevute sono seguite da incessanti proteste in municipio dei
possibili vicini. Nel frattempo si sono attivati anche gruppi
neo-nazisti che nelle chat ceche promettono "di porre fine alla
questione". Esattamente come la piccola Natálka in
ospedale, le speranze di tutta famiglia sembrano appese a un
filo, senza alcuna vera possibilità di uscire dalla
situazione.
Dopo l'attentato alla famiglia di Natálka in maggio
è seguito un altro attentato incendiario alla casa di una
famiglia Rom nel villaggio di Zdiby, nelle vicinanze di Praga.
Fortunatamente quest'ultimo attentato non ha provocato né
feriti né danni. L'aumento degli attentati e delle
attività neo-naziste in tutto il paese e l'impunità
su cui gli attentatori possono contare sono i motivi principali
per cui un numero crescente di Rom cechi decide di fuggire in
Canada. La situazione assomiglia all'esodo della metà
degli anni '90 che aveva mosso il Canada a introdurre l'obbligo
di visto per tutti i cittadini cechi (nel 2007 l'obbligo di visto
è stato annullato).
Le manifestazioni neonaziste e i tentati pogrom in tutto il
territorio nazionale durante le recenti elezioni europee sono
costati ai contribuenti cechi diversi milioni di corone. I
disordini neonazisti del novembre 2008 hanno comportato anche
l'impiego di 1.000 poliziotti e la maggiore azione di polizia su
territorio ceco dopo le manifestazioni del 2000 a Praga contro la
Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. Il partito
dei lavoratori di estrema destra (Delnická strana)
è stato l'organizzatore principale delle manifestazioni
neonaziste a cui i nuovi adepti partecipano con il semplice
obiettivo della violenza. Dopo aver superato alle ultime elezioni
la soglia dell'1%, il partito di estrema destra ha diritto a ca.
750.000 corone di sussidi dallo stato ceco. Tra i più
recenti richiedenti asilo Rom provenienti dalla Repubblica Ceca
c'è anche Anna Poláková e la sua famiglia.
La donna rom è una nota direttrice di programmi di Radio
Czech, fuggita dal paese per paura.
La sua esperienza con il sistema giudiziario ceco ne spiega il
perché: degli Skinhead avevano aggredito e picchiato fino
all'incoscienza il figlio. Fortunatamente gli aggressori erano
stati sorpresi sul luogo del delitto e arrestati. La loro
colpevolezza era stata confermata sia da un tribunale civile sia
da un tribunale penale. Il verdetto aveva inoltre stabilito il
diritto della vittima a un risarcimento. Fin qui nulla di strano.
Quando però la famiglia Poláková decide di
denunciare due degli aggressori che si rifiutano di pagare il
risarcimento, la famiglia inizia a essere letteralmente
perseguitata dagli esponenti neonazisti che ottengono dalle
autorità gli indirizzi della famiglia. L'obiettivo questa
volta è il marito della Poláková: viene
seguito, minacciato e aggredito e esortato a restituire quanto
pagato di risarcimento dagli altri aggressori. La polizia non
è in grado di proteggere la famiglia
Poláková che alla fine si vede costretta a lasciare
il paese. Ora vive insieme ad altri richiedenti asilo nelle
vicinanze di Toronto in Canada.
Recentemente le autorità ceche hanno inferto un duro colpo
ad alcuni leader del movimento neonazista. La polizia per i
crimini organizzati ha condotto perquisizioni negli appartamenti
di dieci neonazisti coinvolti nell'organizzazione "Resistenza
nazionale" (Národni odpor) e nel locale Hate Core Shop di
Praga. Cinque delle persone interessate si trovano ora in
custodia cautelare mentre gli altri sono stati rilasciati con
l'obbligo di firma. La reazione delle organizzazioni neonaziste
non si è fatta attendere e in tutto il paese sono
scoppiate proteste contro l'azione di polizia. Poco tempo fa la
stampa ha riportato che i figli del primo ministro Fischer e del
ministro degli interni Pecina sono stati forniti di una scorta
per le minacce ricevute dagli estremisti in cerca di vendetta
contro ciò che sul loro sito chiamano "sistema
pro-sionista".
Per individuare i sostenitori del Nazismo e porre fine alle
attività neonaziste ci vuole un impegno congiunto delle
autorità austriache, ceche, tedesche e slovacche. Anche
quando non sono vittime di aggressioni dirette, i Rom subiscono
comunque il generale atteggiamento anti-Rom della larga
maggioranza ceca che si evidenzia per la discriminazione diffusa
in tutti i settori della vita quotidiana e che funge da tacito
sostegno all'attività neonazista. Nella Repubblica ceca la
maggior parte delle persone non è interessata ai moventi
dell'aggressione alla famiglia di Natálka, vogliono
semplicemente essere certi che i loro vicini non saranno Rom.
Gwndolyn Albert è attivista per i diritti umani e vive a Praga.
Di Fadila Memisevic e Belma Zulcic
Distrutto da Karadcziz, ora ricostruito: insediamento Rom a Bijeljina.
I Rom della Bosnia-Herzegovina costituiscono la maggiore ma
anche la più minacciata minoranza etnica del paese. Non si
conosce il loro numero esatto ma si stima che siano circa 50.000.
I Rom della Bosnia-Herzegovina sono sedentari e i loro
insediamenti si trovano per lo più ai margini delle
città. Nella maggior parte degli insediamenti rom non
c'è un sistema di fognature né acqua corrente
né corrente elettrica. Nella maggioranza dei casi vivono
in baracche di legno che si sono costruiti da sé, senza
cucina o servizi igienici e buona parte delle famiglie sopravvive
grazie alla raccolta e vendita di ferro usato, a lavori
occasionali e alla carità. Il 70% non potrebbe
sopravvivere senza i sussidi sociali mensili di 20 Euro che
però non vengono erogati regolarmente. Il 90% dei Rom
della Bosnia-Herzegovina non hanno un'assicurazione sanitaria,
l'analfabetismo tocca il 60% e l'80% non gode di una formazione o
di particolari qualifiche professionali.
Non è quindi strano che il 95% dei Rom non riesca a
trovare un lavoro fisso e non disponga quindi di un'entrata
regolare. I pochi con un lavoro fisso sono perlopiù
dipendenti del servizio di nettezza urbana. I pregiudizi nei
confronti dei Rom sono tanti e diffusi. Non sono ben visti
né come vicini di casa né come colleghi di lavoro,
e non di rado viene loro negato l'accesso ai ristoranti e alle
piscine. Spesso sono vittime di accuse infondate di atti
criminali. Anche i Rom con un diploma di maturità o una
laurea universitaria faticano a trovare lavoro. Nel corso del
2009 la sezione bosniaca dell'Associazione per i Popoli
Minacciati (APM) ha registrato numerosi licenziamenti non
motivati di persone Rom diplomate e/o laureate. Il caso
più eloquente è quello di Muhamed Mujic, licenziato
dal Comune di Tuzla dove lavorava come incaricato per le
questioni Rom. Dopo il licenziamento di Mujic nessun altro
è stato assunto per ricoprire il posto nonostante il
comune di Tuzla abbia la più alta percentuale di
popolazione Rom della Bosnia-Herzegovina e nonostante l'adesione
della Bosnia al Decennio internazionale Rom (2005-2015) per una
maggiore integrazione dei Rom nella vita sociale. La
Bosnia-Herzegovina ha aderito solo nel 2008 all'iniziativa
internazionale nella quale i Rom del paese hanno riposto molte
delle loro speranze. Il decennio Rom prevede che i paesi aderenti
avviino progetti finanziati dall'UE per il miglioramento degli
standard di vita dei Rom.
Le violazioni dei diritti umani e gli atti di discriminazione nei
confronti dei Rom sono purtroppo all'ordine del giorno. Persone
Rom vengono spesso fermate per strada e senza alcun motivo
sospettate di aver commesso qualche crimine, portate alla
stazione di polizia o addirittura picchiate per strada senza
alcuna conseguenza per i colpevoli. Spesso e volentieri si vedono
negare l'accesso a qualsiasi servizio di base a cui pure
avrebbero diritto.
Una piccola speranza giunge dalla legge del 2008 che riconosce i
Rom (e altri 16 gruppi etnici) come minoranza ufficiale della
Bosnia-Herzegovina. Grazie a questa legge e per la prima volta
nella storia del paese i Rom hanno potuto candidare propri
rappresentanti alle elezioni comunali dell'ottobre 2008. Dei 22
rappresentanti Rom candidati, otto sono stati eletti nei consigli
di diversi comuni del paese. Un'altra iniziativa positiva
è quella della scuola elementare "Dzemaludin Causevic" di
Sarajevo, nella quale vengono offerti corsi speciali gratuiti che
permettono ai Rom di recuperare gli anni scolastici persi. Molti
Rom hanno approfittato dell'occasione per ottenere il diploma di
scuola dell'obbligo. La sezione bosniaca dell'APM sostiene
attivamente l'integrazione dei Rom nella società, secondo
il principio della parità dei diritti nel rispetto della
lingua, cultura e tradizioni proprie.
Prima della guerra in Bosnia (1992-1995) la maggior parte dei Rom
viveva nella regione dell'odierna Republika Srpska, in
particolare nelle città di Bijeljina, Zvornik, Doboj,
Modrica e Prijedor. Durante la guerra i Rom sono stati deportati,
messi in fuga, uccisi e torturati . Le indagini condotte dall'APM
hanno dimostrato che proprio come i Bosniaci anche i Rom sono
stati torturati e annientati nei campi di concentramento
serbi.
All'inizio della guerra Bijeljina, strategicamente importante per
la sua posizione di frontiera con la Serbia, è stata una
delle prime città ad essere attaccata. Tra le prime
vittime del leader paramilitare e criminale di guerra serbo Arkan
c'era anche la popolazione Rom. Il 3 aprile 1992 in via
Jozef-Konkala, vicino all'insediamento rom, gli uomini di Arkan
hanno ucciso il Rom Zehudin Hasimovic, che lasciava la moglie e
cinque figli. La coppia Rom Milkoc, tra le famiglie più
benestanti in città, è stata massacrata nella
propria casa.
La popolazione rom di Prijedor e dei villaggi circostanti e i Rom
di Vlasenica, Rogatica e Srebrenica hanno sofferto più di
altri le crudeltà della guerra. Nel massacro di Srebrenica
del 1995 in cui furono uccisi 8.000 musulmani bosniaci, trovarono
la morte anche 70 Rom. Secondo la testimonianza di Bego Beganovic
(1), "nel luglio 1995 a Srebrenica furono
massacrati 70 Rom. Tra loro c'era anche mio cognato Mustafa
Beharic. Contemporaneamente nel villaggio di Skelani, a 10 km da
Srebrenica, sono stati uccisi 50 Rom, tra cui i due figli di mia
sorella, Beharic Mujo e Beharic Haso. A Skelani altri quattro
miei parenti sono stati uccisi dagli uomini di Arkan e ci sono
stati massacri anche negli insediamenti rom di Bjelovac
(Bratunac) e di Drinjaca (a 14 km da Zvornik). I Rom hanno
sofferto molto a Potocari, dove sono stati uccisi anche mio
figlio e mio fratello."
A Skocic vicino a Zvornik le truppe di Arkan hanno separato i
bambini rom dalle madri, si sono portati via i bambini e hanno
cacciato tutti i Rom dal paese. La famiglia Aganovic cerca ancora
i suoi cinque bambini, alla famiglia Ribic sono stati rapiti otto
bambini. Si crede che i bambini, ormai ragazzi, vivano sotto
falso nome a Sabac e a Krusevac, in Serbia. La sorte toccata alle
ragazzine Rom Aganovic Izeta (14) e Aganovic Safeta (16) è
infatti abbastanza comune: rapite durante la guerra, sono state
portate nelle due città serbe, è stato loro imposto
un nome serbo e sono state costrette a sposare uomini serbi.
Grazie alla Croce Rossa Internazionale i genitori delle ragazzine
sono riusciti a ritrovarle e a ricondurle in famiglia.
I Rom di Doboj sono stati deportati nel campo di concentramento
di Miljkovci. Nell'aprile 1992 le milizie serbe hanno deportato
al campo di concentramento anche la 64enne Pasa Osmanovic insieme
al marito 75enne e agli otto figli. Durante la seconda guerra
mondiale i due anziani, allora bambini, erano stati deportati
insieme ai genitori al campo di concentramento di Jasenovac nella
Croazia fascista. Allora i genitori furono uccisi, loro stessi
riuscirono a sopravvivere alle torture degli Ustascia. Nel campo
di Miljkovci Pasa era costretta a fare tutto quanto i Cetnici le
ordinavano di fare. E' stata picchiata, soprattutto in testa ed
è stata trascinata talmente tanto e forte per i capelli
che in alcuni punti non le sono più ricresciuti.
Tra i Rom del campo di concentramento di Miljkovci si trovavano
anche i dieci componenti della famiglia di Hasan Hasanovic
(2) di Modrica: "Nel campo di concentramento,
che in origine era un grande magazzino, erano detenute circa 700
persone, di cui 300 Rom. La mia figlia più vecchia H.
aveva 13 anni. Hanno continuato a stuprarla davanti ai nostri
occhi. Poi mia moglie doveva preparare il caffè e servire
i Cetnici. Io dovevo buttare i corpi dei morti uccisi nel fiume
Bosna. Li buttavo giù come se fossero tronchi d'albero,
non potevo né guardarli né chiedere
alcunché. In un solo giorno ho buttato nel fiume 120
cadaveri. Aspettavo il giorno in cui sarebbe toccato a me ..."
(3).
Note:
(1) Nome cambiato dalla redazione
(2) Nome cambiato dalla redazione
(3) Agosto 1992 (documentazione n. 86/94, archivio APM
Bosnia-Herzegovina)
Di Stephan Mueller
In Serbia vivono tra i 600.000 e gli 800.000 Rom.
I pochi dati disponibili sulla situazione dei Rom in Serbia
mostrano un quadro terrificante. Possono essere citati ad esempio
i dati riguardanti l'educazione e il mercato del lavoro, che
tuttavia possono essere completati con i dati inerenti la
situazione abitativa, le condizioni sanitarie, i soprusi sui Rom
irregolari o le condizioni miserabili dei Rom cacciati dal
Kosovo.
L'ultimo censimento in Serbia (senza i dati sul Kosovo) indica
circa 108.000 Rom. Il numero effettivo dovrebbe però
essere tra i 600.000 e gli 800.000. I Rom sono un gruppo etnico
relativamente giovane. L'età media dei Rom è di
circa 27,5 anni mentre quella nazionale è di 40,2 anni. Il
numero dei minori di 25 anni è appena sopra il 50%, mentre
nella popolazione in generale è appena sotto il 30%.
Dall'altra parte il numero dei più anziani di 60 anni tra
la popolazione in generale è al 17,2% mentre solo il 6%
dei Rom raggiunge questa età.
Mercato del lavoro e povertà
Una ricerca sulla situazione dei Rom in Europa centrale e
sudorientale dell'UNDP, l'organizzazione dell'ONU per lo
sviluppo, rileva che le condizioni di vita di molti Rom sono
paragonabili a quelle dei peggiori slum nei paesi in via di
sviluppo; una indicazione che riguarda anche molte
comunità Rom in Serbia. Secondo una ricerca dell'ONU il
63% dei Rom vive sotto la soglia della povertà, mentre
solo il 13% della popolazione di maggioranza vive sotto la soglia
della povertà.
Il 68% dei giovani tra i 15 e i 24 anni (36% tra i non Rom), il
36% della popolazione tra i 25 e i 54 anni (13% tra i non Rom) e
il 57% delle persone oltre i 55 anni (13% tra i non Rom) è
disoccupata. Secondo un'altra ricerca il 70% dei Rom tra i 15 e i
49 anni non hanno mai avuto un posto di lavoro. Questi dati
esprimono però ancora poco sulla "qualità" del
lavoro di coloro che hanno un'occupazione. Naturalmente ci sono
anche Rom che lavorano come ingegneri, avvocati, insegnanti,
commercianti. La maggior parte è però occupata in
lavori non qualificati.
Secondo una ricerca del 2006 le seguenti attività
costituiscono la fonte principale di reddito: per il 21% da
lavori informali presso conoscenti o vicini o la vendita di
materiali raccolti come carta, vetro, ferro, rame, ecc.; il 12%
percepisce redditi regolari da lavoro in aziende statali; il 10%
era venditore in mercati regolari, mercatini delle pulci o
mercati per strada; i sussidi economici per i figli e per la
maternità costituivano il 10% della principale fonte di
reddito e il 5% ottenevano un reddito regolare da un lavoro in
aziende private.
Solo il 15% aveva un reddito superiore ai 150 euro al mese,
mentre il 25% aveva a disposizione meno di 30 euro al mese. Il
66% aveva dichiarato che nel mese precedente la rilevazione non
aveva avuto nessun tipo di reddito. Fa impressione anche il fatto
che il 14% dei bambini tra i 6 e i 15 anni contribuiscono al
reddito della propria famiglia.
Formazione
Secondo il censimento del 2002, il 62% dei Rom non aveva
terminato la scuola elementare; il 29% aveva concluso la scuola
elementare, il 7,8% aveva proseguito con ulteriori corsi di
studio e lo 0,3% aveva conseguito una laurea o un titolo di
studio simile. Uno studio del 2002 riportava che solo il 48,4%
dei bambini delle famiglie intervistate frequentava regolarmente
la scuola.
Un'altra ricerca del 2004 rileva che solo il 69% dei bambini Rom
di 7 anni e l'88% dei bambini di 8 anni frequenta la scuola,
mentre nella popolazione di maggioranza la frequenza scolastica
nella stessa fascia di età corrisponde rispettivamente al
89% e al 100%. La mancanza di mezzi finanziari (49%) e di
documenti (20,2%) rappresenta la causa principale del fatto che i
genitori non mandano i figli a scuola.
Tuttavia, questi dati non rivelano quanti sono i bambini in
scuole speciali e quanti frequentano le scuole elementari
regolari, perché una gran parte dei bambini rom frequenta
scuole speciali per disabili fisici e mentali, pur senza avere
alcun tipo di disabilità. Si stima che tra il 50 e l'80%
di tutti i bambini frequentanti scuole speciali appartengono alla
minoranza dei Rom. Altri problemi sono l'esistenza di classi
frequentate esclusivamente da bambini Rom e la violenza e la
discriminazione nei confronti dei bambini Rom a scuola. Inoltre i
Rom, a differenza delle altre minoranze, non dispongono di una
rete di scuole o classi di insegnamento nella loro lingua madre,
cosa che compromette seriamente il rendimento, soprattutto nei
primi anni scolastici.
Prospettive
Il governo serbo ha intrapreso negli ultimi tempi una serie di
iniziative per rendere almeno accettabile la situazione nel
settore educativo (sostegno per la frequenza di scuole materne e
scuole elementari, insegnanti di sostegno Rom nelle scuole, ore
di insegnamento della lingua romanì, borse di studio,
ecc.) e nell'ambito del mercato del lavoro (corsi di formazione e
occupazione). Inoltre sono stati messi a disposizione mezzi
finanziari per migliorare la situazione abitativa dei Rom. Il
governo ha poi adottato una strategia globale per l'integrazione
dei Rom e partecipa al decennio per l'integrazione dei Rom.
Come dimostrano i dati citati, i problemi sono molti e grandi. Un
miglioramento a lungo termine necessita quindi di una strategia
globale che includa tutti gli ambiti della vita, nonché la
veloce implementazione di tale strategia. Non si ottiene un
miglioramento grazie a singole iniziative e misure di intervento
ma solo tramite una strategia a lungo termine, che si occupi
contemporaneamente dei problemi nel settore educativo, nel
settore del mercato del lavoro, del settore sanitario e della
situazione abitativa. Contemporaneamente i Rom devono essere
maggiormente inclusi nei processi decisionali, soprattutto quando
li riguardano, e nei processi di realizzazione dei programmi di
intervento. Infine bisogna lavorare con la popolazione
maggioritaria per convincerla del fatto che un miglioramento
della situazione dei Rom tornerà a favore dell'intera
società.
Ed è forse proprio con la popolazione di maggioranza che
è necessario il lavoro di formazione e sensibilizzazione
più impegnativo. Quando poco tempo fa fu abbattuto un
insediamento slum che da un punto di vista sanitario risultava
nocivo per tutta la società, la difficoltà maggiore
consisteva proprio nel trovare abitazioni alternative per i Rom.
Il problema non ha potuto essere risolto poiché ogni
assegnazione di casa a una famiglia Rom comportava forti proteste
da parte dei vicini non-Rom.
Per poter realizzare un programma talmente ampio, il governo
serbo necessita del sostegno finanziario e organizzativo
dell'Unione Europea. Un sostegno insomma che finora non ha
ottenuto e senza il quale non sarà in grado di migliorare
in modo determinante e a lungo termine la situazione dei
Rom.
Nei suoi rapporti sullo sviluppo della Serbia la Commissione
Europea rivolge regolarmente molte critiche per la situazione dei
Rom in Serbia.Tra i diversi progetti attivati nell'ambito dei
processi di inclusione con il sostegno finanziario della
Commissione Europea (Instrument of Pre-Accession) non ci sono
però progetti che possano veramente contribuire al
miglioramento della situazione. Inoltre la stessa UE è
lontana dallo sviluppare una reale e concreta politica che possa
contribuire a migliorare la situazione dei Rom in Serbia, negli
altri paesi balcanici e in tutti i paesi che vorrebbero aderire
all'UE, né tanto meno giudica il miglioramento della
situazione dei Rom come importante condizione da soddisfare per
poter aderire all'UE.
Di Sarah Reinke
I Rom vivono in insediamenti autocostruiti e corrono continuamente il pericolo di essere cacciati da un momento all'altro.
Il 14 maggio 2009 è stata organizzata una tavola
rotonda a Verchnaja Elschanka nell'Oblast di Volgograd sul tema
della formazione scolastica dei Rom Calderari (in russo:
zyganskij), un gruppo di Rom particolarmente svantaggiato in
Russia. Alla manifestazione promossa dall'organizzazione per i
diritti umani russa "Memorial", hanno preso parte anche dirigenti
scolastici di Volgograd, Rjasan, Tula, Lipizka e Astrakan.
L'iniziativa per il miglioramento delle opportunità di
formazione dei ragazzi rom, è stata finanziata
dall'organizzazione svedese "Salvate i bambini!". In Russia come
in molti paesi dell'ex blocco sovietico sono frequenti le
cosiddette classi speciali per zingari. La maggior parte dei
bambini rom abbandona la scuola dopo soli sei anni di frequenza.
Di conseguenza le loro possibilità di formazione e di un
posto di lavoro sono molto scarse. Spesso i bambini che iniziano
la scuola non sanno il russo e non ci sono testi scolastici nelle
diverse lingue Rom. Ora si spera di facilitare il lavoro con
l'aiuto di nuovi sillabari che spiegano il russo come lingua
straniera. Le più gravi forme di discriminazione nei
confronti dei Rom in Russia sono tuttavia gli sgomberi forzati
dai loro insediamenti per lo più costruiti da loro
stessi.
Visibilmente colpito dalla sua visita in Russia nel 2006,
l'inviato speciale dell'ONU per il razzismo Doudou Diène
scrisse che i Rom in Russia "vivono in una situazione di elevata
vulnerabilità e discriminazione che colpisce
particolarmente donne e bambini. La discriminazione è
particolarmente eclatante nell'ambito della casa,
dell'educazione, della salute e del lavoro, ed è spesso
connessa al fatto che i soggetti coinvolti non ottengono
né la cittadinanza né la registrazione della
residenza".
Prosegue affermando che i gruppi Rom sono vittime di una
crescente violenza razzista da parte degli ultranazionalisti
russi ed anche della stessa polizia. Questa violenza è
fomentata dagli stereotipi negativi che associano i Rom alla
criminalità e al traffico di droga. Questi stereotipi
vengono utilizzati anche dai politici per scopi elettorali, un
gioco fin troppo facile come è stato rilevato in un
sondaggio del 2006 dell'istituto di ricerca indipendente
"Levada": più del 40% degli intervistati hanno detto che
sarebbe meglio se nessun Rom vivesse in Russia, il 50% ha
affermato che si sarebbe rifiutato di lavorare insieme ad un
Rom.
In Russia vivono circa 500.000 Rom. Durante il periodo sovietico
la loro nazionalità veniva indicata con il termine
"Zingaro" (in russo: Zygane). Loro stessi invece danno importanza
a concetti che aiutino a differenziare la loro provenienza.
Così nel Nord ovest vivono quattro gruppi: i Rom russi
(lettoni, estoni, lituani e polacchi), i Calderari, i Magiari
(immigrati dai Carpazi) e i Luli o Mugat dall'Asia centrale. In
altre parti della Federazione russa vivono altri grandi gruppi
come i Rom di Crimea, i Servi, i Kishinevzi, i Plazshuni, i
Lovara e i Valacchi. Il 30% di tutti i Rom russi sostiene di
appartenere al gruppo dei Calderari. Secondo le organizzazioni
per i diritti umani "Memorial" e "FIDH" (Federazione
internazionale per i diritti dell'uomo) i Calderari sono il
gruppo maggiormente esposto alla discriminazione.
In un decreto del Soviet Supremo dell'anno 1956 i Rom sono stati
costretti a prendere una residenza fissa. Dopo la caduta
dell'Unione sovietica le autorità si sono rifiutate di
legalizzare i diritti di abitazione e di proprietà dei
terreni dei Rom. In Russia, in seguito a una legge promulgata nel
2001, i terreni possono essere venduti con asta pubblica al
miglior offerente. Imprenditori e privati acquistano i terreni
delle periferie urbane che inoltre rientrano nei piani di
espansione urbanistica delle città, senza interpellare i
Rom che vi vivono. Le decisioni assumono valore legale, entrano
in azione le ruspe e distruggono gli insediamenti dei Rom. Spesso
le famiglie non hanno neanche il tempo di portare via le loro
poche cose. Le rovine delle modeste dimore vengono poi
incendiate. Durante gli sgomberi le autorità procedono con
grande brutalità e impiegano spesso anche la famigerata
Unità speciale OMON (Unità speciale del Ministero
degli Interni, che durante al guerra in Cecenia si è resa
responsabile di pesanti violazioni di diritti umani) che isolano
la zona sgomberata, minacciano ed insultano con i fucili puntati
gli abitanti inclusi i bambini.
L'accesso alla formazione, all'assistenza sanitaria e al posto di
lavoro dipende dalla disponibilità di una residenza
stabile che in Russia è obbligatoria. Per questo le
comunità Rom tentano di trovare accordi con le
autorità locali che però non sono considerati
validi da nessun tribunale. I tribunali infatti, come spesso
succede in Russia, stanno per lo più dalla parte dei
più forti. Assecondano le denunce di presenza di
insediamenti Rom avanzate dalle amministrazioni cittadine e in
particolare dai privati interessati ai terreni e emanano sentenze
di abbattimento degli "edifici illegali". E' ovvio che questi
procedimenti non rispettano gli standard minimi legali
internazionali. Molti gruppi Rom si trovano quindi intrappolati
in un circolo vizioso: gli insediamenti nei quali sono stati
costretti dal decreto dell'anno 1956, sono considerati illegali.
Per questo non ottengono alcuna registrazione anagrafica senza la
quale non hanno accesso all'assistenza sanitaria, al mercato del
lavoro e alla formazione. Sono soggetti a non avere alcuna fissa
dimora e destinati alla totale povertà. La crisi economica
mondiale che colpisce maggiormente i più poveri peggiora
ulteriormente la situazione. E ciò a sua volta facilita la
ricerca di un capro espiatorio da incolpare dell'attuale cattiva
situazione economica e fomentando il razzismo.
Pogrom-bedrohte Völker 254 (3/2009)
Vedi anche in gfbv.it:
www.gfbv.it/2c-stampa/2009/090810it.html
| www.gfbv.it/3dossier/sinti-rom/rom-ita-it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2008/080711it.html
| www.gfbv.it/3dossier/sinti-rom/it/rom-it.html
| www.gfbv.it/3dossier/errc-it.html
| www.gfbv.it/3dossier/rom-it.html |
www.gfbv.it/3dossier/linkgfbv.html#rom
in www:
www.guardian.co.uk/lifeandstyle/2008/aug/17/familyandrelationships.roma
| www.ric.org.yu | www.errc.org | www.kv-roma.at | www.osce.org/odihr/18148.html
|
www.coe.int/t/e/human_rights/esc/4_Collective_complaints/List_of_collective_complaints/