|
|
INDICE
Bolzano, 19 gennaio 1998
L'associazione per i popoli minacciati - internazionale protesta energicamente contro le spiegazioni del governo turco per l'ondata di profughi curdi. I profughi curdi per la Turchia sono degli avventurieri mossi da motivazioni economiche. La repubblica turca nega decisamente le motivazioni politiche per un tale esodo. In questo modo i Turchi restano fedeli ai fondatori della repubblica, il triumvirato Talaat - Enver - Djemal e Mustafa Kemal Ataturk, i quali con il genocidio armeno voluto dai vertici dello stato, hanno posto le fondamenta della nuova Turchia. Almeno un milione e mezzo di Armeni vennero sterminati dal governo dei "Giovani turchi" con massacri e deportazioni.
Nel 1923 la nazione turca è stata creata dalla carta costituzionale ed il turco dichiarato come unica lingua di stato. Da allora è iniziata la guerra dei Turchi contro i Curdi. Dal 1925 al 1927 un milione di Curdi furono deportati nella Turchia occidentale. Contemporaneamente scoppiò l'insurrezione dell'Ararat, che vide Curdi e Armeni alleati contro il governo turco; tre anni dopo l'insurrezione venne soffocata nel sangue ed oltre diecimila Curdi uccisi. Nel 1937 una nuova insurrezione nella regione di Dersim costò la vita ad oltre cinquantamila Curdi.
Nel 1945 l'utilizzo della lingua curda in pubblico venne vietata, come anche il tradizionale abbigliamento curdo. La Turchia, ormai entrata nella Nato, dalla fine della seconda guerra mondiale portò avanti una feroce politica di assimilazione forzata e di sottosviluppo economico nella regione anatolica orientale. Mentre nella Turchia occidentale oltre l'80% delle abitazioni dispongono di acqua corrente, in quelle orientali la percentuale scende al 40%. Il 66% delle abitazioni nel Kurdistan del nord (Anatolia orientale) hanno il bagno al di fuori della casa, mentre nella Turchia occidentale sono solo il 20%. Nel Kurdistan del nord il tasso di analfabetismo arriva al 44%, mentre nel resto della Turchia è attorno al 20%.
Soprattutto gli Armeni e i Curdi hanno sofferto a causa della nascita della nazione turca. La Turchia ha anche esportato la sua politica nazionalistica della pulizia etnica. Con il pretesto della protezione della minoranza turco-cipriota dai golpisti fascisti greci, la Turchia occupò nel 1974 un terzo di Cipro. Durante le operazioni nel nord dell'isola l'esercito turco attuò una campagna di terrore fatta di omicidi, fucilazioni, stupri e torture. Complessivamente oltre 200.000 abitanti, soprattutto greco-ciprioti, tra i quali anche appartenenti alla minoranza maronita e armena di Cipro, dovettero fuggire nel sud dell'isola. Questa è la politica turca.
* La Turchia ha promulgato con questo spirito una legge antiterrorismo, che vieta la "propaganda" scritta od orale, le marce di protesta e le dimostrazioni, per evitare la "distruzione dell'unità indivisibile dello stato e della nazione".
* La Turchia regolamenta la libertà d'opinione con più di 150 leggi e 700 paragrafi. Solo nel 1995 sono state sequestrate oltre 1.400 pubblicazioni, sono stati vietati quotidiani curdi ed incarcerati oltre 100 giornalisti. Il sociologo turco Ismail Besikci si trova da 20 anni in carcere per aver scritto i suoi saggi scientifici sul Kurdistan. Dal 1992 sono stati uccisi 28 giornalisti. Fino ad oggi su questi omicidi non è ancora stata fatta luce.
* Con l'articolo 81 della legge sui partiti sono stati vietati i partiti di nazionalità non turca. Secondo questa legge ai partiti non è consentito "affermare che esistano minoranze nazionali o di altro tipo che si distinguono per religione, cultura, confessione, razza o lingua". Ai partiti è quindi vietato "introdurre altre lingue e culture che creino minoranze in Turchia con lo scopo di distruggere l'unità nazionale". Per questo motivo è stato vietato il partito democratico DEP ed arrestati i suoi parlamentari regolarmente eletti. Leyla Zana si trova in carcere dal marzo del 1994. Con questa politica una parte della popolazione del Kurdistan del nord non ha avuto altra scelta che arruolarsi nell'armata del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan). La distruzione delle organizzazioni democratiche curde va senz'altro a vantaggio del PKK. Anche questo corrisponde alle intenzioni dello stato turco.
* Nel 1991 è stata abolita la legge del 1983 che vietava l'utilizzo del curdo in pubblico, però fino ad oggi se ne tollera l'uso soltanto in privato. Ancora oggi milioni di bambini curdi non possono studiare nella propria lingua. Non viene loro concesso il diritto di portare nomi curdi, come anche non possono dare nomi in curdo ai loro paesi, fiumi e strade. La Turchia nel 1995 ha ratificato l'articolo 51 della convenzione dell'ONU per i diritti per l'infanzia, con riserve nei confronti degli articoli 17, 29 e 30 riguardanti le minoranze. In tredici delle ventidue province curde la gente convive da vent'anni con la legge marziale e da oltre 13 anni regna la guerra. Più di 3.000 scuole nelle regioni dove è stato dichiarato lo stato d'emergenza sono state chiuse per "motivi di sicurezza".
Le province dell'Anatolia orientale sono tutte o in parte in stato di emergenza. In queste zone senza diritto ogni arbitrio é permesso: incarcerazioni, torture, deportazioni e fucilazioni. L'esercito e le unità antiterrorismo hanno dichiarato la guerra alla popolazione curda: i raccolti sono stati distrutti, il bestiame ucciso. Dal 1989 i pascoli d'altura non possono più essere utilizzati. Allora l'esercito turco aveva iniziato con le deportazioni degli abitanti dei villaggi curdi. L'associazione turca per i diritti dell'uomo Insan Haklari Dernegi (IHD) aveva documentato le prime deportazioni nel 1989 e l'Associazione Olanda-Kurdistan le aveva confermate come operazioni congiunte: all'ombra dei riflettori puntati sulla guerra del golfo l'esercito turco aveva iniziato a far terra bruciata nelle zone di confine turco-irachene. Soprattutto negli anni 1993/94 questa politica di deportazione regionale ha portato ad uno spopolamento totale. Solo nel 1995 l'associazione per i diritti umani turca ha contato oltre 200 villaggi distrutti od evacuati.
Nel 1993 una Commissione d'inchiesta del Parlamento turco ha verificato la distruzione di 500 villaggi curdi. Nel 1994 l'allora ministro per i diritti dell'uomo Ahmet Köylüoglu ha parlato dell'evacuazione di 1.400 villaggi. Secondo un recente rapporto parlamentare turco dal 1984 sono stati evacuati 2.500 villaggi. Come conseguenza delle evacuazioni forzate 365.000 persone si sono riversate nelle città maggiori. Ad Istanbul vivrebbero oggi tra i tre e i quattro milioni di curdi (nell'autunno del 1992 ogni giorno si sono insediate 320 persone ad Istanbul e 220 ad Izmir, di cui uno su quattro veniva dal sudest del paese).
L'intensa migrazione verso l'ovest crea di conseguenza tensioni sociali ed economiche, che in vista dell'appesantirsi del clima anticurdo possono scoppiare in ogni momento. La pressione da parte delle autorità sulla popolazione dei quartieri curdi è notevole. Anche nelle cittá piccole nella Turchia occidentale regna un pericoloso clima di tensione. Persone che per anni hanno convissuto pacificamente in paesi come Söke, Selcuk o Fethiye ora non si salutano più, non comprano nei negozi degli altri e si incontrano in modo ostile.
Nell'estate del 1994 l'esercito turco per la prima volta ha concentrato in campi di raccolta curdi di villaggi che erano stati evacuati. Vicino a Evrek e Topcular i detenuti di questi campi per più giorni non sono stati alimentati, sono stati picchiati e torturati. Esistono anche dei piani che prevedono l'insediamento dei curdi deportati in "villaggi di confine".
La presunta guerra del governo contro il PKK - una guerra che prima di tutto fa vittime tra la popolazione civile - secondo fonti ufficiali turche finora è costata la vita a 36.925 persone. Oltre 26.000 sarebbero terroristi curdi del PKK, oltre 5.000 persone civili e altre 5.000 soldati turchi.
Per questo molti curdi decidono di fuggire e spesso la loro fuga non termina entro i confini del loro paese. Non si sentono più al sicuro in Turchia e quindi fuggono verso la Grecia, l'Italia e la Germania. La lista dei paesi dai quali provengono i richiedenti asilo, ad esempio in un paese come la Germania, nel 1996 è stata rinfoltita dai profughi provenienti dalla Turchia. Quando vengono respinti alle frontiere con molta probabilità al loro rientro in patria vengono arrestati ed interrogati. Negli ultimi venti mesi sono stati registrati dall'Associazione per i diritti dell'uomo IHD solamente ad Istanbul 295 casi di persone scomparse. L'IHD presume che la cifra reale sia tre volte tanto. Amnesty international e l'IHD hanno indagato in modo attento sui tanti casi di arresti e di scomparse. Per i profughi curdi è quindi molto probabile che subiscano pesanti conseguenze dopo essere stati respinti alle frontiere.
L'IHD ha messo seriamente in dubbio la promessa del governo turco di trattare umanamente i casi dei profughi che rientrano una volta respinti alle frontiere. L'avvocata Kudret Göztürk, membro del direttivo dell'IHD, ha dichiarato: "in Turchia governa non il governo ma il Comitato di sicurezza nazionale, composto da sei generali, un direttore di polizia e cinque poliziotti. Alle decisioni del Comitato si adegua anche il Parlamento". Il Comitato di sicurezza nazionale ha deciso per una linea politica anticurda.
L'APM internazionale
chiede alla Turchia:
* di riconoscere
nella vita ufficiale il popolo curdo, la sua lingua, tradizione e cultura;
* di riconoscere
in modo incondizionato partiti democratici curdi, sindacati e altre istituzioni;
* di concedere
al popolo curdo il diritto all'autodeterminazione, fissato dalla Carta
delle Nazione Unite, tramite elezioni libere e democratiche affinché
possa decidere sul suo status futuro;
* di interrompere
immediatamente le azioni militari, con le quali vengono violati continuamente
i diritti umani della popolazione civile curda e di cercare tramite trattative
una soluzione politica al conflitto.
L'APM internazionale
chiede all'Italia:
* di approvare
immediatamente la legge sul diritto d'asilo;
* di non respingere
i profughi curdi alla frontiera;
* di non fornire
più armi, aiuti economici e finanziari alla Turchia;
* di promuovere
con l'Unione Europea una conferenza sul Kurdistan;
* e di adottare
scelte politiche coerenti contro la Turchia e a favore dei curdi e delle
altre minoranze della Turchia.
Breve bibliografia
sul Kurdistan
N. Fuccaro,
The Lost Kurds. The Yazidis of Modern Iraq, Tauris, London 1997.
David McDowall,
A Modern History of the Kurds, Tauris, London 1997.
A. Vali, Kurdish
Nationalism. Identity, Sovereignty and Violence in Kurdistan, Tauris, London
1997.
Laura Schrader,
Canti d'amore e di libertá del popolo kurdo, Newton, Roma 1993.
Laura Schrader,
I fuochi del Kurdistan: la guerra del popolo in Turchia, Datanews, Roma
1995.
Jasim Tawfik
Mustafa, L'ingerenza umanitaria: il caso dei Kurdi, Serantini, Pisa 1996.
Felice Froio,
I curdi: il dramma di un popolo dimenticato, Mursia, Milano 1991.
Mirella Galletti,
I curdi nella storia, Vecchio Faggio, Chieti 1990.
Alla ricerca di una soluzione del problema curdo
Lo sbarco dei clandestini curdi sembra ormai avere i connotati dell'emergenza albanese e dei relativi sbarchi sulle coste pugliesi e calabresi. Se peró si guarda alla storia del popolo curdo anche solo degli ultimi decenni, si capisce che questo esodo era inevitabile. A ció si aggiungono gli interessi delle varie mafie che fanno della disperazione della gente uno squallido business.
La Turchia, inoltre, con il suo regime militare che controlla ogni aspetto della vita sociale e politica del paese, compresa l'informazione, ha ereditato il peggio dalle ceneri dell'Impero ottomano e cioè l'avversione al riconoscimento delle proprie minoranze etniche e religiose. Da ció nasce la politica turca nei confronti della questione curda. Per tornare solo agli ultimi anni di storia, bisogna riflettere sul fatto che quasi 4.000 villaggi curdi sono stati distrutti dal regime di Ankara (le distruzioni sono tutte documentate).
In una situazione in cui nemmeno l'ONU riesce a garantire l'incolumità di questa gente che vive nella zona di protezione istituita nel Nord dell'Iraq alla fine del conflitto che ha coinvolto il Kuwait, si capisce perché l'unica strada che rimane ai Curdi é quella della fuga. Non è una soluzione impedire l'imbarco con arresti da parte della Polizia turca. Tantomeno può essere considerata una soluzione il rimpatrio dei clandestini. Secondo un'indagine di organizzazioni per i diritti umani tedesche e turche, un gran numero di clandestini curdi rimpatriati in Turchia finiscono nelle prigioni per non uscirci mai più. Il rimpatrio come è praticato da diversi stati europei dunque significa complicità con i crimini contro i diritti umani del regime turco.
Alla riunione delle Polizie dei paesi europei maggiormente interessati dalla questione curda, il governo turco ha sottolineato come il problema non sia di natura politica, bensí di natura economica. Al di là del sofismo di tale affermazione (come se le due cose non fossero legate) dovrebbero bastare i leader sindacali e di partito curdi incarcerati o perseguitati, per smentire una tale ipocrisia. Il premio Sacharov e deputato al parlamento turco Leyla Zana si trova tuttora in carcere nonostante le pressioni internazionali, ultimo un appello di 130 deputati del congresso USA. Il sociologo turco Ismail Besikci é in carcere quasi ininterrottamente da ormai 30 anni senza che si intraveda la fina della sua odissea giudiziaria.
Il governo turco non si ferma nemmeno davanti alla palese antieconomicità della guerra nel Kurdistan. Eppure molti degli stessi ambienti economici turchi suggeriscono che se il quarto di Pil che attualmente viene buttato nella guerra in Kurdistan fosse usato come investimento produttivo nelle stesse zone la questione curda sarebbe già risolta. Ma la guerra non è solo una cifra negativa: i costi umani non hanno un valore quantificabile ed il prezzo che tutta la Turchia ed il Kurdistan stanno pagando è infinitamente alto. Ed è proprio questo prezzo, fatto di vite umane, che l'Italia e l'Europa adesso dovranno pagare con la Turchia. Soprattutto l'Italia e la Germania non hanno fatto bene i conti quando hanno venduto e a volte regalato armi, mine, elicotteri da combattimento al governo turco. L'ondata di profughi è il risultato di una politica scellerata dell'Europa nei confronti della Turchia e di questi nei confronti dei propri curdi.
Come pensiamo che si possano comportare milioni di persone che non hanno nessuna speranza di sopravvivenza (ancora prima che di benessere) in uno stato dove la connivenza tra mondo politico e trafficanti di armi e droga è arrivata al massimo livello. Sarebbe tempo di finirla con i buoni proclami natalizi e di tacere sui misfatti umanitari di un governo che ha già un piede in Europa. Non si può andare in visita in una Turchia dove le carceri scoppiano di detenuti politici che muoiono facendo lo sciopero della fame e sorridendo far finta che tutto ció non esista.
Adesso è
proprio il momento di imporre alla Turchia severe sanzioni economiche e
condizionare i rapporti commerciali all'impegno a sedersi ad un tavolo
delle trattative con i rappresentanti curdi, poiché ormai i profughi
curdi sono già nelle nostra case a raccontare le loro storie di
disperazione. Adesso è il momento di aprire gli occhi sulla realtá
curda, poiché é vergognoso che passi un servizio al TG1 (7
gennaio ore 13.30) in cui il giornalista si chiede dove i profughi vadano
a prendere i soldi per fuggire piuttosto che chiedersi questi soldi a chi
vanno a finire.
Perché l'Europa non puó sostenere la causa curda
Gli episodi che periodicamente riportano all'attenzione internazionale la questione kurda stentano a generare una piena presa di coscienza della sua gravità. Nel 1988, quando Saddam Hussein era uno dei più preziosi alleati degli Stati Uniti (1), pochi furono toccati dal massacro di Halabja, il villaggio kurdo che l'esercito irakeno aveva raso al suolo con l'uso massiccio di gas tossico. Tre anni dopo, durante la guerra del Golfo, i Kurdi riuscirono a muovere un debole fremito di compassione - comunque rigorosamente limitato al Kurdistan irakeno. In altre parole, erano solo una riprova della "crudeltà satanica" di Saddam Hussein, tanto è vero che appena terminato il conflitto furono subito rimessi nel dimenticatoio.
Negli ultimi anni, quando la Turchia si è accanita contro i Kurdi con durezza spietata, si è preferito chiudere gli occhi per non disturbare le manovre diplomatiche tese ad inserire il paese eurasiatico -che copre il fianco sud della NATO- nell'Unione Europea (2). Un obiettivo che molti ministri europei, fra i quali Lamberto Dini, perseguono con cura certosina. In questo quadro si inserisce la vicenda di Leyla Zana, la parlamentare kurda che dal marzo 1994 si trova rinchiusa nelle tristemente note carceri turche (3).
Leyla, prima donna curda eletta nel Parlamento di Ankara, viene accusata di "opinioni separatiste" per il suo impegno in favore del popolo al quale appartiene. Il governo turco, in particolare, non le perdona di aver sollevato la questione kurda davanti alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE, oggi OSCE) nel 1993. E' proprio il suo rilievo internazionale che la rende particolarmente scomoda: nel 1995 ha ricevuto il Premio Sacharov dal Parlamento Europeo, e l'anno successivo è stata fra i finalisti del Premio Nobel per la Pace.
Naturalmente il caso di Leyla Zana non deve impedire quella quadratura del cerchio che è l'adesione della Turchia all'UE: i 15 membri attuali, alcuni dei quali non perdono occasione per dare lezioni di diritti umani, sono al tempo stesso smaniosi di accogliere un paese come la Turchia. Lo stesso paese che da 21 anni occupa la parte settentrionale di Cipro e tratta la minoranza kurda in un modo che ripugnerebbe perfino a certe dittature militari del Sudamerica.
In questi mesi si parla molto di Europa, e quasi non passa giorno che un dibattito televisivo non tessa le lodi del Trattato di Maastricht. Senza entrare nel merito della questione, vogliamo ripetere che l'Europa non può ridursi ad una semplice operazione economico-finanziaria fatta di costi e ricavi. Ci sono anche dei costi umani che devono essere valutati: parole che suoneranno ingenue o folkloristiche a chi è abituato a misurare il mondo con gli indici della Borsa. Ma non stiamo facendo del folklore: l'Europa è un obiettivo nobile e perfino indispensabile, ma crediamo che sia altrettanto importante chiedersi se la strada imboccata per costruirla non esiga il sacrificio dei Kurdi, dei Tibetani e di tanti altri popoli che lottano per non scomparire.
NOTE
(1) L'avvenimento
che aveva cementato l'alleanza fra Stati Uniti e Irak era stata la prima
guerra del Golfo (1980-1988), sorta dall'invasione irakena dell'Iran. In
quell'occasione l'Irak era apparso un alleato prezioso per controbilanciare
il fondamentalismo di Teheran.
(2) Un quadro
della tematica è in Çigdem Nas, "The Enlargement Policy of
the European Union and its Link with the External Dimension of Human Rights
Policy with Special Emphasis on the Turkish Case", MARMARA JOURNAL OF EUROPEAN
STUDIES, V, n. 1-2, 1997, pp. 179-198. La rivista CONFLUENCES MEDITERRANEE
ha dedicato un numero monografico al tema: "La Turquie interpelle l'Europe",
n. 23, automne 1997. Per un quadro aggiornato della giurisprudenza recente
sulla questione kurda in Turchia cfr. Catherine Pierse, "Violation of Cultural
Rights of Kurds in Turkey", NETHERLANDS QUARTERLY OF HUMAN RIGHTS, XV,
n. 3, September 1997, pp. 325-341.
(3) Cfr. Leyla
Zana, "Ecrits de prison", Des Femmes, Paris 1996.
INDIRIZZI UTILI
American Kurdish
Information Network: 2623 Connecticut Ave. NW, Washington DC 20008, USA,
tel. 001-202-4836444, fax 4836476, E-mail: akin@kurdish.org, http://www.kurdistan.org
Institut Kurde:
106, rue Lafayette, F-75010 Paris, France, tel. 0033-1-48246464, fax 0033-1-47709904.
International
Journal of Kurdish Studies: 157 West 79, Suite 5/B, New York, NY, USA,
tel-fax 001-212-3626188.
Kurdistan
Web: http://www.humanrights.de/~kurdweb
Turkish report: Officials ordered bombings, killings
Jan. 29 1998
A.P. - ANKARA, Turkey -- Turkish officials spent vast sums on assassins and were involved in murders, kidnappings and bombings -- many targeting Kurds -- according to a report released yesterday that confirms years of accusations by human rights groups. Security officials ordered the killings of prominent Kurds and allowed police officers to carry out summary executions, the report said. The government also was behind the bombing of the Kurdish newspaper Ozgur Gundem in 1994 and the killing that year of a Kurdish businessman who helped finance it, the document said.
The report, parts of which were leaked last week, focused on incidents from 1993 to 1996, under the government of former Prime Minister Tansu Ciller. She and Turkey's current prime minister, Mesut Yilmaz, who commissioned the report, are old political enemies.
The 120-page report was published yesterday in Turkish newspapers, minus 11 pages withheld for security reasons. Even though it said that hitmen were on the government payroll long before 1993, it implied that Ciller was responsible for the abuses. Ciller has responded by calling the report a "children's storybook," and has said she would stand by the "heroic sons of this country who fought with their lives for the unity of the nation".
According to the report, Turkey spent $50 million on assassins. The report identified 30 people killed by security forces and concluded that government agents had carried out many of Turkey's 14,000 "unsolved" murders, particularly those of suspected Kurdish rebels and businessmen who allegedly helped the rebels. "We have been saying all along that the state was involved in political murders", Jonathan Sugden of Amnesty International said in a telephone interview from London. "They were routinely denying all of this. Now they have acknowledged them all".
Press Agency
Ozgurluk - For justice, democracy and human rights in Turkey and Kurdistan!
Website: http://www.ozgurluk.org
- E-mail: ozgurluk@xs4all.nl - Mailinglists: petidomo@ozgurluk.xs4all.nl
List info:
english-request@ozgurluk.xs4all.nl
L'arresto dello scrittore e politico curdo Hamdi Turanli é un atto di inciviltá politica
Bolzano, 19 gennaio 1998
Il 12 gennaio 1998 é stato arrestato ad Ankara il poeta, scrittore e politico curdo Hamdi Turanli (nome curdo Hemres Reso). Turanli é cittadino tedesco, membro della SPD dal 1968, membro del Consiglio dell'Associazione per i popoli minacciati (APM) e Presidente del Partito democratico del Kurdistan (KDP) della Turchia, un partito in vista di vecchie tradizioni democratiche, che si impegna con mezzi pacifici per la realizzazione dei diritti umani dei cittadini curdi come anche il riconoscimento della lingua curda in Turchia. Il KDP, come anche altri partiti democratici curdi, in Turchia é stato messo fuori legge.
L'APM si appella al Parlamento italiano perché faccia pressioni sul governo turco per l'immediata liberazione di Turanli. Non é arrestando le personalitá curde che lottano con mezzi pacifici e democratici che si contribuisce alla soluzione del problema curdo. La storia di Turanli é quella di tanti altri esponenti di partito curdi e turchi: ricordiamo per tutti la parlamentare Leyla Zana, che si trova tuttora in carcere per aver richiesto come parlamentare una soluzione per la questione curda. Stessa sorte é toccata al sociologo turco Ismail Besikci, in carcere da oltre 20 anni per aver condotto studi scientifici sulla popolazione curda.
In questo modo il governo turco legittima la politica definita terroristica del PKK, del quale chiede la condanna, senza peró consentire una discussione libera e democratica del problema, sia esso politico od economico. Un tale atteggiamento del governo turco non produrrá altro che nuove violenze e nuove ondate di profughi curdi verso l'Europa ed in primo luogo verso l'Italia.
APM/GfbV-Bolzano/Bozen/Balsan
Mauro di Vieste
CIEMEN-Aosta/Aôta
Claudio Magnabosco
Ocalan: l’Europa paga per le responsabilità che non si è assunta
Bolzano, 16 febbraio 1999
L’epilogo della fuga del capo del PKK Abdullah Ocalan, finito nelle mani dei servizi segreti turchi in Kenia, dimostra come il caso sia sfuggito di mano un po’ a tutti: all’Italia che poteva promuovere il processo di pace tramite un processo internazionale sul modello di quello della ex-Jugoslavia e del Ruanda, alla Grecia che non ha avuto il coraggio di assumersi responsabilità più grandi di quanto il proprio peso politico internazionale le consente.
Ma soprattutto è sfuggito di mano all’Unione Europea, la cui visione unitaria è per ora limitata alla moneta unica. L’UE aveva il dovere di prendere posizione nei confronti del problema kurdo. Mettere la testa sotto la sabbia servirà solo a non vedere il fuoco che divamperà ora che la Turchia potrà da sola dettare le regole del gioco. Pensiamo davvero che i flussi migratori di Kurdi dalla Turchia si arresteranno con l’incarcerazione di Ocalan? Pensiamo davvero che le città europee continueranno a festeggiare pacifiche immerse nel proprio benessere? Probabilmente no!
La realtà dei Kurdi in Turchia è talmente drammatica che non c’è nessuna alternativa che possa sembrare loro peggiore di ciò che stanno già vivendo. Circa 4.000 villaggi rasi al suolo dall’esercito turco con migliaia di morti tra civili e militari dei due schieramenti, i parlamentari regolarmente eletti che si trovano in carcere per aver fatto riferimento ad una “questione kurda”, una economia resa impossibile dalla presenza massiccia dell’esercito che brucia così il 25% del PIL turco. Questo è il bilancio inequivocabile della politica turca nei confronti dei Kurdi. E chi oggi vorrà gettare benzina sul fuoco dell’odio, troverà terreno adatto per questo gioco suicida.
Da più parti della politica italiana si chiede alla Turchia un processo giusto per Ocalan. Ma visto che la Turchia, politicamente in mano ad una giunta militare, difficilmente potrà garantire un processo giusto a Ocalan, poiché le sarebbe stato più semplice promuovere delle riforme economiche richieste a gran voce anche da esponenti dell’economia turca, come si comporterà adesso l’Italia? Bloccherà le importazioni dalla Turchia, come hanno fatto i nostri fratelli anatolici; non esporterà più armi all’alleato NATO? O si affiderà al Ministro Dini per fare qualche timida protestina in sede ONU, dove si parla la lingua delle armi?
Sono tutti d’accordo sul fatto che Ocalan meriti almeno un giusto processo: ma se in carcere in Turchia si trovano persone come Leyla Zana, parlamentare kurda dell’HADEP, o Ismail Besikci, sociologo turco, rei di aver nominato la questione kurda - come si può immaginare un processo regolare ad Ocalan, sperando che al processo ci arrivi vivo?
L’Associazione
per i popoli minacciati chiede garanzie per l’incolumità fisica
di Ocalan ed un processo al di fuori della Turchia, dove anche i Kurdi
possano testimoniare i crimini commessi dal governo turco senza dover temere
per la propria vita. Una soluzione diversa da questa infiammerebbe non
solo la Germania, ma tutta l’Europa.
L’Associazione per i popoli minacciati: processare anche la Turchia
Göttingen, Vienna, Lussemburgo, Bolzano, Berna, il 16 febbraio 1999
L’Associazione per i popoli minacciati chiede al Governo Tedesco e a tutti i governi degli stati occidentali che oltre al presidente del Partito dei lavoratori del Kurdistan PKK vengano processati da un Tribunale internazionale anche i generali dell’esercito turco e i principali politici turchi per crimini contro l’umanità.
Inoltre questo Tribunale dovrebbe accertare se la Turchia con la distruzione di 3428 villaggi kurdi sul suo territorio, abbia commesso genocidio contro parte della popolazione civile kurda (artricolo IIc della Convenzione per la prevenzione e punizione del genocidio: “premeditata impostazione di condizioni di vita per un gruppo etnico atta a provocare la totale o parziale estinzione fisica”). Oltre a ciò l’esercito turco dovrebbe essere giudicato per le migliaia di omicidi, esecuzioni, incarcerazioni illecite, torture e sparizioni di Kurdi. “Allo stesso tempo devono essere esaminate le incriminazioni avanzate nei confronti del Leader kurdo secondo le quali sarebbe responsabile di uccisioni di membri del suo partito e di civili kurdi.” sottolinea Tilman Zülch, il presidente dell’Associazione per i popoli minacciati.
Il Tribunale Internazionale, ancora da istituire, dovrebbe inoltre verificare fino a che punto la Germania, l’Italia e gli altri paesi membri della NATO abbiano contribuito, tramite la fornitura massiccia di armi di ogni tipo, all’escalation della guerra tra la Turchia e i Kurdi, e quindi ai crimini contro l’umanità commessi soprattutto contro la popolazione civile kurda.
L’Associazione per i popoli minacciati chiede ai partiti politici, ai parlamentari, al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio e ad altre personalità della vita pubblica e soprattutto ai massmedia di discutere pubblicamente le corresponsabilità europee nel conflitto tra la Turchia e i Kurdi.
A lungo andare è insostenibile che la discussione europea sulla violazione degli diritti umani si limiti ai crimini avvenuti 50 anni fa e che in questo modo si sorvoli sui delitti odierni. L’Europa deve assumersi la corresponsabilitá di oltre 2 milioni di cittadini kurdi che vivono nei nostri stati e le famiglie dei quali sono rimaste troppo spesso vittime di armi europee. Solo la Germania tra il 1985 e il 1991, secondo fonti ufficiali, ha fornito gratuitamente equipaggiamento bellico del valore di 3,6 miliardi di marchi. Materiali in eccedenza delle forze armate sono stati donati generosamente, fra questi 200 aeroplani ed elicotteri, all’incirca 41.000 autoveicoli e motociclette, 650 mezzi di trasporto da guerra, 10 veicoli corazzati, 100.000 lanciarazzi anticarro, 256.125 mitragliatori tipo Kalashnikov, 500.000 elmetti d’acciaio e 450 milioni di munizioni.
L’Associazione
per i popoli minacciati critica anche la doppia morale degli stati membri
della NATO. La NATO, anche se con quattro anni di ritardo, è intervenuta
militarmente in Bosnia per mettere termine al genocidio e sta considerando
- a ragione - la possibilità di un intervento in Kosovo per impedire
la prosecuzione del massacro degli albanesi del Kosovo. Al contrario ha
premiato con continue forniture di armi la Turchia, un paese che da settant’anni
perseguita e opprime i Kurdi, che fino ad oggi discrimina le minoranze,
sia cristiane, sia zoroastriane (Yezidi), che occupa un terzo di Cipro
laddove impedisce il ritorno degli abitanti di etnia greca espulsi dai
territori occupati.
Kurdistan:
10 volte peggio del Kosovo
Relazione di una commissione
d'inchiesta del Parlamento turco: 4000 villaggi distrutti, i profughi in
condizioni disperate
Bolzano, 1.3.1999
Una commissione
d'inchiesta del Parlamento turco stima che nel Kurdistan turco siano stati
distrutti o evacuati villaggi in misura dieci volte superiore a quanto
fatto dai Serbi in Kosovo: circa 3.500 i villaggi kurdi da cui la popolazione
è stata scacciata, mentre esponenti della diaspora kurda, ma anche
rappresentanti del Governo turco, portano questa cifra a quasi 4.000. I
villaggi distrutti dai Serbi in Kosovo sono circa 450. I profughi kurdi,
che si aggirano intorno ai 2.5 milioni per i Turchi e salirebbero a quasi
4 milioni per le fonti kurde, sono abbandonati ad un destino di miseria,
malattia, analfabetismo negli slum che circondano le grandi città
dell'Anatolia occidentale.
Nelle periferie
di Izmir, Ankara, Istanbul sono sorte gigantesche favelas prive di infrastrutture
o assistenza medica. Ancora peggio in Anatolia occidentale: a Tunceli il
numero degli abitanti è cresciuto in meno di 10 anni da 24.450 a
40.000; a Van gli abitanti sono triplicati, passando da 153.000 a 457.000.
La popolazione di Diyarbakir, che i Kurdi considerano il loro capoluogo
in Turchia, é raddoppiata in 5 anni, raggiungendo il milione e mezzo
di abitanti. Centinaia di migliaia di Kurdi vivono in condizioni miserabili,
senza acqua potabile né fogne. Le stime della Commissione d'inchiesta
parlano del 50% dei profughi afflitti da gravi problemi di salute. I casi
di tifo sono passati da 6.142 nel '91 a 21.677 nel '97; quelli di dissenteria
da 4.026 a 12.912. La mortalità infantile è molto alta. Nella
zona di Diyarbakir si va diffondendo la malaria. Le malattie psicosomatiche
- dovute anche al trauma della deportazione - stanno drammaticamente aumentando.
Nelle città più piccole e nei villaggi le istituzioni sanitarie
non possono più offrire assistenza, quando non sono chiuse: di 387
policlinici, 87 non sono più attivi, per mancanza di medici specialistici,
e delle 831 altre infrastrutture sanitarie ne sono rimaste aperte solo
88. Nelle campagne l'assistenza medica ha praticamente cessato di esistere.
La produzione
agricola è stata gravemente compromessa. Assieme ai villaggi vengono
bruciati campi e boschi. Il governo vieta l'utilizzazione dei pascoli di
montagna, con la motivazione di impedire il sostegno al PKK, e provoca
così la distruzione dell'allevamento, principale risorsa economica
della regione, che è calato del 31.2%. Nella sola provincia di Diyarbakir
il numero degli animali è calato del 50%, quello delle superfici
boschive del 60%. Secondo uno studio del Ministero dell'agricoltura turco,
la perdita per l'agricoltura si aggira sui 6,5 miliardi di dollari.
Secondo gli
stessi governatori provinciali non esisterebbe una base legale per lo sgombero
dei villaggi kurdi da parte dell'esercito. Ma gli sgomberi - recita la
relazione della commissione d'inchiesta - devono essere stati compiuti
con la conoscenza o su ordine delle forze di sicurezza o dei responsabili
istituzionali. Molti villaggi poi si trovavano schiacciati tra l'incudine
dell'esercito turco e il martello del PKK: se un villaggio obbediva alle
direttive dell'esercito di istituire una guardia armata e respingere con
le armi i guerriglieri del PKK, veniva esposto alle minacce di quest'ultimo.
L'esercito ha fatto pesanti pressioni su quei villaggi che non accettavano
il sistema di autodifesa, e molti di questi sono stati distrutti.
Dopo la scarcerazione di politici kurdi l’Associazione per i popoli minacciati chiede alla Turchia l’amnistia per tutti i detenuti politici
Bolzano, 13 luglio 1999
Dopo la scarcerazione
di Murat Bozlak, presidente del Partito Dremocratico Popolare HADEP e di
sei membri del suo partito dalle carceri turche l’Associazione per i popoli
minacciati (APM) ha chiesto una amnistia generale per tutti i detenuti
politici della Turchia. Nella Turchia fino a 10.000 persone sono tenute
prigioniere per motivi politici. La maggior parte di loro sono Kurdi. Molti
sono stati condannati a lunghe pene detentive, perchè si sono impegnati
per diritti fondamentali come libertà di opinione o di riunione
oppure per i diritti dei Kurdi. La Corte di Giustizia Europea per
i diritti umani giovedì scorso ha condannato la Turchia per 15 casi
di violazione di diritti fondamentali e al risarcimento dei danni per le
parti lese.
La scarcerazione
di qualche detenuto politico è assolutamente effimera se il Governo
turco non subisce altre conseguenze in seguito a questa condanna. Bozlak
è stato arrestato con altri 46 Kurdi il febbraio 1999, perchè
avevano protestato in modo nonviolento contro la cattura del presidente
del PKK, Abdullah Öcalan, in Italia e rischiava una pena detentiva
di 7 anni e mezzo. Secondo il giornale turco Hürriyet i 7 detenuti
politici - tra di loro il vice-presidente dell’HADEP, il sindaco della
città di Agri e altri 4 membri del direttivo - sono stati scarcerati
lunedì, gli altri 40 si trovano ancora in prigione.
Per motivi
politici restano ancora in carcere Akin Berdal, presidente del movimento
per i diritti umani turco, e l’ex deputata kurda del Parlamento turco,
Leyla Zana. Il processo contro Naif Günes, ex-deputato kurdo del partito
democratico DEP, vietato dal 1994, inizierà oggi. Il padre di sei
bambini si deve giustificare per “l’appartenenza a una masnada armata”,
sebbene si è sempre distanziato dal PKK. Per questo è stato
anche avversato e rischia una pena detentiva di 15 anni. A Grünes
è stato concesso l’asilo politico in Germania, ma volendo entrare
in Turchia l’11 febbraio 1999 è stato fermato nell’aeroporto di
Ankara.
L’APM
protesta
contro la condanna a morte di Abdlullah Ocalan
L’Italia e l’UE devono
costringere la Turchia a una soluzione pacifica della questione kurda.
Evitare nuove forniture di armi
Bolzano/Göttingen, 2 luglio 1999
Dopo la promulgazione
della pena di morte contro il presidente del PKK Abdullah Ocalan, il Governo
italiano e l’UE dovrebbero impegnarsi per una soluzione pacifica e democratica
della questione kurda in Turchia. Questa richiesta è stata avanzata
dell’Associazione per i popoli minacciati (APM).
L’APM critica
decisamente il Ministro della Difesa tedesca Rudolf Sharping che secondo
informazioni del settimanale tedesco “Der Spiegel” nonostante le gravi
violazioni dei diritti dei Kurdi accoglie la domanda di una fabbrica d’armi
tedesca per poter fornire 120 carri armati tedeschi tipo “Fuchs” alla Turchia,
partner Nato. Inoltre Scharping sta appoggiando l’assegnazione di una licenza
per la costruzione di altri 1.800 carri armati in Turchia.
“Se adesso
non sarà esercitata una pressione sulla Turchia perchè conceda
ai Kurdi i diritti civili ed umani, si rischia una nuova radicalizzazione
del fronte di liberazione kurdo, anche negli stati dell’UE”, averte l’APM.
“A nessun costo si devono concludere nuovi contratti per forniture di armi.
Ciò esorterebbe il Governo di Ankara a continuare la sua politica
di repressione.”
Fino ad oggi
organizzazioni, istituzioni e partiti democratici Kurdi sono vietati, ed
in vigore leggi per l’oppressione di minoranze etniche e religiose. “Molti
Kurdi sono disperati. Hanno assistito all'intervento della comunità
internazionale a favore dei Kosovari e vedono come migliaia e migliaia
di profughi possono ritornare a casa. Ma nè l’UE nè l’ONU
fanno uno sforzo per affermare i diritti dei Kurdi in Turchia, per garantire
il rimpatrio ai profughi, per reclamare la ricostruzione dei villaggi distrutti”,
spiega l’APM.
Secondo un
rapporto di una Commissione Investigativa Ufficiale del parlamento turco
3.428 villaggi Kurdi sono stati evacuati soprattutto dall’esercito turco
e da unità speciali, poi quasi sempre distrutti e 2,5 milioni Kurdi
messi in fuga.
La NATO deve essere coerente: le stesse motivazioni umanitarie dell'intervento in Kossovo rendono necessario anche un intervento a protezione dei civili kurdi in Turchia
Bolzano, 28 maggio 1999
L'Associazione
per i popoli minacciati - internazionale (APM), nel corso della sua assemblea
generale, (8 - 9 maggio) ha chiesto, con la propria risoluzione n. 4, che
la NATO faccia valere quei principi di diritto umanitario che hanno legittimato
il suo intervento in Kossovo anche nei confronti della Turchia.
In Kurdistan,
dove dal 1990, sono stati distrutti 3.428 villaggi, la guerra civile ha
provocato 40.000 morti (per il 90% di etnia kurda) e 2.5 milioni di profughi.
Unità dell'esercito turco distruggono i campi e i pascoli da cui
i Kurdi traggono sostentamento. In molte regioni dell'Anatolia Sud-Orientale
vengono pianificate carestie ed epidemie per decimare i profughi. Le violazioni
dei fondamentali dirittti umani compiute dalle forze di sicurezza turche
sono all'ordine del giorno. Insegnanti, politici, giornalisti, imprenditori
di etnia kurda vengono uccisi, torturati o scompaiono nel nulla.
La NATO giustifica
il proprio intervento in Kossovo con l'argomento che gravi crimini contro
l'umanità possono essere perseguiti anche in assenza di un esplicito
mandato delle Nazioni Unite. Essa agisce al di fuori del territorio degli
stati membri, per far sì che gli Albanesi del Kossovo possano ritornare
nella loro patria. Ma la Nato sarà mai moralmente all'altezza di
questo nobile compito, fino a quando tollererà tra le proprie fila
uno Stato antidemocratico, la Turchia, che viola sistematicamente il diritto
internazionale e i diritti umani.
L'APM richiede
pertanto alla NATO:
? che una
commissione indipendente, composta da esperti di diritto internazionale,
accerti se i generali turchi nell'Anatolia sudorientale abbiano commesso
crimini di guerra e/o contro l'umanità perseguibili secondo trattati
sottoscritti anche dagli Stati Membri della Nato. Gli imputati di questi
crimini devono essere soggetti al giudizio di un tribunale internazionale
assieme al leader del PKK Abdullah Ocalan;
? di accertare
se l'esercito turco per compiere questi crimini abbia impiegato armi fornite
da Stati membri della NATO, e di interrompere eventuali forniture di armi
finchè non cessino le violazioni ai diritti umani;
? di esigere
dalla Turchia l'abolizione di tutte le norme che perseguitano o discriminano
minoranze etniche o religiose, e il ripristino delle condizioni affinchè
i profughi kurdi possano tornare alle loro case.
Nuovo colpo alla riconciliazione tra Kurdi e Turchi: la Turchia vieta il Partito Popolare Democratico DKP
Bolzano, 3 marzo 1999
Un "nuovo colpo
alla riconciliazione tra Kurdi e Turchi": così ha commentato l’Associazione
per i popoli minacciati la decisione del Governo turco di dichiarare fuorilegge
il Partito Popolare Democratico DKP, il cui principale obiettivo politico
è una soluzione pacifica della questione kurda all’interno della
Turchia. Per questa sua impostazione moderata il Partito aveva numerosi
aderenti sia tra Kurdi che tra Turchi, e soprattutto nell’Anatolia sudorientale
aveva ottime possibilità per le prossime elezioni. Ma evidentemente
anche dopo la cattura del leader PKK Abdullah Ocalan la Turchia non è
disposta a risolvere la questione kurda con mezzi democratici.
Dal 1983 in
Turchia sono stati vietati 15 partiti. Alla fine della settimana scorsa
i giudici della Corte Costituzionale turca hanno deciso, con cinque voti
contrari e sei a favore, il divieto del DKP. Per la corte, motivazione
della sentenza è che il programma del Partito "contiene elementi
che mettono in discussione l’indivisibilità dello Stato e l’unità
del popolo". L’APM dichiara assurda l’accusa rivolta al DKP di voler distruggere
l’unità dello Stato turco, e che con questo divieto la Turchia getta
la maschera: evidentemente si vuole mettere il bavaglio a tutti coloro
i quali solo accennano ai diritti delle minoranze etniche, linguistiche
e culturali in Turchia.
Già
nel settembre 1997 l’APM ha fatto appello al Consiglio Europeo, al Parlamento
Europeo e a tutti i Governi dell’Europa occidentale, di prendere sotto
la propria protezione il DKP. Il presidente del partito, fondato appena
in gennaio 1997, aveva chiesto il sostegno delle associazioni per i diritti
umani.
Il presidente
del DKP è l’avvocato kurdo ed ex ministro socialdemocratico per
l’edilizia della Turchia Serafettin Elci. E’ stato il primo ministro della
Turchia a dichiarare in pubblico la propria nazionalità kurda.
Dopo il golpe
del 1980, per questa "confessione", è stato condannato da un Tribunale
Militare a una pena detentiva di 27 mesi. La pena è stata poi prolungata,
perché secondo il Tribunale durante il suo periodo governativo avrebbe
assunto esclusivamente Kurdi. Elci ha trascorso complessivamente 38 mesi
in carcere e per dieci anni gli è stato proibito l’esercizio di
ogni attività politica e della sua professione di avvocato.
Lettera
aperta alle consigliere ed ai consiglieri e sue frazioni del Consiglio
Provinciale di Bolzano
Un impegno
per i profughi!
Bolzano, 6 ottobre 1999
Egrege consigliere,
Egregi consiglieri,
la nostra
associazione per i diritti umani fa appello a Lei, affinché s'impegni
per la realizzazione di centri di accoglienza per i profughi nella nostra
provincia e affinché siano intraprese le misure politiche, istituzionali
e finanziarie per la loro istituzione.
E' incomprensibile
che una provincia ricca come il Sudtirolo continui a negare ai profughi
un minimo sostegno e che lasci il loro destino completamente nelle mani
delle associazioni di volontariato. Quasi ogni settimana vengono fermate
a Bolzano e ai valichi di frontiera persone in cerca di un'esistenza sopportabile.
Secondo la legge sono "illegali" perché non in possesso di documenti
per il viaggio e senza regolare permesso di soggiorno. Questa persone frequentemente
vengono anche trattate da "illegali", come se fossero dei criminali. Anni
fa questi "illegali" erano soprattutto Bosniaci, poi è arrivato
il turno dei Kosovari, ora sono Ashkali e Rom dal Kosovo; i Kurdi invece
da sempre hanno una parte fissa nelle tragedie dei profughi.
Che siano
Kurdi (si veda la documentazione APM "Völkermord an den Kurden"),
Tamili, Sahraui o Bosniaci che non possono tornare nei propri paesi occupati
dai Serbi (si vedano le diverse documentazioni APM) o Serbi che non possono
tornare nei propri paesi occupati dai Croati (si veda la documentazione
APM "Kroatiens Apartheidspolitik"), Askahli e Rom dal Kosovo cacciati via
dagli estremisti albanesi (si veda la documentazione APM "Bis der letzte
'Zigeuner' vertrieben ist" - tutte accessibili in Internet su www.ines.org/apm-gfbv
o www.gfbv.de). Il Sudtirolo ha la possibilità e il dovere di aiutare
questa gente e di attenuare il problema mondiale dei profughi.
Nelle ultime
due settimane la polizia a Bolzano ha fermato 300 profughi kurdi. Alla
stazione di Bolzano si è avverrata una tragedia che dovrebbe far
vergognare la classe politica della provincia. La polizia ha fermato profughi
che da Bari volevano raggiungere propri parenti in Germania e in Olanda.
Una parte dei profughi era nascosta in vagoni merci. La polizia ha fatto
passare la notte ai profughi, prendendosi cura di loro in maniera dignitosa,
nel parco della stazione per poi farli tornare a Bari. Pochi giorni dopo
profughi kurdi sono stati raccolti su di un treno passeggeri. Circa metà
di loro ha trovato una sistemazione provvisoria presso il convento di Muri
Gries, gli altri sono stati costretti a passare la notte nel parco della
stazione. Collaboratori della Caritas e dell'associazione "Volontarius"
si son presi cura dei profughi. Come in tutti i casi di questo genere,
l'assenza dell'amministrazione pubblica costituisce l'elemento di maggior
vergogna. Senza l'idealismo dei volontari e senza l'umanità della
polizia ferroviaria i profughi sarebbero stati allo sbando.
La provenienza
dei profughi da zone di guerra o di crisi sottolinea il fatto che queste
persone scappano dal terrore. Se ci fosse una guerra nella nostra terra,
lei vorrebbe forse vietare alla popolazione di scappare, e vorrebbe forse
che i nostri profughi trovassero un'accoglienza come quella di questa provincia?
Il Sudtirolo si confronta da oltre dieci anni con l'emergenza profughi.
Nel 1990 vennero sistemati in una caserma di Monguelfo 200 Albanesi: questi
profughi vennero aasistiti dallo Stato in collaborazione con la Provincia
e le associazioni di volontariato. La nostra provincia non ha competenze
per la gestione dei permessi di soggiorno, ma ha il dovere morale di assistere
i contingenti di profughi assegnati dallo stato e quelli che per i motivi
più diversi si fermano da noi. In alcuni casi, come quelli relativi
alla prima e seconda ondata di profughi albanesi o all'ondata dei profughi
di guerra dalla Croazia e dalla Bosnia o dei Rom macedoni, il Governo italiano
ha assegnato alla nostra provincia centinaia di profughi. Negli anni della
crisi jugoslava sono arrivati in aggiunta a questo contingente molti altri
profughi: in questi casi il Sudtirolo ha dimostrato di essere in grado
di accoglierli ed integrarli nella nostra società. Oggi lavorano
da noi centinaia di profughi che hanno ottenuto il permesso di soggiorno
e si sono integrati. Molti sono invece tornati nella loro patria.
Nonostante
arrivino in Sudtirolo, in quanto zona di confine, ogni anno migliaia di
profughi, non esiste alcuna struttura di prima accoglienza (queste strutture
sono presenti in molti paesi europei). La politica non ha voluto ascoltare
le richieste dell'Associazione per i popoli minacciati e di altre organizzazioni
per l'approntamento di centri di accoglienza permanenti e per la nomina
di un incaricato speciale per i profughi. L'APM si aspetta dalle frazioni
e da consigliere e consiglieri del Consiglio provinciale che realizzino
la politica dei valori cristiani che professano. Considerato il benessere
della nostra provincia, considerati gli aiuti arrivati dall'estero negli
anni della povertà, abbiamo l'obbligo morale di impegnarci maggiormente
nell'accoglienza di asilanti e profughi. I Sudtirolesi sono stati essi
stessi profughi, ma hanno anche cacciato dalle proprie case persone, gli
Ebrei meranesi; in Sudtirolo hanno trovato una nuova casa gli Italiani
fuggiti dall'Istria, oltre a Kurdi, Bosniaci e Kosovari.
Non possiamo
rimanere indifferenti nei confronti di queste persone. Perciò ci
appelliamo a lei perché si impegni per la realizzazione di centri
di accolgienza a Bolzano e ai tre valichi più importanti del Sudtirolo.
E' inaccettabile che una terra ricca come la nostra e che professa valori
cristiani, nel momento del bisogno non offra altro che indifferenza o,
peggio ancora, ostilità.
In attesa
di un cambiamento positivo della nostra politica verso i profughi
Porgiamo distinti
saluti
|