[Deutsche Fassung: Die Wunden des Schweigens]
INDICE
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PREFAZIONE [ top ]
Nel momento in cui ho messo piede sul vecchio continente, il
15 febbraio 1995, ho capito che amavo ancora il mio paese
nonostante le sofferenze patite. E ho capito che un giorno avrei
fatto il lavoro di cui ho appena terminato la prima bozza:
dialogare non solo con i superstiti del genocidio ruandese del
1994, ma anche con i boia. E cercare di mettere questi due
dialoghi in prospettiva cioè, per quanto possibile, fare
comunicare il boia con la vittima. Perché? Perché
ne va della dignità del popolo ruandese. Non ci
sarà riconciliazione senza giustizia, certo, ma non ce ne
sarà neppure se i boia saranno demonizzati in blocco.
Ciò che ho capito in questo mese di febbraio 1999 è
che tra i boia, alcuni sono vittime dell'essere boia. Ed é
a loro in modo particolare che dedico questo lavoro.
Tramite un'opera di ascolto paziente e a volte difficile, ho
potuto penetrare il cuore dei miei interlocutori. Le
testimonianze presentate nell'esposizione sono solo degli
estratti di questi lunghi colloqui. Il fotografo Alain
KAZINIERAKIS, con cui ho concepito il lavoro fin dall'inizio, era
là per captare questi momenti di intensa emozione. Il
superstite è a volte completamente distrutto in se stesso,
spesso disperato, o indignato, raramente pronto a ricominciare.
La giustizia resa è la condizione necessaria perché
possa tracciarsi un nuovo cammino. L'artefice del genocidio a
volte é totalmente arrogante, si dichiara non colpevole,
é pronto, si direbbe, a ricominciare. Ma il boia a volte
é sgomento a causa del gesto che ha compiuto accecato
dalla manipolazione della sua coscienza e del suo dovere civico.
Gli capita di piangere del suo crimine, di supplicare il perdono
delle vittime. Costui non è pronto a ricominciare la vita,
porta il suo crimine come un peso. Tra questo boia e la vittima,
la paura reciproca può esorcizzarsi a condizione che si
apra un dialogo.
Mi auguro che questo lavoro, al di là della speranza di
ricostruzione di una fiducia tra Ruandesi, come complemento alla
ricerca della giustizia, faccia capire a tutti il pericolo del
pensiero unico, non solo prima dei genocidi ma anche dopo. Non ci
sarà umanità senza perdono, non ci sarà
perdono senza giustizia, ma non ci sarà neppure giustizia
senza umanità. Ho voluto dare alla giustizia un abito meno
sobrio della toga nera dei magistrati. Nelle prigioni ho
incontrato il vero pentimento, bisogna che i Ruandesi, tutti i
Ruandesi lo sappiano. E bisogna che anche l'Occidente lo sappia,
questo Occidente che si intestardisce a coprirsi della sua buona
coscienza, come se i Ruandesi dovessero imparare le buone lezioni
di pace di un mondo che si è dilaniato in guerre e
genocidi così assassini come il nostro genocidio ruandese,
un mondo che si è ancora dilaniato recentemente in ex
Jugoslavia, sala d'attesa dell'Europa.
Yolande Mukagasana, marzo 1999
KANDERA Adèle
49 anni, superstite, Nyamata [
top ]
A.K. - Ci siamo nascosti nelle paludi. Una sera, gli assassini
ci hanno sorpresi. Ho dato loro dei soldi perché non ci
uccidessero. E anche una radio. Hanno preso tutto ridacchiando.
Hanno anche preso tutti i miei vestiti e persino la mia cintura.
Solo allora hanno cominciato il lavoro. Hanno cominciato dai miei
bambini. Ho visto cadere le gambe del primo, e poi la sua testa.
Ho incominciato a gridare, allora sono venuti verso di me. Mi
hanno tagliata a pezzi e sono svenuta. La mia più grande
sfortuna fu di svegliarmi tra i cadaveri dei miei. Avevo
addirittura il cadavere di uno dei miei figli sopra di me. Non
potevo muovermi. Uno dei miei figli non era morto. Mi chiamava in
continuazione. "Mamma, svegliati. Sono ancora in vita." L'avevano
tagliata dappertutto. Ho guardato tutto intorno a me, ho guardato
i bambini, ho guardato mia madre. Ho detto a mia figlia
sopravvissuta "dammi da bere", anche se non poteva trovare
acqua.
Siamo restate cosi per notti e giorni, paralizzate. Delle bestie
venivano a mangiare i cadaveri dei miei figli, e non avevo la
forza di cacciarli. Un mattino, credevo di morire, perché
dei bacherozzi si muovevano nelle mie piaghe. Ho domandato a mia
figlia di andare a cercare da mangiare, ma non era veramente per
mangiare, era per allontanarla da me e suicidarmi senza che lei
mi vedesse. Appena partita, ho messo il mio indice nella ferita
che avevo sul collo e ho tirato per romperla completamente. Ma
non c'era più forza nelle mie mani, non sono riuscita a
finirmi. Invece di morire, il giorno dopo stavo cosi male che non
potevo nemmeno bere l'acqua. Quando mia figlia è tornata,
le ho spiegato il mio gesto e come non aveva funzionato... Quando
il FPR ha preso la regione, non ce ne siamo rese conto. Solo 15
giorni dopo qualcuno è venuto a salvarci.
Oggi Adèle è cosi povera che non può nemmeno comprarsi le stampelle di cui ha ormai bisogno per muoversi.
Adeline U.
22 anni, superstite, Kigali [ top
]
A.U. - Quando ero nella chiesa di Ntarama, mi ha colpito
soprattutto un'immagine. Mi è rimasta impressa nella
memoria. Un uomo abbastanza grande era all'entrata della chiesa,
vestito di foglie di banano. Ha detto ai suoi colleghi assassini:
"Aspettate prima di uccidere altrimenti nella mischia rischiamo
di ammazzare degli Hutu". Poi, girandosi verso di noi, ha detto:
"Se c'è un Hutu tra voi, che esca e ci faccia vedere la
sua carta d'identità". "E se non ha la carta
d'identità?" chiese qualcuno. "Che dica allora di chi
è figlio, sapremo identificarlo." Allora, quasi tutti i
bambini si presentarono dicendo che erano hutu, ma che la loro
madre era Tutsi. A mano a mano che si presentavano, gli autori
del genocidio tagliavano loro la mano ...
Y.M. - È a causa di questi ricordi orribili che non avevi
testimoniato?
A.U. - Ho rifiutato di testimoniare fino ad oggi. Ma tu mi ispiri
fiducia. È per questo che ti racconto ...
Y.M. - Nessuna ONG è venuta in vostro aiuto durante il
genocidio?
A.U. - Non ne ho vista nessuna ...
Y.M. - Cosa pensi del tribunale di Arusha?
A.U. - (dopo un lungo silenzio) Nel nostro paese la giustizia non
esiste? Se hanno fatto un tribunale ad Arusha, non è certo
per renderci giustizia. Devono averci un loro interesse.
M.
Agnès
20 anni, superstite, Kigali [ top
]
A.M. - All'inizio del genocidio avevo quindici anni, ero in
vacanza da mio zio, mia zia e i loro due figli di cui un neonato.
Un giorno, un miliziano è arrivato e ha detto a mio zio:
"Mi dai tua moglie e vi salvo tutti e cinque." Mio zio ha
rifiutato. Il miliziano ha chiamato allora altri miliziani e,
tutti insieme, ci hanno condotti sotto la minaccia dei loro
fucili verso la fossa. Ci hanno obbligati a sdraiarci sulla
pancia. Alcune dome, assistevano, ridevano di noi, parlando dei
nostri vestiti che avrebbero presto potuto dividersi. Mio zio si
è buttato nella fossa prima di essere ucciso. Ma mia zia,
che si era vestita con un perizoma e dei pantaloni corti molto
stretti per scoraggiare i violentatori, è stata uccisa a
colpi di machete. Il neonato che portava sulla schiena è
caduto con lei nella fossa. Sento ancora le grida di quel
bambino. Io, sono corsa verso le donne per chiedere protezione.
Hanno urlato e chiamato i miliziani. Uno di loro mi ha ripresa,
mi ha picchiata e ha chiesto alla donna più anziana di
darmi da mangiare e di sorvegliarmi fino al suo ritorno.
Il giorno dopo, lo stesso miliziano è tornato e mi ha
portato in una casa deserta dove mi ha violentata. Poi mi ha
riportato dalla vecchia. E il giorno dopo, un altro miliziano,
cieco da un occhio, è arrivato. Sono stata portata di
nuovo alla casa deserta, sono stata violentata e picchiata per
una notte intera. E il giorno dopo, è arrivato un
militare. Mi ha portato in un'altra casa, piena di topi e di
pulci. Là c'era una donna presa in ostaggio dai miliziani,
le hanno preso il suo neonato e l'hanno buttato in una fossa. Il
militare è ripartito al fronte. Sono rimasta rinchiusa in
questa casa tutta la giornata. Quando è tornato la sera,
il mio viso l'ha disgustato perché mi ero coperta le
labbra e le narici di fango per far finta di aver vomitato. Ma
all'improvviso, si sono sentiti dei colpi di fuoco, lui si
è spaventato ed è ripartito, dimenticando di
chiudere la porta. È così che ho potuto fuggire. Mi
sono imbattuta in una famiglia musulmana che fuggiva l'avanzata
del FPR. Alle barriere, facevo finta di essere figlia dell'uomo,
nonostante la moglie volesse consegnarmi. All'improvviso, sono
stati sorpresi dai soldati del FPR. Io, ero salva.
Y.M. - Perché non mi hai detto questo, quando ti ho
incontrata che vagavi nella zona del FPR, nel 1994?
A.M. - Perché non ne avevo il coraggio.
Alice M.
28 anni, superstite, Nyamata [
top ]
A.M. - Un camion si è fermato davanti alla nostra casa,
sono entrati degli uomini in uniforme da militari e da gendarmi.
Uno di loro ha detto: "che bella ragazza, non ho il coraggio di
ucciderla". Ha frugato la casa, ha saccheggiato tutto, ha persino
preso gli abiti che indossavo. Un secondo assassino ha preso mio
figlio in braccio e lo lanciava in aria con violenza. È
così che l'ha ucciso. "Suicidatevi signora, diceva, il Dio
dei Tutsi è morto, non avete nessuna possibilità di
sopravvivere". Mo marito era riuscito a nascondersi. Io ho
ricevuto un colpo sulla testa e sono svenuta. Quando se ne sono
andati, mio marito mi ha scosso per svegliarmi e fuggire verso la
Chiesa di Ntarama. Là, c'erano solo cadaveri. Allora
abbiamo raggiunto la resistenza nella nostra zona e siamo rimasti
là fino alla morte di tutti i sopravvissuti. Ci siamo
allora nascosti nelle paludi. È là che mi hanno
tagliato il braccio.
Y.M. - Chi ti ha tagliato il braccio?
A.M. - È difficile dirlo perché siamo stati
attaccati da diversi gruppi di assassini. Mi ricordo solo che il
giorno in cui ho avuto il braccio tagliato, ho visto che
buttavano nell'acqua mio marito e lui non sapeva nuotare...
Sanguinavo e ho perso conoscenza. Quando mi sono svegliata,
parecchi giorni dopo, ero in una specie di ospedale. Mi ricordo
che quando mi hanno tagliato la mano, non ho avuto male, ho solo
sentito le ossa rompersi; dopo, ho avuto molto male.
Y.M. - Vedo che avete avuto due bambini dopo il genocidio, questo
vi ha fatto dimenticare il vostro bambino ucciso?
A.M. - No, per niente. Amo anche loro ma niente può farmi
dimenticare il mio bambino morto. È una ferita che non si
cicatrizzerà mai.
Y.M. - Fai parte di questa associazione di handicappati che ho
incontrato?
A.M. - No, non ho il tempo. Ho avuto due bambini dopo il
genocidio e ho accolto tre orfani. Ho solo una mano, non è
facile lavorare. Con mio marito, dobbiamo cercare di trovare
qualcosa per nutrire questi bambini. Non ho il tempo di
partecipare a delle riunioni di associazione.
Y.M. - Bisogna provare perché è importante essere
con gli altri e poter parlare.
A.M. - È vero, a volte ci sentiamo molto soli di fronte a
noi stessi.
Alvera M.
26 anni, superstite, Nyamirambo [
top ]
A.M. - Al momento dell'assassinio del presidente, ero da mio
cugino a Nyamirambo. La mattina, è arrivato un veicolo di
Interahamwe. A bordo c'era un bambino che faceva vedere ai
miliziani le case dei Tutsi. Ero nascosta a casa di un cuoco
vicino, nei bagni dei domestici. Gli Interahamwe sono venuti a
frugare parecchie volte senza trovarmi. In quel periodo, gli Hutu
del sud affiliati al PSD (partito d'opposizione) non
partecipavano ancora ai massacri. Erano una ventina, con dei
machete e delle lance. Mi hanno trovato un altro nascondiglio.
Avevo paura ma ho accettato.
Y.M. - Come sei andata a Butare?
A.M. - Era il 23 aprile. Un militare dei FAR, amico di mio
cugino, è venuto da me e mi ha detto che andava a Butare.
L'ho supplicato di portarmi con lui e mi ha detto "con la tua
faccia, non potrei mai farti passare." L'ho supplicato e ha detto
"porto qualcuno che mi ha dato dei soldi, non voglio creargli dei
problemi." Alla fine ha ceduto. Ci sono state delle
difficoltà ad attraversare Nyabarongo. Ha dovuto pagare.
Arrivati alla periferia di Butare, alla stradina che portava a
casa dei miei genitori, mi ha fatta scendere e ho fatto 8 km a
piedi. A Butare, in alcuni comuni avevano già incominciato
ad uccidere mentre in altri, come il mio, non ancora. Hanno
incominciato la notte dopo il mio arrivo, da mio padre. I miei
fratelli sono stati nascosti da un vicino che è poi andato
a denunciarli. La casa è stata incendiata, loro sono
bruciati vivi. Una settimana dopo, hanno assassinato mia madre.
Quanto a me, poiché un miliziano venuto da Kigali diceva
che ero morta, hanno smesso di cercarmi. Sono rimasta nelle
piantagioni di sorgo dove ho assistito all'uccisione dei miei
nipotini e nipotine; gli assassini li hanno gettati nelle
latrine. Alla fine, anche mia sorella è stata uccisa. E
io, sono stata salvata dal FPR.
Y.M. - Di cosa vivi oggi?
A.M. - Dopo il genocidio, ho cercato i beni dei miei fratelli di
Kigali. Li ho ritrovati. Li ho venduti.
Y.M. - E ora?
A.M. - Ora vivo per l'orfana di mio fratello, l'unico membro
della famiglia che mi è rimasto. è lei che mi
dà la forza di vivere. Se ce ne fosse bisogno, sarei
disposta a prostituirmi per pagare i suoi studi. Spero che riesca
nella vita.
Anastasie I.
49 anni, superstite, Gahembe (Bugesera) [ top ]
A.I. - Sulla collina dove eravamo fuggiti, gli uomini si
battevano contro gli assassini e le donne e i bambini
raccoglievano dei sassi per aiutarli. Nella mischia, un miliziano
mi ha detto: "tu sei come una madre per me, vorrei poterti
nascondere ma l'ultimo giorno dei Tutsi è venuto, devono
tutti morire". Mi ha tenuto tre giorni nel suo bananeto
perché aveva paura di tenermi in casa; poi mi ha portata
in mezzo a dei cadaveri sulla collina della resistenza. Là
abbiamo passato la notte, mio figlio ed io. Gli assassini sono
venuti, mi hanno colpito e hanno ucciso mio figlio. Uno di loro
ha detto: "Questa vecchia ci ha curati tutti, se la uccidiamo, ci
porterà male. Lasciamola in mezzo ai morti. morirà
di fame; i cani e i nibbi finiranno il lavoro". Se ne sono
andati. Uno degli assassini è tornato: "vieni a casa mia,
se mia moglie accetta, ti nascondo". Sua moglie ha rifiutato, mi
ha messa nella boscaglia e mi portava tutti i giorni dei semi di
sorgo; poi, quando il FPR è arrivato, mi ha avvisato:
"Anastasie, vengo a salutarti, non posso più proteggerti,
non ti perdere d'animo e fai attenzione ai fuggiaschi, uccidono
sul loro passaggio".
Y.M. - Hai figli?
A.I. - Sì, tre. Quattro sono morti. La più grande
è stata violentata e ha un bambino. Ho veramente molte
ferite sul corpo, le mie cicatrici stanno scomparendo ma le
ferite del cuore non si cicatrizzeranno mai.
Y.M. - Cosa pensi delle ONG e della Chiesa cattolica?
A.I. - C'è stato del disaccordo tra la Chiesa cattolica e
il nostro governo. Quest'ultimo voleva che la Chiesa di Nyamata
diventasse un monumento commemorativo del genocidio per lasciarci
riposare gli scheletri. Per la Chiesa era un peccato. Sarebbe
più grave tenere queste ossa nella chiesa piuttosto che
aver lasciato uccidere là degli esseri umani? La Chiesa,
non voglio più sentirne parlare ... i religiosi bianchi
sono stati rimpatriati, i religiosi ruandesi sono stati
abbandonati. È successo lo stesso con le ONG.
Oggi, molti assassini si rifugiano nelle sette e fanno finta di
avere la fede.
André
H.
34 anni, autore del genocidio, prigione di
Kigali [ top ]
Y.M. - Perché sei in prigione?
A.H. - Sono stato arrestato perché dicono che ho
partecipato al genocidio.
Y.M. - E non è vero?
A.H. - Non è vero. Non ho ucciso nessuno.
Y.M. - Hai dei testimoni della tua innocenza?
A. H. - Sfortunatamente no. Tutti i miei vicini sono contro di
me, persino quelli che erano con me durante il genocidio.
Y.M. - Perché pensi che sono contro di te?
A.H - Non so.
Y.M. - Dove stavi durante il genocidio?
A.H. - Ero a casa mia, ero molto malato e sono rimasto a
letto.
Y.M. - Sei rimasto a letto per tre mesi?
A.H. - Sì, non mi sono mai alzato.
Y.M. - Non hai visto il genocidio?
A.H. - No.
Y.M. - Non sei scappato dalla guerra?
A.H - Sì, sono andato nello Zaire.
Y.M. - Quando sei tornato?
A.H. - Qualche mese fa.
Y.M. - Perché non sei rientrato prima?
A.H. - Perché tutti dicevano che ho ucciso un bambino di
12 anni e altre persone.
Y.M. - E conoscevi questo bambino?
A.H. - Sì, ma non l'ho ucciso, sono solo passato vicino al
suo cadavere.
Prima dell'incontro, ho chiesto di che cosa era accusato quest'uomo. Mi hanno detto che ha commesso molti omicidi durante il genocidio. Avrebbe violentato un bambino di 12 anni prima di ucciderlo. Ne ho avuto abbastanza di ascoltarlo, era troppo duro e ho dovuto smettere.
BAGABO Anselme,
detto Cassius
24 anni, superstite, Nyamirambo [
top ]
Y.M. - Perché hai l'aria cosi triste?
Cassius - Durante il genocidio, sono stato tradito da un Tutsi.
Mi ha cacciato da casa sua.
Y.M. - Mi dicono che hai cominciato degli studi dopo il
genocidio...
Cassius - Si, la medicina. Avevo come ideale di aiutare gli
esseri umani. Ma dopo tre anni ho abbandonato.
Y.M. - Perché?
Cassius - Vorrei poter aiutare le persone senza essere in
contatto con loro. Mi piacerebbe studiare farmacia. O diventare
tecnico di laboratorio, lontano dagli esseri umani ma al loro
servizio. E lontano dal Ruanda, se fosse possibile. In Ruanda,
c'é una tale aggressività.
Y.M. - Ti senti disperato?
Cassius - Si, lo ero. Ho pensato di suicidarmi. E ora so che non
sono più disperato.
Y.M. - Da quando?
Cassius - Da quando ho parlato con te.
Y.M. - Cosa ti aspetti da me?
Cassius - Voglio che tu rappresenti per me una madre. Una persona
alla quale posso dire tutto essendo sicuro che lei capirà
e che non mi giudicherà.
Y.M. - Non penso poter fare molto per te, ma ti
ascolterò.
G. Augustin
36 anni, resistente di Bisesero (Kibuye) [ top ]
A.G. - Le donne e i bambini raccoglievano i sassi e gli uomini
combattevano con gli assassini. Abbiamo cercato di andare sulle
colline. C'erano dei camion e dei bus pieni di miliziani e di
persone, provenienti da varie zone, che si erano unite a loro.
Bisesero è diventato un campo di battaglia. Ci siamo
raggruppati sulla collina di Muyira. Gli assassini l'hanno
circondata. Hanno cominciato il loro lavoro. I morti erano
numerosi, Muyira era coperta di cadaveri di donne, di uomini e di
bambini. Siamo stati attaccati tutti i giorni fino all'arrivo dei
Francesi. Non eravamo più in molti ed eravamo indeboliti
dalla fame, dalle ferite e dal dolore.
Y. M. - I Francesi vi hanno aiutato?
A.G. - I soldati francesi? Sono venuti a dare man forte agli
autori del genocidio! È tutto. Ci hanno disarmato, hanno
combattuto il FPR, ci sono stati persino dei morti tra loro. Ho
visto il cadavere di un soldato francese. Per me, i Francesi sono
venuti a sostenere il genocidio.
Y.M. - Non pensi di esagerare un po'?
A.G. - Per niente. I Francesi, nella loro logica di sostegno al
governo genocida, ci vedevano come dei nemici. Hanno permesso
agli artefici del genocidio di fuggire in Zaire. Per me, i
Francesi sono degli assassini.
Y.M. - Per te è importate testimoniare?
A.G. - Il nostro dolore non impedisce al mondo di dormire. Ma ci
resta solo la parola. Abbiamo perso tutto, tranne la nostra
lingua. Allora, che altro possiamo fare se non testimoniare?
Oggi, alla Francia non piace il governo ruandese, quello che ha
fermato il genocidio. E per questo non ascolta la nostra
testimonianza, non vuole sapere. Ma noi superstiti non siamo il
governo ruandese. È come se noi dicessimo che ogni
Francese è colpevole del genocidio dei Tutsi. È
assurdo. È la Francia che è colpevole di
complicità di genocidio, non i Francesi. La Francia
discredita il Ruanda di oggi agli occhi del mondo.
MUKASARAMBU
Béata
25 anni, superstite, Nyamirambo [
top ]
Béata è mia nipote, ha accompagnato i miei figli fino alla fossa dove sono stati assassinati.
B.M. - Ma zia, come sei ingenua! Tutti gli Hutu del quartiere
avevano una sola idea in testa, uccidere. Non salvare. Il giorno
dopo la morte dei tuoi figli, la moglie di Camille mi ha detto
"c'è un uomo là nella strada e vuole vederti.
è un miliziano che forse viene ad ucciderti. Si chiama
Bizimungu." Ma io, volevo solo una cosa: la morte. Pensare di
poter morire era per me un piacere. Mi sono precipitata verso il
miliziano. Ma ha esitato. "No, ha detto, di sicuro non sei tu la
Béata che cerco. Quella che cerco è una Hutu, la
sorella di Véné. Senza dubbio non sei tu. Tomo a
chiedere se sei tu." È andato via ed è tornato dopo
un quarto d'ora. E ha detto "Vieni, andiamo." Siamo andati e
abbiamo preso la direzione della fossa. Camminavo felice.
Arrivati vicino alla fossa, Gaspard, il tuo vicino, ha gridato
"Bizimungu, portami quella ragazza. Deve entrare nella mia casa."
Bizimungu rispose: "Conosci Ruvubu, il più grande
miliziano? È lui che mi ha mandato a prenderla. Se viene a
sapere che l'hai presa per te, sarà la guerra tra voi. A
te la scelta." In quel momento ho capito che mi cercavano per
violentarmi. Zia, non voglio più continuare. Parleremo del
resto più tardi. Lo sai, la mattina stessa, mi avevano
messo una granata in bocca per obbligarmi a dire dove ti eri
nascosta. Dopo quella granata, sono un po' matta. A volte credo
ancora che stia per esplodere. Mi succede di rimpiangere il fatto
che non sia mai esplosa.
K. Caritas, G.
Jean-Marie-Vianney
8 anni e superstiti entrambi, Ngoma (Butare) [ top ]
Caritas ride quando le chiedo se devo togliermi gli occhiali
per parlarle. Parla con calma.
"Gli assassini hanno prima ucciso mamma. Lei ci gridava di non
restare con lei, di fuggire. Quando mamma è morta, abbiamo
vagato. Ma ci siamo imbattuti in altri assassini che ci hanno
colpito con dei machete e gettati, mio fratello Alphonse, mia
sorella Cérapia ed io, in una fossa. Solo io non ero stata
colpita. Ma ho constatato che Alphonse era morto e che
Cérapia aveva una grande ferita sul collo. Venuta la notte
siamo riuscite a scappare, Cérapia ed io, e abbiamo
vagabondato nascondendoci tra i cespugli. Il giorno dopo, abbiamo
camminato e siamo arrivate ai piedi di una collina dove abbiamo
trovato una piccola pozza riempita di cadaveri. Tra i corpi,
c'erano degli spazi in cui si vedeva l'acqua, rossa a causa del
sangue che vi era scorso. Ma avevamo talmente sete che abbiamo
bevuto lo stesso."
La madre adottiva di Caritas assisteva al colloquio. Mi spiega che Caritas ha avuto molti problemi psicologici dopo il genocidio. Non dormiva, si innervosiva per nulla, non accettava nessuna osservazione. Ma ora va meglio. Il suo ricordo del genocidio è totale.
Jean-Marie-Vianney
"Eravamo in una chiesa, ma la chiesa è bruciata. Siamo
scappati di corsa. Mamma mi portava sulla schiena. A una
barriera, ci hanno picchiato. Ho ricevuto un colpo molto violento
sulla gamba. E poi mamma un giorno ha detto che andavamo nel
Burundi. E poi un giorno hanno ucciso mamma. E poi, mi hanno
portato in Europa, in un ospedale. E mi hanno curato. Mi facevano
delle iniezioni. Oggi la mia gamba mi fa ancora male."
Jean-Marie-Vianney è il fratello di adozione di Caritas.
Nonostante un trattamento in Germania a causa di un trauma
psicologico grave, si ricorda solo questi fatti e il suo
soprannome: Kibonge, il cicciottello. È diventato un bimbo
troppo calmo per la sua età.
NIYONSABA
Cassius
10 anni, superstite, Ntarama [
top ]
Y.M. - Avevi cinque anni durante il genocidio. Ti ricordi?
Cosa è successo? Dove abitavate?
Cassius - Ntarama.
Y.M. - Eri con i tuoi genitori?
Cassius - Si.
Y.M. - Come sono stati uccisi?
Cassius - Gli assassini sono entrati in parecchi nella chiesa
dove ci eravamo rifugiati con centinaia di altre persone. C'erano
degli uomini, delle donne, degli anziani e dei bambini. Urlavano,
come se fossero ubriachi. Hanno colpito con dei manganelli. Noi
svenivamo e i bambini ci finivano con il machete.
Y.M. - C'erano bambini della tua stessa età che
uccidevano?
Cassius - Si. E anche più giovani. I genitori insegnavano
loro ad uccidere gli anziani. Hanno tagliato le braccia e le
gambe di mamma. Mi ha urlato di correre fuori perché lei
stava per morire e non avrebbe potuto più
proteggermi.
Y.M. - È un bambino che ti ha dato questo colpo di machete
sulla testa?
Cassius - Non so ...
Y.M. - Non hai mai dei problemi in seguito a questo colpo sulla
testa?
Cassius - Si. Quando gioco molto al calcio, la notte muoio.
Y.M. - Bisogna farti curare. Chi può aiutarti?
Cassius - Mia cugina, la cui madre mi ha raccolto, ha appena
finito i suoi studi di lettere classiche. Quando avrà un
lavoro, mi fará curare.
Chantal M.
37 anni, superstite, Gahembe (Bugesera) [ top ]
C.M. - Credo che siamo arrivati dagli amici di mio padre il 12
aprile; loro hanno gridato tutti insieme "Dove andate,
scarafaggi? Non vogliamo più vedervi". Era da queste
stesse persone che avevamo messo tutti i nostri oggetti di
valore. "Persino Dio vi ha abbandonati. Il Dio dei Tutsi non
esiste più. Ritornate da dove venite." Ci prendevano in
giro e ridevano della nostra disperazione. "A che ti servirebbe
se io ti salvassi, mi ha detto uno di loro, tu saresti l'unica
Tutsi al mondo. Perché tutti gli altri moriranno. Dimmi
piuttosto che morte scegli, il manganello, la spada o le
pallottole." Ho chiesto solo dell'acqua per i miei bambini. Non
ce ne hanno data e ci hanno scacciato. "Non avete più il
diritto di bere la nostra acqua." Siamo andati nelle piantagioni
di sorgo fino al mattino. Ero con il più piccolo dei miei
bambini quando abbiamo sentito degli assassini chiamarne altri:
"Alzatevi, siamo in ritardo per il lavoro."
Y.M. - Dove erano i vostri altri figli?
C.M. - Signora, se avete veramente vissuto il genocidio, vi
ricordate che non si pensava nemmeno più che avevamo dei
figli. Una volta arrivati nella boscaglia, i bambini si erano
nascosti per conto loro. Ho sentito come sono stati uccisi. Era
al loro grido, che chiedeva grazia agli autori del genocidio, che
li ho riconosciuti. Ad un certo momento, ho desiderato la morte,
ne avevo abbastanza. Non sapevo più dove andare. Sono
rimasta nello stesso posto, sperando che mi trovassero per
uccidermi. Non mi sono più spostata. A volte, gli
assassini passavano vicino a me, sentivano il sudore e il sangue.
Persino quelli che credevo essere i migliori hanno ucciso. Era
scoraggiante ascoltare le loro conversazioni, non sospettavano
nemmeno della mia presenza.
Si parla della fame durante il genocidio, ma nessuno aveva
più fame, solo sete. Per caso, si arrivava ad una
pozzanghera e si beveva senza farsi domande. Qualsiasi acqua era
potabile. Il bimbo che mi restava mi stringeva quando avevamo
paura. Avevo l'impressione che mi dicesse "coraggio, mamma".
Mangiavo i semi di sorgo, glieli risputavo in bocca e mi
sorrideva. Abbiamo vissuto così durante il genocidio. Non
sono mai stata nascosta da nessuno.
Y.M. - Che speranza avete ora.
C.M. - Sono sola. Mi affido a Dio.
Y.M. - E la giustizia?
C.M. - La giustizia non ci serve a granché.
Charles W.
45 anni, superstite, Bugesera [
top ]
C.W. - Per noi il genocidio si preparava dal momento in cui
hanno incominciato a misurarci il naso e le tempie. Qui, nel
Bugesera, lo hanno fatto tra il 1970 e il 1973.
Y.M. - E durante gli anni novanta?
C.W. - Negli anni novanta, avevamo degli operai che in
realtà erano dei militari inoltrati. Lavoravano di giorno
e di sera assistevano a delle riunioni. Nel momento in cui hanno
incominciato ad uccidere, sono stati i primi, con l'aiuto dei
Francesi.
Y.M. - I Francesi?
C.W. - Sì, i Francesi! Avevano una barriera a Gahanga.
Là, fermavano i Tutsi che avevano dei figli nel FPR e li
consegnavano ai FAR.
Y.M. - Cosa ne pensi del modo in cui si rende giustizia
oggi?
C.W. - Sono triste quando vedo che si fanno uscire dalle prigioni
gli autori del genocidio con il pretesto che sono vecchi o
malati, mentre loro hanno ucciso i loro simili nei letti. Come il
mio vicino Fidèle, costretto a letto da molto tempo;
l'hanno fatto a pezzi e non dimenticherò mai l'immagine di
quel cane con il piede di Fidèle in bocca. Ora, ci si basa
sull'assenza di prove o sull'età troppo avanzata per
liberarli. Sapete come hanno ucciso l'unico figlio che avevo?
Hanno giocato a calcio con lui, fino a quando è morto.
Assistevo, impotente. Qualcuno può rispondere a questa
domanda: "perché giocare con il mio bambino come se fosse
un pallone?". Ho l'impressione che sono gli assassini a fare
giustizia oggi e vogliono fare uscire i loro dalle prigioni.
Durante il genocidio, per ammazzare più facilmente la
gente, la si faceva raggruppare nelle chiese, nelle scuole, negli
stadi, etc. Ora si costruiscono dei villaggi per i superstiti del
genocidio o per i poveri Tutsi rientrati dall'esilio. Chi
può garantirmi che una volta raggruppati non saranno
uccisi di nuovo?
Y.M. - Di che cosa vivi oggi?
C.W. - Cerco di coltivare qualcosa. Ho due figli nati dopo il
genocidio e mi occupo di tre orfani del genocidio. Ma moglie ha
un braccio tagliato. Non può aiutarmi.
Y.M. - Hai una casa?
C.W. - No. Occupo la casa di persone che sono andate via, ma se
tornano dovrò lasciarla.
Y.M. - Cosa pensi dei Bianchi?
C.W. - Sono tutti uguali. I Belgi hanno creato la divisione tra
noi inventando una carta d'identità etnica poi, sulla base
di questa carta d'identità, i Francesi sono venuti ad
appoggiare il genocidio. Se hai l'occasione di incontrare dei
Francesi, chiedi loro se si ricordano della barriera di Nyanza a
Kicukiro. E poi, che i Bianchi la smettessero di dire che ci sono
stati tra 500 e 800.000 morti. Perché diminuiscono le
cifre? Abbiamo perso 2 milioni di persone. Osano parlare di 500 a
800.000! Perché? Le persone come voi devono rinfrescar
loro la memoria.
Y.M. - Continuerò a lottare per la verità. È
tutto quello che posso fare. Quando sarò morta, lo
saprete.
C.W. - Se non sei ancora morta, pensi che sia per
pietà?
(risa)
Claire K.
22 anni, superstite, Kicukiro (Kigali) [ top ]
Siamo stati spinti con la forza sulla collina di Nyanza dove
siamo stati aggrediti per ore, con delle granate prima e poi con
dei machete e delle pistole. Ho visto saltare il cervello di una
bimba al mio fianco ... Ero coperta di ferite e avevo un coltello
nella gamba. Facevo la morta mentre i miliziani finivano le
persone. Ho sentito la mia sorellina che mi chiamava "Claire,
Claire, non mi abbandonare, sono ancora viva". I miliziani
l'hanno portata via, non l'ho mai più rivista. Un
assassino si è piegato su di me dicendo: "Penso che questa
sia ancora viva. Mi ha calpestata con le sue scarpe chiodate. Un
altro l'ha interrotto dicendo: "Imbecille, è così
che controlli che siano morti? Guarda ..." E all'improvviso ho
sentito un grosso peso sulla testa e sono svenuta. Quando mi sono
svegliata, un uomo stava in piedi di fianco a me e cercava di
riconoscermi". Mi ha chiesto cosa faceva mio padre. "Mio padre?
Lavora al campo militare. - Allora, sei una dei nostri. Ti
salverò." Altre, donne sono state salvate come me; ci
hanno riunito e sono stata affidata ad un militare. Squadrandomi,
mi ha detto: "Hai l'età di mia figlia. Nonostante tu sia
Tutsi, perché‚ si vede, non ho la forza di
ucciderti‚ di violentarti. Non voglio il tuo sangue sulle
mie mani. Senza dubbio sarai uccisa, ma non da me". E dicendo
queste cose, se ne è andato.
Una donna anziana mi ha dato un perizoma e sono andata a
nascondermi in un piccolo chiosco dove c'era un rubinetto
pubblico. Quando il FPR è arrivato, un militare ci ha
portato dell'acqua calda per lavarci. Due minuti dopo, mentre si
girava, è morto sotto i nostri occhi colpito da una
pallottola in pieno petto.
Oggi, non ne posso più di incontrare assassini. Ne ho
abbastanza di vivere nella paura. Ho voglia di lasciare il
Ruanda, questa terra dove gli assassini corrono
liberamente.
KABAGWIRA
Clémence
24 anni, superstite, Nyamata [
top ]
"C'eravamo rifugiati nella chiesa. Gli Interahamwe, erano attorno a noi, ma non ci rivolgevano la parola. I militari ci hanno circondato e ci hanno detto che ci avrebbero protetti. Eravamo molto contenti. Ma la domenica successiva, i militari e gli Interahamwe si sono messi insieme per ammazzarci. Sono svenuta sotto il colpo di un manganello. La sera, mi sono svegliata tra i cadaveri dei miei. Erano tutti nudi, come me. Mi sono nascosta in un campo di sorgo. Avevo freddo. Dopo tre giorni, ho avuto fame e sono tornata verso casa mia. Ho fatto forse quattro chilometri così, sempre nuda. Quando vedevo delle persone, mi nascondevo nella boscaglia. Arrivata a casa, ho visto che era distrutta e ho chiesto da mangiare ai nostri vicini hutu. Hanno riso. Ho chiamato i vicini, sono stata circondata e mi hanno fatto sedere di forza al suolo. Ridevano e mi domandavano dove era la mia famiglia. Non rispondevo, nascondevo il mio seno con le braccia. Alla fine, uno di loro mi ha presa e rinchiusa, sempre nuda, in una stanza senza finestre. Il giorno ammazzava. La sera mi picchiava e mi violentava ...
Quando ho scoperto di essere incinta, dapprima ho avuto
vergogna. Ma oggi, devo riconoscere che questa bimba è la
sola ricchezza che mi resta. L'ho chiamata Umumararungu, che
significa Colei che mi fa uscire dalla solitudine."
NIKUZE
Consolata
48 anni, coltivatrice, in prigione a Butare [ top ]
C.N. - In nome di Dio onnipotente, vi dirò cosa ho
visto. La sera del 6 aprile 1994, c'era un uomo che fuggiva non
so da chi. Ha corso verso una piantagione di sorgo, ma è
stato raggiunto in fretta dalle donne.
Y.M. - E dov'erano gli uomini del quartiere?
C.N. - Ti giuro che non c'erano uomini.
Y.M. - Si, ma dove erano andati?
C.N. - Non c'erano.
Y.M. - Dove erano andati?
C.N. - Mio marito lavorava come guardiano di notte da un Bianco.
Non c'era. E gli altri erano liberi di andare dove volevano. Non
potevo sapere. E ogni persona che arrivava picchiava il
fuggitivo. Io, non volevo che si pensasse che l'avevo picchiato.
Allora, sono andata via. E le donne hanno cominciato a urlare e a
fischiare. "La paurosa se ne va. La paurosa. Se quest'uomo fosse
arrivato a casa tua, avrebbe ucciso i tuoi bambini." Sono tornata
per supplicarle di non picchiare quest'uomo. "Smettete di
picchiarlo!" Mi hanno risposto: "Tu, dunque ti rifiuti di
picchiarlo?" In nome di Dio onnipotente, l'ho colpito allora con
un rametto di paglia. All'improvviso, un giovane è
arrivato di corsa. Aveva una piccola giacca dalla quale ha tirato
fuori un machete minuscolo.
Y.M. - Signora, osate dire un machete "minuscolo". Dove avete
visto un machete "minuscolo" durante il genocidio?
C.N. - È vero, era un machete normale.
Y.M. - Tutti questi vocaboli mi disgustano.
C.N. - Davvero, mia cara, ti dico la verità.
Y.M. - Anch'io, sono qui per ascoltarvi. Ed è per questo
che ora siete in prigione?
C.N. - Si.
Y.M. - Solo per questo?
C.N. - Si.
Y.M. - Allora penso che siate innocente. Poiché non avete
né colpito né assassinato, non capisco
perché siate in prigione. Infatti trovo che non abbiamo
granché da dire. Perché siete innocente.
C.N. - Ma se l'ho colpito con un rametto di paglia!?
Ho interrotto brutalmente il colloquio. La menzogna era troppo
evidente. La situazione mi era diventata insopportabile.
N. Dancilla
Circa 40 anni, donna hutu, vedova di un Tutsi,
Ntarama [ top ]
D.N. - Vedi questa chiesa dove ora lavoro? È in questa
chiesa che ci siamo rifugiati, mio marito, i miei figli ed io.
È a questa porta che mio marito si è battuto contro
i miliziani. Ha resistito molte ore prima di essere ucciso sotto
gli occhi dei suoi figli, tranne il piccolo. Con l'avanzare del
FPR, sono fuggita verso lo Zaire, perché la radio diceva
che assassinavano atrocemente tutti gli Hutu al loro passaggio.
In realtà, fuggivo il FPR perché ero Hutu e fuggivo
gli artefici del genocidio perché avevo dei figli tutsi.
Non sapevo più da che parte andare. Dopo due anni di
miseria, alla fine sono rientrata nel mio caro paese con i miei
figli. Mia suocera era mutilata dappertutto, le ho dato i due
figli più grandi per occuparsi di lei.
Y.M. - E oggi, cosa speri?
D.N. - Spero solo una cosa: far crescere i miei figli.
Y.M. - Pensi di risposarti?
D.N. - Io? Darei fastidio al buon Dio chiedendogli una cosa del
genere! E poi, è ridicolo. Una donna che ha dei figli deve
occuparsi di loro. Qui c'é una donna che ha abbandonato i
suoi figli ed è andata in città per cercarsi un
marito. Ma tutti la prendono in giro.
Y.M. - E il tuo piccolo, come gli hai spiegato la morte di tuo
marito?
D.N. - Gli ho raccontato tutto, ma non vuole credermi. Per lui,
suo padre è suo zio, il fratello di mio marito. Non vuole
rinunciare. Non può accettare che suo padre sia
morto.
Emeline
20 anni, superstite, Kigali [ top
]
E. - Non ero con i miei genitori quando il presidente è
morto, ero dalla mia madrina. Era abbastanza lontano da casa mia,
non sono potuta tornare e ho cercato di fuggire con la sua
famiglia. Il consigliere comunale ci aveva promesso la sua
protezione, era un grande amico della mia madrina. All'inizio,
non mi voleva ma poi ha accettato. Ad un certo punto, non
potevamo più restare rinchiusi, dovevamo muoverci
perché gli omicidi aumentavano. Abbiamo dovuto separarci
per proteggerci meglio. Alla fine, tutta la famiglia è
stata uccisa, io sono l'unica sopravvissuta.
Tutto questo fa parte del passato, la vita continua ma faccio
fatica ad affrontarla perché provo un dolore molto
profondo.
Y.M. - Spiegami.
E. - Non riesco ad occuparmi degli orfani dei miei fratelli e
delle mie sorelle. Sono tutti ospitati in famiglie hutu che erano
nostri vicini. I bambini non vogliono restarci, sono infelici,
pensano che si tratta delle stesse persone che hanno ucciso i
nostri cari.
Y.M. - Cosa pensi fare oggi?
E. - Non lo so, ho solo 20 anni, ho appena terminato i miei studi
di lettere classiche. Se lavorassi ora, non avrei mai uno
stipendio abbastanza alto per occuparmi bene di loro. Ma ho anche
dei dubbi se continuare i miei studi perché so che i
piccoli non stanno bene là dove sono.
Y.M. - Che cosa desideri prima di tutto?
E. - Una casa per farci vivere i bambini.
M. Emmanuel
40 anni, superstite di Murambi, diventato guardiano del
luogo [ top ]
E.M. - L'8 aprile siamo fuggiti verso la parrocchia di
Gikongoro. Monsignor Misago collaborava con il prefetto per
raggrupparci nei luoghi dove gli Interahamwe avrebbero potuto
attaccarci meglio. E infatti, non ci hanno dato tregua durante
tutto il genocidio. La guardia presidenziale e l'esercito
facevano delle specie di rastrellamenti con i mitra. Dopo
passavano i miliziani per finire i feriti a colpi di machete. Era
organizzato molto bene. Noi ci difendevamo come potevamo, con dei
sassi. Ma ci sono stati molti morti fino a luglio. Se ne contano
circa 27.000, Ma credo ce ne siano stati di più.
Y.M. - Ma i Francesi erano arrivati, no?
E.M. - I Francesi? Non impedivano agli Interahamwe di uccidere.
Hanno mandato i vecchi Tutsi dalla parte del FPR, per far vedere
che aiutavano. Ma i giovani Tutsi continuavano a farsi uccidere.
I Francesi hanno addirittura derubato le moto del Progetto
agricoltura e le hanno date agli artefici del genocidio per
permettere loro di fuggire nello Zaire. E prima di ripartire,
hanno seppellito i morti con gli ultimi Interahamwe e hanno
piantato dell'erba e appiattito le fosse perché non si
vedesse che c'erano dei cadaveri sotterrati. Quando si è
vista l'erba crescere, sembrava un campo di calcio. In
realtà, i Francesi hanno salvato qualche Tutsi, ma hanno
soprattutto permesso agli artefici dei genocidio di fuggire, nel
momento in cui per loro la guerra era persa.
Y.M. - Come vivi oggi? Che speranza hai?
E.M. - Vivo nella miseria e nel dolore. Noi superstiti siamo
sacrificati alla politica della riconciliazione nazionale. Sono i
nostri assassini che ci guadagnano. Quando rientrano, dobbiamo
restituire le loro case, mentre loro ci hanno distrutto le nostre
e ci hanno uccisi. E a noi, chi ci renderà i nostri beni?
E quando testimoniano contro di loro, siamo morti, perché
viviamo in mezzo a loro. Mi ribello, ma mi sento totalmente
impotente. Non credo alla riconciliazione senza giustizia.
NSABIMANA
Enos
57 anni, coltivatore, in prigione a Kanombe [ top ]
Y.M. - Voi siete di Zivu? Ma allora, forse conoscete Ngenzi
Déo!
N.E. - Lo scultore? Si, lo conoscevo molto bene.
Y.M. - Era mio padre.
N.E. - Vostro padre? Ma allora Musoni è vostro
fratello?
Y.M. - Si. È l'unico che mi resta della mia famiglia.
Tutti gli altri sono stati assassinati. Persino mio marito e i
miei tre figli.
N.E. - Povera Signora! Ma ve lo dico solennemente, non ho ucciso
nessuno della vostra famiglia.
Y.M. - Quanti Tutsi avete ucciso?
N.E. - Uno solo.
Y.M. - Chi vi ha dato l'ordine?
N.E. - Nessuno. L'ho fatto da solo.
Y.M. - Cosa sono, quei pezzi di osso che tenete nella mano?
N.E. - Devo spiegarvi. Me ne vado in giro tutto il giorno con i
resti dei cranio dell'uomo che ho ucciso perché, molto
tempo dopo il genocidio, mentre passavo davanti alla casa della
mia vittima, questo cranio mi ha parlato e mi ha domandato di
prenderlo con me. Voglio tenere questo cranio finché tutto
sarà chiaro in me. Devo espiare. Purtroppo, il cranio non
mi parla più. Del resto, gli artefici del genocidio che
dividevano la mia cella in prigione lo hanno rotto. Non volevano
che andassi in giro con questo cranio, perché dicevano che
è una confessione e che non avrei mai dovuto confessare.
Dicevano che li facevo vergognare.
Il colloquio si è svolto nell'ufficio del borgomastro
di Kanombe non solo per evitare i curiosi ma anche per proteggere
il testimone ed evitare che cadesse vittima degli omicidi
perpetrati in prigione dagli artefici del genocidio contro coloro
che si dichiaravano colpevoli.
N.
Eugénie
32 anni, superstite della chiesa di Nyamata [ top ]
"Quindici giorni dopo l'attacco della chiesa, ero ancora
là, mezza morta, nuda tra i cadaveri che marcivano sopra
di me. Mi avevano maciullato le mani e tagliato i tendini dei
piedi. E avevo la testa coperta di colpi di machete, il mio collo
era mezzo aperto. Ero coperta di bacarozzi, ne ho addirittura
mangiati perché ne avevo in bocca. Non mi rendevo conto
che i miei genitori, i miei figli, mio marito erano morti. Non mi
rendevo conto di niente. Non potevo stare in piedi. Avevo fame.
Mi sono trascinata sul lato meno doloroso fino all'esterno.
Là, ho incontrato gli assassini.
"Eri nella chiesa?" - Si. - Allattavi i tuoi bambini morti? - Si.
- Te, non ti vuole nemmeno la morte. - Finitemi, vi supplico. -
Non vogliamo sporcarci le mani. Mi hanno sputato sul viso uno
dopo l'altro e se ne sono andati. Sono tornata nella chiesa dove
ho trovato delle patate dolci che ho mangiato. Ho cercato dei
vestiti sui cadaveri, li ho infilati come potevo. Gli assassini
sono tornati poco dopo e mi hanno svestita di nuovo. Mi hanno
detto: "Devi restare nuda fino alla fine della tua vita." ...
Oggi, sono le due piccole orfane di mio fratello, che ho
raccolto dopo il genocidio, che mi vestono ogni mattina. Non
racconto la mia storia a nessuno, perché sono disgustata
dalla natura umana. L'uomo ha distrutto tutto in me. Ho accettato
di testimoniare solo perché anche tu sei una vedova che ha
perso i suoi figli. Abbiamo una storia simile. È per
questo che ho fiducia in te."
NTEGEYIMANA
Evariste
15 anni, in prigione a Butare [
top ]
E.N. - Un gruppo di assassini sono venuti a prendermi a casa.
Mi hanno detto di andare con loro. Ho rifiutato. Ma hanno
minacciato di uccidere la mia mamma, che è Tutsi, se non
andavo. Allora, ho avuto paura e sono andato con loro. Mi hanno
fatto vedere tre bambini da uccidere. Ho rifiutato, ma un vicino
mi ha obbligato a prendere un machete. Ho ancora rifiutato, ma mi
hanno schiaffeggiato. Allora l'ho preso. Ho ucciso i bambini, non
avevo scelta ...
Y.M. - Quale è stata la reazione di tua madre quando l'ha
saputo?
E.N. - Mi ha picchiato...
Y.M. - Quei bambini che hai ucciso, li conoscevi?
E.N. - Si, erano dei vicini. Mangiavano spesso da noi e io da
loro.
Y.M. - E ora, come sono le relazioni?
E.N. - È la loro mamma che mi ha fatto mettere in
prigione. L'amicizia tra le due famiglie è rotta...
Y.M. - Quale è la decisione del tribunale, ora?
E.N. - Che devo andare in rieducazione.
Y.M. - E l'uomo che ti ha trascinato, che relazioni ci sono tra
voi?
E.N. - Faccio parte dei testimoni contro di lui, perché
lui ha ucciso anche me. Non sono più un bambino, sono un
assassino...
MUKANTESI
Francine
14 anni, superstite, Nyamata [
top ]
Y.M. - Il giorno in cui il presidente è morto, dove
siete fuggiti, tu e la tua famiglia?
F.M. - Nella chiesa di Ntarama e alle paludi.
Y.M. - Spiegami. Quali paludi?
Francine tace all'improvviso. Non c'è più modo di
farle dire una parola. Le racconto la mia storia di superstite.
Quando le dico che avevano addirittura annunciato alla radio che
ero morta, Francine ride e mi abbraccia. Ha ritrovato la fiducia
e mi racconta la sua fuga e come i suoi genitori sono stati
uccisi.
Y.M. - E che cosa hai fatto dopo il genocidio?
F.M. - Sono stata affidata ad una donna superstite, mutilata del
braccio destro e a suo marito. Mi occupo dei loro bambini.
Y.M. - Vai a scuola?
F.M. - Non sono più stata a scuola dal genocidio. Mi sono
fermata alla seconda elementare.
Y.M. - Hai voglia di tornare?
F.M. - Si, certo.
Y.M. - Sei pronta a studiare con bambini di nove anni?
F.M. - Ne sarei felice.
Y.M. - E per il momento, non sei felice?
Lungo silenzio.
Y.M. - Ti farò tornare a scuola in settembre.
Francine sorride dolcemente.
UWITONZE
Françoise
12 anni [?], superstite, Kíbeho [ top ]
Y.M. - Che malattia hai?
F.U. - I vermi.
Y.M. - Li hai presi al campo profughi in Burundi?
F.U. - No.
Y.M. - Dopo il genocidio?
F.U. - Si.
Y.M. - O forse li hai presi prima?
F.U. - Si. Quando ero piccola.
Y.M. - Prima del genocidio, eri magra come ora?
F.U. - No.
Y.M. - Da quando sei dimagrita così tanto?
F.U. - Adesso.
Y.M. - Mangi abbastanza?
F.U. - Si, mangio.
Y.M. - Io ho l'impressione che non è abbastanza. Ma dimmi,
perché non mi guardi negli occhi? Eppure, puoi.
F.U. - ...
Y.M. - E perché non rispondi?
F.U. - ...
Y.M. - Ti hanno detto di non rispondermi?
F.U. - ...
Y.M. - Eppure sai parlare...
F.U. - ...
Y.M. - Ti hanno vietato di rispondermi?
F.U. - No.
Silenzio.
Questa bimba sembra avesse 12 anni al momento del genocidio. E
nella sua testa, ha sempre 12 anni. Ho l'impressione che non si
svilupperà se non cambierà ambiente.
H. Grégoire, detto
Mandela
(a causa di 25 anni di prigione), 54 anni, superstite,
Nyamata [ top ]
G.H. - A 18 anni, sono stato arrestato senza motivo il 22
dicembre 1963, in seguito all'attacco dei ribelli tutsi nel
Bugesera, dove abitavo. Era domenica. Sono stato trasferito a
Kigali negli uffici della polizia. Eravamo circa 850, rinchiusi
in alcune stanze così piccole che non potevano nemmeno
sdraiarci. Juvénal Habyarimana è arrivato con una
lista di ventitré persone. Queste persone sono state
torturate tutta la notte e uccise all'alba. Non abbiamo avuto
niente da mangiare fino a Natale, solo una volta una specie di
fou-fou che assomigliava a una poltiglia, nella quale i militari
buttavano la cenere delle loro sigarette e tanto calda da poterla
prendere solo nelle nostre scarpe. Il giorno di Natale, siamo
stati condotti alla prigione 1930 dove siamo rimasti fino a
marzo. Molti sono stati liberati, ma 35, tra cui io, sono stati
condannati a morte. Ma Monsignor Perraudin, che era venuto ad
amministrarci l'estrema unzione, è intervenuto in nostro
favore presso il presidente Kayibanda, il suo migliore amico. Per
una volta che Perraudin faceva una buona azione! In marzo 1965,
dopo molte procedure di appello tutte senza successo, siamo stati
trasferiti alla prigione di Ruhengeri dove sono rimasto fino al
1973, sempre senza sapere perché. Al momento del colpo di
stato di Habyarimana, siamo stati trasferiti nella prigione di
Gitarama, dove le nostre condizioni di detenzione erano
terribili: celle inondate, pagliericci marci. Passavamo notti e
giorni interi appollaiati sui nostri lettini di ferro. Un giorno,
hanno fatto l'errore di aprire le celle. Ci siamo rivoltati e
abbiamo rifiutato di ritornarci. Siamo stati gettati in una
cantina. La nostra pena di morte è stata infine tramutata
in ergastolo. E nel 1985, siamo stati rimessi in libertà e
condannati all'obbligo di soggiorno nel nostro Bugesera natale.
Avevo 40 anni, avevo passato tutta la mia gioventù in
prigione. E nel 1994, siamo stati il bersaglio del genocidio.
Credo di essere il solo sopravvissuto dei 35 che erano con
me.
Y.M. - Hai una moglie a casa?
G.H. - Una moglie? Cosa offrirei a una moglie? Quando non si ha
avuto gioventù, non si ha felicità da offrire. E
poi, far crescere dei bambini sotto la continua minaccia di
diventare orfani prima o poi?
MUKARUSINE
Hélène
40 anni, superstite, Ngoma (Butare) [ top ]
H.M. - Mio marito era Ugandese. È fuggito con me, per
proteggermi. Ad una barriera, ha pagato 90.000 franchi
perché non fossi assassinata.
Y.M. - Dove siete fuggiti?
H.M. - Non siamo riusciti a raggiungere il Burundi, allora siamo
tornati verso Gikongoro e ci siamo imbattuti nei soldati francesi
della zona Turquoise. Gridavano "Tutsi, Tutsi!" e ci hanno
obbligati a salire sul loro camion. Invece di portarci al sicuro,
ci hanno condotto verso Murambi, alla scuola in costruzione.
Qualche giorno dopo, abbiamo dovuto fuggire perché gli
assassini circondavano la scuola...
Y.M. - E oggi, come ti senti?
H.M. - Posso dire che sono una donna felice. Nel genocidio ho
perso solo mio marito. E inoltre, non è stato ucciso.
È morto di un diabete che non ha potuto curare. Certo, se
non ci fosse stato il genocidio, non sarebbe morto. Ma è
così. Bisogna accettare.
Y.M. - Ora che hai perso tuo marito, pensi di rifarti una
vita?
H.M. - No, per niente. Sono diventata un uomo. Vendo della carne
al mercato, come facevano gli uomini prima del genocidio. Ma a
volte sento che ho bisogno di un sostegno maschile. Cerco di non
pensarci. Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti moralmente e mi
consigli. Non puoi sapere quanto mi fa bene la tua visita. Non
parlo mai con nessuno del genocidio e soprattutto non ne parlo
con i miei figli.
Innocent R.
32 anni, Twa, in prigione a Butare [ top ]
Y.M. - Tu sai bene me che in tutta la storia del Ruanda, i Twa
erano amici dei Tutsi. Allora, raccontami come mai li avete
uccisi.
I.R. - Il cognato del brigadiere è venuto a dire che
eravamo degli esseri insignificanti e che dovevamo inseguire i
Tutsi scappati nella foresta, perché altrimenti saremmo
stati tutti uccisi.
Y.M. - E tu hai partecipato a questa caccia?
I.R. - Sì. Ho ucciso tre Tutsi. Un certo Karasira, con un
colpo di manganello. Un certo Vianney, che era un mio amico, con
un colpo di lancia. E un bambino di 12 anni, con diversi colpi di
pugnale.
Y.M. - Qual era il tuo stato d'animo mentre facevi queste
cose?
I.R. - Era un po' come un'epidemia. Prima di uccidere la prima
volta, avevo paura. Ma dopo il primo assassinio, sono diventato
molto cattivo e molto crudele. Era come se dentro di me fosse
cresciuta una grande collera contro i Tutsi, senza che ne capissi
il perché. Le nostre azioni non erano premeditate, agivamo
sotto il dominio di una collera irrazionale fomentata in noi
dalle autorità. Non ero più un essere umano.
Y.M. - E dopo, come ti sei sentito?
I.R. - Quando mi hanno arrestato, mi sono sentito sollevato e ho
confessato direttamente. Era così bello tornare ad essere
un essere umano. Oggi, mi rimetto alla giustizia degli uomini,
accetterò la pena che mi sarà inflitta, anche se si
tratta della morte. E per l'eternità mi affido alla
giustizia di Dio.
SEKAMANA
Jean-Marie-Vianney
Circa 36 anni, veterinario, in prigione a Butare
[ top ]
J-M-V.S. - Personalmente, quello che accetto, è che
sono stato solidale con gli assassini che erano con me alle
barriere. Ma non ho ucciso nessuno con le mie mani. Ma
poiché ero con le persone che hanno assassinato, mi
dichiaro colpevole. Dividiamo i torti, per solidarietà.
Non ho tagliato nessuno con il machete né con il coltello,
non avevo fucile per sparare, non ho nemmeno assistito a nessun
assassinio. Ma poiché ne perpetravano a qualche metro da
dove stavo...
Y.M. - Ma tu, in quanto rappresentante dell'autorità, davi
l'ordine di prendere i Tutsi...
J-M-V.S. - No. Eravamo solo insieme.... Si camminava la notte,
gli assassini entravano nella casa di una famiglia che
conoscevano, ma io, io restavo sulla strada.
Y.M. - Testimoniano contro di te?
J-M-V. S. - Testimoniano contro di me dicendo che ero con loro,
ma non dicono che ho ucciso.
Y.M. - Ci sono dei sopravvissuti nella tua cellula?
J-M-V. S. - Si. C'erano dei Tutsi. Ma non erano là. Erano
fuggiti.
Y.M. - No. Quelli che erano là al momento in cui avete
fatto il genocidio.
J-M-V.S. - Ah! Quelli? Erano nascosti e non li abbiamo
visti.
Y.M. - E il bimbo tutsi che accudiva le vostre mucche, dove si
è nascosto?
J-M-V.S. - È rimasto da me, a casa.
Y.M. - E non si sapeva che era Tutsi?
J-M-V.S. - Quando si è saputo, era troppo tardi.
T. Laetitia
30 anni, superstite, Kigali [ top
]
L.T. - Il 7 aprile, abbiamo dato dei soldi a dei militari per
negoziare la nostra salvezza. Il 9 aprile 1994, abbiamo cercato
rifugio alla Scuola tecnica officiale. Era piena, i Caschi blu la
proteggevano. Ma dopo quattro giorni, il generale R è
venuto a discutere con loro e hanno fatto i bagagli e ci hanno
abbandonato. Subito dopo la loro partenza, delle granate sono
cadute tra la folla, lanciate dalla pista dai miliziani. Siamo
scappati disperdendoci nelle strade, con la vaga idea di
rifugiarci allo stadio Amahoro. Ma i miliziani ci hanno
circondato. Abbiamo fatto segno ad alcuni veicoli di altri Caschi
blu che passavano davanti a noi ma non si sono fermati. È
allora che un ufficiale ha dato l'ordine ai miliziani di farci
salire sulla collina di Kicukiro e di sopprimerci lassù,
in modo da evitare che i nostri cadaveri impestassero Kigali. In
cima alla collina, abbiamo subito un diluvio di granate, ho visto
dei brandelli di carne volare nell'aria. Un'ora e mezza dopo, i
miliziani sono entrati nella folla e ci hanno tagliato a pezzi
con i machete. Al secondo colpo, sono svenuta. Quando mi sono
svegliata, ero completamente nuda. Eravamo forse una decina di
superstiti. Ci siamo nascosti nei cespugli. Allora un militare
dei FAR è passato vicino a noi. L'abbiamo chiamato e gli
abbiamo chiesto di finirci. Ma ha rifiutato. È andato a
cercare dell'acqua, poi ci ha indicato una via tramite la quale,
venuta la notte, avremmo potuto raggiungere le posizioni del FPR.
Così sono stata salvata. Ma dopo il genocidio, ho avuto
delle voglie strane. M piaceva mangiare la terra. Ne mangiavo
molta e non è molto che ho smesso. Mi piaceva anche il
gusto della polvere.
Y.M. - E che speranza hai oggi?
L.T. (sorridendo) - Non ho speranza. Non posso stare molto al
sole, altrimenti svengo. Mi basterebbe una piccola somma di
denaro per aprire un piccolo commercio, ma so che non
l'avrò mai.
Y.M. - Quanto?
L.T. - 150.000 franchi ruandesi. (L'equivalente di 15.000 franchi
belgi, 600.000 Lire).
Marc N.
54 anni, guardiano del sito di Ntarama, militare hutu che
ha protetto dei Tutsi [ top ]
M.N. - Dopo la caduta dell'aereo presidenziale, ci sono state
delle voci secondo le quali erano stati i Tutsi ad abbatterlo. I
miei vicini tutsi si sono rifugiati a casa mia, pensando che
avessi un'arma e che avrei potuto proteggerli. Ma io non avevo
armi perché mi avevano appena comunicato il mio
pensionamento, con il pretesto che avevo rifiutato il
genocidio.
Y.M. - Il genocidio era stato pianificato anche all'interno
dell'esercito?
M.N. - Certo! Nessun ufficiale dei FAR può dire di non
essere stato informato della pianificazione del genocidio.
Y.M. - Non hai avuto paura di proteggere delle persone?
M.N. - Paura? Una fifa nera, sì! Quando hanno attaccato
casa mia, ho fatto uscire tutti, erano forse una ventina; ho
tenuto solo le donne anziane e i bambini. Davanti ai miliziani ho
giurato sotto la foto del presidente che non potevo nascondere
dei nemici. È così che tutti quelli che erano a
casa mia si sono salvati.
Y.M. - Cosa pensi dell'ONU?
M N. - L'ONU ci ha abbandonati. Ho visto qualcosa di sconcertante
tra ottobre e novembre 1994. Dei Caschi blu sono venuti in
elicottero a prendere dei teschi al sito di Ntarama. Senza dubbio
con l'obiettivo di cancellare le tracce del genocidio. Ho
immediatamente informato le autorità locali.
Marie-Josée
N.
31 anni, vedova di un Tutsi, sito di Murambi
(Gikongoro) [ top ]
M.-J.N. - Mio marito era Tutsi ed io sono Hutu. Era ingegnere.
Lo supplicavo spesso di lasciare il paese, ma non voleva, aveva
fiducia nella Comunità internazionale. Fiducia inutile.
È stato ucciso mentre scappava nella foresta di Karama e
il mio bambino ha avuto il collo tagliato per metà ed
è diventato emiplegico. Inoltre oggi soffre di disturbi
legati ad un trauma psicologico. La notte, gli capita di girarsi
nel suo letto e di urlare: "Vengono ad uccidermi, vengono ad
uccidermi!". Non ho soldi per portarlo dal medico.
Y.M. - Che lavoro fai?
M.-J.N. - Lavoro ad un monumento commemorativo del genocidio e
guadagno mille franchi al mese (5.000 lire). Lavo gli scheletri,
tolgo le ragnatele. All'inizio, gli Hutu mi dicevano "Sei nostra
sorella, smetti di occuparti di questi ossami, ti porteranno
sfortuna. Non ti vergogni di occuparti ancora dei Tutsi?". Ma
dopo che ho sposato il fratello di mio marito, sono loro che si
vergognano. Non osano più apostrofarmi a questo
proposito.
Y.M. - Cosa fa tuo marito?
M.-J.N. - È un militare di basso rango.
Y.M. - Come si chiama tuo figlio?
M.-J.N. - Welcome Norbert. Ha sette anni.
Y.M. - Welcome? Che nome buffo.
Marie-Josée non risponde, sorride, pensierosa.
NDAHIMANA
Matthieu
35 anni, assistente medico, in prigione a Butare
[ top ]
Durante tutto il colloquio, Matthieu sembra rivedere il film
dell'orrore che ha compiuto. La sua elocuzione è a scatti,
puntuata da lunghi silenzi durante i quali il suo sguardo erra al
suolo. Poi, come se tornasse in sé, mi guarda di nuovo
come per trovare in me la forza di parlare.
M.N. - Vorrei dirvi, signora, che ho tradito la mia professione e
la mia coscienza ... Ho ucciso quando avevo come missione di
salvare la vita ... Ho cercato di incontrare le persone alle
quali avevo fatto del male ... Il mio rammarico è ancora
più forte perché, dopo il genocidio, sono stato
accolto dalle famiglie di coloro che avevo ucciso... Mi dicevano
che non capivano come avevo potuto partecipare al genocidio e che
ero sempre stato un uomo esemplare. È vero. Neppure io
capisco cosa mi è successo ... Quello che so, è che
mi hanno insegnato a sparare con un fucile, e che ho sparato. Due
volte. Proprio in mezzo ad una folla di donne e di bambini ...
Ringrazio Dio di essere ancora vivo per poter chiedere perdono
... Ma io sono un uomo morto ...
Y.M. - E io, Matthieu, vi dico che siete ancora vivo
perché ora sapete dove si trova il male, chiedete perdono
e cercate di lavorare per la pace tra i Ruandesi. Sareste
disposto a girare il mondo con me per testimoniare, voi come
artefice del genocidio, io come vittima, per riportare la pace
nell'umanità?
M.N. - Si. Certo. Sono pronto.
Matthieu piange a lungo, la testa tra le mani. Ed io
pure.
MVUGAYABAGABO
16 anni, figlio di un autore del genocidio,
Mwurire [ top ]
Y.M. - Nessuno querela tuo padre?
M. - No. Ma dicono che ha picchiato qualcuno. E che a causa dei
colpi, la vittima si è ammalata di tubercolosi.
Y.M. - Ed era durante il genocidio?
M. - Si.
Y.M. - Conosci questa persona?
M. - Si. Si chiama Butare.
Y.M. - È morto o è ancora vivo?
M. - Non è morto. È diventato militare del
FPR.
Y.M. - È vero che è ammalato di tubercolosi?
M. - No.
Y.M. - È diventato militare durante il genocidio?
M. - No. Dopo. Un anno fa, credo.
Y.M. - Era un vostro vicino?
M. - No. Noi abitavamo in cima alla collina. Lui, abitava
sotto.
Y.M. - Era un Hutu o un Tutsi, Butare ?
M - Tutsi.
Y.M. - Forse hanno semplicemente fatto a botte durante il
genocidio?
M. - No. Nemmeno. Quando papà era ancora vivo, mi ha detto
di averlo incontrato e di avergli indicato un buon sentiero per
evitare gli assassini.
Y.M. - Quindi ha mentito dicendo che tuo padre l'aveva
picchiato?
M. - Si. Sono sicuro che papà non ha mai picchiato
nessuno.
Y.M. - Di che cosa e morto tuo padre?
M. - Di malattia, qualche mese fa.
Mi giro verso Gasana, il guardiano del luogo: "Suo padre era
un autore dei genocidio?" Gasana mi guarda con un sorriso
malizioso.
Dopo il colloquio con il ragazzo, Gasana mi spiega che non ha
voluto ferire quel ragazzo innocente, ma che suo padre era un
artefice del genocidio e non uno dei minori.
HITIMANA
Noël
Circa 50 anni, giornalista, Nyamirambo [ top ]
La memoria di Noël diventa selettiva durante il colloquio
...
Y.M. - Ti dichiari colpevole?
N.H. - Colpevole?
Y.M. - Cioè, coloro che accettano quello che hanno fatto,
il loro lavoro durante il genocidio.
N.H. - Si, accetto quello che ho fatto, il mio lavoro durante il
genocidio. Ma non mi sono dichiarato colpevole.
Y.M. - Pertanto, mi sembra aver sentito la tua voce, tu hai dato
il mio nome alla radio, dicendo che ero morta. Non so se ti
ricordi. Il 7 aprile mattina.
N.H. - Un comunicato o cosa? Si, è possibile. È
possibile, perché i comunicati passavano.
Y.M. - Conosci Musoni? Era mio fratello. Eravate insieme
all'ospedale di Kabgayi, durante il genocidio. Aveva voglia di
chiederti se era vero che ero morta.
N.H. - Potevo sapere?
Y.M. - Si, visto che sei stato tu a dirlo alla radio!
N.H. - No. Questo non l'ho detto.
Y.M. - Eppure ...
N.H. - NON L'HO DETTO!
Jean-Pierre Martin filmava il colloquio per RTL-Tvi.
J-P.M. - Perché avete accettato di lavorare per una radio
che ha fatto parte della pianificazione del genocidio e che
giorno dopo giorno incitava ad uccidere una parte della
popolazione?
N.H. - Quando mi hanno chiamato per lavorare in questa stazione,
si trattava di una radio libera, commerciale. Radio
Télévision Libre des Mille Collines (radio
televisione libera delle Mille Colline). Ed era autorizzata dallo
Stato.
J-P.M. - Ma tutti i paesi occidentali avevano chiesto la sua
chiusura.
N.H. - Perché non è stata chiusa?
J-P.M. - È a voi che lo chiedo.
N.H. - Io, non lo so.
Innocent N.
36 anni, superstite, presidente di un'associazione di
handicappati del genocidio, Nyamata [ top
]
I.N. - Eravamo circa 20.000 resistenti. Insieme a molti altri,
ci siamo rifugiati nella chiesa di Nyamata. Abbiamo resistito un
mese. Là ho perso mia moglie e mio figlio appena nato.
Alla fine, abbiamo dovuto fuggire nelle paludi di papiro.
Y.M. - Come hai perso la gamba?
I.N. - Sono saltato su una mina antipersone.
Y.M. - Come hai avuto l'idea di creare un'associazione di
handicappati?
I.N. - Volevo che noi handicappati non fossimo costretti a
mendicare. Volevo che grazie alle nostre idee e alle nostre
capacità, fossimo in grado di prenderci cura di noi
stessi.
Y.M. - Le ONG (organizzazioni non governative) presenti vi
aiutano?
I.N. - Non proprio. Ho contattato Handicap International ma non
mi hanno risposto. In cambio, ZOA, un'altra ONG, sembra volerci
aiutare. Quello che più ci converrebbe, sarebbe trovare
un'associazione in Europa che potesse sostenerci un po'.
Y.M. - E al momento, come fate funzionare l'associazione?
I.N. - Paghiamo una quota mensile di 100 franchi a testa.
(cioè più o meno 500 lire)
Odette M.
32 anni, superstite, Nyamirambo (Kigali) [ top ]
O.M. - Dall'assassinio del presidente, mio marito, mio figlio
ed io ci siamo nascosti a casa di diverse persone. Ma il 24
aprile ci hanno trovato e portati alla barriera. Gli assassini
hanno chiesto a mio marito la sua carta d'identità. Lui
l'ha mostrata, è stato subito colpito con un manganello e
poi freddato con tre pallottole nel petto. Uno dei nostri vicini
è stato ucciso nello stesso momento: i miliziani l'hanno
frugato, hanno trovato dei soldi e se li sono contesi.
Approfittando della lite, uno degli assassini, di nome Antoine,
mi ha fatto portare a casa sua. Là, mi ha nascosta sotto
il letto con il mio bimbo. Ci sono rimasta cinque settimane.
è così che mi sono salvata. Quando il FPR è
arrivato, siamo stati riuniti insieme a molti altri superstiti,
gli Interahamwe hanno gettato una granata sul nostro gruppo ed
è così che sono stata ferita.
Y.M. - E ora, ti capita di avere paura degli Interahamwe o delle
persone che hai visto uccidere? Ti capita di incontrarli?
O.M. - (sorridendo) Li incontro tutti i giorni! Sono i miei
vicini. Ma non ho paura perché‚ non ho nessuna via
d'uscita. Mi uccideranno quando lo vorranno.
Y.M. - E il tuo bambino si ricorda del genocidio?
O.M. - No, aveva solo un anno. A scuola, ne parla con i suoi
compagni e mi chiede perché non ha il papà e
perché io ho solo un braccio. Quando glielo spiego, mi
dice "mamma, ti vendicherò; prima o poi, dovranno ridarmi
il mio papà".
NANGWAHAFI
Onesphore
41 anni, rilevatore di censimento, Mugusa
(Butare) [ top ]
N.O. - Siamo stati manipolati. Le autorità ci hanno
detto che era a causa dei Tutsi dell'interno che il FPR invadeva
il paese, che se li avessimo uccisi tutti, il FPR avrebbe smesso
la guerra e soprattutto i soldati del FPR assassinavano gli Hutu
in modo atroce. È quello che mi ha convinto ad
uccidere.
Y.M. - Quante persone avete ucciso?
N.O. - Ne ho uccise otto, di cui una da solo, con il
machete.
Y.M. - Quella che avete ucciso da solo, aveva dei parenti?
N.O. - Resta un bambino e una donna anziana.
Y.M. - Avete dei rimorsi?
N.O. - Quando si ha peccato come me, non si ha più pace
interiore. Ma dichiararmi colpevole mi ha un po' calmato. Sento
il mio cuore un po' più tranquillo. Ma la vera
tranquillità, non la conoscerò mai
più.
Y.M. - Se, invece di lasciarvi in prigione, vi si dicesse di
occuparvi di quei due superstiti, ne sareste capace?
N.O. - Io ... non so... credo di si, che proverei. È
così difficile.
Y.M. - Avete voglia di testimoniare?
N.O. - Si. Voglio dire quello che ho fatto. Se tutti quelli che
hanno fatto il male lo confessassero, il perdono potrebbe
rinascere.
R. Pacifique
43 anni, superstite, Ntarama [
top ]
"I nostri padri ci dicevano che nella chiesa di Dio, gli
assassini non sarebbero mai entrati. Dal 1959, rifugiarsi nelle
chiese è un abitudine dei Tutsi. Ci siamo semplicemente e
naturalmente rifugiati in quella di Ntarama. Ma era piena. Gli
assassini sono arrivati, hanno ordinato agli Hutu di uscire. Mia
madre è andata avanti dicendo "sono Hutu". È stata
ammazzata sotto i nostri occhi. Mio padre e mia sorella incinta
di nove mesi furono uccisi subito dopo, a colpi di mazza. Gli
assassini hanno poi lanciato delle granate e alla fine sono
entrati nella chiesa e ci hanno ucciso all'arma bianca. Sono
riuscito a salvarmi con mia moglie e i miei figli. Siamo andati
alla scuola di Cyugaro per raggiungere gli altri resistenti.
"Sono indignato, dichiarò un certo Simon U. contemplando
il numero di Tutsi ancora vivi nella scuola." Poi, girandosi
verso gli artefici del genocidio che lo circondavano, aggiunse:
"Visto che siete degli incapaci, vado a cercare dei veri
Interahamwe." Dicendo questo, se ne è andato al volante
del suo camioncino ed è tornato un'ora dopo accompagnato
da molti Interahamwe che ci hanno attaccato con le granate. Alla
sera, siamo riusciti a liberarci. C'erano molti morti. Siamo
andati dal borgomastro ... "Ovunque andiate, ci ha detto,
incontrerete un Hutu. Deve uccidere, è il suo lavoro.
Restate piuttosto tranquilli a casa vostra e lasciatevi
massacrare con dignità." Siamo tornati alla scuola, ma
poco dopo quattro bus noleggiati dal comune hanno riversato i
loro miliziani. Il combattimento è iniziato
immediatamente. Granate da una parte, frecce e pietre dall'altra,
machete e archi mischiati in una battaglia spaventosa. Vinti dal
numero e dalle loro armi da fuoco, alla fine abbiamo dovuto
ripiegare nelle paludi di papiro, dove abbiamo cominciato una
vita un po' vegetativa. Finché, all'improvviso, due
settimane più tardi, una voce tuona: "Siamo il FPR. Fatevi
vedere. Vi proteggeremo." All'inizio non ci credevamo,
perché temevamo che fosse un appello degli Interahamwe. Ma
no, era davvero il FPR. Siamo stati condotti a Nyamata appena
liberata. Là, ascoltavamo RTLM che diceva che il Bugesera
era nelle mani dei FAR. Questa notizia ci ha fatto ridere
perché si sapeva che il Bugesera era controllato dal FPR.
Ma altri ci hanno detto che era un modo di far credere agli
Interahamwe che non avevano perso la guerra e che dovevano
continuare il genocidio. I medici del FPR ci hanno curato, ci
hanno messo al regime d'acqua e le nostre gambe si sono
progressivamente sgonfiate."
NSANZURWIMO
Patrice
79 anni, coltivatore, in prigione a Butare [ top ]
Y.M. - Come avete cominciato ad uccidere?
P.N. - Ero seduto su una pietra della mia parcella. Sei gendarmi
arrivano con i loro fucili. "Vieni con noi." Li ho seguiti. Mi
hanno portato davanti alcuni prigionieri e mi hanno dato un
manganello coperto di chiodi." Allora, vecchio, mi ha detto uno
di loro, o ammazzi queste persone o ti freddiamo." Allora ho
cominciato a colpire i prigionieri.
Y.M. - Dove li colpivate?
P.N. - Sulla testa.
Y.M. - Quante volte?
P.N. - Due volte.
Y.M. - Nessuno si è difeso?
P.N. - No, per niente.
Y.M. - Quanto è durato tutto questo?
P.N. - Ho cominciato verso le otto e finito verso
mezzogiorno.
Y.M. - Quattro ore! Ma quanti ne avete ammazzati?
P.N. - Devo averne ammazzati un po' più di cento.
Y.M. - Allora, avete colpito duecento volte?
P.N. - Si.
Patrice risponde alle mie domande con vivacità e con un
tono un po' teatrale, ma quando gli domando se gli dispiace,
è come colpito dallo stupore.
P.N. - Se ci fosse un nuovo genocidio, signora, scaverei un buco
per nascondermi ed evitare di essere costretto ad
ammazzare.
Y.M. - Sapete, trovo che noi, Ruandesi, meriteremmo di sparire
per non contaminare gli altri popoli con il nostro crimine.
NGANIMANA
Paul
49 anni, superstite, Bugesera [
top ]
Y.M. - Quando vedi come si fa la giustizia in Ruanda e ad
Arusha, pensi che verrà il giorno in cui si fará
una vera giustizia sul genocidio?
P.N. - È possibile, se c'è la volontà. Tutto
quello che so è che bisogna avere una giustizia secondo le
leggi sul genocidio, ma nello stesso tempo non dimenticare che si
è prodotto in Ruanda e non altrove. Dire ai superstiti di
portare cinque o più testimoni, quando si sa che si
trattava di uno sterminio e che molte colline sono state rasate,
è inumano. Avere un solo testimone è già
difficile. Dove vogliono che troviamo molti testimoni? A meno di
resuscitare i morti. È piuttosto un modo di scoraggiarci,
noi i superstiti del genocidio. Finché la giustizia non
sarà fatta, i Ruandesi non avranno futuro.
Y.M. - E cosa ne pensi della riconciliazione?
P.N. - Non ci credo affatto. Perché non si può
obbligare alla riconciliazione. E come se si dicesse "Devi amare
quella persona." Si tratta di un sentimento che può venire
solo dall'individuo. Non si può comandare questo
sentimento. Non si può esigere che mi riconcili come non
si può esigere che ami una certa persona. E poi, chi si
riconcilia con chi? Gli assassini che sono ancora in
libertà vogliono ancora assassinare. Fino al momento in
cui loro non prenderanno l'iniziativa di venire a cercarci, noi
superstiti, e dirci "abbiamo peccato contro di voi, perdonateci.
Ecco la ragione per la quale l'abbiamo fatto", finché non
ci sarà questa sincerità, non si parlerà di
riconciliazione. Che ci perdonino piuttosto, dal momento che non
abbiamo fatto loro niente. E che smettano di ucciderci.
Paul è vedovo dal genocidio. Ha resistito a Ntarama con il
suo neonato sulla schiena.
KAJUGU Pierre
26 anni, ex militare, in prigione a Butare [ top ]
Y.M. - Che cosa pensi degli artefici dei genocidio, coloro che
vi hanno fatto fare il genocidio, che sono in esilio al riparo
dalla giustizia, mentre voi marcite nelle prigioni?
P.K. - Ecco dove sta il problema. Mi si diceva che il generale
Ndindiliyimana era il capo dello stato maggiore. E all'improvviso
si viene a sapere che durante il genocidio è stato
nominato ambasciatore del Ruanda dal governo genocida di
Kambanda. Se i miei ricordi sono esatti, è in Canada. Ha
voluto partire e sembra che quel giorno si erano messi dei
veicoli davanti all'aereo per impedirne il decollo. Non ho mai
saputo da dove è passato per uscire dal paese. Inoltre sua
moglie era ancora a casa, nello stesso comune di Nyaruhengeri, il
suo comune natale. La moglie è uscita da li verso la fine
di giugno. In Europa, non si parla di sua moglie. La moglie, non
l'ho vista uccidere ma lei mandava i soldati che la sorvegliavano
sulle colline per uccidere. C'erano più di otto gendarmi a
casa sua e lei era sempre via con loro. Non mi rivolgeva la
parola, perché non ero del suo rango.
Y. M. - E quando hai ucciso, chi te ne ha dato l'ordine?
P.K. - Il consigliere comunale era là. Ha detto: "Noi
uccidiamo per ordine del generale Ndindiliyimana. È lui
che ha dato l'ordine." Era lo zio del generale Ndindiliyimana.
Siamo stati anche arrestati dopo il genocidio, il consigliere ed
io, e il consigliere ha spiegato che era il generale che aveva
dato l'ordine. Ha spiegato che gli ordini del generale erano
molto chiari e spiegati molto bene, e che il generale, suo
nipote, veniva spesso a casa da lui. È stato
Ndindiliyimana a dare l'ordine di uccidere Nzeyimana Ignace e
Munyanshongore Célestin, che erano i suoi vicini.
Munyanshongore, sono stato io ad ucciderlo.
MUNYAMBUGA
Thaddée
45 anni, catechista, in prigione a Butare [ top ]
Y.M. - Sembra che vi dichiariate colpevole?
M.T. - Si, mi dichiaro colpevole. Ma sono innocente.
Y.M. - Siete davvero innocente? Ma allora, perché
dichiararsi colpevole?
M.T. - Ho solo impedito ai Tutsi di sfuggire ai gendarmi. Ma io,
io non ho ucciso con le mie mani. Sono innocente.
Y.M. - E i Tutsi che avete consegnato ai gendarmi, sono
morti?
M.T. - Nessuno è stato ucciso alla barriera che
sorvegliavo, tranne i Tutsi del mio quartiere.
Y.M. - Parlo di quelli che voi avete consegnato ai
gendarmi.
M.T. - Quei Tutsi, ho solo impedito loro di fuggire e li ho
portati dai gendarmi. Ma non li ho uccisi. Non ho ucciso nessuno
con le mie mani. Bisogna riconoscere la mia innocenza.
Sorvegliavo solo la barriera. Ho solo ubbidito.
Y.M. - Ma avete ubbidito a delle persone che volevano
uccidere!
M.T. - Sono innocente. Non ho sangue sulle mie mani.
Y.M. - E avete salvato delle persone?
M.T. - Non ho salvato nessuno. Ma c'erano solo due famiglie tutsi
nel mio quartiere.
Y.M. - E loro sono morti?
M.T. - Si, sono morti. Ci sono stati pochi morti nel mio
quartiere.
Y.M. - Credo che non abbiamo più niente da dirci.
M. Vestina
33 anni, superstite, Gahembe [
top ]
V.M. - Ho saputo della morte di Habyarimana solo la mattina
del 7 aprile. Ho chiesto a una vicina hutu perché c'erano
dei gruppuscoli nel centro del villaggio. Mi ha risposto con
aggressività. "Smettila di fare finta. Sai bene che il
presidente è stato assassinato." Ho avuto veramente paura.
Per me, era la fine. Ripensando al 1992 mi sono calmata, pensando
che avrebbero assassinato solo dei ricchi e degli intellettuali.
Un anziano hutu, una volta amico di mio padre, è venuto a
prendere me e i bambini, poiché ero vedova. I figli di
quel vecchio erano degli Interahamwe. Sua moglie, una Tutsi, fu
la prima a cacciarmi. Esageravo la situazione, diceva. Suo marito
ha dovuto impormi. Suo figlio, il più pericoloso di tutti,
mi ha preso e spinta con un'ascia. Sono caduta sulla schiena. Ho
visto l'ascia sollevata sopra di me, pronta a colpire. L'immagine
mi terrorizza ancora oggi. È il fratello più
piccolo, eppure anche lui miliziano, che mi ha salvato la vita.
Mi ha tenuta in ostaggio per tutto il periodo. Mi violentava
regolarmente. Gli lasciavo usare il mio corpo, a patto che non
uccidesse, i miei figli.
Y.M. - Non hai paura dell'AIDS?
V.M. - L'AIDS? Si, ho paura, ma lo vedo come una fatalità.
Recentemente ho notato una macchia sulla mia gamba. Ho pensato
subito che era l'AIDS. Ma a che serve preoccuparsi? In ogni caso,
se ho l'AIDS, non ho i mezzi per curarmi. Spero solo di non
morire prima che i miei figli siano grandi.
Y.M. - Pensi di fare il test?
V.M. - A che serve?
Y.M. - E non gliene vuoi a quest'uomo che ti ha preso con la
forza?
V.M. - Certo che gliene voglio. Testimonierò contro di
lui. Se mi ha preso in ostaggio, non era per amore. Era il suo
modo di uccidermi.
La Meridiana ha pubblicato in aprile 2008 il libro di Yolande Mukagasana "Le ferite del silenzio. Testimonianze sul genocidio del Rwanda". Notizie sul sito www.lameridiana.it/catalogo/schedaLibro.asp?ISBN=9788861530492.