In: Home > DOSSIER > Paesi Baschi. Intervista a Iñaki Soto, direttore del quotidiano basco GARA
Lingua: ITA
Giovanni Giacopuzzi
Bolzano, 17 maggio 2021
Gara, edizione del 26 aprile 2021.
Ogni paese, nazione o stato ha le sue virtù e i suoi difetti. I poteri spagnoli sono perseveranti nella vendetta e anche imbroglioni. Se non possono arrivarci per una strada, ne proveranno un'altra. Così hanno adottato un sotterfugio legale per chiudere un quotidiano, dopo aver chiuso EGIN in modo illegale - così ha sentenziato il Tribunal Supremo. Non lo hanno ottenuto ma ci hanno danneggiati, perché la punizione di tre milioni di euro è grande, ancor più in una situazione di crisi. Qui, nel Paese basco la solidarietà testarda appare sempre. Dopo 15 anni in una situazione di eccezionalità, quando arriva la sentenza e il saccheggio, arrivano 10 mila nuovi abbonamenti al quotidiano, i migliori artisti del paese donano loro opere, la gente acquista il quotidiano più caro del mondo e si porta a casa una di queste lamine con la prima pagina del quotidiano, 30 gruppi musicali organizzano un festival … e con questo fa sì che non venga chiuso un mezzo d'informazione. E' un esercizio di resistenza, inventiva e impegno collettivo molto importante. Nessuno avrebbe pensato che le cose sarebbero andate così. E' uno scenario costruito a forza di immaginazione e solidarietà.
L'appoggio è stato soprattutto comunitario, radicato in Euskal Herria, o con una conoscenza e legami molto forti con il paese. Però dobbiamo ringraziare in modo particolare questa gente che, senza ricevere in cambio un servizio diretto, pur non essendo cittadina basca, ha appoggiato la sopravvivenza e lo sviluppo di GARA. Persone della Catalunya, Galizia e del resto dello Stato spagnolo e francese, di Italia, Germania, Irlanda … tutti hanno apportato qualche tipo di aiuto, dall'economico, all'informazione sull'ingiustizia che si stava commettendo contro un mezzo d'informazione, nel cuore del Europa, nel 2020. Per l'equipe che fa il giornale questo appoggio internazionale è stato molto importante e di questo siamo molto grati. Quando demmo la notizia del saccheggio, dicemmo anche che l'idea era mantenere gli investimenti. Già avevamo digitalizzato e sviluppato il modello delle sottoscrizioni, però in seguito è arrivata una nuova radio in euskara, un nuovo disegno per il portale, un cambio radicale nell'organizzazione e produzione, la scommessa per l'audiovisivo e il trans media …. L'idea non era solo pagare, bensì poter svilupparci per continuare nel nostro lavoro, per cambiare in meglio il paese e contribuire a migliorare il mondo.
In un paese come il nostro, castigato da una dittatura durata
40 anni e una Transizione che non ruppe con i poteri di quella
dittatura - per esempio con la monarchia - dove la destra ha un
grande potere economico e politico, non solo è importante
ciò che diciamo, ma obblighiamo il resto dei giornali a
dire o a non dire. Media come il nostro sono un antidoto contro
le menzogne, le fake-news e le campagne di relazioni pubbliche
mascherate da giornalismo.
Se nelle edicole e in internet c'è un mezzo d'informazione
che in modo esplicito difende il femminismo, i diritti dei
lavoratori, lo sviluppo della cultura e della lingua basca, le
politiche pubbliche, la lotta contro l'emergenza climatica o un
altro tipo di gestione della pandemia, il resto dei mass media
deve modulare il suo discorso contro sindacati, contro le
femministe, in difesa delle grandi corporazioni e le banche, o
contrario alle evidenze scientifiche in materia di ecologia o
epidemiologia.
Gara, edizione del 28 gennaio 2015.
Le persone che adesso hanno 18 anni ne avevano 8 quando ETA
decise di abbandonare la lotta armata. Non hanno conosciuto,
attentati, però nemmeno hanno troppa coscienza di cosa ha
significato la tortura, o il fatto che in questo paese sono state
arrestate 40 mila persone attraverso la legge antiterrorista,
delle quali 10 mila sono state in carcere. Sono numeri bestiali
in un paese piccolo come il nostro. A volte, dal lato unionista,
si dice che dei prigionieri politici - ancora ce ne sono 211 in
prigione - non importa a nessuno se non alla sinistra
indipendentista. La mia risposta è che anche delle vittime
di ETA non importa a nessuno se non ai loro famigliari, il che
non rende in alcun modo migliore la società. Dovremmo
essere capaci di guardare il passato e di riflettere su cosa
abbiamo fatto ognuno di noi, che responsabilità abbiamo
nel conflitto, il danno subito dalle altre persone, sulle
differenti violazioni dei diritti umani che sono avvenute da
ambedue le parti.
Però c'è una parte dei dirigenti spagnoli e della
loro stampa che è negazionista, che nega l'esistenza di un
conflitto politico e, di conseguenza, dell'esistenza di vittime
dall'altra parte. Questo li porta a scivolare verso una
crudeltà infame. Nel caso del giornalismo, per esempio,
è chiaro il caso della tortura. GARA e prima "Egin", hanno
sempre dato notizia di ognuno degli attentati di ETA. Eppure, i
mezzi affini al governo basco e spagnolo avevano negato
l'esistenza di un sistema di torture contro i detenuti baschi.
Hanno riprodotto la versione della polizia, anche quando ci sono
stati morti in commissariato. Adesso, quando dossier ufficiali
riportano circa 5000 casi di tortura certificati, questa
emeroteca è un tremendo dito accusatorio. Dovrebbero avere
l'onestà di ammettere l'errore e non fare
dell'opportunismo che non contribuisce assolutamente alla
convivenza e allo sviluppo del paese e alle nuove generazioni di
basche e baschi.
Abbiamo cercato di dare informazione veritiera, che se
è cosa non facile per la comunità scientifica,
immaginiamoci per le giornaliste e i giornalisti. Abbiamo cercato
di dare una visione critica della politiche pubbliche,
però essendo coscienti che la situazione è
totalmente eccezionale. E abbiamo sperimentato come fornire un
servizio pubblico e facilitare la vita della gente, che si era
trovata sconcertata, offrendo dai corsi di zumba fino ad un
consultorio quotidiano con uno psicologo.
Credo che nel parlare di mezzi d'informazione e pandemia dobbiamo
separare mezzi e canali. Credo che in generale, la stampa e la
radio abbiano fatto un gran lavoro. Ognuno secondo la propria
linea editoriale, in generale, credo ci sia stato rigore
informativo e informazione veritiera. Ho molti dubbi con le
televisioni. Hanno molta influenza nei settori più colpiti
dal virus, specialmente la gente anziana, e in molti casi hanno
generato un clima di paura terribile. Le grandi piattaforme di
internet hanno accresciuto il loro potere, fenomeno in atto da
tempo ed è una tendenza molto pericolosa, a mio modo di
vedere.
In generale, credo che nel dibattito pubblico ci siano state
diverse fasi. Le grandi lotte storiche tra valori antagonisti si
sono riprodotte, con risvolti diversi in momenti diversi.
Individualismo e comunitarismo, paura e serenità,
assistenza, cura e egoismo. La situazione è estrema e
questi valori si sono espressi in termini estremi. I mezzi
d'informazione hanno riflesso questa situazione, a volte per
raccontarla altre per promuoverla. Spesso si sono focalizzate
responsabilità individuali per evitare di valutare
responsabilità politiche di chi ha preso decisioni
erronee, in particolare a partire dalla seconda ondata,
perché nella prima fase tutti ci rendiamo conto che non
era facile.
Tutto il mondo preferisce essere sovrano, autonomo e
indipendente all'essere subordinato e dipendente. Da Cuba fino
alla Norvegia questo è così e non solo per gli
stati ma anche per ogni tipo di entità, siano esse imprese
che club sportivi. Lo stesso si può dire per le famiglie o
le persone.
Nel caso di un paese piccolo, diviso e castigato come il nostro,
questa volontà di essere liberi e indipendenti ha molto a
che vedere con la storia di negazione da parte degli stati
spagnolo e francese come con le ambizioni che ha di sé la
nostra società. Cioè, la questione può
essere definita come una risposta a come ci trattano le
autorità spagnole; come cittadini di seconda classe,
membri di una cultura "minore", come gente incapace di
governarsi. E' logico che noi non ci vediamo così, ci
vediamo come uguali e vogliamo un trattamento uguale. Votiamo, e
che esca ciò che deve uscire, che decida la gente. Prima
dicevano che il problema era la violenza, però adesso non
c'è violenza da parte nostra e, in Catalunya si è
visto chiaramente, Madrid non è disposta a lasciare votare
la gente su questo tema.
Un altro aspetto della questione si riferisce alle nostre lotte
collettive, la nostra cultura democratica, i nostri modelli di
relazione sociale, che ci hanno portati ad avere una visione e
progetti che sono divergenti da quelli delle forze maggioritarie
di questi grandi stati. Crediamo che si possano fare le cose in
altro modo, sulla base di altri principi, valori e dibattiti. In
un'altra dimensione. Crediamo, per esempio, nella libertà
di stampa e nella pluralità e crediamo in questi valori in
modo militante, come società. Per questo, per esempio, lo
Stato spagnolo ha cercato di chiudere un mezzo d'informazione e
la società basca lo ha salvato. Non crediamo nella
monarchia e vogliamo poter decidere su di essa. Crediamo in altre
forme di relazioni lavorative come il cooperativismo o altri
modelli d'impresa. Pensiamo che le lingue siano un tesoro e che
il nostro popolo ha l'immensa responsabilità di curare e
sviluppare l'euskara e la cultura basca.
Credo che, nel caso basco, ciò che definisce la differenza
nella lotta collettiva per l'autodeterminazione e l'indipendenza
è uno spirito emancipatore che lega questa lotta con altre
lotte per la liberazione, dalla liberazione sessuale fino
all'internazionalismo. Questo obbliga a un dibattito costante e
per questo credo che è così importante la stampa in
questo paese.
Vedi anche in gfbv.it:
www.gfbv.it/3dossier/eu-min/gara.html |
www.gfbv.it/3dossier/eu-min/egunk-it.html |
www.gfbv.it/3dossier/eu-min/eta-it.html
* www: www.naiz.eus/hemeroteca/gara
| www.minority-safepack.eu