Di Thomas Benedikter
Bolzano, 11.11.2005
INDICE
Gli ultimi sviluppi | Interessi
contrastanti | Quale soluzione? | Partizione dello Jammu e del Kashmir?
Nell'Asia meridionale piove sul bagnato. Sembra che le catastrofi naturali stessero a concentrarsi su quelle regioni già da tempo lacerate da conflitti etnici-politici sanguinosi, quali l'Aceh nell'Indonesia, il Nordest dello Sri Lanka ed ora il Kashmir. All'interno di questa regione il terremoto dell'8 ottobre scorso ha investito principalmente la parte occidentale, l'Azad Kashmir ("Kashmir libero"), regione penalizzata dalla divisione del Kashmir ed economicamente arretrata. Le vittime sono più di 70.000, i feriti più di 100.000 e due milioni di persone hanno perso la propria casa. Nella parte orientale dello Jammu e Kashmir, controllata dall'India e scenario del conflitto fra Kashmiri e lo stato indiano, circa 80.000 persone hanno perso la vita a causa della guerra e della guerriglia in corso dal 1990. Non solo per quest'ecatombe il problema Kashmir resta un argomento di grande importanza ed attualità. Nonostante una certa collaborazione umanitaria indo-pakistana ed un certo clima di disgelo politico, continua la violenza politica, come testimoniato dall'attentato del 29 ottobre a Nuova Delhi con 61 morti e 200 feriti. Mentre i mujahedin allargano il loro raggio di azione, la popolazione dello Jammu e del Kashmir sogna la pace e saluta l'apertura di altri passaggi nella Line of Control (LoC), la cortina di ferro che divide il paese dall'inizio del 1949. Le ricadute politiche di questi eventi storici si fanno aspettare, mentre il negoziato politico stenta ad avviarsi in una fase più concreta. Le aperture diplomatiche non possono celare che tutti i problemi sostanziali, appunto "il groviglio del Kashmir", restano irrisolti.
Il cessate il fuoco alla LoC, in vigore dal 26
novembre 2003, finora ha retto, preparando il terreno per il
vertice fra il presidente Musharraf e il primo ministro Vajpayee
del 4 gennaio 2004, seguito da altri incontri a livello
inferiore. Ma nelle elezioni del parlamento federale indiano del
maggio 2004 il partito nazionalista BJP di Vajpayee non è
riuscito a far tesoro di queste aperture verso il Pakistan e
sorprendentemente l'India ha cambiato guardia. Il nuovo governo,
sostenuto da una coalizione diretta dal Congress di Sonia Gandhi
e guidato da Manmohan Singh, ha proseguito il negoziato con il
governo pakistano e ha aperto un colloquio diretto con l'ala
moderata della Hurriyat Conference, la piattaforma delle forze
politiche kashmiri per l'autodeterminazione. Finora tenuti a
margine dei negoziati ufficiali, questo "fronte patriottico" teme
che la popolazione interessata nuovamente possa restare esclusa
dalle trattative sul futuro dello Jammu e del Kashmir. La
Hurriyat Conference sembra godere dell'appoggio della maggioranza
della popolazione della Vallata del Kashmir, tant'è vero
che il boicottaggio da esso propugnato delle elezioni per ogni
istituzione dello stato o della federazione è fortemente
seguito. Nelle elezioni del parlamento federale del maggio 2004
solo il 35% della popolazione dello stato federato J&K si
è recato alle urne, mentre nella Vallata del Kashmir ha
votato appena il 15%. Nessuna legittimazione quindi per Nuova
Delhi e la sua pretesa di sovranità sullo Jammu e sul
Kashmir. I mujahedin, infine, da 15 anni combattono con ogni tipo
di violenza lo svolgimento di elezioni stigmatizzando ogni
politico che si candida come traditore.
Nel giugno 2004 a Lahore si incontrano i nuovi
ministri degli esteri dei due stati rivali dichiarando che il
Kashmir non verrebbe più considerato la conditio sine qua
non per ogni progresso in altri campi dei rapporti
indo-pakistani. Si continua a sottolineare la necessità di
dialogo fra tutti i gruppi coinvolti, ci si accorda per alcune
misure umanitarie e si conviene di aprire tre passaggi fra il
Kashmir indiano e quello pakistano per ridurre l'impatto della
divisione della regione, ma non si tocca il problema di fondo: le
proposte più avanzate degli indiani non raggiungono
minimamente le rivendicazioni più modeste della parte
pakistana e kashmiri. Solo una formula che potesse far sentirsi
tutti vincitori, questo il tenore anche del vertice
indo-pakistano del 24 settembre 2004 a New York, sarebbe stabile
e durevole. Subito dopo Musharraf lancia la proposta di dividere
lo Jammu ed il Kashmir in sette regioni, tutte dotate da uno
statuto specifico di autonomia. Il Pakistan sarebbe d'accordo con
la completa demilitarizzazione dello stato o perfino con
l'istituzione di un mandato dell'ONU. Il presidente-generale del
Pakistan dimostra cosí la sua disponibilità di
abbandonare l'approccio tradizionale al problema del Kashmir
incardinato sulla riunione di tutte le parti dello Jammu e del
Kashmir storico e del diritto irrinunciabile
all'autodeterminazione dei Kashmiri attraverso un plebiscito a
due sole possibilità: annessione all'India o al
Pakistan.
Il 7 aprile 2005 un momento storico per lo Jammu ed il Kashmir:
dopo quasi 58 anni apre la frontiera fra i due Kashmir nei pressi
di Baramulla per far passare il primo autobus di linea diretto
fra le rispettive capitali, Srinagar e Muzaffarabad. Seguono
altri passaggi che collegano Jammu con Sialkot e la regione del
Poonch. Il 4 settembre 2005 a New York si incontrano il nuovo
primo ministro indiano M. Singh ed il presidente Musharraf per
riaffermare le loro intenzioni di continuare il negoziato
bilaterale. Altro storico evento a fine settembre 2005 a Nuova
Delhi: il governo indiano riceve in visita ufficiale la parte
moderata del fronte Hurriyat, capeggiato dal Mirwaiz Omar Farooq:
cordialità e prime promesse di altre misure di carattere
umanitario, ma non si accenna ad un pieno coinvolgimento delle
forze per l'autodeterminazione nel negoziato diretto fra i
governi. Come spesso, sembra che i governi abbiano bisogno di
anni per chiarire di cosa parlare e di come parlarne prima di
arrivare ad un negoziato sul cuore del problema. E non solo essi
ad avere posizioni ancora molto distanti.
Le parti in causa si riferiscono ancora allo
stato Jammu e Kashmir nella sua estensione storica prima della
partizione del 1947/48, ma è difficilissimo immaginarsi
ancora oggi un futuro politico comune delle singole
entità, comprese il Ladakh ed il Gilgit-Baltistan. Quelle
grandi regioni sono culturalmente diverse e geograficamente
distanti dalla Vallata del Kashmir e dallo Jammu, e sono diversi
anche i percorsi politici che da 58 anni le varie entità
hanno svolto e gli orientamenti politici che le sue popolazioni
seguono. Iniziamo con il Gilgit Baltistan, le cosidette "Aree del
Nord", occupate ed annesse al principato dello Jammu e Kashmir
verso la metà dell'800, regione interamente musulmana,
però sciita ed ismailita ed etnicamente non Kashmiri: oggi
è una regione priva di uno status politico chiaro ma
governata direttamente dal governo di Islamabad, con
libertà e diritti politici fortemente limitati.
Le principali forze politiche del Gilgit-Baltistan puntano su
un'effettiva autonomia, seppure all'interno del Pakistan, mentre
una riunificazione con il resto dell'ex-principato dello Jammu e
Kashmir indiano sembra né desiderato né
realizzabile. Il Ladakh (distretto di Leh), a maggioranza
buddhista e a sua volta conquistato dai maharaja dello Jammu e
Kashmir verso la metà dell'800, recentemente ha ottenuto
una certa autonomia amministrativa all'interno dello stato
federato J&K, ma la maggioranza buddhista aspira a
trasformarsi in un Union Territory all'interno dell'Unione
indiana, con esclusiva dipendenza dal governo centrale, staccato
dallo stato Jammu e Kashmir. Impensabile invece per i buddhisti
del Ladakh l'appartenenza ad un Kashmir indipendente, dominato da
musulmani. L'Azad Kashmir, stato formalmente "autonomo"
all'interno del Pakistan, ma strettamente controllato dal governo
di Islamabad, con popolazione interamente musulmana, le spinte
verso uno stato dello Jammu e Kashmir indipendente sono quasi
sparite e comunque non è tollerata nessuna opzione che
negasse l'appartenenza del Kashmir al Pakistan. Per contro, alle
forze politiche della popolazione indu dello Jammu - quasi
esclusivamente filiali dei partiti nazionali quali il Congress ed
il BJP, non interessa nessun progetto politico che ripristinasse
la vecchia autonomia. Anzi, si cerca di mantenere un legame
stretto con il governo centrale il cui ruolo viene anche inteso
come forza protettrice nei confronti della maggioranza musulmana
a livello dello stato, mentre si rivendica un ruolo a pari rango
dello Jammu con la Vallata del Kashmir. Il BJP in passato si
è anche pronunciato per la tripartizione, sempre
mantenendo le tre unità risultanti all'interno dell'Unione
indiana. La popolazione musulmana dello Jammu, a sua volta, non
desidera la tripartizione, ma una stretta unione con il Kashmir,
con cui condivide la religione, non invece lingue e tradizioni
culturali.
Infine, sono contrastanti anche gli interessi e gli orientamenti
all'interno della società musulmana della Vallata del
Kashmir: da una parte i mujahedin che da più di 15 anni
lottano per la "liberazione del Kashmir", intendendo quasi tutti
per "libertà" l'annessione del Kashmir al Pakistan. Questo
è anche l'obiettivo dell'ala dura della Hurriyat
Conference capeggiata da Syeed Ali Shah Geelani. I moderati
all'interno di questo fronte, che nel 2003 si è spaccato
in due, s'immagina uno Jammu e Kashmir indipendente, ma
preferibilmente entro i confini storici dell'ex principato, come
frutto di un referendum in tutte le regioni controllate da
entrambi gli stati. Le forze politiche presenti nel parlamento
dello stato come il PDP del primo ministro Mufti M. Sayeed e
l'opposizione della vecchia National Conference si pronunciano a
favore di un allargamento dell'autonomia dello Jammu e del
Kashmir. Quindi sono almeno una decina i progetti politici
diversi in sette regioni diverse contrastanti, una situazione non
affrontabile con un referendum generale, ma soltanto con un
dialogo fra le forze politiche e sociali a tutti i livelli
coinvolgendo la popolazione e tutte le forze in campo.
Quali sarebbero le sette regioni a cui allude
Muasharraf? Due di loro, il Gilgit-Baltistan e l'Azad Kashmir si
trovano ad ovest della LoC, altre tre unità si trovano
sotto controllo indiano, in pratica la Vallata del Kashmir, lo
Jammu ed il Ladakh. Cinque ne sarebbero dividendo lo Jammu ed il
Ladakh secondo linee religiose. Non è un'idea nata solo
nel gruppo dirigente di Islamabad, ma anche in linea con le
proposte dei più influenti think tanks americani che
continuano a suggerire una divisione dello Jammu e del Kashmir
ín base alla religione della popolazione di maggioranza
ritenendo questo il momento essenziale dell'identità. La
formula magica sarebbe l'individuazione di regioni a chiara
maggioranza musulmana, indu e buddhista. La formazione
dell'identità dello Jammu e del Kashmir invece oltrepassa
la sola religione, abbracciando anche la cultura, la lingua, la
storia, usi e costumi, l'identità nazionale.
L'identità specifica del Kashmir è sopravvissuta
nonostante l'occupazione indiana e la propaganda pakistana che
vede il Kashmir come "cordone ombelicale" del Pakistan. Quindi la
nuova proposta non è sortito grande entusiasmo nella
Vallata del Kashmir. Almeno implicitamente Musharraf ha
riconosciuto il carattere specifico di questa parte del Kashmir,
il vero cuore del problema. Nemmeno l'India ha finora accolto la
proposta come base per una riforma dell'assetto autonomistico del
territorio. Il suo interesse principale, vale a dire mantenere lo
status quo e trasformare la LoC in frontiera internazionale a
tutti gli effetti, non sembra più sostenibile. Un qualche
prezzo per un'eventuale intesa e più stabilità e
sicurezza pure l'India non potrà evitare di pagare.
Ci sono due aspetti cruciali per far riuscire i negoziati appena
iniziati. Il primo è questo: ai negoziati dovranno
partecipare tutte le forze politiche in campo che possano provare
una certa legittimità. Sono in primo luogo i partiti ed i
movimenti politici, ma anche le organizzazioni della
società civile e i gruppi di lotta armata. In attesa di
elezioni veramente democratiche e regolari, svolte sulla base di
un nuovo assetto politico libero ed autonomo, nei negoziati
andrebbero coinvolte tutte le forze sinceramente intenzionate a
raggiungere una soluzione. Da una parte i partiti presenti nel
parlamento che vorrebbero un dialogo fra tutti, non invece un
cambio radicale dell'assetto istituzionale. Per contro, la
Hurriyat Conference continua a riscontrare grandi consensi quando
insiste nella necessità di una consultazione popolare che
dovrebbe aprire la strada all'indipendenza. La Hurriyat non
è compromessa da mezzo secolo di ambiguità, di
intrighi e di strumentalizzazioni a favore del governo centrale,
però è divisa al suo interno. Sarà il grande
movimento pro-azadi mai disposto ad accontentarsi di
un'autonomia? Per ognuno che ha sofferto o la cui famiglia ha
subito la perdita di un giovane per l'azadi è difficile
accontentarsi di una soluzione che darebbe solo un'autonomia,
forse neanche garantita a livello internazionale. Ma d'altra
parte anche la totale chiusura su quest' argomento sembra
chiudere tutto il processo politico in un eterno vicolo cieco
senza uscita. Ogni nuovo assetto politico, risultato di negoziati
fra India, Pakistan e rappresentanti dello Jammu e Kashmir, non
confermato da un referendum popolare rischia comunque di dare
nuova munizione al movimento armato delle varie formazioni di
mujahedin. Il secondo è un approccio differenziato alle
diverse realtà regionali cge compongono lo Jammu e
Kashmir.
Il ripristino di un'autonomia speciale come quella in vigore
fino al 1953 sembra essere l'unica forma di organizzazione del
rapporto del Kashmir con l'India che per il futuro prossimo
potrà fare da surrogato alla separazione. Ma
quest'autonomia potrebbe funzionare soltanto a due condizioni
fondamentali: da una parte con garanzie internazionali ed un
quadro generale di normalizzazione del rapporto fra l'India ed il
Pakistan, che desse luogo a nuove forme di cooperazione a tutti
livelli, se non addirittura ad un condominio sulle parti centrali
del Kashmir, cioè la Vallata e l'Azad Kashmir. Dall'altra
parte un assetto autonomista differenziato nella parte indiana,
che possa soddisfare le esigenze diverse delle popolazioni di
ogni rispettiva regione costituente dello stato dello Jammu e del
Kashmir, cioè lo Jammu, la Vallata del Kashmir ed il
Ladakh. Buona parte della popolazione dello Jammu e del Ladakh ha
una forte paura del predominio del Kashmir musulmano. Il
movimento pro-azadi ha riscontrato poca risonanza fuori della
Vallata e dei distretti di Doda, Rajouri e Poonch e non gode di
quasi nessun appoggio nel Ladakh. I buddisti e gli indú
semplicemente non desiderano vivere in uno stato dominato da
musulmani. Già oggi queste due regioni si sentono spesso
discriminate dai governi di maggioranza musulmana di diversa
estrazione partitica. Affinchè vi sia vera autonomia le
differenze strutturali e le differenti aspirazioni di queste
regioni dovrebbero essere affrontate con strumenti
differenziati.
Spaccare lo Jammu ed il Kashmir secondo gruppi etnici, religiosi
e linguistici a molti osservatori sembra essere troppo rischioso,
perchè gli stessi confini dei distretti non collimano con
gli insediamenti dei vari gruppi. Ci sono numerose fratture e
divisioni trasversali, basate sulla lingua, la casta, la
religione e la storia che fanno specialmente dello Jammu un
mosaico difficilmente da dividere. In questa situazione è
essenziale un assetto istituzionale più decentralizzato
possibile. Nel futuro Jammu e Kashmir ad ogni regione ed ad ogni
distretto andrebbe attribuita un'autonomia interna specifica e la
possibilità di controllare le proprie risorse naturali e
finanziarie. Per evitare ogni discriminazione delle minoranze
interne tutto il sistema andrebbe coordinato democraticamente a
livello di stato federato dello J&K. Ma il solo rafforzamento
dell'autonomia dello Jammu e del Kashmir indiano all'interno
dell'India non risolverebbe ancora il problema della divisione
dello stato. Più autonomia quindi e più democrazia
sarebbero da coniugare con misure per ridurre l'impatto della
frontiera e per ricollegare ed integrare l'Est e l'Ovest di una
regione da troppo tempo totalmente divisa.
Thomas Benedikter, è ricercatore presso l'Accademia Europea di Bolzano e autore della prima monografia sulla problematica politica dello Jammu e del Kashmir in lingua italiana, "Il groviglio del Kashmir", Editori Fratelli Frilli, Genova, uscito nell'ottobre 2005.
Autore: Thomas Benedikter
Titolo: Il groviglio del Kashmir
Collana: Controcorrente
Il libro
È il 26 ottobre 1947: Hari Singh,
maharaja del principato dello Jammu e del Kashmir, è
appena sfuggito agli attacchi di guerriglieri pakistani nella
capitale Srinagar. A Jammu, regione gemella del Kashmir, incontra
i rappresentanti del governo indiano ed il governatore britannico
Lord Mountbatten. Il Kashmir sta per cadere in mano agli
invasori, che pretendono che il principato venga annesso al
Pakistan islamico. Infatti, tre quarti della popolazione del
principato sono musulmani ed il Kashmir è una regione
contigua al Pakistan. Il maharaja indú esita, ma poi firma
la dichiarazione formale di adesione all'India e lo stesso giorno
gli aerei indiani atterrano a Srinagar. Hari Singh e Jawaharlal
Nehru danno la parola a Lord Mountbatten di far decidere la
popolazione kashmiri del proprio futuro: una promessa che
sarà mai rispettata.
La valle del Kashmir nei miti e nei canti è stata
considerata una specie di paradiso terrestre: una fertile
vallata, un clima mite, laghi e fiumi circondati da imponenti
montagne, l'esotica capitale Srinagar alle rive del lago Dal, gli
hotel galleggianti meta di molti europei che battevano le piste
per l'oriente, una convivenza pacifica di varie etnie e culture
di antica radice, l'intreccio tra le grandi religioni del
subcontinente indiano.
Oggi invece il Kashmir è una regione di terrore quotidiano
e di convivenza civile distrutta; lo stato è diviso in
varie entità e la Vallata del Kashmir e buona parte dello
Jammu assomigliano a territori occupati; la popolazione civile
è stremata dalle operazioni militari e dalla crisi
economica, i diritti umani sono disprezzati dalle forze di
sicurezza e dai mujahedin che si battono per "liberare" il
Kashmir. Il Pakistan e l'India dal 1947 si contendono questa
grande regione, per il cui controllo hanno combattuto tre guerre.
Ma né Islamabad né Nuova Delhi, dalla partizione
del subcontinente indiano e del principato dello Jammu e del
Kashmir, hanno mai dato alle popolazioni di questo grande paese
la possibilità di decidere liberamente del proprio destino
politico. E sono i kashmiri che, in fin dei conti, hanno pagato
il prezzo della rivalità fra i due stati che ora sono
diventati anche ufficialmente potenze nucleari, un fattore che
rende ancora più pericoloso "l'eterno" conflitto
territoriale sullo Jammu e sul Kashmir.
Questo testo spiega le origini e le dinamiche del conflitto nello
Jammu e nel Kashmir fino agli ultimi sviluppi nell'inverno del
2004/05. L'analisi è frutto di una lunga ricerca sul
campo, in tutte le cinque regioni dello Jammu e del Kashmir, sia
in Pakistan che in India. L'autore ha incontrato esperti,
giornalisti, politici, ex-guerriglieri, ma anche raccolto le voci
della "gente normale". Il testo inquadra il conflitto dello Jammu
e del Kashmir nel contesto politico in India ed in Pakistan e
considera varie opzioni di soluzione. Una soluzione semplice per
un conflitto cosí poco semplice non esiste. Il conflitto
del Kashmir è un tragico lascito del colonialismo
britannico, della partizione del subcontinente e del nazionalismo
dei suoi eredi, un groviglio non destinato a sparire
presto.
L'autore
Thomas Benedikter, economista e ricercatore sociale (Bolzano,
1957), lavora dal 1983 in organizzazioni di cooperazione
internazionale e per i diritti umani. Ha svolto missioni in
America Latina, nei Balcani, nel Medio Oriente ed in Sud-Asia
nell'ambito di progetti di cooperazione e di osservazione dei
diritti umani. Per anni direttore dell'Associazione per i popoli
minacciati a Bolzano, ha curato varie pubblicazioni su conflitti
nazionali, popoli indigeni e minoranze etniche. Oggi lavora con
l’Accademia Europea di Bolzano (Dip. Minoranze ed
autonomie), collabora con varie riviste specializzate ed ha
pubblicato monografie sulle guerre in Kosovo (1998) ed in Nepal
(2003).