Baykar SIVAZLIYAN
Bolzano, Venezia, 13 aprile 2004
Ogni tentativo di distruzione fisica di un popolo, passa
necessariamente dalla via della distruzione della sua cultura.
Durante la notte del 24 aprile del 1915, i rappresentanti delle
autorità ottomane bussarono uno per uno alle porte di
tutte le famiglie degli intellettuali armeni di Istanbul, antica
Costantinopoli, invitando i predestinati alla morte, negli uffici
della polizia durante la stessa sera. Al mattino seguente erano
tutti nelle carovane della deportazione. Era l'inizio del Medz
Yeghern "Grande Male" come gli armeni chiamano il primo Genocidio
del XX secolo che portò via la vita a più di un
milione e mezzo di armeni, innocenti cittadini dell'Impero
Ottomano di religione cristiana. Unica loro colpa era di
appartenere alla nazione armena, e trovarsi sulla via di
congiunzione delle due parti del vasto territorio turanico che si
estendeva nella fantasia malata dei nazionalisti turchi fra
l'Adriatico e l'Asia Centrale. Per la prima volta nella storia
moderna, uno stato aveva organizzato meticolosamente il massacro
dei propri cittadini con le proprie mani. Gli armeni erano
cittadini ottomani da tanti secoli, dalla fondazione dell'impero
ed erano abitanti di quelle terre da quattro millenni, molto
prima che turchi ottomani fondassero il loro stato nel 1299. Con
il loro apporto allo sviluppo e alla civilizzazione dell'Impero
Ottomano, gli armeni avevano ricevuto dai sultani ottomani stessi
l'appellativo di "Millet-i Sadika" - popolo meritevole di
fiducia-.
Nell'ultimo secolo della storia dell'impero ottomano si trovavano
su quel territorio circa 3500 monumenti armeni piccoli e grandi,
religiosi e civili, centinaia di biblioteche, chiese, monasteri,
scuole, edifici molto importanti, alcuni dei quali tra i massimi
capolavori del patrimonio dell'umanità, non solo
dell'armenità. Dopo i massacri le deportazioni e alla fine
del compimento del Genocidio, si contavano a malapena circa 500
di questi monumenti, ridotti in maggioranza in condizioni
pietose.
Non esiste in sostanza, famiglia armena che a cavallo dei due
secoli XIX e XX, fino al 1922, non abbia perso una parte
consistente del proprio nucleo sul territorio dell'impero
ottomano. Più volte gli armeni sono stati criticati per
non avere avuto la necessaria forza di denunciare il Genocidio
subito e di essere stati molto teneri con il loro carnefice. Si
tratta sicuramente un atteggiamento curioso ed originale quello
degli armeni, di vivere questa immane tragedia con assoluta
riservatezza. Il male subito appartiene alla nazione e
l'individuo armeno non ama platealizzare il proprio dolore.
Desidera raccontare semmai per una riflessione collettiva senza
reclamizzare i propri morti. E' solo una condivisione umana dalla
quale debba scaturire una riflessione perché la tragedia
si presti a una lezione di vita. Non è ricerca di
commiserazione ma una esperienza raccontata, una memoria dalla
quale si tragga esempio, perché il male non si ripeta mai
più.
Fino ai nostri giorni, l'orientamento delle autorità
turche, purtroppo, salvo alcuni casi personali e non ufficiali,
è quello di negare assolutamente il genocidio della
nazione Armena, probabilmente per chiudere definitivamente la
porta a ogni conseguente richiesta di risarcimenti, richiesta che
tuttora rimane solo di natura morale e non finanziaria, né
territoriale, se anche rimane sempre aperta la questione del
trattato di Mosca del 1921, quando in assenza dei diretti
interessati è stato firmato un accordo fra tra la Russia
Bolscevica e la Turchia ancora non completamente formata come
Repubblica Kemalista, regalando le province di Kars e di Ardahan
assieme alla zona di Surmalù ai turchi. A questo proposito
ci sono state ripetute assicurazioni da parte delle più
alte autorità della Repubblica Armena. Ove invece tale
negazione non sia assolutamente possibile, davanti a fatti fin
troppo evidenti, il comportamento politico turco prende le
sembianze di una minimizzazione dell'accaduto tragico, delineando
un incresciosa opera "assistita dal governo" di spostamento della
popolazione armena a causa della guerra mondiale, il facile
riferimento è ovviamente alla Prima Guerra Mondiale. Il
Genocidio del popolo armeno non è un "increscioso
spostamento della popolazione, assistito dal governo". E' e
rimarrà fino al suo riconoscimento ufficiale, dal suo
carnefice, uno dei Crimini più gravi della storia moderna
mondiale che precede l'Olocausto.
Lo storico turco Dogan Avcioglu, nelle sue numerose opere
dedicate alla lotta di liberazione della Turchia in epoca
moderna, quando parla della storia dei segreti più riposti
degli esponenti dell'Ittihad ve Terakki (Partito Nazionalista
turco, Unione e Progresso) in uno dei suoi saggi sulle
deportazioni degli Armeni, egli afferma che esse erano condotte
su larga scala, che erano realizzate sistematicamente e che il
loro scopo era "la soluzione radicale della Questione Armena".
Secondo le prove a sua disposizione, il progetto fu difeso
durante varie riunioni dei membri dell'Ittihad dal Dott. Shakir e
fu "interinato" dai tedeschi. Queste asserzioni dei turchi sono,
ovviamente, di carattere ufficioso. Tuttavia, data la natura
della complicità, può essere accertato
definitivamente a qualsiasi livello la responsabilità
tedesca. Il capo di stato maggiore tedesco presso il quartiere
generale ottomano, portò con sé a Berlino un gran
numero di documenti quando lasciò la Turchia alla fine
della Prima Guerra Mondiale. Si sa che i preparativi delle guerre
sono di natura tale da rinsaldare il segreto, che già
normalmente avvolge le questioni di diplomazia internazionale e
di cooperazione militare. Il piano turco per eliminare la
popolazione armena non faceva parte soltanto dei segreti
militari, ma rappresentava anche uno degli elementi fondamentali.
Se si tiene conto del coinvolgimento tedesco nella nascita e
nella realizzazione di questo progetto, quali che fossero del
resto la natura e l'ampiezza di tale coinvolgimento, era
indispensabile per la Germania aiutare la Turchia a nascondere le
prove del crimine che questo progetto comportava. La
dissimulazione era ancora più necessaria per proteggere
gli interessi tedeschi, dato che sarebbe stata sollevata la
questione delle responsabilità della Germania.
I tentativi di dissimulazione della Germania erano rivolti
soprattutto ai funzionari e all'opinione pubblica tedeschi.
Benché i diplomatici tedeschi, cioè tutta una serie
di ambasciatori di Germania in Turchia e una moltitudine di
consoli, non avessero mai smesso d'inondare il Ministero degli
Esteri e l'ufficio del Cancelliere di dettagli sullo sterminio in
corso, le autorità, compreso il Comando Supremo, avevano
dato l'ordine di distogliere completamente l'attenzione del
pubblico tedesco da quei documenti. Uno storico e missionario
protestante, il Dott. Johannes Lepsius, decise di opporsi a
questa decisione, raccogliendo segretamente delle informazioni
per avvertire l'opinione pubblica, nella speranza che
l'indignazione di quest'ultima avrebbe indotto il governo ad
intervenire e a fermare la carneficina. Molto probabilmente non
era la prima volta che Lepsius s'interessava alla storia dei
massacri perpetrati contro gli Armeni.
Già alla fine del XIX secolo, cioè dopo i massacri
perpetrati da Abdul Hamid II, egli aveva condotto un'indagine di
due mesi nei luoghi in cui erano state commesse la
atrocità e già in quella occasione aveva pubblicato
un libro nel 1897, a Berlino, dal titolo "Armenien und Europa".
Nel luglio del 1915 il Dott. Lepsius fa un altro viaggio in
Turchia, per raccogliere una quantità di documenti
impressionanti sul Genocidio degli Armeni, ma prima della sua
partenza dalla Germania, nell'atto di rilasciare il suo
passaporto, le autorità tedesche manifestarono il loro
disappunto. Arrivato a Istanbul Lepsius riuscì a
raccogliere segretamente delle prove a carico delle
autorità turche grazie alla collaborazione dell'ambasciata
degli Stati Uniti, del Patriarcato armeno, di alcuni missionari
tedeschi, svizzeri e americani e infine di qualche funzionario
turco. Durante un incontro di un'ora con il Ministro della Guerra
Enver Pascià, quest'ultimo disse con arroganza che si
assumeva la totale responsabilità di ciò che
capitava agli Armeni nelle province ottomane.
Con un coraggioso ed ammirevole atto, Lepsius preparò
allora un "Rapporto segreto" che fu pubblicato sotto forma di un
libro di più di trecento pagine, e che fu mandato
segretamente ai membri del Reichstag e a un certo numero di
Tedeschi (personalità pubbliche, autorità religiose
ecc...). Riviste specializzate in materia pubblicate, fino agli
anni 1935, forniscono la cifra di ventimila persone tra quelle
raggiunte da Lepsius attraverso il suo "Rapporto". L'invio del
libro ai deputati del parlamento fu intercettato dal Governo
Tedesco. Lepsius cosciente del possibile divieto aveva previsto
di distribuire molti esemplari al di fuori del "circuito"
istituzionale ma Ibrahim Hakki Pascià (l'ambasciatore di
Turchia a Berlino) protestò vigorosamente e invocò
gli interessi della "nostra causa comune" per il cui "trionfo"
bisognava distruggere quello strumento di propaganda "ignobile".
Qualche giorno dopo il Ministro degli Esteri Jagow informò
cortesemente l'ambasciatore che le copie in circolazione erano
state "confiscate". Inoltre, Lepsius fu sottoposto a molte
pressioni da tutte le parti, ma soprattutto dal Ministero degli
Esteri, affinché egli cessasse le sue attività e si
dimettesse dalle sue funzioni. A volte queste pressioni assunsero
la forma di tentativi d'intimidazione e di velate minacce. Con
poche eccezioni la storia e soprattutto il riconoscimento del
Primo Genocidio del XX secolo, ha purtroppo una tale triste sorte
sino ai nostri giorni.
Il genocidio degli Armeni viene universalmente commemorato nel
mese di aprile di ogni anno, prendendo come data precisa il
giorno 24, in quanto l'avvio del progetto predeterminato ebbe
inizio la notte del 24 aprile del 1915, nella città di
Costantinopoli attuale Istanbul, con il rastrellamento
sistematico e pre organizzato degli intellettuali armeni della
città, che rappresentavano l'intellighenzia della cultura
armena di quegli anni. La deportazione e il conseguente Genocidio
però coinvolse tutta la popolazione armena delle province
ottomane, in modo particolare quelle limitrofe all'Armenia
storica. Il Genocidio degli Armeni (che le autorità turche
incomprensibilmente tuttora chiamano presunto) si
consumerà in modo particolare in un sradicamento culturale
e diventerà una catastrofe (aghet, nella lingua armena) e
un crimine (yeghern) senza alcuna attenuante, segno premonitore
di altre catastrofi di uguali e maggiore consistenza, consumata
sempre nei confronti di altri popoli e minoranze. Il peso che la
storia non riesce a cancellare dalla mente e dalle coscienze di
tutti gli Armeni diasporani e della Patria, è il continuo
negare del responsabile, che addirittura è arrivato in
certi casi incredibili e rivoltanti a stravolgere la storia,
addebitando il proprio inesorabile conto di carnefice alle
proprie vittime.
La pratica rivoltante del negazionismo nella storia del Ventesimo
secolo è iniziato con il Genocidio degli Armeni. Il popolo
armeno, malgrado la profonda sofferenza patita negli ultimi
decenni, non ha mai rinunciato ai valori del proprio passato, in
modo particolare a quei valori calpestati per troppo tempo,
negati dai responsabili dei massacri, ma ignorati anche dai
freddi spettatori quali si sono finte troppe nazioni civili del
nostro tempo, con i loro governi. L'insistenza con cui il popolo
armeno, come del resto altri popoli con uguali tragiche
esperienze, ha vissuto questa fase di ricostruzione intima,
rischiava, a lungo andare, di consolidarsi in una cultura
vittimistica e di una psicologia conseguente. La lotta interiore
della nazione fu profonda. La realizzazione di questa lotta
interiore mise in primo piano la necessità di chiarezza da
parte di ogni singolo Armeno, anche quando ciò poteva
risultare amaro sia per ognuno che per la totalità della
nazione. L'ultimo quarto di secolo scorso è servito e, si
pensa, continua a servire agli Armeni a ripercorrere con
serenità i tratti costitutivi della propria
identità nazionale e le realtà che esprime una
nazione con più di quattro millenni di storia, il coraggio
che essa esprime di investigare la coscienza di questa
identità e del suo rapporto con la storia passata non meno
che con quella da costruire.
Perciò, analisi della tragedia come studio di una
terribile esperienza per una rinascita forte e utile
all'avvenire. Nel percorrere questo itinerario però, va
sempre parallelamente scrutato il comportamento del responsabile
e dei suoi silenziosi alleati, che come si è detto
poc'anzi si sono finti freddi spettatori. Controllare i
comportamenti, un obbiettivo ambizioso, certo, e tuttavia non
eludibile per chiunque ritenga doveroso operare per il
superamento delle violenze e oppressioni che segnano le relazioni
tra gli uomini. Queste tragiche violenze, che ormai viviamo in
diretta obbrobriosa, si alimentano anche con l'assuefazione, e
quindi con la progressiva rimozione dei traumi che essa
provocano. Una fatalistica accettazione della storia, tratto che
appariva prettamente orientale, ma che si è rivelato
purtroppo universale, un mansueto atteggiamento che se non
contrastato fa della storia "un compendio di immoralità di
fatto".
Il popolo armeno, assieme ad altri purtroppo sempre più
numerosi popoli, ha il diritto di chiedere a tutti gli uomini di
buona volontà di impegnare tutta la loro esistenza per far
si che la storia sia sempre meno un compendio di
immoralità di fatto e sempre di più il risultato
dell'azione cosciente ed intelligente degli uomini, nutrita dal
rispetto per l'altro e per la sua cultura. L'esistente per quanto
crudo e tragico sia, non può essere sempre accettato come
dato immodificabile. Ciò ha tentato di fare il
responsabile dei massacri e del Genocidio degli armeni, come pure
i suoi eredi continuano a tentare di fare fino ai nostri giorni.
Invece, al contrario, una accettazione e un riconoscimento
incondizionato nato spontaneamente dal proprio interno, non
imposto e non sindacato, nobiliterebbe la nazione turca e
potrebbe perfino onorare i suoi dirigenti attuali che tanto fanno
per potere entrare a far parte integrante della famiglia
europea.
Per lunghi secoli gli Armeni sono stati considerati un popolo
senza terra e di conseguenza, a maggior ragione, un popolo senza
Stato. I settanta anni del regime sovietico avevano
tranquillizzato molto il responsabile del Genocidio, il quale
è riuscito a svincolarsi sempre e dovunque da richieste di
verità, di risarcimenti e da altre forme di rivendicazioni
più che ovvie. E' stato molto probabilmente questa facile
impunità ad aizzare in modo incurante il vecchio
oppressore e altri nuovi oppressori, più volte nella
recente storia, contro altri popoli con identica ferocia e
barbarie. Troppe tragedie impunite hanno legato gli Armeni ai
Greci, ai Siriaci, ai ciprioti e per ultimo ai Curdi, davanti
alla sostanziale insensibilità dell'opinione governativa
di troppi Stati.
E' purtroppo un tragico indice di decadenza morale dei nostri
tempi il silenzio e la tolleranza dell'opinione pubblica generale
constatati in casi simili. Le proteste e l'indignazione dei
popoli aiutano solo a salvare la nobiltà d'intenti degli
individui ma non sottraggono la loro morale alle cocenti
responsabilità generali che sono politiche e nelle
democrazie occidentali sono da addebitare all'intera nazione.
Finché non ci sarà una condanna plateale del
crimine, il persecutore continuerà a percorrere
imperterrito la propria strada degli orrori. E' da pochi anni che
numerose istituzioni internazionali e singoli stati soprattutto
europei hanno riconosciuto il Genocidio del popolo Armeno. Oggi
una parte delle ceneri del Pastore Protestante Dott. Johannes
Lepsius, riposano in terra armena. Onorato e direi quasi venerato
dai figli e dai nipoti dei sopravvissuti al genocidio, nel Museo
dedicato alla Catastrofe su un muro dedicato ai testimoni sulla
collina di Dzidzernagapert di Erevan accanto alla fiamma perenne
del monumento al genocidio.
La Turchia moderna di oggi continua ancora a non riconoscere il
Genocidio del popolo Armeno.