IN AZIONE PER IL KURDISTAN
DOCUMENTI SULLA QUESTIONE KURDA PUBBLICATI 
DALL’ASSOCIAZIONE PER I POPOLI MINACCIATI 1998-1999
GfbV Logo

INDICE

Ai Senatori del Parlamento della Repubblica italiana,
alla Presidenza del Consiglio della Repubblica italiana,
alle Commissioni Affari esteri del Parlamento della Rep. italiana
e p.c. al Sig. Ambasciatore della Repubblica turca in Italia,
al Sig. Ambasciatore della Repubblica federale tedesca in Italia

Bolzano, 19 gennaio 1998

L'associazione per i popoli minacciati - internazionale protesta energicamente contro le spiegazioni del governo turco per l'ondata di profughi curdi. I profughi curdi per la Turchia sono degli avventurieri mossi da motivazioni economiche. La repubblica turca nega decisamente le motivazioni politiche per un tale esodo. In questo modo i Turchi restano fedeli ai fondatori della repubblica, il triumvirato Talaat - Enver - Djemal e Mustafa Kemal Ataturk, i quali con il genocidio armeno voluto dai vertici dello stato, hanno posto le fondamenta della nuova Turchia. Almeno un milione e mezzo di Armeni vennero sterminati dal governo dei "Giovani turchi" con massacri e deportazioni.

Nel 1923 la nazione turca è stata creata dalla carta costituzionale ed il turco dichiarato come unica lingua di stato. Da allora è iniziata la guerra dei Turchi contro i Curdi. Dal 1925 al 1927 un milione di Curdi furono deportati nella Turchia occidentale. Contemporaneamente scoppiò l'insurrezione dell'Ararat, che vide Curdi e Armeni alleati contro il governo turco; tre anni dopo l'insurrezione venne soffocata nel sangue ed oltre diecimila Curdi uccisi. Nel 1937 una nuova insurrezione nella regione di Dersim costò la vita ad oltre cinquantamila Curdi.

Nel 1945 l'utilizzo della lingua curda in pubblico venne vietata, come anche il tradizionale abbigliamento curdo. La Turchia, ormai entrata nella Nato, dalla fine della seconda guerra mondiale portò avanti una feroce politica di assimilazione forzata e di sottosviluppo economico nella regione anatolica orientale. Mentre nella Turchia occidentale oltre l'80% delle abitazioni dispongono di acqua corrente, in quelle orientali la percentuale scende al 40%. Il 66% delle abitazioni nel Kurdistan del nord (Anatolia orientale) hanno il bagno al di fuori della casa, mentre nella Turchia occidentale sono solo il 20%. Nel Kurdistan del nord il tasso di analfabetismo arriva al 44%, mentre nel resto della Turchia è attorno al 20%.

Soprattutto gli Armeni e i Curdi hanno sofferto a causa della nascita della nazione turca. La Turchia ha anche esportato la sua politica nazionalistica della pulizia etnica. Con il pretesto della protezione della minoranza turco-cipriota dai golpisti fascisti greci, la Turchia occupò nel 1974 un terzo di Cipro. Durante le operazioni nel nord dell'isola l'esercito turco attuò una campagna di terrore fatta di omicidi, fucilazioni, stupri e torture. Complessivamente oltre 200.000 abitanti, soprattutto greco-ciprioti, tra i quali anche appartenenti alla minoranza maronita e armena di Cipro, dovettero fuggire nel sud dell'isola. Questa è la politica turca.

* La Turchia ha promulgato con questo spirito una legge antiterrorismo, che vieta la "propaganda" scritta od orale, le marce di protesta e le dimostrazioni, per evitare la "distruzione dell'unità indivisibile dello stato e della nazione".

* La Turchia regolamenta la libertà d'opinione con più di 150 leggi e 700 paragrafi. Solo nel 1995 sono state sequestrate oltre 1.400 pubblicazioni, sono stati vietati quotidiani curdi ed incarcerati oltre 100 giornalisti. Il sociologo turco Ismail Besikci si trova da 20 anni in carcere per aver scritto i suoi saggi scientifici sul Kurdistan. Dal 1992 sono stati uccisi 28 giornalisti. Fino ad oggi su questi omicidi non è ancora stata fatta luce.

* Con l'articolo 81 della legge sui partiti sono stati vietati i partiti di nazionalità non turca. Secondo questa legge ai partiti non è consentito "affermare che esistano minoranze nazionali o di altro tipo che si distinguono per religione, cultura, confessione, razza o lingua". Ai partiti è quindi vietato "introdurre altre lingue e culture che creino minoranze in Turchia con lo scopo di distruggere l'unità nazionale". Per questo motivo è stato vietato il partito democratico DEP ed arrestati i suoi parlamentari regolarmente eletti. Leyla Zana si trova in carcere dal marzo del 1994. Con questa politica una parte della popolazione del Kurdistan del nord non ha avuto altra scelta che arruolarsi nell'armata del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan). La distruzione delle organizzazioni democratiche curde va senz'altro a vantaggio del PKK. Anche questo corrisponde alle intenzioni dello stato turco.

* Nel 1991 è stata abolita la legge del 1983 che vietava l'utilizzo del curdo in pubblico, però fino ad oggi se ne tollera l'uso soltanto in privato. Ancora oggi milioni di bambini curdi non possono studiare nella propria lingua. Non viene loro concesso il diritto di portare nomi curdi, come anche non possono dare nomi in curdo ai loro paesi, fiumi e strade. La Turchia nel 1995 ha ratificato l'articolo 51 della convenzione dell'ONU per i diritti per l'infanzia, con riserve nei confronti degli articoli 17, 29 e 30 riguardanti le minoranze. In tredici delle ventidue province curde la gente convive da vent'anni con la legge marziale e da oltre 13 anni regna la guerra. Più di 3.000 scuole nelle regioni dove è stato dichiarato lo stato d'emergenza sono state chiuse per "motivi di sicurezza".

Le province dell'Anatolia orientale sono tutte o in parte in stato di emergenza. In queste zone senza diritto ogni arbitrio é permesso: incarcerazioni, torture, deportazioni e fucilazioni. L'esercito e le unità antiterrorismo hanno dichiarato la guerra alla popolazione curda: i raccolti sono stati distrutti, il bestiame ucciso. Dal 1989 i pascoli d'altura non possono più essere utilizzati. Allora l'esercito turco aveva iniziato con le deportazioni degli abitanti dei villaggi curdi. L'associazione turca per i diritti dell'uomo Insan Haklari Dernegi (IHD) aveva documentato le prime deportazioni nel 1989 e l'Associazione Olanda-Kurdistan le aveva confermate come operazioni congiunte: all'ombra dei riflettori puntati sulla guerra del golfo l'esercito turco aveva iniziato a far terra bruciata nelle zone di confine turco-irachene. Soprattutto negli anni 1993/94 questa politica di deportazione regionale ha portato ad uno spopolamento totale. Solo nel 1995 l'associazione per i diritti umani turca ha contato oltre 200 villaggi distrutti od evacuati.

Nel 1993 una Commissione d'inchiesta del Parlamento turco ha verificato la distruzione di 500 villaggi curdi. Nel 1994 l'allora ministro per i diritti dell'uomo Ahmet Köylüoglu ha parlato dell'evacuazione di 1.400 villaggi. Secondo un recente rapporto parlamentare turco dal 1984 sono stati evacuati 2.500 villaggi. Come conseguenza delle evacuazioni forzate 365.000 persone si sono riversate nelle città maggiori. Ad Istanbul vivrebbero oggi tra i tre e i quattro milioni di curdi (nell'autunno del 1992 ogni giorno si sono insediate 320 persone ad Istanbul e 220 ad Izmir, di cui uno su quattro veniva dal sudest del paese).

L'intensa migrazione verso l'ovest crea di conseguenza tensioni sociali ed economiche, che in vista dell'appesantirsi del clima anticurdo possono scoppiare in ogni momento. La pressione da parte delle autorità sulla popolazione dei quartieri curdi è notevole. Anche nelle cittá piccole nella Turchia occidentale regna un pericoloso clima di tensione. Persone che per anni hanno convissuto pacificamente in paesi come Söke, Selcuk o Fethiye ora non si salutano più, non comprano nei negozi degli altri e si incontrano in modo ostile.

Nell'estate del 1994 l'esercito turco per la prima volta ha concentrato in campi di raccolta curdi di villaggi che erano stati evacuati. Vicino a Evrek e Topcular i detenuti di questi campi per più giorni non sono stati alimentati, sono stati picchiati e torturati. Esistono anche dei piani che prevedono l'insediamento dei curdi deportati in "villaggi di confine".

La presunta guerra del governo contro il PKK - una guerra che prima di tutto fa vittime tra la popolazione civile - secondo fonti ufficiali turche finora è costata la vita a 36.925 persone. Oltre 26.000 sarebbero terroristi curdi del PKK, oltre 5.000 persone civili e altre 5.000 soldati turchi.

Per questo molti curdi decidono di fuggire e spesso la loro fuga non termina entro i confini del loro paese. Non si sentono più al sicuro in Turchia e quindi fuggono verso la Grecia, l'Italia e la Germania. La lista dei paesi dai quali provengono i richiedenti asilo, ad esempio in un paese come la Germania, nel 1996 è stata rinfoltita dai profughi provenienti dalla Turchia. Quando vengono respinti alle frontiere con molta probabilità al loro rientro in patria vengono arrestati ed interrogati. Negli ultimi venti mesi sono stati registrati dall'Associazione per i diritti dell'uomo IHD solamente ad Istanbul 295 casi di persone scomparse. L'IHD presume che la cifra reale sia tre volte tanto. Amnesty international e l'IHD hanno indagato in modo attento sui tanti casi di arresti e di scomparse. Per i profughi curdi è quindi molto probabile che subiscano pesanti conseguenze dopo essere stati respinti alle frontiere.

L'IHD ha messo seriamente in dubbio la promessa del governo turco di trattare umanamente i casi dei profughi che rientrano una volta respinti alle frontiere. L'avvocata Kudret Göztürk, membro del direttivo dell'IHD, ha dichiarato: "in Turchia governa non il governo ma il Comitato di sicurezza nazionale, composto da sei generali, un direttore di polizia e cinque poliziotti. Alle decisioni del Comitato si adegua anche il Parlamento". Il Comitato di sicurezza nazionale ha deciso per una linea politica anticurda.

L'APM internazionale chiede alla Turchia:
* di riconoscere nella vita ufficiale il popolo curdo, la sua lingua, tradizione e cultura;
* di riconoscere in modo incondizionato partiti democratici curdi, sindacati e altre istituzioni;
* di concedere al popolo curdo il diritto all'autodeterminazione, fissato dalla Carta delle Nazione Unite, tramite elezioni libere e democratiche affinché possa decidere sul suo status futuro;
* di interrompere immediatamente le azioni militari, con le quali vengono violati continuamente i diritti umani della popolazione civile curda e di cercare tramite trattative una soluzione politica al conflitto.

L'APM internazionale chiede all'Italia:
* di approvare immediatamente la legge sul diritto d'asilo;
* di non respingere i profughi curdi alla frontiera;
* di non fornire più armi, aiuti economici e finanziari alla Turchia;
* di promuovere con l'Unione Europea una conferenza sul Kurdistan;
* e di adottare scelte politiche coerenti contro la Turchia e a favore dei curdi e delle altre minoranze della Turchia.

Breve bibliografia sul Kurdistan
N. Fuccaro, The Lost Kurds. The Yazidis of Modern Iraq, Tauris, London 1997.
David McDowall, A Modern History of the Kurds, Tauris, London 1997.
A. Vali, Kurdish Nationalism. Identity, Sovereignty and Violence in Kurdistan, Tauris, London 1997.
Laura Schrader, Canti d'amore e di libertá del popolo kurdo, Newton, Roma 1993.
Laura Schrader, I fuochi del Kurdistan: la guerra del popolo in Turchia, Datanews, Roma 1995.
Jasim Tawfik Mustafa, L'ingerenza umanitaria: il caso dei Kurdi, Serantini, Pisa 1996.
Felice Froio, I curdi: il dramma di un popolo dimenticato, Mursia, Milano 1991.
Mirella Galletti, I curdi nella storia, Vecchio Faggio, Chieti 1990.
 

Alla ricerca di una soluzione del problema curdo

Lo sbarco dei clandestini curdi sembra ormai avere i connotati dell'emergenza albanese e dei relativi sbarchi sulle coste pugliesi e calabresi. Se peró si guarda alla storia del popolo curdo anche solo degli ultimi decenni, si capisce che questo esodo era inevitabile. A ció si aggiungono gli interessi delle varie mafie che fanno della disperazione della gente uno squallido business.

La Turchia, inoltre, con il suo regime militare che controlla ogni aspetto della vita sociale e politica del paese, compresa l'informazione, ha ereditato il peggio dalle ceneri dell'Impero ottomano e cioè l'avversione al riconoscimento delle proprie minoranze etniche e religiose. Da ció nasce la politica turca nei confronti della questione curda. Per tornare solo agli ultimi anni di storia, bisogna riflettere sul fatto che quasi 4.000 villaggi curdi sono stati distrutti dal regime di Ankara (le distruzioni sono tutte documentate).

In una situazione in cui nemmeno l'ONU riesce a garantire l'incolumità di questa gente che vive nella zona di protezione istituita nel Nord dell'Iraq alla fine del conflitto che ha coinvolto il Kuwait, si capisce perché l'unica strada che rimane ai Curdi é quella della fuga. Non è una soluzione impedire l'imbarco con arresti da parte della Polizia turca. Tantomeno può essere considerata una soluzione il rimpatrio dei clandestini. Secondo un'indagine di organizzazioni per i diritti umani tedesche e turche, un gran numero di clandestini curdi rimpatriati in Turchia finiscono nelle prigioni per non uscirci mai più. Il rimpatrio come è praticato da diversi stati europei dunque significa complicità con i crimini contro i diritti umani del regime turco.

Alla riunione delle Polizie dei paesi europei maggiormente interessati dalla questione curda, il governo turco ha sottolineato come il problema non sia di natura politica, bensí di natura economica. Al di là del sofismo di tale affermazione (come se le due cose non fossero legate) dovrebbero bastare i leader sindacali e di partito curdi incarcerati o perseguitati, per smentire una tale ipocrisia. Il premio Sacharov e deputato al parlamento turco Leyla Zana si trova tuttora in carcere nonostante le pressioni internazionali, ultimo un appello di 130 deputati del congresso USA. Il sociologo turco Ismail Besikci é in carcere quasi ininterrottamente da ormai 30 anni senza che si intraveda la fina della sua odissea giudiziaria.

Il governo turco non si ferma nemmeno davanti alla palese antieconomicità della guerra nel Kurdistan. Eppure molti degli stessi ambienti economici turchi suggeriscono che se il quarto di Pil che attualmente viene buttato nella guerra in Kurdistan fosse usato come investimento produttivo nelle stesse zone la questione curda sarebbe già risolta. Ma la guerra non è solo una cifra negativa: i costi umani non hanno un valore quantificabile ed il prezzo che tutta la Turchia ed il Kurdistan stanno pagando è infinitamente alto. Ed è proprio questo prezzo, fatto di vite umane, che l'Italia e l'Europa adesso dovranno pagare con la Turchia. Soprattutto l'Italia e la Germania non hanno fatto bene i conti quando hanno venduto e a volte regalato armi, mine, elicotteri da combattimento al governo turco. L'ondata di profughi è il risultato di una politica scellerata dell'Europa nei confronti della Turchia e di questi nei confronti dei propri curdi.

Come pensiamo che si possano comportare milioni di persone che non hanno nessuna speranza di sopravvivenza (ancora prima che di benessere) in uno stato dove la connivenza tra mondo politico e trafficanti di armi e droga è arrivata al massimo livello. Sarebbe tempo di finirla con i buoni proclami natalizi e di tacere sui misfatti umanitari di un governo che ha già un piede in Europa. Non si può andare in visita in una Turchia dove le carceri scoppiano di detenuti politici che muoiono facendo lo sciopero della fame e sorridendo far finta che tutto ció non esista.

Adesso è proprio il momento di imporre alla Turchia severe sanzioni economiche e condizionare i rapporti commerciali all'impegno a sedersi ad un tavolo delle trattative con i rappresentanti curdi, poiché ormai i profughi curdi sono già nelle nostra case a raccontare le loro storie di disperazione. Adesso è il momento di aprire gli occhi sulla realtá curda, poiché é vergognoso che passi un servizio al TG1 (7 gennaio ore 13.30) in cui il giornalista si chiede dove i profughi vadano a prendere i soldi per fuggire piuttosto che chiedersi questi soldi a chi vanno a finire.
 

Perché l'Europa non puó sostenere la causa curda

Gli episodi che periodicamente riportano all'attenzione internazionale la questione kurda stentano a generare una piena presa di coscienza della sua gravità. Nel 1988, quando Saddam Hussein era uno dei più preziosi alleati degli Stati Uniti (1), pochi furono toccati dal massacro di Halabja, il villaggio kurdo che l'esercito irakeno aveva raso al suolo con l'uso massiccio di gas tossico. Tre anni dopo, durante la guerra del Golfo, i Kurdi riuscirono a muovere un debole fremito di compassione - comunque rigorosamente limitato al Kurdistan irakeno. In altre parole, erano solo una riprova della "crudeltà satanica" di Saddam Hussein, tanto è vero che appena terminato il conflitto furono subito rimessi nel dimenticatoio.

Negli ultimi anni, quando la Turchia si è accanita contro i Kurdi con durezza spietata, si è preferito chiudere gli occhi per non disturbare le manovre diplomatiche tese ad inserire il paese eurasiatico -che copre il fianco sud della NATO- nell'Unione Europea (2). Un obiettivo che molti ministri europei, fra i quali Lamberto Dini, perseguono con cura certosina. In questo quadro si inserisce la vicenda di Leyla Zana, la parlamentare kurda che dal marzo 1994 si trova rinchiusa nelle tristemente note carceri turche (3).

Leyla, prima donna curda eletta nel Parlamento di Ankara, viene accusata di "opinioni separatiste" per il suo impegno in favore del popolo al quale appartiene. Il governo turco, in particolare, non le perdona di aver sollevato la questione kurda davanti alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE, oggi OSCE) nel 1993. E' proprio il suo rilievo internazionale che la rende particolarmente scomoda: nel 1995 ha ricevuto il Premio Sacharov dal Parlamento Europeo, e l'anno successivo è stata fra i finalisti del Premio Nobel per la Pace.

Naturalmente il caso di Leyla Zana non deve impedire quella quadratura del cerchio che è l'adesione della Turchia all'UE: i 15 membri attuali, alcuni dei quali non perdono occasione per dare lezioni di diritti umani, sono al tempo stesso smaniosi di accogliere un paese come la Turchia. Lo stesso paese che da 21 anni occupa la parte settentrionale di Cipro e tratta la minoranza kurda in un modo che ripugnerebbe perfino a certe dittature militari del Sudamerica.

In questi mesi si parla molto di Europa, e quasi non passa giorno che un dibattito televisivo non tessa le lodi del Trattato di Maastricht. Senza entrare nel merito della questione, vogliamo ripetere che l'Europa non può ridursi ad una semplice operazione economico-finanziaria fatta di costi e ricavi. Ci sono anche dei costi umani che devono essere valutati: parole che suoneranno ingenue o folkloristiche a chi è abituato a misurare il mondo con gli indici della Borsa. Ma non stiamo facendo del folklore: l'Europa è un obiettivo nobile e perfino indispensabile, ma crediamo che sia altrettanto importante chiedersi se la strada imboccata per costruirla non esiga il sacrificio dei Kurdi, dei Tibetani e di tanti altri popoli che lottano per non scomparire.

NOTE
(1) L'avvenimento che aveva cementato l'alleanza fra Stati Uniti e Irak era stata la prima guerra del Golfo (1980-1988), sorta dall'invasione irakena dell'Iran. In quell'occasione l'Irak era apparso un alleato prezioso per controbilanciare il fondamentalismo di Teheran.
(2) Un quadro della tematica è in Çigdem Nas, "The Enlargement Policy of the European Union and its Link with the External Dimension of Human Rights Policy with Special Emphasis on the Turkish Case", MARMARA JOURNAL OF EUROPEAN STUDIES, V, n. 1-2, 1997, pp. 179-198. La rivista CONFLUENCES MEDITERRANEE ha dedicato un numero monografico al tema: "La Turquie interpelle l'Europe", n. 23, automne 1997. Per un quadro aggiornato della giurisprudenza recente sulla questione kurda in Turchia cfr. Catherine Pierse, "Violation of Cultural Rights of Kurds in Turkey", NETHERLANDS QUARTERLY OF HUMAN RIGHTS, XV, n. 3, September 1997, pp. 325-341.
(3) Cfr. Leyla Zana, "Ecrits de prison", Des Femmes, Paris 1996.

INDIRIZZI UTILI
American Kurdish Information Network: 2623 Connecticut Ave. NW, Washington DC 20008, USA, tel. 001-202-4836444, fax 4836476, E-mail: akin@kurdish.org, http://www.kurdistan.org
Institut Kurde: 106, rue Lafayette, F-75010 Paris, France, tel. 0033-1-48246464, fax 0033-1-47709904.
International Journal of Kurdish Studies: 157 West 79, Suite 5/B, New York, NY, USA, tel-fax 001-212-3626188.
Kurdistan Web: http://www.humanrights.de/~kurdweb
 

Turkish report: Officials ordered bombings, killings

Jan. 29 1998

A.P. - ANKARA, Turkey -- Turkish officials spent vast sums on assassins and were involved in murders, kidnappings and bombings -- many targeting Kurds -- according to a report released yesterday that confirms years of accusations by human rights groups. Security officials ordered the killings of prominent Kurds and allowed police officers to carry out summary executions, the report said. The government also was behind the bombing of the Kurdish newspaper Ozgur Gundem in 1994 and the killing that year of a Kurdish businessman who helped finance it, the document said.

The report, parts of which were leaked last week, focused on incidents from 1993 to 1996, under the government of former Prime Minister Tansu Ciller. She and Turkey's current prime minister, Mesut Yilmaz, who commissioned the report, are old political enemies.

The 120-page report was published yesterday in Turkish newspapers, minus 11 pages withheld for security reasons. Even though it said that hitmen were on the government payroll long before 1993, it implied that Ciller was responsible for the abuses. Ciller has responded by calling the report a "children's storybook," and has said she would stand by the "heroic sons of this country who fought with their lives for the unity of the nation".

According to the report, Turkey spent $50 million on assassins. The report identified 30 people killed by security forces and concluded that government agents had carried out many of Turkey's 14,000 "unsolved" murders, particularly those of suspected Kurdish rebels and businessmen who allegedly helped the rebels. "We have been saying all along that the state was involved in political murders", Jonathan Sugden of Amnesty International said in a telephone interview from London. "They were routinely denying all of this. Now they have acknowledged them all".

Press Agency Ozgurluk - For justice, democracy and human rights in Turkey and Kurdistan!
Website: http://www.ozgurluk.org - E-mail: ozgurluk@xs4all.nl - Mailinglists: petidomo@ozgurluk.xs4all.nl
List info: english-request@ozgurluk.xs4all.nl
 

L'arresto dello scrittore e politico curdo Hamdi Turanli é un atto di inciviltá politica

Bolzano, 19 gennaio 1998

Il 12 gennaio 1998 é stato arrestato ad Ankara il poeta, scrittore e politico curdo Hamdi Turanli (nome curdo Hemres Reso). Turanli é cittadino tedesco, membro della SPD dal 1968, membro del Consiglio dell'Associazione per i popoli minacciati (APM) e Presidente del Partito democratico del Kurdistan (KDP) della Turchia, un partito in vista di vecchie tradizioni democratiche, che si impegna con mezzi pacifici per la realizzazione dei diritti umani dei cittadini curdi come anche il riconoscimento della lingua curda in Turchia. Il KDP, come anche altri partiti democratici curdi, in Turchia é stato messo fuori legge.

L'APM si appella al Parlamento italiano perché faccia pressioni sul governo turco per l'immediata liberazione di Turanli. Non é arrestando le personalitá curde che lottano con mezzi pacifici e democratici che si contribuisce alla soluzione del problema curdo. La storia di Turanli é quella di tanti altri esponenti di partito curdi e turchi: ricordiamo per tutti la parlamentare Leyla Zana, che si trova tuttora in carcere per aver richiesto come parlamentare una soluzione per la questione curda. Stessa sorte é toccata al sociologo turco Ismail Besikci, in carcere da oltre 20 anni per aver condotto studi scientifici sulla popolazione curda.

In questo modo il governo turco legittima la politica definita terroristica del PKK, del quale chiede la condanna, senza peró consentire una discussione libera e democratica del problema, sia esso politico od economico. Un tale atteggiamento del governo turco non produrrá altro che nuove violenze e nuove ondate di profughi curdi verso l'Europa ed in primo luogo verso l'Italia.

APM/GfbV-Bolzano/Bozen/Balsan   Mauro di Vieste
CIEMEN-Aosta/Aôta     Claudio Magnabosco
 

Ocalan: l’Europa paga per le responsabilità che non si è assunta

Bolzano, 16 febbraio 1999

L’epilogo della fuga del capo del PKK Abdullah Ocalan, finito nelle mani dei servizi segreti turchi in Kenia, dimostra come il caso sia sfuggito di mano un po’ a tutti: all’Italia che poteva promuovere il processo di pace tramite un processo internazionale sul modello di quello della ex-Jugoslavia e del Ruanda, alla Grecia che non ha avuto il coraggio di assumersi responsabilità più grandi di quanto il proprio peso politico internazionale le consente.

Ma soprattutto è sfuggito di mano all’Unione Europea, la cui visione unitaria è per ora limitata alla moneta unica. L’UE aveva il dovere di prendere posizione nei confronti del problema kurdo. Mettere la testa sotto la sabbia servirà solo a non vedere il fuoco che divamperà ora che la Turchia potrà da sola dettare le regole del gioco. Pensiamo davvero che i flussi migratori di Kurdi dalla Turchia si arresteranno con l’incarcerazione di Ocalan? Pensiamo davvero che le città europee continueranno a festeggiare pacifiche immerse nel proprio benessere? Probabilmente no!

La realtà dei Kurdi in Turchia è talmente drammatica che non c’è nessuna alternativa che possa sembrare loro  peggiore di ciò che stanno già vivendo. Circa 4.000 villaggi rasi al suolo dall’esercito turco con migliaia di morti tra civili e militari dei due schieramenti, i parlamentari regolarmente eletti che si trovano in carcere per aver fatto riferimento ad una “questione kurda”, una economia resa impossibile dalla presenza massiccia dell’esercito che brucia così il 25% del PIL turco. Questo è il bilancio inequivocabile della politica turca  nei confronti dei Kurdi. E chi oggi vorrà gettare benzina sul fuoco dell’odio, troverà terreno adatto per questo gioco suicida.

Da più parti della politica italiana si chiede alla Turchia un processo giusto per Ocalan. Ma visto che la Turchia, politicamente in mano ad una giunta militare, difficilmente potrà garantire un processo giusto a Ocalan, poiché le sarebbe stato più semplice promuovere delle riforme economiche richieste a gran voce anche da esponenti dell’economia turca, come si comporterà adesso l’Italia? Bloccherà le importazioni dalla Turchia, come hanno fatto i nostri fratelli anatolici; non esporterà più armi all’alleato NATO? O si affiderà al Ministro Dini per fare qualche timida protestina in sede ONU, dove si parla la lingua delle armi?

Sono tutti d’accordo sul fatto che Ocalan meriti almeno un giusto processo: ma se in carcere in Turchia si trovano persone come Leyla Zana, parlamentare kurda dell’HADEP, o Ismail Besikci, sociologo turco, rei di aver nominato la questione kurda - come si può immaginare un processo regolare ad Ocalan, sperando che al processo ci arrivi vivo?

L’Associazione per i popoli minacciati chiede garanzie per l’incolumità fisica di Ocalan ed un processo al di fuori della Turchia, dove anche i Kurdi possano testimoniare i crimini commessi dal governo turco senza dover temere per la propria vita. Una soluzione diversa da questa infiammerebbe non solo la Germania, ma tutta l’Europa.
 

L’Associazione per i popoli minacciati: processare anche la Turchia

Göttingen, Vienna, Lussemburgo, Bolzano, Berna, il 16 febbraio 1999

L’Associazione per i popoli minacciati chiede al Governo Tedesco e a tutti i governi degli stati occidentali che oltre al presidente del Partito dei lavoratori del Kurdistan PKK vengano processati da un Tribunale internazionale anche i generali dell’esercito turco e i principali politici turchi per crimini contro l’umanità.

Inoltre questo Tribunale dovrebbe accertare se la Turchia con la distruzione di 3428 villaggi kurdi sul suo territorio, abbia commesso genocidio contro parte della popolazione civile kurda (artricolo IIc della Convenzione per la prevenzione e punizione del genocidio: “premeditata impostazione di condizioni di vita per un gruppo etnico atta a provocare la totale o parziale estinzione fisica”). Oltre a ciò l’esercito turco dovrebbe essere giudicato per le migliaia di omicidi, esecuzioni, incarcerazioni illecite, torture e sparizioni di Kurdi. “Allo stesso tempo devono essere esaminate le incriminazioni avanzate nei confronti del Leader kurdo secondo le quali sarebbe responsabile di uccisioni di membri del suo partito e di civili kurdi.” sottolinea Tilman Zülch, il presidente dell’Associazione per i popoli minacciati.

Il Tribunale Internazionale, ancora da istituire, dovrebbe inoltre verificare fino a che punto la Germania, l’Italia e gli altri paesi membri della NATO abbiano contribuito, tramite la fornitura massiccia di armi di ogni tipo, all’escalation della guerra tra la Turchia e i Kurdi, e quindi ai crimini contro l’umanità commessi soprattutto contro la popolazione civile kurda.

L’Associazione per i popoli minacciati chiede ai partiti politici, ai parlamentari, al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio e ad altre personalità della vita pubblica e soprattutto ai massmedia di discutere pubblicamente le corresponsabilità europee nel conflitto tra la Turchia e i Kurdi.

A lungo andare è insostenibile che la discussione europea sulla violazione degli diritti umani si limiti ai crimini avvenuti 50 anni fa e che in questo modo si sorvoli sui delitti odierni. L’Europa deve assumersi la corresponsabilitá di oltre 2 milioni di cittadini kurdi che vivono nei nostri stati e le famiglie dei quali sono rimaste troppo spesso vittime di armi europee. Solo la Germania tra il 1985 e il 1991, secondo fonti ufficiali, ha fornito gratuitamente equipaggiamento bellico del valore di 3,6 miliardi di marchi. Materiali in eccedenza delle forze armate sono stati donati generosamente, fra questi 200 aeroplani ed elicotteri, all’incirca 41.000 autoveicoli e motociclette, 650 mezzi di trasporto da guerra, 10 veicoli corazzati, 100.000 lanciarazzi anticarro, 256.125 mitragliatori tipo Kalashnikov, 500.000 elmetti d’acciaio e 450 milioni di munizioni.

L’Associazione per i popoli minacciati critica anche la doppia morale degli stati membri della NATO. La NATO, anche se con quattro anni di ritardo, è intervenuta militarmente in Bosnia per mettere termine al genocidio e sta considerando - a ragione - la possibilità di un intervento in Kosovo per impedire la prosecuzione del massacro degli albanesi del Kosovo. Al contrario ha premiato con continue forniture di armi la Turchia, un paese che da settant’anni perseguita e opprime i Kurdi, che fino ad oggi discrimina le minoranze, sia cristiane, sia zoroastriane (Yezidi), che occupa un terzo di Cipro laddove impedisce il ritorno degli abitanti di etnia greca espulsi dai territori occupati.
 

Kurdistan: 10 volte peggio del Kosovo
Relazione di una commissione d'inchiesta del Parlamento turco: 4000 villaggi distrutti, i profughi in condizioni disperate

Bolzano, 1.3.1999

Una commissione d'inchiesta del Parlamento turco stima che nel Kurdistan turco siano stati distrutti o evacuati villaggi in misura dieci volte superiore a quanto fatto dai Serbi in Kosovo: circa 3.500 i villaggi kurdi da cui la popolazione è stata scacciata, mentre esponenti della diaspora kurda, ma anche rappresentanti del Governo turco, portano questa cifra a quasi 4.000. I villaggi distrutti dai Serbi in Kosovo sono circa 450. I profughi kurdi, che si aggirano intorno ai 2.5 milioni per i Turchi e salirebbero a quasi 4 milioni per le fonti kurde, sono abbandonati ad un destino di miseria, malattia, analfabetismo negli slum che circondano le grandi città dell'Anatolia occidentale.
Nelle periferie di Izmir, Ankara, Istanbul sono sorte gigantesche favelas prive di infrastrutture o assistenza medica. Ancora peggio in Anatolia occidentale: a Tunceli il numero degli abitanti è cresciuto in meno di 10 anni da 24.450 a 40.000; a Van gli abitanti sono triplicati, passando da 153.000 a 457.000. La popolazione di Diyarbakir, che i Kurdi considerano il loro capoluogo in Turchia, é raddoppiata in 5 anni, raggiungendo il milione e mezzo di abitanti. Centinaia di migliaia di Kurdi vivono in condizioni miserabili, senza acqua potabile né fogne. Le stime della Commissione d'inchiesta parlano del 50% dei profughi afflitti da gravi problemi di salute. I casi di tifo sono passati da 6.142 nel '91 a 21.677 nel '97; quelli di dissenteria da 4.026 a 12.912. La mortalità infantile è molto alta. Nella zona di Diyarbakir si va diffondendo la malaria. Le malattie psicosomatiche - dovute anche al trauma della deportazione - stanno drammaticamente aumentando. Nelle città più piccole e nei villaggi le istituzioni sanitarie non possono più offrire assistenza, quando non sono chiuse: di 387 policlinici, 87 non sono più attivi, per mancanza di medici specialistici, e delle 831 altre infrastrutture sanitarie ne sono rimaste aperte solo 88. Nelle campagne l'assistenza medica ha praticamente cessato di esistere.
La produzione agricola è stata gravemente compromessa. Assieme ai villaggi vengono bruciati campi e boschi. Il governo vieta l'utilizzazione dei pascoli di montagna, con la motivazione di impedire il sostegno al PKK, e provoca così la distruzione dell'allevamento, principale risorsa economica della regione, che è calato del 31.2%. Nella sola provincia di Diyarbakir il numero degli animali è calato del 50%, quello delle superfici boschive del 60%. Secondo uno studio del Ministero dell'agricoltura turco, la perdita per l'agricoltura si aggira sui 6,5 miliardi di dollari.
Secondo gli stessi governatori provinciali non esisterebbe una base legale per lo sgombero dei villaggi kurdi da parte dell'esercito. Ma gli sgomberi - recita la relazione della commissione d'inchiesta - devono essere stati compiuti con la conoscenza o su ordine delle forze di sicurezza o dei responsabili istituzionali. Molti villaggi poi si trovavano schiacciati tra l'incudine dell'esercito turco e il martello del PKK: se un villaggio obbediva alle direttive dell'esercito di istituire una guardia armata e respingere con le armi i guerriglieri del PKK, veniva esposto alle minacce di quest'ultimo. L'esercito ha fatto pesanti pressioni su quei villaggi che non accettavano il sistema di autodifesa, e molti di questi sono stati distrutti.
 

Dopo la scarcerazione di politici kurdi l’Associazione per i popoli minacciati chiede alla Turchia l’amnistia per tutti i detenuti politici

Bolzano, 13 luglio 1999

Dopo la scarcerazione di Murat Bozlak, presidente del Partito Dremocratico Popolare HADEP e di sei membri del suo partito dalle carceri turche l’Associazione per i popoli minacciati (APM) ha chiesto una amnistia generale per tutti i detenuti politici della Turchia. Nella Turchia fino a 10.000 persone sono tenute prigioniere per motivi politici. La maggior parte di loro sono Kurdi. Molti sono stati condannati a lunghe pene detentive, perchè si sono impegnati per diritti fondamentali come libertà di opinione o di riunione oppure per i  diritti dei Kurdi. La Corte di Giustizia Europea per i diritti umani giovedì scorso ha condannato la Turchia per 15 casi di violazione di diritti fondamentali e al risarcimento dei danni per le parti lese.
La scarcerazione di qualche detenuto politico è assolutamente effimera se il Governo turco non subisce altre conseguenze in seguito a questa condanna. Bozlak è stato arrestato con altri 46 Kurdi il febbraio 1999, perchè avevano protestato in modo nonviolento contro la cattura del presidente del PKK, Abdullah Öcalan, in Italia e rischiava una pena detentiva di 7 anni e mezzo. Secondo il giornale turco Hürriyet i 7 detenuti politici - tra di loro il vice-presidente dell’HADEP, il sindaco della città di Agri e altri 4 membri del direttivo - sono stati scarcerati lunedì, gli altri 40 si trovano ancora in prigione.
Per motivi politici restano ancora in carcere Akin Berdal, presidente del movimento per i diritti umani turco, e l’ex deputata kurda del Parlamento turco, Leyla Zana. Il processo contro Naif Günes, ex-deputato kurdo del partito democratico DEP, vietato dal 1994, inizierà oggi. Il padre di sei bambini si deve giustificare per “l’appartenenza a una masnada armata”, sebbene si è sempre distanziato dal PKK. Per questo è stato anche avversato e rischia una pena detentiva di 15 anni. A Grünes è stato concesso l’asilo politico in Germania, ma volendo entrare in Turchia l’11 febbraio 1999 è stato fermato nell’aeroporto di Ankara.

L’APM protesta contro la condanna a morte di Abdlullah Ocalan
L’Italia e l’UE devono costringere la Turchia a una soluzione pacifica della questione kurda. Evitare nuove forniture di armi

Bolzano/Göttingen, 2 luglio 1999

Dopo la promulgazione della pena di morte contro il presidente del PKK Abdullah Ocalan, il Governo italiano e l’UE dovrebbero impegnarsi per una soluzione pacifica e democratica della questione kurda in Turchia. Questa richiesta è stata avanzata dell’Associazione per i popoli minacciati (APM).
L’APM critica decisamente il Ministro della Difesa tedesca Rudolf Sharping che secondo informazioni del settimanale tedesco “Der Spiegel” nonostante le gravi violazioni dei diritti dei Kurdi accoglie la domanda di una fabbrica d’armi tedesca per poter fornire 120 carri armati tedeschi tipo “Fuchs” alla Turchia, partner Nato. Inoltre Scharping sta appoggiando l’assegnazione di una licenza per la costruzione di altri 1.800 carri armati in Turchia.
“Se adesso non sarà esercitata una pressione sulla Turchia perchè conceda ai Kurdi i diritti civili ed umani, si rischia una nuova radicalizzazione del fronte di liberazione kurdo, anche negli stati dell’UE”, averte l’APM. “A nessun costo si devono concludere nuovi contratti per forniture di armi. Ciò esorterebbe il Governo di Ankara a continuare la sua politica di repressione.”
Fino ad oggi organizzazioni, istituzioni e partiti democratici Kurdi sono vietati, ed in vigore leggi per l’oppressione di minoranze etniche e religiose. “Molti Kurdi sono disperati. Hanno assistito all'intervento della comunità internazionale a favore dei Kosovari e vedono come migliaia e migliaia di profughi possono ritornare a casa. Ma nè l’UE nè l’ONU fanno uno sforzo per affermare i diritti dei Kurdi in Turchia, per garantire il rimpatrio ai profughi, per reclamare la ricostruzione dei villaggi distrutti”, spiega l’APM.
Secondo un rapporto di una Commissione Investigativa Ufficiale del parlamento turco 3.428 villaggi Kurdi sono stati evacuati soprattutto dall’esercito turco e da unità speciali, poi quasi sempre distrutti e 2,5 milioni Kurdi messi in fuga.
 

La NATO deve essere coerente: le stesse motivazioni umanitarie dell'intervento in Kossovo rendono necessario anche un intervento a protezione dei civili kurdi in Turchia

Bolzano, 28 maggio 1999

L'Associazione per i popoli minacciati - internazionale (APM), nel corso della sua assemblea generale, (8 - 9 maggio) ha chiesto, con la propria risoluzione n. 4, che la NATO faccia valere quei principi di diritto umanitario che hanno legittimato il suo intervento in Kossovo anche nei confronti della Turchia.
In Kurdistan,  dove dal 1990, sono stati distrutti 3.428 villaggi, la guerra civile ha provocato 40.000 morti (per il 90% di etnia kurda) e 2.5 milioni di profughi. Unità dell'esercito turco distruggono i campi e i pascoli da cui i Kurdi traggono sostentamento. In molte regioni dell'Anatolia Sud-Orientale  vengono pianificate carestie ed epidemie per decimare i profughi. Le violazioni dei fondamentali dirittti umani compiute dalle forze di sicurezza turche sono all'ordine del giorno. Insegnanti, politici, giornalisti, imprenditori di etnia kurda vengono uccisi, torturati o scompaiono nel nulla.
La NATO giustifica il proprio intervento in Kossovo con l'argomento che gravi crimini contro l'umanità possono essere perseguiti anche in assenza di un esplicito mandato delle Nazioni Unite. Essa agisce al di fuori del territorio degli stati membri, per far sì che gli Albanesi del Kossovo possano ritornare nella loro patria. Ma la Nato sarà mai moralmente all'altezza di questo nobile compito, fino a quando tollererà tra le proprie fila uno Stato antidemocratico, la Turchia, che viola sistematicamente il diritto internazionale e i diritti umani.
L'APM richiede pertanto alla NATO:
? che una commissione indipendente, composta da esperti di diritto internazionale, accerti se i generali turchi nell'Anatolia sudorientale abbiano commesso crimini di guerra e/o contro l'umanità perseguibili secondo trattati sottoscritti anche dagli Stati Membri della Nato. Gli imputati di questi crimini devono essere soggetti al giudizio di un tribunale internazionale assieme al leader del PKK Abdullah Ocalan;
? di accertare se l'esercito turco per compiere questi crimini abbia impiegato armi fornite da Stati membri della NATO, e di interrompere eventuali forniture di armi finchè non cessino le violazioni ai diritti umani;
? di esigere dalla Turchia l'abolizione di tutte le norme che perseguitano o discriminano minoranze etniche o religiose, e il ripristino delle condizioni affinchè i profughi kurdi possano tornare alle loro case.
 

Nuovo colpo alla riconciliazione tra Kurdi e Turchi: la Turchia vieta il Partito Popolare Democratico DKP

Bolzano, 3 marzo 1999

Un "nuovo colpo alla riconciliazione tra Kurdi e Turchi": così ha commentato l’Associazione per i popoli minacciati la decisione del Governo turco di dichiarare fuorilegge il Partito Popolare Democratico DKP, il cui principale obiettivo politico è una soluzione pacifica della questione kurda all’interno della Turchia. Per questa sua impostazione moderata il Partito aveva numerosi aderenti sia tra Kurdi che tra Turchi, e soprattutto nell’Anatolia sudorientale aveva ottime possibilità per le prossime elezioni. Ma evidentemente anche dopo la cattura del leader PKK Abdullah Ocalan la Turchia non è disposta a risolvere la questione kurda con mezzi democratici.
Dal 1983 in Turchia sono stati vietati 15 partiti. Alla fine della settimana scorsa i giudici della Corte Costituzionale turca hanno deciso, con cinque voti contrari e sei a favore, il divieto del DKP. Per la corte, motivazione della sentenza è che il programma del Partito "contiene elementi che mettono in discussione l’indivisibilità dello Stato e l’unità del popolo". L’APM dichiara assurda l’accusa rivolta al DKP di voler distruggere l’unità dello Stato turco, e che con questo divieto la Turchia getta la maschera: evidentemente si vuole mettere il bavaglio a tutti coloro i quali solo accennano ai diritti delle minoranze etniche, linguistiche e culturali in Turchia.
Già nel settembre 1997 l’APM ha fatto appello al Consiglio Europeo, al Parlamento Europeo e a tutti i Governi dell’Europa occidentale, di prendere sotto la propria protezione il DKP. Il presidente del partito, fondato appena in gennaio 1997, aveva chiesto il sostegno delle associazioni per i diritti umani.
Il presidente del DKP è l’avvocato kurdo ed ex ministro socialdemocratico per l’edilizia della Turchia Serafettin Elci. E’ stato il primo ministro della Turchia a dichiarare in pubblico la propria nazionalità kurda.
Dopo il golpe del 1980, per questa "confessione", è stato condannato da un Tribunale Militare a una pena detentiva di 27 mesi. La pena è stata poi prolungata, perché secondo il Tribunale durante il suo periodo governativo avrebbe assunto esclusivamente Kurdi. Elci ha trascorso complessivamente 38 mesi in carcere e per dieci anni gli è stato proibito l’esercizio di ogni attività politica e della sua professione di avvocato.
 

Lettera aperta alle consigliere ed ai consiglieri e sue frazioni del Consiglio Provinciale di Bolzano
Un impegno per i profughi!

Bolzano, 6 ottobre 1999

Egrege consigliere,
Egregi consiglieri,
la nostra associazione per i diritti umani fa appello a Lei, affinché s'impegni per la realizzazione di centri di accoglienza per i profughi nella nostra provincia e affinché siano intraprese le misure politiche, istituzionali e finanziarie per la loro istituzione.
E' incomprensibile che una provincia ricca come il Sudtirolo continui a negare ai profughi un minimo sostegno e che lasci il loro destino completamente nelle mani delle associazioni di volontariato. Quasi ogni settimana vengono fermate a Bolzano e ai valichi di frontiera persone in cerca di un'esistenza sopportabile. Secondo la legge sono "illegali" perché non in possesso di documenti per il viaggio e senza regolare permesso di soggiorno. Questa persone frequentemente vengono anche trattate da "illegali", come se fossero dei criminali. Anni fa questi "illegali" erano soprattutto Bosniaci, poi è arrivato il turno dei Kosovari, ora sono Ashkali e Rom dal Kosovo; i Kurdi invece da sempre hanno una parte fissa nelle tragedie dei profughi.
Che siano Kurdi (si veda la documentazione APM "Völkermord an den Kurden"), Tamili, Sahraui o Bosniaci che non possono tornare nei propri paesi occupati dai Serbi (si vedano le diverse documentazioni APM) o Serbi che non possono tornare nei propri paesi occupati dai Croati (si veda la documentazione APM "Kroatiens Apartheidspolitik"), Askahli e Rom dal Kosovo cacciati via dagli estremisti albanesi (si veda la documentazione APM "Bis der letzte 'Zigeuner' vertrieben ist" - tutte accessibili in Internet su www.ines.org/apm-gfbv o www.gfbv.de). Il Sudtirolo ha la possibilità e il dovere di aiutare questa gente e di attenuare il problema mondiale dei profughi.
Nelle ultime due settimane la polizia a Bolzano ha fermato 300 profughi kurdi. Alla stazione di Bolzano si è avverrata una tragedia che dovrebbe far vergognare la classe politica della provincia. La polizia ha fermato profughi che da Bari volevano raggiungere propri parenti in Germania e in Olanda. Una parte dei profughi era nascosta in vagoni merci. La polizia ha fatto passare la notte ai profughi, prendendosi cura di loro in maniera dignitosa, nel parco della stazione per poi farli tornare a Bari. Pochi giorni dopo profughi kurdi sono stati raccolti su di un treno passeggeri. Circa metà di loro ha trovato una sistemazione provvisoria presso il convento di Muri Gries, gli altri sono stati costretti a passare la notte nel parco della stazione. Collaboratori della Caritas e dell'associazione "Volontarius" si son presi cura dei profughi. Come in tutti i casi di questo genere, l'assenza dell'amministrazione pubblica costituisce l'elemento di maggior vergogna. Senza l'idealismo dei volontari e senza l'umanità della polizia ferroviaria i profughi sarebbero stati allo sbando.
La provenienza dei profughi da zone di guerra o di crisi sottolinea il fatto che queste persone scappano dal terrore. Se ci fosse una guerra nella nostra terra, lei vorrebbe forse vietare alla popolazione di scappare, e vorrebbe forse che i nostri profughi trovassero un'accoglienza come quella di questa provincia? Il Sudtirolo si confronta da oltre dieci anni con l'emergenza profughi. Nel 1990 vennero sistemati in una caserma di Monguelfo 200 Albanesi: questi profughi vennero aasistiti dallo Stato in collaborazione con la Provincia e le associazioni di volontariato. La nostra provincia non ha competenze per la gestione dei permessi di soggiorno, ma ha il dovere morale di assistere i contingenti di profughi assegnati dallo stato e quelli che per i motivi più diversi si fermano da noi. In alcuni casi, come quelli relativi alla prima e seconda ondata di profughi albanesi o all'ondata dei profughi di guerra dalla Croazia e dalla Bosnia o dei Rom macedoni, il Governo italiano ha assegnato alla nostra provincia centinaia di profughi. Negli anni della crisi jugoslava sono arrivati in aggiunta a questo contingente molti altri profughi: in questi casi il Sudtirolo ha dimostrato di essere in grado di accoglierli ed integrarli nella nostra società. Oggi lavorano da noi centinaia di profughi che hanno ottenuto il permesso di soggiorno e si sono integrati. Molti sono invece tornati nella loro patria.
Nonostante arrivino in Sudtirolo, in quanto zona di confine, ogni anno migliaia di profughi, non esiste alcuna struttura di prima accoglienza (queste strutture sono presenti in molti paesi europei). La politica non ha voluto ascoltare le richieste dell'Associazione per i popoli minacciati e di altre organizzazioni per l'approntamento di centri di accoglienza permanenti e per la nomina di un incaricato speciale per i profughi. L'APM si aspetta dalle frazioni e da consigliere e consiglieri del Consiglio provinciale che realizzino la politica dei valori cristiani che professano. Considerato il benessere della nostra provincia, considerati gli aiuti arrivati dall'estero negli anni della povertà, abbiamo l'obbligo morale di impegnarci maggiormente nell'accoglienza di asilanti e profughi. I Sudtirolesi sono stati essi stessi profughi, ma hanno anche cacciato dalle proprie case persone, gli Ebrei meranesi; in Sudtirolo hanno trovato una nuova casa gli Italiani fuggiti dall'Istria, oltre a Kurdi, Bosniaci e Kosovari.
Non possiamo rimanere indifferenti nei confronti di queste persone. Perciò ci appelliamo a lei perché si impegni per la realizzazione di centri di accolgienza a Bolzano e ai tre valichi più importanti del Sudtirolo. E' inaccettabile che una terra ricca come la nostra e che professa valori cristiani, nel momento del bisogno non offra altro che indifferenza o, peggio ancora, ostilità.
In attesa di un cambiamento positivo della nostra politica verso i profughi
Porgiamo distinti saluti
 

INDEX
HOME
Eine Publikation der Gesellschaft für bedrohte Völker. Weiterverbreitung bei Nennung der Quelle erwünscht
Una pubblicazione dell'Associazione per i popoli minacciati. Si prega di citare la fonte @@@ WebDesign: M. di Vieste