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Russia / Siberia

I piccoli popoli del nord e dell'estremo oriente russo

A cura dell'Associazione per i popoli minacciati - Sudtirolo, Bolzano 1999

INDICE

Thomas Benedikter: I piccoli popoli del nord e dell'estremo oriente russo

Wolfgang Strobl: Breve storia della colonizzazione

Winfried Dallmann: I popoli indigeni del Nord della Russia. Un panorama geografico ed etnografico

Jeremej D. Ajpin / Valerji B. Shustov: La situazione dei piccoli popoli del Nord della Federazione Russa
| Cap 1. | Cap. 2. | Cap. 3. | Cap. 4. | Cap. 5. | Cap. 6. | Cap. 7. | Cap. 8. | Cap. 9. |

Florian Stammler: Da dove viene il nostro gas: Hanti e Nenci - Siberia Occidentale

Larissa Vyntyna: I Ciukci
| Cap 1. | Cap. 2. | Cap. 3. | Cap. 4. | Cap. 5. | Cap. 6. | Cap. 7. | Cap. 8. | Cap. 9. | Cap. 10. | Cap. 11. |

Quadro dei piccoli popoli del Nord e dell'Est della Russia

Bibliografia


Thomas Benedikter - I piccoli popoli del nord e dell'estremo oriente russo [ top ]

Il termine Siberia fa subito pensare a un immenso paesaggio di foreste ghiacciate, ad una regione fra le meno ospitali del mondo. Ma spesso si dimentica che il calore dei nostri bruciatori proviene in buona parte proprio da quelle terre. Nel 1600 le ricchezze naturali della Siberia stimolavano già l'avidità degli Zar. Dopo tre secoli di conquista violenta o di sottomissione "pacifica" delle popolazioni indigene gli eserciti russi raggiunsero il Pacifico. E` una storia quasi sconosciuta in Europa, ma molto simile a quella della colonizzazione del Nordamerica da parte degli Europei occidentali. Solo poco più di un milione di questi "indiani della Siberia" sono sopravvissuti alla conquista zarista e alla successiva russificazione. L'industrializzazione dei primi decenni dell'Unione Sovietica ha avuto un impatto devastante anche in Siberia.

Oggi è in atto una nuova conquista della Siberia, stavolta in chiave capitalistica, e le risorse della taiga e della tundra attirano le multinazionali di tutto il mondo: le foreste boreali interessano alle compagnie di legname giapponesi, il petrolio si trova nel mirino di compagnie statunitensi e canadesi, il gas rimane in buona parte monopolio delle ditte statali che lo esportano nell'Europa occidentale. L'economia russa è malata e ha urgentemente bisogno dell'ossigeno di valute forti; perciò forza l'estrazione di ogni risorsa che può essere venduta sul mercato mondiale. Le vittime di tutto questo sono l'ambiente e con esso gli abitanti della Siberia, primi fra tutti i popoli indigeni.

Come gli Indiani del Nordamerica anche i "piccoli popoli dell'estremo Nord ed Est della Federazione russa" - è questo il termine ufficiale con cui vengono definiti - stanno cercando di opporsi a questi mutamenti nefasti. Ma è solo dopo lo scioglimento dell'URSS che la loro voce è riuscita a penetrare anche all'esterno. Lo stesso governo russo ha approvato una serie di misure di protezione, quasi tutte rimaste sulla carta. Siccome la trasformazione dell'economia russa in un'economia di mercato rafforza l'ingerenza straniera nella gestione delle risorse di questi territori, i piccoli popoli di queste terre, analogamente ai loro parenti americani, sono esposti ad una doppia minaccia: le loro tradizioni di economia sostenibile vengono spazzate via dall'invasione dell'industria pesante e dall'inquinamento a tutto campo, la loro cultura dall'assimilazione nella cultura nazionale russa.

Come stanno oggi gli indigeni della Siberia? Un anno fa due dei massimi dirigenti dell'organismo parlamentare che li rappresenta, Valeri Shustov e lo scrittore Jeremej Ajpin (già presidente dell'Assemblea dei piccoli popoli del Nord), hanno scritto un rapporto sulla situazione attuale dei popoli indigeni. Il rapporto, che è stato approvato dall'Assemblea parlamentare dei popoli indigeni, fornisce un quadro sintetico ma approfondito della situazione odierna. A questo testo abbiamo aggiunto una breve storia che copre il periodo dalla colonizzazione zarista fino a Stalin e un panorama geografico-culturale di questi popoli.

Il nostro fascicolo si conclude con la presentazione di un progetto di cooperazione proposto dalla stessa Assemblea dei piccoli popoli, che in questo modo cerca di mobilitare la solidarietà internazionale. Ringraziamo in modo particolare gli autori dei testi, il traduttore Alfons Benedikter, già consigliere regionale del Trentino-Sudtirolo, e la redattrice Veronika Daprà, esperta di cultura russa. Speriamo che questo fascicolo possa stimolare la curiosità e l'attenzione per i piccoli popoli della Siberia, che oggi si trovano sull'orlo dell'estinzione.

Wolfgang Strobl - Breve storia della colonizzazione [ top ]

L'impero plurinazionale russo si è formato attraverso un'espansione che è durata molti secoli. Si caratterizza per una grande varietà etnica, confessionale, sociale e culturale. I diritti delle minoranze sono sempre stati rispettati in modo diseguale. All'interno del grande impero russo, comunque, molte di queste culture non sono riuscite a sopravvivere fino ad oggi. La lealtà zarista era la condizione principale per un rapporto non conflittuale con Mosca. In seguito al continuo processo di espansione e riordinamento territoriale della Russia la percentuale dei russi sul totale della popolazione continuava a calare. Mentre alla fine del 1500 le etnie non russe toccavano appena il 19%, all'inizio del 1700 superavano già il 30% e alla fine del '700 arrivavano al 47% della popolazione totale. Altre conquiste fecero si che nel 1834 i russi arrivassero a meno della metà della popolazione, mentre Tartari, Bielorussi, Ucraini, Polacchi, Ebrei e altre 200 etnie componevano la maggioranza della popolazione.

Il Nord della Russia e della Siberia è tradizionalmente abitato da popoli indigeni che erano stati padroni di queste terre fino all'arrivo dei conquistatori russi. I russi definiscono queste etnie, che spesso contano meno di 2.000 persone, popoli del Nord. Secondo i testi di storia i russi, nella loro espansione verso est e verso nord, trovarono un paese quasi deserto. L'avanzata della Russia verso il "Far East", il selvaggio Est, ricorda l'espansione prima europea e poi statunitense nel "Far West" nordamericano. In entrambi i casi i colonizzatori venivano a sovvertire profondamente l'ordine sociale e politico dei popoli indigeni. A seconda delle condizioni climatiche, la pesca lacustre e marina, la caccia, l'allevamento di renne e l'agricoltura a sud della frontiera del "permafrost" erano la principale base di sussistenza dei popoli indigeni. Prima della colonizzazione russa gli indigeni professavano in maggior parte un animismo sciamanico. Lo sciamanesimo è un elemento culturale e religioso comune a tutti i popoli indigeni.

Dal 1000 al 1300 nella parte nordoccidentale del terittorio slavo, attorno alla città di Novgorod, si formò un'area abitata da ceppi finnici. Fra queste etnie si contavano i Kareli, i Voti, gli Isciori e i Vepsi nel Nordovest, i Sami (Lapponi) di lingua finna nell'estremo Nord, i Sirjeni (oggi Komi), Permjaki, Ostjaki, Voguli (oggi Mansi) e Samojedi nel Nordest. Tutti questi popoli soggiacevano all'amministrazione della repubblica cittadina di Novgorod. I russi, in un primo momento, portarono avanti una politica di acculturazione pacifica cercando di integrare queste etnie nel cristianesimo ortodosso. Nel caso del popolo sirjeno, per esempio, la cristianizzazione andò di pari passo con l'integrazione nell'impero russo. Ma non sempre si evitò il ricorso alla violenza. Nonostante l'energica politica di acculturazione parte di questi popoli (per es. i Kareli, i Komi) hanno potuto conservare la propria identità etnoculturale fino ai nostri giorni. L'annessione della repubblica, compiuta dallo Zar Ivan III nel 1478, conferì definitivamente al Granducato di Mosca il carattere di una nazione multietnica.

Dopo la conquista militare dei khanati di Kasan e Astrachan (1556), l'espansionismo russo verso l'Ovest fu frenato alla fine del secolo dalla guerra di Livonia. Ma restava aperto l'Oriente transuraliano, dove regnava il Khan di Sibir nella regione dell'alto Ob. Nel '500 e nel '600 la Siberia era popolata da molte piccole etnie, organizzate prevalentemente in forma di tribù. Nella taiga più a nord, invece, abitavano i Tungusi manciuri e gli Jukaghiri che vivevano di caccia e pesca. I Samojedi, i Ciukci, i Kamciadali/Korjaki erano invece nomadi allevatori di renne che vivevano nella tundra. Nel sud attorno al lago Bajkal si erano insediati i Burjati, di lingua mongola, i Teleuti e gli Jakuti di ceppo turcomanno, e infine gli Sciori, pure essi pastori nomadi e allevatori di bestiame. Gli unici agricoltori in questa vastissima area erano i Tartari, concentrati nelle zone a margine della steppa e gli Ostjaki (Voguli) di lingua ugra. Sotto il profilo politico tutte queste etnie erano poco organizzate. Il khanato della Siberia occidentale era l'unico impero di una certa importanza.

Per decenni la maggior parte di queste etnie si oppose piuttosto tenacemente all'avanzata russa. Già all'inizio del '700 si registravano grandi ribellioni. I popoli si organizzavano in unità piuttosto piccole ed ovviamente erano molto più deboli in termini militari. La resistenza dei popoli siberiani, confrontata a quella dei popoli non russi dell'Occidente, fu decisamente più forte, dato che la stessa organizzazione sociale diversa (società nomade tribale di fede musulmana rispetto i contadini stanziali di fede cristiana dell'Occidente) alimentava la resistenza. Le fonti storiche di questo periodo sono scarse ed impediscono un'esatta ricostruzione delle vicende. Le continue ribellioni del '700 costrinsero Mosca ad una durissima repressione per poter mantenere il proprio potere. Si applicarono misure draconiane che arrivarono a vere campagne di sterminio, come nel caso dei Ciukci.

L'opposizione sempre più compatta delle etnie non russe costrinse Mosca a modificare la sua politica di integrazione, rendendola più pragmatica, cauta e tollerante. Mosca incentivò la formazione di èlite locali confermando i privilegi dei capitribù e delegando ad essi compiti amministrativi minori e la riscossione dello "jasak", i tributi che venivano pagati sotto forma di pellicce. Per il resto la Russia optò per la non ingerenza negli affari interni delle singole etnie. Ai popoli venne concessa anche un'ampia libertà religiosa. A popoli quali i Samojedi, i Ciukci, i Ciuvasci e i Ceremissi fu permesso di continuare a praticare lo sciamanesimo.

I voivoda siberiani, governatori locali nominati da Mosca, spesso venivano esortati dal governo zarista ad essere tolleranti con le tribù ed evitare di riscuotere lo "Jasak" con la forza. Ma le autorità locali, i commercianti e i coloni non ascoltavano queste esortazioni: in molte aree regnavano la corruzione, il ricatto, lo schiavismo e la violenza. Nel 1600, per garantire l'approvvigionamento delle truppe di occupazione, la Russia aveva insediato numerosi contadini-coloni nella Siberia. Nonostante questa politica di insediamento nei territori più isolati della tundra e della taiga, i popoli indigeni riuscirono a conservare le loro strutture tribali.

Nel 1719 i popoli del Nord contavano solo 50.000 persone, ma in Siberia i russi erano già in minoranza. I contadini russi erano concentrati nella fascia di terre fertili della Siberia sudoccidentale. La caccia, l'allevamento di renne e la pesca erano le attività principali dei popoli indigeni. Nel '700 si registrò un rinnovato tentativo di integrazione dei popoli non russi nella società russa. Il modello di Novgorod, che consisteva in un controllo indiretto, fece spazio ad una stretta dipendenza amministrativa, economica e militare da Mosca.

Per lungo tempo la Russia trattò i nomadi come cittadini di serie B. Nel 1767 essi non potevano ancora partecipare alle assemblee della Commissione legislativa. All'inizio dell'800 alcuni riformatori, fra i quali il governatore generale della Siberia M.M. Speranskij (1772-1833), tentarono di "portare le etnie arretrate ad un livello di civiltà superiore". I cosiddetti inorodcy (stranieri) ottennero finalmente uno status giuridico proprio. Lo statuto del 1822 conferì loro ampie competenze amministrative. Attraverso la "legge per l'amministrazione della popolazione indigena" lo stato tentò di proteggerli dalla prepotenza dei coloni russi e dallo sfruttamento. Ma questo programma di riforme, ispirato dall'approccio illuminista e nel solco della tradizione pragmatica della politica russa per le minoranze, potè essere realizzato solo in parte. Impiegati corrotti, che riuscirono a sottrarsi ai controlli, impedirono l'affermarsi dello stato di inorodocy. Gli indigeni rimasero cittadini di seconda classe, a dispetto di privilegi e provvedimenti.

La debolezza della Cina a metà del XIX secolo favorì la conquista russa dei territori a nord e sud del fiume Amur. Le tribù indigene di stirpe manduro-tungusa - i Goldi, gli Oroci, gli Oroki, gli Ulceni, i Neghidalzi, gli Udeghi i Giljaki - subirono la stessa sorte dei popoli siberiani. Benché i Russi riuscissero a convertire questi popoli al cristianesimo ortodosso, questi rimanevano attaccati alle loro religioni animiste. L'alcoolismo, le malattie portate dai conquistatori e lo sfruttamento delle risorse naturali ridussero rapidamente il numero degli abitanti. Le etnie più numerose e più compatte riuscirono a difendersi meglio dai soprusi del governo centrale.

La politica di Nicolò I (1825-1855) mirò alla conservazione dello status quo. Ogni mutamento si rivelò pericoloso perché la modernizzazione provocava frequenti ribellioni fra i popoli locali. A partire della metà dell'800 si tornò nuovamente a una politica d'integrazione e si rafforzò lo studio scientifico delle varie etnie. Alcuni linguisti crearono alfabeti cirillici per i popoli senza scrittura quali i Ciuvasci, i Votjaki e gli Jakuti. Si elaborarono vocabolari, grammatiche e testi scolastici; venne fondato anche un istituto magistrale per la formazione di insegnanti non russi. L'obiettivo primario rimase comunque quello di diffondere la fede ortodossa. Ma verso la fine dell'800 queste iniziative furono duramente criticati dai nazionalisti russi. In ultima analisi questa politica ebbe comunque dei risultati, visto che fra il 1864 e il 1905 non si registrò nessuna ribellione significativa da parte di un popolo non-russo.

All'inizio del secolo XX la Siberia diventò meta privilegiata dei coloni russi. Questi in un primo tempo privilegiavano la Siberia occidentale, ma dopo la costruzione della ferrovia transiberiana iniziarono a stabilirsi anche nella Siberia orientale. Per molti popoli la colonizzazione significò un'estensione del loro spazio vitale (Nenzi, Ciukci, Evenki, Eveni), ma per altri una drastica riduzione (Enzi, Jukaghiri, Korjaki, Itelmeni). Nel corso di un'ampia politica di rilocazione e migrazione forzata promossa dalla riforma agraria di Stolypin, entro il 1914 erano stati insediati oltre tre milioni di contadini russi. Spesso la caccia e la pesca praticate dalle popolazioni locali doverono cedere il passo all'allevamento di animali da pelliccia, che aveva un potenziale commerciale più alto.

La maggioranza delle etnie non russe non partecipò alla Rivoluzione. Tuttavia vari popoli non russi della periferia contribuirono alla destabilizzazione dell'ordine politico. Del resto la Rivoluzione stimolò anche il riscatto nazionale di molti popoli. I loro intellettuali agitarono rivendicazioni culturali, sociali e politiche. Nel 1905 i Ciuvasci riuscirono a pubblicare un settimanale nella loro madrelingua. Ma il tentativo degli Jakuti di organizzarsi a livello politico venne subito soffocato. La "Dichiarazione per i popoli della Russia", approvata subito dopo la Rivoluzione, non venne mai applicata. Negli anni successivi all'interno del "Comitato di appoggio per i popoli del Nord" (Comitato del Nord) ci furono aspre discussioni fra chi voleva concedere ai popoli indigeni il diritto ad un proprio sviluppo culturale e fra coloro che optavano per integrarli nella classe operaia. Alla fine si imposero i secondi. Quando la Russia fu divisa nel nuovo assetto amministrativo, anche certi territori con popolazione indigena ottennero una certa autonomia. Alle terre degli Jakuti (1922), dei Kareli (1923) e dei Komi (1936) fu riconosciuto la status di repubblica autonoma. In base alle leggi vigenti i dirigenti delle singole tribù (sciamani, proprietari di renne) non avevano però l'accesso ai ranghi superiori dei Soviet locali e del Congresso. Tuttavia i Russi avviarono alcune riforme per rilanciare l'economia dei territori del Nord. Si cercò di elaborare delle lingue scritte per combattere l'analfabetismo, che era ancora molto diffuso. La politica di Lenin per le minoranze si agganciò alla politica delle nazionalità della Russia premoderna. Per conservare il proprio potere si decise di concedere più spazio alle minoranze.

Negli anni Trenta la dittatura di Stalin ebbe un effetto devastante sulle strutture economiche e sociali dei popoli indigeni. L'industrializzazione dell'URSS aveva bisogno delle risorse del Nord: la pesca su vasta scala bloccò l'accesso degli indigeni a molti fiumi, l'industria alimentare trasformò enormi aree in pascoli, i boschi vennero distrutti per fare spazio alle miniere e alle centrali idroelettriche. I popoli indigeni non furono mai coinvolti. Le loro economie venivano meno senza che fossero rimpiazzate da nuove opportunità di lavoro. Le grandi compagnie importavano i propri operai e tecnici oppure si servivano dei prigionieri dei gulag, i campi di lavoro forzato istituiti da Stalin. Tutti questi stranieri non erano sottoposti alla giurisdizione del soviet locale.

La maggior parte della Siberia fu trasformata in "proprietà collettiva". Lo strapotere dei ministeri dell'industria soffocò i timidi tentativi che erano stati fatti per contenere gli effetti dell'industrializzazione sui popoli indigeni. Il Comitato del Nord fu sciolto nel 1935. Successivamente Stalin tentò di reprimere i popoli indigeni anche dal punto di vista culturale. Il dittatore georgiano vedeva in queste differenze culturali qualcosa che ostacolava la creazione dell'homo sovieticus. Una differenza fu comunque conservata: si stabilì che a parità di lavoro gli indigeni venissero pagati meno dei lavoratori russi. Molti gruppi di Ciukci e di Eveni, ritirandosi in zone molto remote, riuscirono a sfuggire a questa sorte.

L'ascesa al potere di Stalin rappresentò per i popoli indigeni un peggioramento radicale della propria situazione. Nei loro territori, ricchi di risorse minerarie e legname, si fece strada un'industrializzazione in grande stile, senza alcun riguardo per la fragilità dell'ecosistema nelle zone artiche. Davanti al sorgere di strade, miniere, pozzi di petrolio fabbriche, le attività tradizionali degli indigeni dovettero ritirarsi per fare spazio all'industria mineraria, dell'allevamento, della pesca. Vennero disboscati vasti territori, nei fiumi vennero versati gli scarichi industriali, si interferì nel ciclo dell'acqua, si provocarono massicci inquinamenti da petrolio. Gli operai venivano maltrattati, quando non reclutati nei gulag, cosicché molti indigeni perdettero la loro occupazione. La terra venne espropriata dallo stato, i suoi abitanti trasferiti in altri territori. Nel 1877 la Russia aveva annesso l'isola di Novaja Zemlja ("terra nuova") e vi aveva insediato alcune centinaia di Nenzi (Samojedi). Nel 1955 Mosca decise di effettuare alcuni esperimenti nucleari su queste isole e perciò tutti gli abitanti vennero nuovamente trasferiti nella zona di Narjan Mar e sulle isole di Kolguev e Vajgac. Ma la distanza dalle zone dei test non fu sufficiente: ancora oggi numerosi indigeni accusano gli effetti delle radiazioni nucleari.

Nel 1937 un decreto sovietico impose l'uso esclusivo dell'alfabeto cirillico per tutte le lingue dell'URSS. A partire del 1957 ogni insegnante poteva essere arrestato se continuava a parlare la lingua indigena al di fuori della scuola. I genitori vennero costretti a battezzare i loro figli con nomi russi. Il governo costrinse molti nomadi a diventare sedentari. Gli abitanti dei piccoli villaggi vennero costretti a trasferirsi in grandi centri perché i servizi pubblici erano stati chiusi. Dopo il 1970 fra tutte le 26 lingue indigene del Nord della Russia solo il nencio continuava ad essere insegnato a scuola. Oggi é frequente che solo gli anziani conoscano la propria lingua materna, mentre varie lingue stanno per scomparire.

Nel secondo dopoguerra la situazione dei popoli indigeni rimase sostanzialmente la stessa. Alla fine degli anni '50 il governo avviò una politica di reinsediamento forzato della popolazione indigena nelle maggiori città della Siberia. Questa politica favorì la perdita definitiva dell'identità culturale, il dilagare dell'alcolismo e della criminalità. Il boom dell'industria petrolifera petrolio iniziato negli anni '60 sottrasse altri territori a tutta una serie di etnie (Nenzi, Oroki, Evenki ed altri). In varie occasioni gli operai dell'industria petrolifera attaccarono fisicamente gli indigeni e saccheggiarono le loro proprietà. Se questi si rivolgevano ai tribunali locali, spesso rischiavano di finire sul banco degli imputati.

L'evoluzione in senso centralistico del sistema amministrativo sovietico nei prim anni ottanta, quando persino la parola "minoranza" venne cancellata dai testi di legge, tolse ai soviet locali le ultime vestigia di autogoverno, mantenendo una mera funzione consultiva. Fino alla fine degli anni '80 il governo sovietico continuò l'industrializzazione selvaggia dei territori del Nord. La deforestazione e l'estrazione di petrolio e gas naturale continuarono a pieno ritmo. I popoli indigeni persero vaste aree di pascolo. Solo a partire del 1989 alcuni popoli iniziarono ad organizzarsi in associazioni. Nel 1990 lo scrittore Nivko Vladimir Sanghi fu eletto presidente dell'Unione dei piccoli popoli del Nord della Russia. Nella risoluzione finale del congresso convocato per l'occasione i delegati rivendicarono i diritti fondamentali dei popoli indigeni, la ratifica della convenzione ILO n.169 da parte della Russia e altre misure per consentire la sopravvivenza dei popoli indigeni.

Per assicurare il futuro dei popoli del nord si pensa, dalla fine degli anni 80, all'istituzione di territori nazionali che esercitino l'autodecisione in materia economica. E' necessario porre fine alla distruzione di insediamenti, mettere un freno all'industrializzazione, favorire i programmi locali piuttosto che quelli pilotati dal centro. Si incomincia a reintrodurre l'insegnamento nelle lingue indigene, mentre si sperimentanto programmi di formazione per l'allevamento delle renne, caccia, allevamento di animali da pelliccia. Qualora un popolo sia maggioritario in un terriorio, è possibile l'introduzione dell'autogoverno. Il fine principale di questa politica consiste nella creazione di condizioni per garantire uno sviluppo mirato sui bisogni dei popoli indigeni. Questi tentativi di riforma sono però gravemente ostacolati da pesanti apparati amministrativi, da crescenti sussulti nazionalisti, da macchinazioni mafiose, e, non ultima, dalla pesante crisi economica della Russia.

Winfried Dallmann - I popoli indigeni del Nord della Russia. Un panorama geografico ed etnografico [ top ]

Il nord della federazione russa si estende per circa 6000 chilometri dal confine finlandese fino all'Oceano Pacifico. In direzione nord/sud l'estensione di ciò che nella federazione russa viene considerato come "nord" varia dai 1000 chilometri nell'ovest fino ai 3000 chilometri della Siberia asiatica. Questo enorme territorio era abitato prima della conquista russa (sec. XVI-XVII) da numerosi gruppi etnici, i quali, negli ultimi due secoli, sono diventati delle piccole minoranze in un ambiente sempre più russificato.

Le particolarità culturali di questi popoli derivano dalla necessità di sopravvivere in ambienti scarsamente popolati dominati da condizioni climatiche artiche o subartiche. L'incontro con i conquistatori russi e, nel XX Secolo, con la dottrina sovietica, fu caratterizzato da una reciproca incomprensione. Ciò, insieme a interessi politici ed economici, provocò una grave distruzione delle culture indigene. Di molte però è rimasto un nucleo centrale. Per alcuni popoli si potrebbe essere ancora in tempo per cominciare una nuova evoluzione sulla base della propria cultura atavica, se solo la società Russa lasciasse loro i necessari spazi. Le condizioni attuali della Russia sono però a dir poco inadeguate, anche se cominciano ad essere presenti delle garanzie di carattere giuridico.

Tundra e Taiga
I territori del nord russo e siberiano si trovano principalmente a nord del confine del permafrost, che, sull'altopiano siberiano, si protende molto verso sud. Grosso modo corrisponde al 55. parallelo, più o meno la latitudine di Amburgo. Fanno parte del Nord Russo anche i territori lungo la costa del Pacifico che giungono fino al confine russo-cinese di Vladivostok (limite meridionale dei ghiacci artici invernali). I popoli indigeni, cui questa smisurata estensione apparteneva prima della conquista russa, vengono chiamati collettivamente "popoli del Nord".

Nell'estremo nord questo territorio consiste in una fascia di tundra larga alcune centinaia di chilometri, quasi completamente priva di alberi. Verso sud si passa a una fascia caratterizzata da gigantesche foreste di conifere, detta Taiga. Ad ovest queste foreste crescono su terreni prevalentemente paludosi, mentre verso est il terreno è quello di un altipiano. Lungo la costa del Pacifico il paesaggio è caratterizzato da numerosi vulcani attivi. In Siberia scorrono alcuni dei fiumi più grandi della terra in direzione dell'Artico: Ob, Jenisej, Lena e Kolyma. Sono da sempre le principali vie di comunicazione di questa terra, sia durante il periodo della colonizzazione, sia nel successivo periodo di sfruttamento delle ricche risorse del territorio, sfruttamento che perdura tuttora.

Le isole nell'Artico non hanno mai ospitato una popolazione stabile. Dopo aver annesso la Novaja Zemlja nel 1877, la Russia vi insediò alcune centinaia di Nenzi (Samojedi). Quando l'Unione Sovietica negli anni cinquanta co0mincio i suoi test atomici su quest'isola, i discendenti di quegli abitanti vennero nuovamente deportati nel territorio Narjan-Mar sul continente o sulle isole di Kolgujev e Vajgaè, nel Mare di Barens meridionale.

Origine e lingua
I Popoli del nord appartengono a due gruppi principali. Il primo consiste nei discendenti di popoli che hanno da sempre abitato queste zone. Essi vivono principalmente nella Siberia nordorientale e in Kamèatka: Èukèi, Koriaki, Jukagiri, Èuvani, Itelmeni. Sono sopravvissuti anche altrove altri piccoli gruppi: di Cheti lungo il medio Enisej e i Nivchi nella parte settentrionale dell'Isola di Sakalin e alle foci dell'Amur. Questi popoli parlano lingue cosiddette paleo-asiatiche. Tra questi gruppi ancestrali possono venir considerati anche gli Inuit (eschimesi) e gli Aleutini, le cui lingue formano una famiglia a parte.

Un posto a parte è occupato dal popolo degli Ainu, che vive nella parte meridionale di Sakhalin, nelle isole Kurili e nel nord del Giappone. Gli Ainu sono morfologicamente europei, mentre tutti gli altri popoli della zona appartengono al ramo mongolico. Secondo alcune teorie, gli Ainu erano gli abitanti originari dell'arcipelago giapponese, prima di venir soppiantati da invasori di ceppo mongolico provenienti dal continente. La loro lingua è molto isolata. Oggi gli Ainu sono scomparsi dal territorio Russo; nel censimento del 1926 se ne contavano ancora appena 32

Il secondo gruppo è composto da popoli provenienti dall'Asia centrale, che si sovrapposero, con ondate migratorie che sono proseguite fino al medioevo, ai popoli paleo-asiatici, oppure vi si mescolarono. Le loro lingue sono di ceppo Uralo-Altaico, la famiglia cui fanno parte, assieme al Mongolo, Turco, Ungherese e Finlandese. Ad est del fiume Jenisej predomina il gruppo Altaico, con popoli di origine turca come Jakuti, Dolgani, e, più a sud Karagassi. Assieme ad essi popoli di stirpe tungusica come Evenchi, Eveni, Nanai, Negidalzi, Udeghi, Oroci, Orochi, e Ulci.

A occidente dello Jenisej, fino al territorio dei Sami nel nord della Russia Europea, predominano i popoli di lingua ùrala, divisi in un ramo finnico (Komi, Sami, Careli), uno ugrico (Canti e Mansi) ed uno samojedo (Nenzi, Selcupi, Enzi, Nganasani). La maggior parte di questi popoli sono ora un esigua minoranza nei loro territori originari d'insediamento, con l'eccezione di Komi, Kareli e Jakuti, che sono ancora in maggioranza nel proprio paese e, essendo organizzati in Repubbliche autonome entro la Federazione Russa, godono di un certo grado di autonomia.

Pascolo, pesca, pellicce
Come si è visto, sotto la definizione "popoli del Nord" si celano grandi differenze linguistiche e storiche. Tuttavia vi è un gran numero di somiglianze culturali, dovute in gran parte alle pressioni ambientali del territorio artico e subartico, che costringono a sviluppare economie molto simili. Sono le necessità climatiche e geografiche, piuttosto che l'origine etnica, a determinare le attività economiche. Pesca, in mare e in acqua dolce, caccia e allevamento delle renne sono, con peso diverso, i settori economici tradizionali della maggior parte dei popoli indigeni del nord. Dall'incontro con i coloni russi è giunto l'allevamento di animali da pelliccia. L'agricoltura è praticata solamente a sud del limite del permafrost, dai Kareli e da una parte dei Canti e degli Jakuti. Nei territori meridionali di Jakuti ed Evenki è estremamente diffuso l'allevamento di bovini ed equini. I metodi d'esercizio delle attività economiche, l'utilizzo di strumenti tradizionali, l'artigianato e le nuove forme artistiche come pittura e letteratura differiscono naturalmente da popolo a popolo e da zona a zona.

Sciamanesimo
Un tratto culturale comune essenziale è rappresentato dalla religione tradizionale, che, prima della colonizzazione russa, consisteva esclusivamente in forme d'animismo sciamanico, la credenza in una natura animata, cioè nell'esistenza di entità spirituali in ogni oggetto e forza naturale. L'uomo può mettersi in contatto con questi esseri e loro con lui. Gli sciamani, dopo un periodo di formazione, possono visitare gli spiriti della natura in uno stato di trance, in modo che la loro anima lasci temporaneamente il corpo e si rechi in un altro piano della realtà, generalmente interdetto all'uomo comune. Questa trance viene evocata tramite il suono di tamburi e cantilene monotone, e solamente in casi eccezionali -per quanto sappiamo- tramite stupefacenti.

Lo sciamano compie questi viaggi per mettersi in contatto con gli spiriti al fine di guarire malattie o altri disagi, per lo più offrendo sacrifici. Questi viaggi possono essere pericolosi per gli sciamani; non è capitato raramente che l'anima non sia tornata nel corpo e che lo sciamano sia morto. Molte volte però il viaggio riesce: i disagi vengono eliminati e i malati guariscono velocemente. In questo ovviamente l'applicazione della medicina naturale e delle sue varie cure ha un ruolo importante. Un importante piano della realtà il quale deve essere conosciuto dallo sciamano, è quello dei geni tutelari. Tra questi esseri, spesso in forma animalesca, lo sciamano sceglie i suoi alleati, perché essi lo assistano durante i suoi viaggi pericolosi nel mondo dei deceduti o addirittura nel mondo degli spiriti creatori. La retribuzione per questi geni tutelari consiste sempre in sacrifici.

La concezione del mondo dell'animismo sciamanico dei piccoli popoli è simile a quella degli indiani americani e di altri popoli indigeni, basata sull'idea di un imprescindibile equilibrio nella natura. Tutto ciò che avviene ha conseguenze e ripercussioni su tutto. Questa concezione però si limita alla connessione di causa ed effetto al livello del mondo concepibile intellettualmente. Attraverso la pratica dello sciamanesimo, cioè il mutamento di stati indesiderati tramite l'influenza attiva in altri piani della realtà, questi popoli precedevano i tempi dell'ecologia moderna. L'incomprensione del cosiddetto mondo moderno, che perdura fino al giorno d'oggi, ha fatto perdere la maggior parte di queste conoscenze.

Tra i molti popoli della Siberia la cristianizzazione è stata molto meno efficace che per esempio tra i Sami europei. Oggi spesso s'incontrano religione miste. Ufficialmente lo sciamanesimo con i suoi pericolosi viaggi dell'anima non è più praticato: c'è la speranza che quest'arte sia sopravvissuta anche se rimane incerto in che grado. Tra molti popoli come tra gli Evenchi, tra qualche gruppo samoiedo o paleoasiatico la religione atavica è comunque sopravvissuta. A maggior ragione dobbiamo fare in ogni modo da garantire la sopravvivenza di queste culture anche nell'interesse del futuro del nostro mondo, a prescindere da aspetti umani come conflitti d'identità e sradicamento culturale, che la colonizzazione di questi popoli inevitabilmente comporta.

Russificazione: la politica linguistica e scolastica del governo sovietico
Già durante gli anni 20 venne fatto molto lavoro per elaborare lingue scritte per la maggior parte dei popoli indigeni. In alcune zone l'analfabetismo fu ridotto drasticamente nel giro di breve tempo. Ma successivamente l'intero sistema formativo venne conformato ai principi dello stalinismo. A partire dal 1937, per decreto, tutte le lingue dovevano venir scritte con alfabeto cirillico, anche quelle per le quali esso era foneticamente inadatto. Quei linguisti che avevano elaborato alfabeti espressamente per queste lingue furono arrestati come nemici del popolo.

Nello stesso tempo venne vietato ai genitori di dare nomi non russi ai propri bambini. Si diffuse la propaganda contro i "primitivi". A partire dal 1957 i maestri potevano essere puniti se facevano uso della lingua indigena al di fuori delle ore di lezione ad essa riservate. Negli anni sessanta la propaganda di regime puntava a che sempre più genitori vedessero solo i vantaggi della lingua russa e in questa lingua facessero educare i propri figli. Nel 1970, al di fuori delle tre repubbliche autonome (Komi, Kareli e Jakuti), soltanto la lingua dei Nenzi veniva ancora utilizzata nell'insegnamento scolastico.

Anche il sistema degli internati per studenti aveva gravi conseguenze. Pensato inizialmente per offrire la possibilità di un'educazione scolastica per i figli di famiglie nomadi, fu successivamente esteso a tutti i bambini, anche quelli residenti. Esso valeva per le scuole di ogni grado. All'età di 16 anni, poi, questi ragazzi tornavano alle loro famiglie avendo perso ogni tipo di legame culturale con il proprio popolo. Questo sistema ora non viene più praticato, ma ha prodotto gravi danni. Questa politica ha portato naturalmente a un forte regresso nell'uso della madrelingua, soprattutto per le etnie numericamente più deboli. La lingua tradizionale viene oggi usata soprattutto dalle generazioni più anziane, il che è rende ancora più difficile un mantenimento di queste lingue. Un ostacolo ulteriore è che molti appartenenti alle generazioni di mezzo non conoscono né il russo, né la propria lingua materna: un grave ostacolo alla trasmissione della propria identità culturale.

I popoli indigeni della Russia oggi: sull'orlo dell'abisso?
La dissoluzione dell'Unione Sovietica e l'apertura della Russia verso l'esterno ci ha reso possibile negli ultimi anni farsi un quadro più chiaro di quello che è successo e sta succedendo nei vasti territori del nord russo. Sempre più spesso arrivano all'estero informazioni autentiche ed attuali. Nello stesso tempo ci rendiamo conto di cosa abbia significato la conquista e lo sfruttamento della Siberia, costati innumerevoli vite e che hanno ridotto molti dei popoli indigeni sull'orlo dello estinzione.

L'industrializzazione selvaggia del nord russo durante gli anni trenta venne ripresa vent'anni più tardi, all'indomani della seconda guerra mondiale, con rinnovata energia. Il nord era ricco di foreste, carbone, petrolio, gas, metalli. Territori colossali vennero sottratti con un tratto di penna alle popolazioni che li abitavano. Miniere, pozzi di petrolio, strade, fabbriche, disboscamenti, nuove città industriali e centrali idroelettriche sorsero sul terreno dove prima erano territori di caccia e pascolo. Scorie metalliche vennero smaltite liberamente nella tundra. Per chi doveva "portare il paese verso un futuro felice", le leggi non avevano valore. Le forze armate esercitavano un potere tirannico sui propri territori di manovra. Il delicato ambiente artico venne calpestato senza riguardi. L'estremo oriente perse il 30 % del proprio patrimonio forestale. Negli anni ottanta, infine, vennero concesse licenze di disboscamento a ditte cubane e nordcoreane, che oltre a questo avvelenarono i fiumi.

Il boom petrolifero arrivò a metà degli anni sessanta. Vennero colpiti in maniera più grave i territori del medio Ob (territorio dei Canti), la penisola di Jamal (Nenzi) il territorio di Magadan (Evenki e Eveni) e l'isola di Sakhalin (Orochi e Nivchi). Strade e Ferrovie tagliarono i territori di pascolo delle renne, nacquero città, i cingolati calpestarono in maniera irreparabile il terreno della tundra. Solo nella penisola di Jamal furono resi inutilizzabili 600.000 ettari di bosco, e 24.000 animali abbattuti. A questo si aggiunsero le aggressioni da parte degli operai immigrati nei confronti della popolazione originaria.

Questa situazione perdurò fino agli ultimi anni ottanta, quando crescenti proteste finalmente trovarono ascolto. Vennero ritirate alcune concessioni, qualche ditta dovette andarsene. Ma lasciarono alle loro spalle una terra desolata. Nessuno ha mai pensato a risarcimenti. Tra gli strascichi più nefasti dell'epoca sovietica in Siberia sono senz'altro le conseguenze degli esperimenti atomici, in special modo nelle vicinanze di Novaja Zemlja (le isole Kolguev e Vajgac) e nella penisola dei Èukèi. La popolazione non venne evacuata a distanza sufficiente, e tuttora una gran parte della popolazione soffre di malattie dovute a esposizione a radiazioni.

Insieme siamo più forti
Soltanto a partire dal 1986 divenne possibile protestare contro questo stato di cose senza incorrere in conseguenze penali; in quell'anno gli abitanti di Paren (Kamèatka), di etnia koriaka, impedirono con successo la distruzione della loro località. Soprattutto dopo il 1989 sono nati gruppi di interesse, come la associazione di Nenzi "Jamal per i nostri discendenti", "l'Associazione del Selkupi di Tomsk", l' "unione di Sami di Kola" e l' "unione regionale degli Inuit".

Nel marzo del 1990 rappresentanti dei popoli del nord diedero vita al "Primo congresso dei piccoli popoli del nord", alla cui Presidenza venne eletto lo scrittore Vladimir Snagi, del popolo dei Nivchi. Il congresso approvò una risoluzione in sette punti, nella quale il governo dell'allora Unione Sovietica veniva invitato a ratificare la Convenzione Internazionale per la Tutela dei Popoli Indigeni, oltre che a prendere ulteriori misure giuridiche, amministrative ed economiche a tutela dei popoli del nord. Nel maggio 1990 venne eletta a mosca una "Unione dei piccoli popoli del Nord", che si dichiarò competente come organo consultivo del governo per tutte le questioni che riguardavano questi popoli. Loro presidente divenne il Èanto Eremej Ajpin, membro del Soviet Supremo.

Gia nel 1989 gli esperti sovietici per i problemi delle minoranze avevano convenuto, durante un simposio a Tjumen (Siberia occidentale), che la via migliore per garantire un futuro ai popoli indigeni del Nord consiste nell'istituzione di territori nazionali con diritto di autodecisione in campo economico, nel divieto di trasferimenti di popolazione o della distruzione di insediamenti. Altresì era necessario passare da megaprogetti di sviluppo gestiti centralisticamente a misure prese e gestite localmente. Il governo centrale decise contestualmente di reintrodurre classi in lingua madre per Ultschi, Jukagiri, Itelmeni, Dolgani e Nivci. Vennero varati programmi d'insegnamento per l'allevamento delle renne, caccia e allevamento di animali da pelliccia. Il primo "Circolo Nazionale" (Even-Bytantaj) venne dotato di autogoverno per lo sviluppo economico su base nazionale.

Con modifiche di legge venne resa possibile l'istituzione di nuovi territori amministrativi su base nazionale laddove un popolo indigeno rappresentava la maggioranza locale. Dove un popolo indigeno rappresenta una minoranza, dovrebbero poter sorgere "unità territoriali etniche". Questa legge venne fatta propria anche dallo Stato Russo dopo il crollo dell'Unione Sovietica nel dicembre 1991.

Vie verso il futuro
Nella nostra cultura occidentale viene spesso frainteso cosa significa il desiderio dei popoli indigeni di uno sviluppo che rispetti le proprie caratteristiche culturali. Non significa tornare indietro nel tempo e vivere nuovamente in tende di pelli o capanne di zolle. Nessuno vuole questo. Ma popoli derubati di gran parte della loro terra e della loro cultura devono recuperare almeno il diritto all'autogoverno, progettare e realizzare la propria evoluzione sulla base dei propri valori. Solo in questo modo, a lungo termine, è possibile evitare conflitti etnici e il sorgere di movimenti separatistici.

Le riforme degli ultimi anni possono essere prese come un segno di buona volontà. Ma numerosi ostacoli si frappongono alla loro realizzazione pratica: in parte a causa di vecchi appartati di partito cui riesce difficile, soprattutto nell'estrema periferia, assumere nuovi atteggiamenti, in parte per il rinascente nazionalismo russo, in parte a causa della difficilissima situazione economica, e non per ultimo, perché in molte zone le leggi non vengono nemmeno applicate, soprattutto dove dominano bande mafiose o i militari governano a loro piacimento.

Ora che i paesi occidentali e dell'estremo oriente stanno negoziando con la Russia per l'apertura del passaggio Nord/Est e che l'opinione pubblica mondiale può influenzare in maniera sempre più profonda gli avvenimenti in Russia, non si dovrebbero raggiungere accordi con la Russia, se questi prevedono l'ulteriore espropriazione o la distruzione dei territori e delle risorse dei popoli indigeni della Siberia. La molteplicità culturale della nostra terra è una ricchezza da conservare a tutti i costi. Non si devono più cacciare uomini dalla loro patria, e devono essere protetti da violenze da parte dei militari. Ogni possibile collaborazione economica con Mosca nei territori del Nord deve essere legata a queste condizioni.

Winfried Dallmann collabora con l'Istituto polare norvegese e vive a Oslo.

Valerij B. Shustov / Jeremej D. Ajpin - La situazione dei piccoli popoli del Nord della Federazione Russa [ top ]

1. Introduzione [ top ]

Sul territorio della Federazione Russa vivono circa 200.000 persone appartenenti ai 30 popoli indigeni del Nord divisi tra 5 repubbliche, 4 territori, 10 regioni e 8 province autonome. In condizioni artiche vivono 11 piccoli popoli, e cioè i Saami, i Nienzi, i Dolgani, gli Enzi, gli Evenchi, i Chanti, gli Eveni, i Ciukci, gli Eskimo, i Nganasani ed i Jukaghiri. Il numero complessivo degli appartenenti ai popoli artici ammonta a 130.000. A prescindere da ciò, nelle immediate vicinanze del circolo polare, a livello del 60º grado di latitudine settentrionale, vivono ancora 5 popoli: i Korjaki, i Keti, i Mansi, i Selkupi ed i Ciuvanzi, con un numero complessivo di 20.000 uomini.

La caratteristica specifica della vita nell'Artide sono le temperature estremamente basse, i venti forti, la neve ed il ghiaccio. Gli antenati di questi popoli hanno vissuto per millenni in questa zona dal clima così rigido. Hanno sopravvissuto perché si sono adattati alle condizioni locali e si sono nutriti, in sostanza, di quanto fornisce la natura stessa. Rispetto al numero complessivo dei territori in cui vivono il numero degli appartenenti ai popoli indigeni del Nord diminuisce continuamente e ne costituisce soltanto il 1%. La schiacciante maggioranza, il 75% circa della popolazione aborigene, vive in campagna, dove rappresenta il 15% della popolazione.

Negli spazi infiniti del Nord della Russia sono concentrate più del 60% delle riserve esplorate di materia prima carbonifera, più della metà delle risorse naturali riproducibili, quale il pellicciame. I territori settentrionali rendono la quinta parte delle entrate nazionali della Russia e producono la decima parte della produzione industriale. Nel Nord si ricavano i ¾ del petrolio, il 92% del gas, il 15% del carbone e quasi tutti i fosfati. Alla regione (del Nord) tocca più della metà della pesca e dei prodotti del mare. Nelle regioni autonome Chanti-Mansisk e di Jamalo-Nenjez si ricavano giornalmente più di 200 milioni di tonnellate di petrolio, circa 500 miliardi di metri cubi di gas naturale. Gli ultimi 10 anni sono stati caratterizzati da un forte aumento del ruolo della regione artica come territorio base della Russia per la fornitura di materie prime. L'Artide diventa il centro principale dell'industria petrolifera e dell'estrazione di metano nonché della metallurgia variegata.

Un ruolo di guida nell'apertura e nello sfruttamento dei territori polari lo riveste l'arcipelago Novaja Semlja e gli spazi marini adiacenti dello shelf del mare Barents e del mar Kara. Le riserve geologiche di depositi di condensato di gas dello shelf continentale di Novaja Semlja vengono stimate in non meno di 10 trilioni di metri cubi. I piccoli popoli del Nord sono popoli indigeni che hanno vissuto in queste regioni fino alla comparsa di altre etnie. I piccoli popoli indigeni si sono insediati ed hanno popolato nel corso di secoli gli immensi territori del Nord e dell'intera Eurasia. In condizioni climatiche naturali estreme, essi hanno sviluppato il loro tipo di attività economica, di cultura e di modo di vivere.

Per tradizione i i popoli del Nord sono prevalentemente nomadi, seminomadi comunque abitanti delle zone rurali. Tuttavia il loro tradizionale stile di vita è stato distrutto dal governo russo, la cui politica si proponeva di rendere sedentari i nomadi, di inpiantare industrie e di ingrandire gli insediamenti. Attualmente una parte importante della popolazione indigena vive in città ed in abitati di tipo cittadino. per esempio il 50,7 Presso i Nivchi, 40%, presso gli Itelmeni il 40%, presso i Keti il 17,8%, presso i Nienzi il 17,1% e presso i Ciukci il 10% e così via. La vita in insediamenti e città contribuisce a stretti contatti tra indigeni e appartenenti ad altre etnie, ragion per cui il loro modo di vivere ha assorbito non pochi elementi etnici eterogenei. Questo stile di vita lontano dalla tradizione ha comportato per loro non poche conseguenze negative. L'interazione tra società industriale e le comunità indigene, relativamente chiusa, con struttura tribale e con prevalente economia naturale genera numerose contraddizioni sociali, economiche e giuridiche.

A partire dal 1926 sui problemi dei popoli indigeni sono stati adottati più di 300 leggi e più di 1000 ordinanze ministeriali ed amministrative. Alla loro elaborazione hanno partecipato importanti istituzioni scientifiche. Tuttavia molte questioni di principio non solo non sono state risolte, ma in molti casi si sono persino aggravate. La politica dell'intensa partecipazione dei popoli del Nord alla vita economica del Paese, del passaggio dal nomadismo alla sedentarietà, realizzata senza tener conto delle caratteristiche peculiari del modo di vivere e della cultura ha condotto alla distruzione del tradizionale complesso economico nazionale come base del tipo di vita praticato dalle etnie settentrionali. Tale azione sfavorevole l'ha esercitata anche un'industrializzazione unilaterale delle regioni del Nord, senza tener conto né delle particolarità di vita dei popoli del Nord. Né delle loro proprie esigenze di sviluppo, né della peculiarità dell'equilibrio ecologico di questi territori.

Questa miope politica ha seriamente danneggiato lo sviluppo dei popoli settentrionali: sono andate lentamente perse le peculiarità etniche e culturali e la lingua, le forme tradizionali dell'economia e l'ambiente sono stati distrutti, il tenore di vita non è cresciuto, e anche dal punto di vista della salute fisica i popoli del nord restano in pericolo . I tentativi di normalizzare la situazione a livello locale con l'adozione di provvedimenti per la tutela degli insediamenti e dell'attività economica dei popoli del Nord, in mancanza di una vera disponibilità alla soluzione e dei passi necessari nella legislazione della federazione russa. Il Nord è diventato la regione della Russia più esposta alle crisi. Gli indici fondamentali del livello di vita e di previdenza qui sono 2-3 volte più bassi dei valori medi russi. La metà degli arretrati di salario è dovuta ai settentrionali, un disoccupato su 5 è un'abitante di questa zona.

E' peggiorata la situazione dei settore basilari dell'economia degli indigeni. Negli ultimi 5 anni numero di renne si è ristretto da 2.304.000 a 1.749.000 unità, la pesca e quanto si ricava dalla pellicceria e dalla pesca sono diminuiti della metà, è praticamente cessata la raccolta di funghi, bacche, noci, di piante medicinali e di alghe. A causa delle alte tariffe per i trasporti il 60% di quanto prodotto non ha raggiunto i luoghi di lavorazione o di commercializzazione. Tutto ciò ha reso più complicata la situazione dell'occupazione dei popoli indigeni. Soltanto nel 1994 il numero dei lavoratori indigeni è diminuito quasi del 20%, circa il 25-30% degli abili al lavoro sono disoccupati e non dispongono di mezzi di sussistenza. Particolarmente alta è la percentuale dei disoccupati tra i giovani e le donne. E' calato il numero degli occupati nei settori tradizionali dell'economia dei piccoli popoli del Nord.

2. La situazione socio-demografica dei piccoli popoli indigeni del Nord [ top ]

L'aumento demografico dei popoli del Nord supera gli indici medi della Repubblica e per il periodo tra i censimenti del 1959 e del 1989 questo aumento raggiunse il 39,9% rispetto al 25,4% nell'intera Russia. Sia nel periodo 1959-1970 che nel periodo 1979-1989 il numero dei popoli del Nord è aumentato in egual misura, e cioè del 16,6%, nei confronti della Russia in generale dove è diminuito rispettivamente del 10,7 e del 7,1%. Tuttavia, nel periodo tra i censimenti del 1970 e del 1979 si è osservato un acuto abbassamento (del 2,9%) dei tempi di crescita del numero della popolazione aborigene, verificatesi sullo sfondo del ribasso anche degli indici generali russi di crescita (5,8%).

Il livello di natalità è relativamente alto e supera del 2,5% il valore medio russo. Nel 1989 nella Russia il la crescita media fu del 14,6%, mentre per i popoli del Nord il 31,9%. Nel 1991 secondo i calcoli questi indici erano rispettivamente il 12,1% ed il 30,5%. Fino ad oggi le famiglie indigene preferiscono più figli – circa il 40% delle famiglie hanno tre o più figli (il 16% nella Russia in generale). Contemporaneamente si osservano significativi divari tra i livelli di natalità delle diverse etnie indigene. Il più alto indice del 1989 lo hanno raggiunto gli Oroci (45.9%), il più basso gli Oroki (7,9%), mentre il livello di natalità di tutti i piccoli popoli del Nord (salvo gli Oroki) supera gli indici medi della Russia in generale.

Il tendenziale calo del tasso di natalità viene anche confermato dall'aumento delle famiglie a uno o due figli e dal calo del numero delle famiglie a cinque o più figli. Le giovani spose delle nazionalità indigene sono in sostanza orientate verso un minor numero di figli. Si registra anche una crescita degli aborti. Questi sviluppi conducono al restringimento della famiglia media. Nel 1970 la famiglia media contava ancora 4,7 membri, nel 1979 4,3 e nel 1989 soltanto 4 membri. La diminuzione del numero dei figli deriva anche dall'indebolimento delle relazioni familiari, dovuto al fatto che fino a poco tempo fa l'istruzione e l'educazione dei bambini si svolgeva separatamente dalla famiglia. Il passaggio dal nomadismo alla vita stanziale ha messo in crisi l'organizzazione familiare tribale, e ha reso difficile l'incontro di potenziali coniugi. Il rapporto tra i due sessi peggiora per i differenti livelli di educazione e di cultura che li contraddistingue: Mentre i sono occupati nei lavori tradizionali nella tundra, le ragazze vengono educate nell'ambiente relativamente urbanizzato degli insediamenti permanenti.

Cresce quindi il numero delle femmine e dei maschi non sposati. Inoltre esistono più maschi celibi che femmine nubili. In confronto con la popolazione russa media, presso i Nenzi, gli Evenki, gli Eveni ed i Korjaki la quota dei maschi celibi e delle femmine nubili è due volte più alta, presso i Saami è più di tre volte più alta. Spesso le ragazze indigene preferiscono convivere, senza documento di matrimonio, con giovani che lavorano temporaneamente nella regione. Secondo stime di esperti presso i popoli del Nord si registrano, sempre più spesso nascite extraconiugali. I processi di assimilazione che si vanno rafforzando condizionano in maniera duratura i problemi della popolazione indigena del Nord. Il numero dei matrimoni misti aumenta continuamente. Così la quota dei matrimoni misti presso i Saami costituisce l'80-90%. Perciò l'aumento del numero complessivo di alcuni popoli, tra cui i Keti, i Nganasani, i Selkupi, gli Evenki e i Mansi, è dovuto al numero crescente degli "immigrati per matrimonio".

I figli da matrimoni misti in una serie di distretti dei territori di Murmansk e Tjumen nonché di Krasnojarsk e Chabarovsk costituiscono il 70-90% di tutti i figli da madri indigene. Per continuare a ricevere i contributi statali questi figli il più delle volte vengono registrati come persone di nazionalità indigena. Secondo stime fatte nella Regione autonoma dei Chanty e Mansi il 20% di tutti i nativi Chanty e Mansi appartengono a queste etnie soltanto in base al loro passaporto. I processi di assimilazione hanno serie conseguenze biologiche. Secondo dati di indagini medico-genetiche il mescolamento della popolazione indigena con gli immigrati può condurre a quell'indebolimento del sistema di adattamento dell'organismo che consente il sopravvivere della popolazione in estreme condizioni ambientali e che in ultima analisi garantisce anche l'esistenza di queste etnie singolari. Questo aspetto del problema dovrebbe diventare oggetto di indagini accurate ed a largo raggio.

Una particolare preoccupazione desta il tasso di mortalità della popolazione indigena del Nord. Presso 12 dei 26 popoli essa supera la media russa. Il tasso di mortalità specialmente presso i maschi tra i 24 e i 34 anni in media è 1,5 volte più alto di quello presso gli altri abitanti dei territori settentrionali (10,4 0/00 rispetto a 6,6 nel 1989). Vi è una grande differenza tra le diverse etnie: 6,2 per mille presso gli Aleuti e fino a 28,3 per mille presso gli Oroci. Lo stesso vale anche per la mortalità in età di lavoro. Questa presso gli aborigeni è 3-4 volte superiore a quella degli immigrati da altre regioni della Russia (1989).

La mortalità infantile presso la popolazione indigena del Nord (30 per mille) supera egualmente 1,5 volte la media dei rispettivi distretti in cui tale popolazione vive e 1,7 volte la media russa. Così nel 1989 nella Regione Irkutsk (Evenki e Tofalari) la mortalità infantile (dei bambini fino ad un anno) ammontava a 57 su 1000 nati, nel territorio di Krasnojarsk (Dolgani, Evenki, Nenzi, Nganasani, Keti) a 48 rispetto a 17,17 in tutto lo Stato. Presso singoli popoli la mortalità nel primo anno di vita è molto più alta e supera i valori medi della Russia da 5 fino a 7 volte. Particolarmente alti sono i tassi presso i Korjaki (52,7 per mille) e gli Eskimo (47,6 per mille).

Tra le cause di morte (anche degli uomini in età lavorativa) spiccano i traumi le intossicazioni alcoliche, le malattie dell'apparato respiratorio e le malattia infettive. Il tasso di mortalità specifico supera 2,5 volte i dati statistici medi della Russia. Il peggioramento delle condizioni di vita sociali e -igienico sanitarie (abitazione di qualità scadente, modo di vita instabile, cura insufficiente della salute) fa aumentare la mortalità. Nei centri abitati manca lo spazio abitativo. Le costruzioni risalgono agli ultimi anni '50 ed ai primi anni '60. Lo spazio abitativo in media non raggiunge 4 m2 a persona. Più del 30% degli aborigeni vive in tende da nomadi (cium). Mancando i mezzi per la manutenzione, lo spazio abitativo medio disponibile per gli indigeni è diminuito del 40%( rispetto a una diminuzione del 23% in tutta la Russia). La cattiva situazione abitativa diventa ancora peggiore nelle campagne, perché qui prevalgono edifici monofamiliari, il cui costo, per la maggior parte delle famiglie, è troppo alto.

Il forte inquinamento dei grandi fiumi e dei mari dovuto allo scarico di acque di rifiuto industriali, a mancati investimenti nella tutela delle acque, alla scarsa efficienza degli acquedotti danneggiano gravemente l'ecosistema. Una grande percentuale delle campioni di acqua potabile (40-65%) non corrisponde né chimicamente né batteriologicamente ai limiti di legge. Questa situazione compromessa si ripercuote negativamente sulla crescita della popolazione. La mortalità generale è superiore 1,7 volte e quella infantile 2 volte a quella della popolazione non-indigena della regione. La durata media della vita è 10-20 anni inferiore alla media russa.

Le cause di questa evoluzione o meglio involuzione sono da ricercare nel sovvertimento delle fondamenta della vita economica, culturale e intellettuale e nel cambiamento profondo dell'ambiente abitativo e dell'alimentazione degli aborigeni. Così l'alimentazione di tipo europeo dimostra una composizione di microelementi non corrispondente all'organismo dell'indigeno settentrionale ed una quantità insufficiente di calorie. Perciò il mantenimento della dieta tradizionale (carne di renna, pesce, piante) non costituisce solo la soluzione di un problema di approvvigionamento, ma anche una questione di conservazione delle caratteristiche etniche.

Contribuisce all'alta mortalità e la scarsa salute psichica della popolazione. In seguite alla perdita del lavoro e del modo di vita tradizionali, è sorto una classe di sottoproletariati. Più del 30% delle morti presso i popoli indigeni avvengono violentemente. Si commettono tre, quattro volte più suicidi che nella Russia in generale. La densità degli ospedali nelle zone di insediamento dei popoli indigeni raggiunge solo il 67% della norma. Di 19 centri di assistenza al parto solo 4 sono stati costruiti dopo il 1970, gli altri risalgono al periodo 1934-1948. Inoltre questi centri nei piccoli insediamenti sono male attrezzati. Le cause principali della decadenza sono da ravvisare nella distruzione dell'ambiente, nel rapido mutamento delle abitudini alimentari, nell'alimentazione non equilibrata dei bambini e nell'aumentata sensibilità degli aborigeni rispetto alle malattie infettive. La rottura radicale con il modo di vita e valori tradizionali dev'essere considerata come ulteriore causa dell'aumento dei suicidi tra la popolazione abile al lavoro e dell'alcoolismo molto diffuso.

Nel complesso il sopravvivere dei piccoli popoli dipende dalla loro capacità di adattamento sociale, psicologica e fisiologica. Secondo indagini della sezione siberiana dell'accademia russa delle scienze mediche la riserva di salute storica degli aborigeni del Nord di fronte alle tendenze che si profilano potrebbe essere esaurita in due-tre generazioni. C'è quindi la necessità urgente di elaborare un modello di controllo medico-demografico per seguire la dinamica dei cambiamenti genetici ed altri nella popolazione ed elaborare su questa base un piano di neutralizzazione delle influenze dannose.

3. La salute [ top ]

Per via delle peculiarità del cosiddetto "polmone settentrionale" le malattie degli organi respiratori presso i popoli indigeni hanno un andamento più lungo e più grave. Per la popolazione immigrata è tipico l'andamento acuto della malattia, per gli aborigeni quello cronico. Le malattie infettive ed infiammatorie costituiscono il 57-80% di tutte le patologie. L'andamento cronico presso la popolazione indigena stanziale si riscontra 16-18 volte più spesso che presso quella immigrata. Gli aborigeni sono 2,5-3 volte più spesso colpiti dalla tubercolosi degli abitanti della Russia in media.

Il passaggio dall'alimentazione tradizionale a quella di tipo europeo con il caratteristico prevalere degli carboidrati genera malattie gastrointestinali 2,5 volte più diffuse presso la popolazione aborigene che altrove. Fino al 95% degli esaminati soffrivano di carie o ipovitaminosi. Indagini svolte nella Regione autonoma Nenjetz hanno dimostrato che la diffusione di malattie presso gli abitanti di insediamenti stabili è nel complesso 1,5 volte più alta che presso gli abitanti della tundra, per le malattie infettive e parassitarie è 2,5 volte più alta, per le malattie degli organi digestivi e respiratori è 1,5 volte più alta e per la malattie psichiche è persino 5 volte più alta. Dal 1970 le malattie psichiche sono aumentate di 6,5 volte, le malattie cutanee 7,2 volte, le intossicazioni (acqua malsana, generi alimentari, alcool) ed i traumatizzati 65,5 volte.

Gli abitanti del Nord possiedono una particolare facoltà visiva: vedono meglio a lunga distanza, mentre hanno difficoltà a guardare a breve distanza: (per es. per leggere o guardare la Tv). Perciò la lettura di libri presso il 90-97% degli scolari provoca forti tensioni psichiche e stanchezza. Di conseguenza nell'età infantile prevalgono oggi le malattie degli occhi (conseguenti a malformazioni nello sviluppo dei vasi cardiaci e da malattie dei nervi e della psiche). Le peculiarità mediche e sociali della popolazione aborigene si ripercuotono sulla durata della vita: Nel 1989 la durata media della vita degli uomini era 54 anni, quella delle donne 65 anni. Questi valori sono di 10 anni più bassi della media russa e di 16 anni della media dei popoli del Nord dell'Europa e dell'America.

4. L'occupazione [ top ]

Fino all'inizio del 1992 presso i popoli indigeni del Nord il numero degli occupati è cresciuto continuamente. Nel periodo dal 1981 al 1991 il numero dei lavoratori, impiegati e contadini di aziende collettive è aumentato mediamente del 22%, la manodopera è cresciuta in quasi tutti i settori dell'economia, più rapidamente quella femminile. Col passaggio all'economia di mercato il numero dei lavoratori aborigeni impiegati in aziende collettive è diminuita. Questo processo ha colpito 21 su 25 popoli del Nord. I più gravemente colpiti sono stati gli Esquimesi (-30,1%), i Ciukci (-28,6%), i Saami (-22,1%) e gli Itelmeni (-19,5%). Solo nel 1992 il numero degli aborigeni occupati è sceso quasi del 10%: nell'agricoltura del 7,9%, nell'industria pesante del 13,5%, nell'edilizia quasi del 28%, nel commercio, nel settore alimentare, nell'industria manifatturiera del 23,7% e nei trasporti del 15,8%.

Contemporaneamente è avvenuta una crescita insignificante dell'occupazione indigena nel settore dell'istruzione (del 4,3% nel 1992 dovuto in parte al sorgere di piccole scuole nazionali. Causa principale del calo del numero degli aborigeni occupati nella produzione è la diminuzione dei branchi delle renne, a sua volta connesso con la riorganizzazione delle aziende di tipo kolchos e sovchos, con lo scioglimento delle unità selvi culturali, con il calo degli investimenti nell'edilizia, con la privatizzazione del commercio e dell'alimentazione pubblica. Sono calati in primo luogo i posti di lavoro che non richiedevano alcuna qualificazione e perciò occupati soprattutto da indigeni.

A questa perdita di posti di lavoro per gli aborigeni fa riscontro l'aumento della popolazione abile al lavoro. Fino al 25-30% degli abili al lavoro dei piccoli popoli si trovano, oggi, senza occupazione, cosicché possono assicurarsi l'esistenza solo con la raccolta di piante selvatiche, con la pesca, la caccia e l'allevamento di piccoli greggi di renne. Circa il 15% degli abili non possono o non vogliono inserirsi nel processo di lavoro. La disoccupazione è particolarmente diffusa tra la gioventù e tra le donne. La scarsa mobilità della popolazione indigena costituisce un'ulteriore causa dell'alto tasso di disoccupazione. Secondo i dati di un'indagine sociologica il 20% dei non indigeni in caso di perdita del posto di lavoro è disposto a cercare lavoro fuori della propria regione, ma solo il 2% della popolazione indigena farebbe lo stesso. Molti aborigeni uscenti dal processo di lavoro ritornano nella tundra o accrescono l'esercito del sottoproletariato nei nuovi insediamenti.

4.1. L'occupazione nei settori tradizionali dell'economia
L'economia tradizionale costituisce l'elemento più importante, formatosi storicamente, degli ecosistemi settentrionali. Questi territori forniscono il mercato russo di merci rare. Così l'allevamento delle renne assicura il 96% di tutto l'effettivo russo di renne, la caccia il 52% degli acquisti russi di pelliccia ed il 58% della selvaggina. All'inizio degli anni 90 la popolazione indigena lavorava in 278 aziende sovchos, 87 aziende kolchos, 353 imprese ausiliarie e 336 aziende di caccia. Nei settori tradizionali dell'economia dei popoli indigeni (allevamento renne, pesca, caccia, preparazione e lavorazione di piante selvatiche, produzione di abiti da pelliccia e calzature ed altro) sono occupati attualmente circa 30.000 persone ed il 55% degli abili al lavoro indigeni. Essi costituiscono la parte essenziale (più del 70%) degli occupati nell'agricoltura.

All'inizio del 1993 il più alto tasso di occupazione in agricoltura lo si riscontrava presso gli Onoki (96,4%), gli Eveni (77,8%), i Ciukci (70,2%) e presso una serie di altri popoli. Molti Tofalari e Udeghi sono occupati nella pesca e vengono considerati come occupati nell'industria. Per il ministero del lavoro non è soddisfacente il fatto che per es. tra i Tofalari due persone (il 0,9%) vengono contate come occupati nell'agricoltura, ma il 56,4% come occupati in altri settori. Presso gli Udeghi i dati corrispondenti sono 4 e 31,9%. Simili rapporti si riscontrano presso i Mansi, i Nanaizi, gli Ulci ed altri popoli. I seguenti fattori negativi determinano la situazione occupazionale della popolazione indigena nel settore tradizionale dell'economia:

La sistemazione dei popoli nomadi in centri abitati, nei quali non era stata predisposta alcuna struttura artigiano-industriale corrispondente alle loro capacità lavorative, ha sottratto alla popolazione abile al lavoro la possibilità di seguire un lavoro regolare. Non mancarono le conseguenze per il benessere materiale delle famiglie. Inoltre il calo dello standard di vita della popolazione russa durante gli anni 1991-1993 si è ripercosso più fortemente sulla situazione degli aborigeni. Inoltre la prevalente maggioranza dei piccoli popoli dispone di un reddito largamente inferiore al minimo esistenziale e persino al di sotto del salario minimo.

La lesione dell'equilibrio ecologico del territorio causa la diminuzione del numero dei posti di lavoro nei settori tradizionali dell'economia. Soltanto nelle Regioni autonome Chanty-Mansijsk e Jamalo-Nenjezki , per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e di metano si sono persi irrecuperabilmente 1,1 milioni di ettari di pascolo per le renne. Più di 100 grandi e piccoli fiumi sono inquinati, più di 500.000 ettari di bosco e pascolo sono stati espropriati. A causa l'inquinamento dell'acqua nel corso dell'estrazione del metano periscono annualmente più di mille tonnellate di pesce pregiato. Nell'apertura dei giacimenti Medjeshev, Urengoi, Jamburg le misure di protezione della natura non sono state prese in considerazione nei progetti del complesso petrolmetanifero. Va da sé che ciò si è immancabilmente ripercosso sulla situazione dell'occupazione nei settori economici tradizionali degli indigeni. Nella Regione autonoma Nenjez nell'anno 1979 erano occupati ancora 713 pescatori, nel 1989 sono rimasti soltanto 308. Inoltre gli immigrati hanno scacciato la popolazione indigena dai loro posti di lavoro nella pesca, nella caccia e parzialmente anche nell'allevamento delle renne.

L'abbandono, da parte della popolazione indigena e specialmente della gioventù, dell'economia tradizionale viene provocato anche dal peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro. L'allevatore di renne deve sottostare a un doppio carico: da un lato infatti deve condurre la sua vita in condizioni climatiche estremamente pesanti, e d'altro canto deve affrontare il non meno pesante lavoro giornaliero con il gregge; in queste condizioni sorgono difficoltà nel costituire una famiglia.

Nelle regioni ed economie in cui gli itinerari del nomade non superano i 300-400 km e l' azienda viene gestita col metodo della guardia, gli allevatori delle renne vivono gran parte dell'anno con le loro famiglie in condizioni relativamente gradevoli. Ciò favorisce il consolidamento di gruppi di lavoro nei settori tradizionali dell'economia. Per una vita nomade che si protrae fino a 1000 km occorre che lungo gli itinerari si facciano sforzi aggiuntivi per creare quelle condizioni di lavoro e di vita che non siano in alcuna maniera meno accettabili delle comodità degli insediamenti stabili. Soltanto allora per le donne si aprirebbe la possibilità di lavorare e vivere non soltanto negli insediamenti, ma anche sugli itinerari delle migrazioni. Il ripristino delle aziende comunali e rispettivamente tribali comporta il riesame dell'atteggiamento verso la vita nomade. Soltanto nel 1992 il numero dei nomadi è cresciuto di 586 persone a 16.426 persone (3625 gruppi di lavoro ed altri gruppi minori).

Un nuovo mestiere è l'allevamento di animali selvatici. Così nel distretto Providenskij della Regione autonoma dei Ciukci più di 2000 aborigeni sono occupati in questo ramo, il 30% di tutti gli aborigeni occupati nell'agricoltura in questo circondario. La soluzione dei problemi sociali ed economici dei piccoli popoli del Nord deve basarsi sulla conservazione e sullo sviluppo di nuove tecniche per il loro modo di lavorare e di vivere tradizionale. Il funzionamento dell'economia tradizionale costituisce il fondamento dello sviluppo, è questa l'opinione degli aborigeni. Le nuove forme aziendali ed occupazionali (farmer, economie comunali, piccole imprese familiari e cooperative) si sono molto sviluppate nell'ambito dell'economia tradizionale . Nel corso della riorganizzazione dei kolchos e dei sovchos vengono create molte nuove entità economiche, che costituiscono un ritorno alle forme tradizionali familiari e tribali dell'economia. In una tale azienda contadina sono occupati in media da tre a sei persone.

Il numero di queste aziende aumenta continuamente: nel territorio del Magadan (compresa la Regione autonoma dei Ciukci) il numero delle nuove aziende di allevamento delle renne soltanto nel primo semestre del 1993 è aumentato da 27 a 42 unità, nel territorio di Archangelsk (compresa la Regione autonoma Nenjez) da 30 a 50 unità. Inoltre all'inizio del 1993 nei distretti dell'estremo Nord funzionavano 25 imprese nazionali (familiari), circa 30 cooperative e 7 associazioni. La popolazione aborigena costituisce la maggioranza degli occupati in queste nuove forme aziendali. Così per es. nel 1993 nella Regione Kamciatka vennero fondate 9 cooperative nazionali, 4 imprese nazionali e la corporazione "Vosroshdenie" ("Rinascita"). Nella Regione Sachalin venne eretta la ditta agroindustriale "Aborigen Sachalina". Nella Regione autonoma Nenjez venne creata l'associazione degli allevatori di renne "Erv" e nel territorio di Krasnojarsk l'associazione industriale di caccia dei piccoli popoli del Nord. Nella Regione autonoma degli Evenki vennero istituite 60 aziende contadine, 23 aziende industriali per l'allevamento delle renne, 11 comunità tribali nei settori tradizionali dell'agricoltura e dell'industria: allevamento di renne, fornitura e lavorazione di pellicciame, allevamento di animali selvatici, allevamento cani ed altro dove lavorano circa 700 uomini (4,3% degli occupati nella Regione).

Nella legge "Sulla privatizzazione delle imprese statali e comunali nella Federazione Russa" è stabilito il diritto di prelazione degli abitanti indigeni sull'acquisto della proprietà delle imprese industriali ed artigianali tradizionali. Causa la tecnologia primitiva usata nella produzione, lo scarso funzionamento del mercato di materie prime e le difficoltà di smercio, l'industria tradizionale finora costituiva spesso un'attività deficitaria. Per gli esercizi organizzati ex novo per ora non ci sono mezzi di promozione, benché, secondo valutazioni, per esempio soltanto nella Regione Evenka lo sviluppo dell'industria tradizionale potrebbe assicurare un posto di lavoro a 20.000 persone, cioè a tutte le donne disposte a lavorare appartenenti alla popolazione indigena. Attualmente in questo settore sono occupate soltanto 260 persone.

Negli ultimi anni i capi di renne sono calati drasticamente. Rispetto alla media annua 1986-1990 nel 1992 gli acquisti statali di carne (peso vivo) sono calati di 2,7 volte, l'acquisto di pelli di renna di 3,6 volte. E' diminuita fortemente la prole, le perdite dovute alle epidemie sono aumentate del 43%. Se nel 1986 soltanto il 10% dell'effettivo delle renne era vittima di epidemie, tale quota nel 1992 salì al 16%. Dati questi presupposti per le imprese si crearono difficoltà nel rifornimento con materie prime, le quali difficoltà a loro volta si ripercuotevano sulla lavorazione dei prodotti delle renne, per cui diminuiscono i posti di lavoro, cala il salario e cresce la disoccupazione latente (tempo di attesa imposto, settimane di lavoro incomplete, aumento delle attività stagionali).

4.2. L'occupazione nei nuovi settori dell'economia
Le opportunità occupazionali della popolazione indigena possono essere accresciute attraverso una migliore formazione professionale. Gli indigeni non lavorano volentieri nei nuovi ambiti industriali non collegati con il loro settore tradizionale di attività. Nel complesso la parte degli indigeni occupati nell'industria non supera di molto il 9% del totale degli occupati. La percentuale varia notevolmente da popolo a popolo. Così solo circa il 3% degli Evenki, il 2,6% dei Korjaki e l'1% dei Ciukci lavorano nell'industria. Contemporaneamente il 16,2% dei Nenzi, il 20% dei Nanaizi, il 24% dei Nivchi, il 29,6% degli Ulci sono occupati prevalentemente nell'industria di lavorazione del pesce. Questo ramo industriale costituisce la continuazione tecnologica della pesca tradizionale.

Poco più dell'1% lavora nell'edilizia, circa il 2,5% nei trasporti e nelle comunicazioni, dove occupano soprattutto posti di lavoro non richiedenti alcuna qualificazione speciale, perché la loro formazione generale e professionale è molto bassa. Dei rappresentanti della popolazione aborigena nel servizio sanitario il 90% lavora nei servizi di livello basso o medio e solo il 10% è costituito da medici o dirigenti di case di salute.

4.3. La formazione professionale
Il 48% della popolazione aborigena ha ricevuto soltanto l'istruzione elementare. Nel 16,9% manca persino questa, la metà di essi è costituita da analfabeti. Indagini svolte nei circondari autonomi della Regione Tjumen hanno dimostrato che solo il 5% di coloro che frequentano la 1ª classe concludono con successo l'ottava e la decima classe. Fino ad un terzo degli scolari della 1ª classe deve ripetere tale anno scolastico. Meno del 22% continuano fino alla 7ª classe o fino ad una classe superiore. Questo basso livello di educazione non consente agli adulti di abbracciare una professione moderna e li costringe ad accettare lavori non richiedenti alcuna o soltanto una scarsa qualificazione. Le cause principali di questo inconveniente sono le seguenti:

Meritano il massimo aiuto le piccole scuole per nomadi che si trovano più vicine alle aziende dei genitori ed il cui sistema di istruzione corrisponde al sistema economico degli aborigeni. I gruppi di lavoro qualificati della popolazione indigena del Nord nella formazione tecnico-professionale vengono preparati in primo luogo per i settori tradizionali dell'economia. Ma negli anni 1987-1992 il numero degli iscritti è diminuito da 1.510 a 940 persone (-36,7%). Gran parte dei giovani e si orienta verso le professioni odierne nei nuovi settori di produzione. Però, non appena i giovani hanno concluso gli istituti di istruzione tecnica, si trovano senza lavoro. A Sachalin più del 35% dei disoccupati sono giovani al di sotto dei 25 anni, nel distretto Beresov del circondario Chanty-Mansijsk lo è il 40%. In realtà le cifre sono più alte perché molti di coloro che hanno perso il proprio lavoro non si fanno più registrare perché abitano troppo lontani dagli uffici del lavoro.

5. La situazione culturale [ top ]

Con la scomparsa delle forme tradizionali dell'attività economica sono state minate le basi della cultura autoctona degli aborigeni. Gli istituti e le forme tradizionali spirituali e religiosi, ed i riti connessi sono stati annientati. L'etnicità era considerata come qualcosa di arcaico, folcloristico ed esotico. Perciò il lavoro culturale fino ad oggi è indirizzato all'assistenza culturale ed all'attività di spiegazione culturale.

La mancanza completa di aiuti finanziari ritarda la ripresa culturale. La maggioranza delle case di cultura, biblioteche e scuole rurali si trova in uno pessimo stato. Vanno scomparendo le feste tradizionali ed i mestieri dell'artigianato artistico. Sullo sfondo dei cambiamenti radicali svoltisi nella Russia in generale, la cultura variegata dei popoli del Nord ha bisogno di creatività. L'intellighentsija dei popoli indigeni è molto preoccupata per la decadenza delle relazioni intellettuali, per la liquidazione del sistema statale della distribuzione dei libri e per i finanziamenti estremamente esigui erogati per la cultura. Vengono elaborati programmi per lo sviluppo del potenziale spirituale dei popoli del Nord, senza coinvolgere le forze creative degli indigeni. Tutto ciò si ripercuote negativamente sulla letteratura di questi popoli. Tuttavia sono ancora state conservate le fondamenta spirituali per la sopravvivenza. La ripresa culturale sembra costituire la condizione principale per il recupero della situazione sociale, perché soltanto con essa può essere evitato il nichilismo etnico e l'estremismo.

6. Il settore sociale [ top ]

L'infrastruttura sociale dei distretti di vita dei piccoli popoli del Nord è stata organizzata praticamente nell'ambito del programma di industrializzazione dei territori settentrionali. I collegamenti con la metropoli hanno garantito alla popolazione locale la disponibilità di generi alimentari, merci industriali, , linee di trasporto ed energia elettrica. Partendo da questo dato di fatto, si spiega l'alta vulnerabilità dell'infrastruttura sociale nell'attuale fase di recessione economica attuale.

Rimangono del tutto irrisolti importanti problemi riguardanti l'approvvigionamento elettrico od il trasporto e l'edilizia. Dei 29 centri abitati dell'Altai non provvisti di corrente elettrica 19 appartengono ad insediamenti permanenti degli aborigeni. Nei distretti rurali a causa del terreno impervio è reso più difficile il lavoro della posta. Mancano comunicazioni telefoniche. In molti villaggi della popolazione indigena non funziona alcuna radio. Dappertutto manca spazio abitativo e mancano presupposti elementari per vivere. In tutto il Nord (anche là dove viene estratto gas naturale) solo il 3% degli insediamenti è provvisto di gas, solo il 4% ha un acquedotto, lo 0,1% un riscaldamento centrale. Nell'edilizia manca un'industria orientata verso la costruzione e l'utilizzo di edifici in condizioni climatiche estreme. Il settore edilizio esistente si trova in una grave crisi per il forte rincaro ed il difficile trasporto dei materiali di costruzione che inoltre devono essere pagati al 100% in anticipo.

Tra la popolazione non indigena attualmente sale il tasso di emigrazione, il che porta all'abbandono di insediamenti finora abitati. Ciò comporta a sua volta gravissime conseguenze per i minuscoli popoli perché cessano le forniture di generi alimentari e di prodotti industriali nonché l'erogazione di servizi importanti per la popolazione. Più di 2 milioni di abitanti del Nord non indigeni attualmente pensano di emigrare. Già adesso nel Magadan sono stati abbandonati gli insediamenti Moja Rusta, Burkandja ed altri. Nel 1994 la popolazione della Ciukcia è diminuita del 10,5%, quella del Magadan dell'8,1%, quella della Kamciatka del 3,8%, quella di Sachalin del 2,6%, quella della Jacuzia del 2,4%. Il calo della produzione nelle città, l'economia tradizionale non redditizia, il restringimento delle zone di caccia e pesca provocano disoccupazione. La gran maggioranza della popolazione indigena del Nord vive al di sotto del limite di povertà.

All'inizio del 1995 la maggioranza della popolazione disponeva di un'entrata di 30.000-40.000 rubli al mese. L'entrata minima per sopravvivere corrispondeva a 120.000 rubli. I problemi fin qui prospettati sono stati affrontati dal 1991 al 1995 nell'ambito del programma statale per lo sviluppo dell'economia e della cultura dei piccoli popoli del Nord. Questo programma è stato confermato con ordinanza del consiglio dei ministri della Federazione Russa dell'11 marzo 1991, n.145. Sono state emanate la Costituzione della Russia ed una serie di importanti leggi e decreti e sono stati varati altri programmi di importanza federale e regionale ("I bambini del Nord", "La tecnica del Nord" ed altri). Tutte queste misure hanno avuto un effetto positivo, ma non riuscivano a neutralizzare completamente il generale peggioramento della situazione dei piccoli popoli. Siccome i mezzi assegnati dal bilancio federale non sono stati pagati completamente, molte delle misure previste non potevano essere realizzate. Secondo il programma statale tra il 1991 ed il 1995 sono state realizzati 405.530 metri quadrati per case di abitazione, 302 posti letto in ospedali, 1690 posti di studio scolastici, 6 stabilimenti per la lavorazione di carne e pesce, 7 stabilimenti per la lavorazione delle pelli e la cucitura delle pellicce. Tali dati corrispondono rispettivamente al 20,9% – 12,6% – 8,8% – 13,6% - 8,2% delle opere progettate dallo Stato.

In base al decreto del governo della Federazione Russa del 28 febbraio 1996, n.295, venne effettuata un'analisi dell'attuazione del programma statale n.145 che ha messo in luce rilevanti ritardi. Le ragioni sono da ricercarsi nel calo annuo dei fondi di investimento e nel ritardo del trasferimento dei finanziamenti da parte del ministero delle finanze. In conformità al fabbisogno medio annuo, fissato in 1,28 miliardi di rubli (decreto 845, a prezzi dell'anno 1984) sarebbero occorsi (a prezzi del 1991) 2,4 miliardi, nel 1992 42,8 miliardi, nel 1993 492,66 miliardi, nel 1994 2611.10 miliardi e nel 1995 6632,20 miliardi per questo programma.

Dei mezzi richiesti vennero effettivamente trasferiti nel 1991 il 31,4%, nel 1992 il 16,5%, nel 1993 il 4,4%, nel 1994 il 5,9% e nel 1995 il 2,2%. Ma anche per i progetti di investimento approvati il finanziamento dei programmi non è avvenuto per intero. Nel 1993 vennero trasferiti il 71,8%, dei mezzi previsti, nel 1994 l'83,1%, nel 1995 il 62,2%. Il debito creditizio per il 1993 ammonta a 31,5 miliardi di rubli. E' interrotto il finanziamento del programma statale per lo sviluppo dell'assistenza sanitaria, dell'educazione, della cultura, non essendo stati previsti, nel 1994 e nel 1995, stanziamenti per questi scopi. I nuovi sviluppi politici e socio-economici (lo sfascio dell'Unione sovietica, il passaggio all'economia di mercato, l'orientamento sui valori umani generali, l'osservanza di norme internazionali) impongono ora nuovi approcci ai problemi dei piccoli popoli.

7. La situazione ecologica nelle zone di abitazione dei popoli indigeni [ top ]

L'economia del Nord della Russia negli ultimi trent'anni ha subito enormi cambiamenti. Proprio in questo periodo i giacimenti di petrolio e gas nella Jamalia e nella Siberia occidentale venivano sfruttati senza alcun riguardo, i minerali del nichel venivano sfruttati nel Taimyr, i fosfati e i fosfati nella penisola Kola, il carbon fossile e i metalli non ferrosi nella Ciukcia. Lo sviluppo industriale del Nord sin dall'inizio era in netto contrasto con il modo di vita tradizionale della popolazione indigena. Purtroppo nella politica statale di sfruttamento e sviluppo si è poco pensato alla garanzia della sistemazione stabile dei popoli locali, con riguardo alle forme tradizionali di sfruttamento dell'ambiente.

Il più delle volte i territori tribali dei popoli indigeni venivano espropriati, senza consenso e senza indennizzo, dalle società e dai complessi industriali. Le riserve petrolifere e di gas naturale nella Siberia occidentale e nella Regione Chanty-Mansijsk finora non hanno portato ricchezza, ma profonde ferite e dolori per i popoli della terra Jugorska dei Chanty e Mansi. Da sempre gli uomini di questa regione sentivano un profondo amore e rispetto verso la madre natura, custodendola come un santuario, vivendo in piena armonia con essa e prendendosi soltanto il minimo necessario per vivere.

Gli impianti di estrazione di gas metano e di petroli, sorti in breve tempo, le nuove città ed i nuovi insediamenti hanno avuto ripercussioni molto sfavorevoli sulla ambiente artico, molto delicato. Si pensi soltanto alle "dune di sabbia" nel distretto Nuovo-Urengoi. D'estate la tundra del bosco ricorda qua e là i paesaggi centro-asiatici. Attorno al noto giacimento del Samotlor stanno morendo, a causa dell'inquinamento e degli interventi nel ciclo dell'acqua, gigantesche quantità di pini cembri. Qualcosa di simile avviene sotto Surgut, Neftejugansk e nel distretto Ottobre della Regione Chanty-Mansijsk. Nel fiume Ob, fiume sacro per i Chanti, sono scomparse le zone di accoppiamento e riproduzione di preziose specie di pesci. Cala il numero degli animali da pelliccia e degli uccelli, mentre non molto tempo fa la Regione Chanty-Mansijsk era ancora una zona di straordinaria purezza ecologica.

Il kombinat di Norilsk distrugge il Taimyr. Migliaia di chilometri quadrati di fondi per l'allevamento delle renne, per la pesca e per la caccia vengono sottratti all'economia tradizionale. Nell'ultimo decennio intorno agli insediamenti dei Ciukci Krasnoarmeisk e Komsomolz si sono formati giganteschi depositi di scorie. Scompaiono dozzine di fiumi e laghi. Per tutto l'anno le falde vengono inquinate da infiltrazioni di acido muriatico provenienti dagli impianti di estrazione intorno al centro abitato di Majski. La costa dei mari artici e la tundra sono inquinati da materiale inerte e da rottami di ferro. Le condizioni sanitarie nei centri abitati della Ciukcia destano preoccupazione.

Per gli aborigeni nella Regione autonoma Nenjetz sulla costa del Mare Bianco l'impianto di un'area di prova per armi nucleari sull'arcipelago Novaja Zemlja ha cagionato immani privazioni. Reattori non più utilizzabili vengono gettati nel serbatoio vicino, navi e contenitori con detriti radioattivi vengono semplicemente sommersi. Dal 1954 al 1992 nel poligono vennero eseguite 132 esplosioni nucleari sotterranee, 87 sopra terra e 3 subacquee. Secondo quanto dicono gli esperti, la forza complessiva di tutte le esplosioni corrispondeva a 300 megatoni. Come risultato delle esplosioni nell'atmosfera, vennero osservate precipitazioni contenenti radionucleidi longevi (cesio 137, stronzio 90 e carbonio 14). Secondo informazioni del comitato sugli effetti della radiazione atomica nell'estremo Nord, la radiazione interna supera di 35 volte la quantità media. Il che significa che la popolazione che si nutre quasi esclusivamente di carne di renna e di pesce, riceve una dose di cesio 137 che supera da 100 a 1000 volte la dose media individuale del resto della popolazione. Di conseguenza lo stato di salute della popolazione peggiora visibilmente e la mortalità aumenta.

La Regione autonoma Nenjetz negli ultimi dieci anni ha registrato un aumento del 49,1% del cancro all'esofago. La frequenza del cancro ai polmoni si è triplicata. Le nascite diminuiscono, la mortalità infantile è aumentata. La percentuale degli uomini ammalati e morti da tumori maligni tra il 1965 ed il 1991 è salita dal 46,4 al 75%. I distretti siti lunga la costa del Mar Bianco sono particolarmente colpiti da malattie oncologiche ai vasi cardiaci ed urogenitali. Negli ultimi 30 anni il numero dei tumori maligni nella Regione Nenjetz si è moltiplicato per 7 volte (dal 2,2 per mille nel 1961 al 30,7 nel 1989). Nell'ultimo decennio si sono anche verificati più di frequente gli handicap congeniti (13,9 per mille nel 1969 e 30,7 per mille nel 1989). Tali handicap risultano essere la causa principale delle malattie infantili. Tutti i composti chimici (anche entro le concentrazioni esistenti, ancora ammissibili) che si compongono in processi di ossidoriduzione (composti organici di carbonio, fluoro, cloro) agiscono sfavorevolmente sull'organismo umano.

A tale riguardo devono essere elaborati valori-limite regionali delle concentrazioni di inquinanti ancora ammesse per l'Artide. Devono essere esaminate questioni di protezione sociale della popolazione con riguardo all'indennizzo per danni alla salute derivanti da diverse produzioni ecologicamente dannose. Più di ogni altra cosa preoccupa gli aborigeni il fatto di non potersi sentire padroni di casa nella terra natia. I popoli indigeni pongono sempre la stessa domanda: dove pascolare le renne, dove cacciare gli animali selvatici, dove pescare, dove raccogliere bacche e funghi, da dove prendere il suolo? Dove dobbiamo vivere? Nelle imprese che estraggono il petrolio e il gas naturale lavorano soltanto immigrati ai quali la cultura locale non è familiare. Va da sé che in questo modo sono sorti molti problemi sociali, tanto più che la popolazione indigena non ha ricevuto alcun indennizzo per i danni subiti. Anzi, a questa popolazione venne proposto di abbandonare la vita nomade. Dal che sono risultati molti fenomeni negativi: il degrado della personalità, la sensazione di venir espulsi dalla propria terra natia.

8. La situazione legale degli indigeni [ top ]

L'industrializzazione dei territori abitati tradizionalmente da questi popoli è stata attuata senza riguardo alle conseguenze ecologiche, economiche e sociali, alle opinioni, ai diritti ed agli interessi legittimi. In seguito alla lesione dello spazio vitale naturale di questi popoli le aree idonee all'esercizio di attività economiche tradizionali si sono diradate. Nel corso degli ultimi decenni lo Stato ha rivolto poca attenzione ai piccoli popoli. Di conseguenza la loro cultura ed il loro modo di vita sono degenerati. Fino ad oggi non esistono garanzie giuridiche che riconoscano a questi popoli la libertà di esprimere la propria volontà su questioni giuridiche. Essi non sono rappresentati negli organi del potere statale ed in quelli dell'amministrazione autonoma locale. Tutto ciò esige innanzitutto la costituzione di un proprio status giuridico di questi popoli.

La legislazione deve fondarsi sugli accordi internazionali esistenti. Di questi accordi, determinanti lo status giuridico dei popoli indigeni, fa parte innanzitutto la convenzione ILO n.107 del 26 giugno 1957 ("Sulla protezione ed integrazione della popolazione indigena e di altra specie che in paesi indipendenti segue un modo di vita tribale o semitribale") e n.179 del 26 giugno 1989 ("Sui popoli indigeni e sui popoli che in paesi indipendenti conducono un modo di vita tribale"). Per prevenire discriminazioni e proteggere minoranze nell'ambito delle Nazioni Unite è stato elaborato dalla sottocommissione un progetto sui diritti dei popoli indigeni. La legge federale è ancora da elaborare (secondo l'art.69 della Costituzione della Federazione Russa); questo sistema dovrà essere imperniato sulle "Fondamenta dello stato giuridico dei piccoli popoli indigeni della Russia". Questa legge dovrà creare il fondamento per la successiva legislazione della Federazione e dei soggetti della Federazione concernente questi popoli. Questi problemi sono stati considerati parzialmente nelle seguenti leggi federali:

I diritti collettivi di questi popoli devono essere giuridicamente garantiti. Contemporaneamente questi piccoli popoli hanno bisogno dell'aiuto e dell'appoggio da parte di organi federali del potere statale, dei soggetti della Federazione Russa ed anche degli organi dell'amministrazione autonoma locale. E' dovere degli organi statali elaborare speciali programmi federali e regionali che promuovano l'avvio e lo sviluppo dei piccoli popoli e concedere loro il necessario aiuto finanziario e di altra specie. Devono essere identificate le fonti dei diritti di questi popoli. I piccoli popoli della Russia secondo la Costituzione godono degli stessi diritti di tutti gli altri popoli della Federazione Russa; questi diritti sono stati stabiliti in atti internazionali ratificati dalla Federazione. E' indispensabile un elenco di tutti i diritti sociali, politici ed economici di questi popoli nonché dei diritti nell'ambito culturale e nei confronti degli organi della giustizia. Nel territorio di abitazione dei piccoli popoli deve essere costituito un sistema di amministrazione autonoma locale, il quale, nell'ambito dei suoi poteri, decide autonomamente le questioni di importanza locale, quali il modo di vita, la lingua, gli usi, le tradizioni e le forme di realizzazione dei diritti dell'autoamministrazione locale (referendum, elezioni, assemblee, comuni, associazioni pubbliche ecc.)

Le misure legislative devono tener conto dei punti di vista dei piccoli popoli o delle loro associazioni. Ciò riguarda soprattutto i diritti e gli interessi legittimi di questi popoli; lo svolgimento di referendum, la creazione di consigli di rappresentanti presso il governo della repubblica, dell'amministrazione di un territorio, di una provincia, di una regione, di un distretto, di una città, di un quartiere di una città e presso un'amministrazione rurale. E' necessario determinare un meccanismo di realizzazione del diritto al possesso ed all'uso del territorio e delle altre risorse naturali e creare la possibilità di trasferire nella proprietà comune terreni di proprietà statale o comunale. E' dovere degli organi statali e dell'autoamministrazione locale assicurare le necessarie condizioni-quadro per lo sviluppo dell'economia tradizionale. Per la conservazione dell'ambiente naturale e lo sviluppo dei settori economici tradizionali dei piccoli popoli è prevista la formazione di territori di sfruttamento tradizionale della natura. Questi territori non possono essere espropriati o sfruttati a scopi industriali senza l'assenso dei piccoli popoli. Le imprese e le organizzazione su questi territori possono funzionare soltanto in conformità ai programmi statali di sfruttamento dell'ambiente naturale. Deve sempre essere acquisita preventivamente una perizia ecologica ed etnologica. Garanzie giuridiche per i diritti di questi piccoli popoli sono elementari per la loro sopravvivenza.

9. I problemi di sopravvivenza dei piccoli popoli – L'aspetto politico [ top ]

Il decennio dei popoli indigeni ha iniziato nel 1995. Il loro status viene disciplinato da una serie di documenti emanati sul piano internazionale, russo e locale (più di 170). La situazione peculiare dei piccoli popoli esige la creazione di diritti complementari che creano i presupposti per la loro effettiva parità con altre nazioni e gruppi etnici. Occorre la protezione effettiva dello spazio vitale originario e del modo di vita tradizionale mediante sforzi comuni degli organi amministrativi federali, delle repubbliche, dei territori, delle province e delle regioni autonome nonché delle amministrazione locali. Per strappare le regioni in cui sono insediati i piccoli popoli dalla crisi e per creare i presupposti per lo sviluppo costante dell'economia di questi popoli occorre un aiuto massiccio da parte del bilancio federale.

Gli aborigeni degli Stati Uniti, del Canada e di altri paesi godono, in condizioni simili, dell'aiuto statale. Questo aiuto è finalizzato alla garanzia dello sviluppo costante dei piccoli popoli viventi nelle loro sedi avite. Il ripristino e l'utilizzo razionale delle risorse naturali del Nord devono contribuire all'occupazione degli aborigeni, il lavoro deve far riferimento soprattutto alla conservazione ed allo sviluppo dei settori economici tradizionali. La soluzione dei compiti posti è strettamente connessa con l'assistenza medica e sanitario-epidemiologica degli aborigeni. Causa le distanze estreme tra i singoli insediamenti, le cattive comunicazioni ed i bassi redditi, questo problema può essere risolto soltanto con misure che si distinguono da quelle applicate nei distretti centrali della Russia. Devono essere creati gruppi mobili di assistenza medica disposti non soltanto ad aiutare in casi di necessità, ma ad eseguire una profilassi regolare. E' molto attuale anche la soluzione del problema delle comunicazioni per i piccoli popoli aborigeni del Nord, tanto più in condizioni di economia di mercato. Qui non si può fare a meno dell'aiuto del bilancio federale per l'acquisto dei mezzi di trasporto e la dotazione delle imprese di trasporto del Nord.

Uno sviluppo ulteriore presuppone la rinascita culturale, la conservazione dei costumi e del modo di vita ancestrale e la cessazione dell'assimilazione. E' in gioco la sopravvivenza di molti popoli i quali non sono più in grado di ripristinare l'economia tradizionale senza l'appoggio statale, senza aiuto dall'esterno. La prospettiva dello sviluppo duraturo dei piccoli popoli indigeni è stato esaminata in una serie di conferenze internazionali e riconosciuta come fondamentalmente necessaria. Il contenuto concreto di questa prospettiva considera le condizioni naturali, climatiche di ciascun popolo nel suo spazio vitale. Esso promuove la conservazione dei diritti e delle libertà dei cittadini di ciascuna nazionalità, stabiliti in documenti fondamentali internazionali: Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948, Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (approvato dall'assemblea generale il 16 dicembre 1966 e ratificato dalla presidenza del soviet supremo dell'Unione sovietica il 18 dicembre 1973), il documento della conferenza di Copenaghen sulla dimensione umana della CSCE (approvato il 29 giugno 1990 da 35 Stati partecipanti), la convenzione n.107 sulla protezione ed integrazione della popolazione indigena (approvata dalla conferenza generale dell'Organizzazione internazionale del Lavoro il 26 giugno 1957), la convenzione n.169 sui popoli indigeni e sui popoli che conducono un modo di vita tribale in paesi indipendenti (approvata dalla conferenza generale dell'OIL il 26 giugno 1989).

Il problema più importante consiste nell'adempimento delle legittime rivendicazioni dei popoli indigeni rispetto agli spazi originari di vita ed attività economica e nella creazione di una base economica per la loro esistenza ed il loro sviluppo. Il diritto ad uno spazio vitale è uno dei diritti prioritari, ma la rivendicazione di questo diritto solleva accese discussioni e non di rado resistenze attive. La Russia non fa eccezione a questo riguardo. Si potrebbe pensare che ciò derivi dall'ignoranza del modo di vita indigeno, ma il motivo principale pare che sia rsi nel fatto che i territori degli aborigeni sono ricchi di petrolio, di gas naturale e di altre ricchezze del suolo. Al diritto degli aborigeni al loro spazio vitale si contrappone la posizione dei governi che temono di perdere il controllo di questi territori e delle relative risorse naturali. Non vogliono quindi tener conto della posizione di questi popoli e tenerli sotto il proprio controllo. Esiste il pericolo di far sorgere uno strato sociale privilegiato con diritti speciali, il quale a sua volta deve essere protetto contro altri gruppi (non indigeni) spesso altrettanto bisognosi. Contemporaneamente questo problema fondamentale costituisce il problema chiave per i popoli indigeni, perché la terra è per loro il fondamento materiale e spirituale della loro esistenza. Senza di essa gli aborigeni sono consacrati allo sterminio fisico o per lo meno culturale.

Non si deve dimenticare che i popoli indigeni erano i primi ad insediarsi nelle loro attuali sedi. Privarli della possibilità di vivere e svolgere un'attività economica su questi fondi, specialmente se ciò avviene non volontariamente e senza procedure giuridiche, non è lecito per uno Stato che pretende di essere democratico e di essere uno Stato di diritto. Il diritto degli aborigeni alla loro terra si rivela quale fondamento che dà vita al sistema del loro status di diritto pubblico. Con questo diritto è collegato il diritto di autonomia e di partecipazione al godimento delle ricchezze del suolo. In questo modo vengono creati i presupposti per il consolidamento del popolo, per il migliore sviluppo della lingua, della cultura e per la soluzione di questioni sociali. Il tramonto di questi popoli è spesso collegato con la mancanza dei loro diritti allo spazio vitale e ad altre risorse.

Con la privatizzazione e col conseguimento di terreni mediante contratti d'affitto, la questione della proprietà fondiaria acquista oggi un'importanza speciale per i popoli indigeni. Senza garanzie giuridiche gli indigeni possono essere esclusi dalla possibilità di sfruttamento delle risorse naturali. Ogni tanto parti di terreno vengono cedute, senza il consenso della popolazione aborigene, a persone e ditte straniere che non hanno nulla da fare con l'economia tradizionale. Nella Russia non esiste per ora una precisa idea né per quanto riguarda l'utilizzo tradizionale della natura, né per quanto riguarda una suddivisione secondo criteri ecologici ed etnologici del territorio del Nord. Non è determinata l'estensione geografica delle forme speciali dell'economia. Finora non esiste nessun inventario delle risorse biologiche e naturali dell'Artide. Il compito consiste nel conservare la cultura ed i valori dei popoli indigeni nelle condizioni della società dell'Artide che sta cambiando. A questi popoli deve essere assicurata la possibilità di partecipare a pari diritto all'economia ed alla vita della società e di proteggere e conservare la natura, l'ambiente e la riproduzione biologica dell'Artide.

Nell'aprire il Nord allo sfruttamento economico, lo Stato ha commesso gravi errori: negli anni 50 e 60 prevaleva, in questi territori, "l'interesse delle autorità", cosicché l'esperienza della popolazione indigena nell'ambito dell'utilizzo tradizionale della natura non ha potuto farsi valere. Tanto l'organizzazione governativa e statale quanto le amministrazioni industriali e le imprese devono riconoscere il valore dell'esperienza tradizionale degli aborigeni e delle loro cognizioni in ordine alla conservazione dell'ambiente, accumulatesi nel corso dei secoli. Apprezziamo il lavoro coscienzioso di indagine scientifica, che aiuta tutti a capire meglio i segreti dell'Artide. Ma gli abitanti dei distretti relativi chiedono ovviamente che venga sentita anche la loro opinione e che verso le loro esperienze e cognizioni si abbia il rispetto dovuto. Questi popoli possiedono una grande conoscenza del sistema ecologico dell'Artide, del ghiaccio e della neve, delle correnti oceaniche, del comportamento degli animali , dei pesci ecc. I rappresentanti delle imprese industriali, delle amministrazioni e degli organi dell'autonomia locale cercano però di convincerci che loro sanno tutto e che delle cognizioni tradizionali dei popoli indigeni attualmente non ha bisogno quasi nessuno.

Un tale comportamento non è solo offensivo, ma anche sbagliato. Le cognizioni dei popoli indigeni sull'ambiente e sulla natura selvatica sono il risultato di osservazioni immediate avvenute nel corso di molte generazioni. Le cognizioni tradizionali sono importanti sia per gli stessi popoli indigeni nella loro vita quotidiana, sia per comprendere i processi connessi con l'utilizzo delle risorse naturali dell'Artide. Esiste la possibilità di creare un'unica banca-dati delle cognizioni tradizionali dei popoli indigeni del Nord. Contemporaneamente esiste la necessità di limitare quei tipi di produzione che fanno peggiorare la situazione ecologica dell'Artide. Lo Stato deve contenere entro limiti ragionevoli il rischio di possibili conseguenze negative. Al processo di elaborazione di misure restrittive deve partecipare anche la popolazione indigena locale. Ciò non è altro che giusto perché in caso di errori essa ne soffre più di tutti.

Un altro problema importante è quello dell'informazione sistematica dei popoli indigeni sullo stato della situazione ecologica nel loro spazio vitale e specialmente nell'ambiente artico. In fondo i popoli indigeni vengono a sapere qualche cosa sull'effettivo stato ecologico del loro spazio vitale soltanto quando i loro rappresentanti partecipano a conferenze, simposi o dibattiti internazionali. Sul luogo la gente spesso non sa nulla sullo stato dell'inquinamento del proprio spazio vitale. Un ulteriore problema consiste nella rivendicazione di una giusta parte dell'utile economico derivante dalle risorse naturali nel loro originario spazio vitale. Attualmente in Russia i funzionari statali si sforzano a coprire il problema col silenzio, e si sottraggono in qualsiasi maniera alla soluzione di questo problema. Le organizzazioni dei rappresentanti dei popoli indigeni insistono sulla elaborazione di un corrispondente ordinamento per il pagamento di indennizzi per i danni ai loro terreni di abitazione e di sfruttamento economico.
L'assemblea dei deputati dei piccoli popoli di fronte alla situazione critica creatasi ritiene necessario trovare, tramite trattative tra il governo della Russia ed i piccoli popoli indigeni del Nord, rappresentati dalle loro organizzazioni societarie, un approccio accettabile per entrambe le parti per la soluzione dei seguenti problemi:

Finché non è troppo tardi, finché le speranze dei popoli sono ancora vive, ci appelliamo al presidente della Russia, al presidente del Governo, ai presidenti del consiglio della Federazione e della Duma, di esaminare accuratamente le richieste dei popoli indigeni e di non permettere la loro completa scomparsa. Ci rivolgiamo ai partiti, ai movimenti ed alla generalità della Russia, a tutti gli uomini di buona volontà cui sono cari la vita ed i diritti di ciascun popolo, di appoggiare l'aspirazione dei popoli, numericamente piccoli, del settentrione della Russia all'autoconservazione.

In questo tempo difficile per i popoli indigeni volgiamo lo sguardo alla comunità internazionale ed invochiamo l'assemblea generale e la commissione sui diritti umani delle Nazioni Unite, i Governi ed i Parlamenti, le organizzazioni e gli istituti statali e non statali e tutti i cittadini onesti e probi che hanno contatti sociali e di altra specie con i supremi organi di potere della Federazione Russa, perché si adoperino per la conservazione dei popoli indigeni viventi nelle condizioni climatiche estreme dell'Artide. Testo approvato il 4 dicembre 1997 dalla Presidenza dell'Assemblea dei Deputati dei piccoli popoli del Nord, della Siberia e dell'estremo oriente della Federazione Russa.

Florian Stammler - Da dove viene il nostro gas: Hanti e Nenci - Siberia Occidentale [ top ]

Il cielo è immerso in una luce arancione, come un tramonto. Atmosfera romantica, ma ingannevole: nel piccolo insediamento di Trom-Agan, Siberia occidentale, é mezzanotte e la temperatura é di 20 gradi sotto zero. Bagliori si agitano irrequieti nel cielo: non si tratta di un tramonto, e nemmeno di un'aurora boreale. Il villaggio è circondato da quattro depositi di petrolio. 24 ore su 24, 365 giorni l'anno si alzano verso il cielo i gas in fiamme che accompagnano l'estrazione del petrolio. In estate gli incendi boschivi si moltiplicano, e migliaia d'uccelli muoiono tra le fiamme. Un volo notturno su Surgut, capitale del petrolio nella Siberia occidentale, mostra che Trom Agan non è un caso isolato: innumerevoli punti arancione, sparsi a perdita d'occhio, sono l'impronta notturna che l'industrializzazione ha lasciato nella tundra artica e nella taiga subartica.

Il cuore dell'industria estrattiva russa si trova nel Territorio di Tjumen, Siberia Occidentale. Colà, nel territorio autonomo degli Hanti e dei Mansi, sono state estratte nel 1997 162 milioni di tonnellate di petrolio. Poco più a nord, nella penisola di Jamal, territorio dei Nenci, sono stati estratti 534.9 miliardi di metri cubi di gas. I dati economici di queste zone sono tra i migliori di tutta la Russia: nonostante il calo dei prezzi del greggio, Gas e petrolio qui estratti contribuiscono per il 40% alla bilancia commerciale russa. Da quando l'industria è arrivata in queste zone le popolazioni indigene dei Nenci, Mansi e Hanti devono lottare duramente per sopravvivere. Sin dall'inizio dell'attività estrattiva, durante gli anni 60, centinaia di migliaia di lavoratori sono emigrati in queste zone, attirati da una serie di privilegi materiali che dovevano servire a rendere più attraente la vita nei selvaggi territori della Siberia. Così la percentuale di popolazione rappresentata dagli indigeni è calata all'1,4%.

E, in effetti, il clima della Tundra e della Taiga siberiana mette a dura prova sia uomini che animali. Il terreno è coperto dalla neve per nove mesi l'anno. Durante la breve estate si sgela solo lo strato superiore del terreno, che si trasforma su entrambe le rive dell'Ob in una palude difficilmente attraversabile. Hanti e Nenci si sono adattati a questo ambiente con il loro stile tradizionale di vita: praticano la pesca, caccia e allevamento di renne. Per non esaurire i pascoli durante l'anno cambiano più volte le zone di pastura, perché, durante la breve estate, le piante crescono troppo poco per poter garantire un pascolo annuale. Le zone di caccia, di pesca o di pascolo nella Taiga sono divise tra i diversi clan secondo regole ancestrali, in modo che ognuno utilizzi solo determinate. Un'importanza particolare hanno i luoghi sacri, dove vivono divinità delle acque o dei boschi, oppure gli spiriti degli antenati.

Abituati ad un tale legame tra uomo e terra, é doloroso per gli Hanti vedere la loro terra perforata, il sottosuolo scosso da esplosioni, enormi quantità di petrolio giacere nei depositi, pompare acqua nei giacimenti per elevare la pressione del petrolio in uscita. Già molti fiumi, laghi, piccoli corsi d'acqua sono biologicamente morti. I pescatori devono spostarsi verso i corsi superiori degli affluenti minori. Ma anche lì vengono superati abbondantemente i limiti di legge per l'inquinamento. A causa dell'industrializzazione e della massiccia immigrazione, le renne selvatiche sono quasi scomparse dal territorio degli Hanti e Mansi. Il governo ha dovuto ammettere che la caccia ha perso qualsiasi importanza come risorsa tradizionale dell'economia indigena. Ciononostante impedisce l'istituzione di una riserva UNESCO in un area sulle rive del fiume Jugan - uno degli ultimi rifugi per il bestiame selvatico - dove 900 Hanti sono riusciti fino ad oggi a mantenere il loro modo di vita tradizionale.

Anche il settore dell'allevamento delle renne è gravemente compromesso dall'industrializzazione. L'apertura di campi petroliferi ingoia annualmente da 20 a 30 mila ettari. A questo si somma il sempre maggiore inquinamento da petrolio: nel 1996, solo a causa del cattivo stato degli oleodotti, sono affluite nell'ambiente 7,5 milioni di tonnellate di petrolio, il 5% della produzione totale. Il disastro ambientale è aumentato dai non meno dannosi fanghi che sono prodotto di scarto dell'estrazione. Le Aziende estrattive devono pagare un rimborso per ogni danno registrato, ma la distruzione ambientale supera di otto volte i pagamenti, anche se il risanamento ambientale è prescritto per legge. Quando, verso la fine degli anni 80, le tribù indigene, assieme ai movimenti ecologisti, riuscirono a bloccare grandi progetti industriali, nacque una grande speranza. Tra il 1990 e il 1993 vennero attuate alcune importanti legge nel territorio degli Hanti e dei Mansi, cosicché oggi 454 famiglie sono registrati come “famiglie tribali”. Per costoro l'usufrutto del territorio (non la proprietà) viene ereditato gratuitamente. I diritti sulle risorse minerarie restano sotto responsabilità statale.

Hanti e Mansi tradizionalisti cercano, in condizioni molto difficili, di reinsediarsi della Taiga, acquistando renne e ritornando negli insediamenti degli antenati. Acuni fondano cooperative economiche nei settori tradizionali dell'economia, che ottengono una certo grado di autonomia. Lo scopo di tutti questi tentativi è di far rivivere le tradizioni degli antenati. A questo fine è essenziale trovare un compromesso con le industrie estrattive. Lo Stato Russo sta cercando di privatizzare l'industri petrolifera. Per mantenere attiva la più importante voce dell'esportazione sono necessari investimenti miliardari. E spesso, per le multinazionali occidentali, è più conveniente aprire nuovi campi petroliferi con grandi riserve, che rinnovare quelli vecchi. Lo stato quindi apre allo sfruttamento sempre nuovi giacimenti che si trovano nei territori indigeni.

Per evitare conflitti, vengono stipulati le cosiddette “Convenzioni” tra popolazioni indigene e industrie petrolifere. Le disposizioni in campo ecologico ed economico, comunque insufficienti, spesso non vengono rispettate. E questo comporta un ulteriore irrigidimento delle posizioni. Nel marzo 1998, nel capoluogo distrettuale di Chanty-Mansijsk, si è svolta una conferenza attorno ai rapporti tra popolazioni indigene e industrie, durante la quale ci vennero fissati dei punti irrinunciabili per le future convenzioni:

Queste richieste non sono nuove. Nuovo è che esse vengano fatte proprie da una conferenza alla quale partecipavano industrie petrolifere e governo. Si tratta purtroppo di semplici raccomandazioni, cosicché sono i rappresentanti indigeni nei parlamenti locali a doverle portare avanti. Nel passato non hanno avuto molto successo, il che dipende da una carente attività di lobby oltre al fatto che i rappresentanti indigeni stesso sono ora lontani dal modo di vita tradizionale nella Taiga. Gli indigeni si stanno chiedendo ora quanto si possano sentire rappresentati dai propri deputati nei parlamenti locali.

Non vi erano rappresentanti di imprese occidentali in questa conferenza: In caso di problemi legali ed ecologici esse preferiscono scaricare la responsabilità sui loro partner russi; ma una gran parte del metano consumato in Italia proviene da questo territorio. Con il nostro comportamento anche noi abbiamo un'influenza su catastrofi ecologiche o violazioni dei diritti umani. La prossima volta che faremo una doccia calda, pensiamo che ci sono persone che vivono su uno delle più grandi riserve di acqua potabile del mondo, interamente ricoperta da uno strato di olio, e i cui animali annegano nei fanghi di scarto dell'estrazione del petrolio.

Florian Stammler è docente di Etnologia a Colonia e ha svolto due viaggi nei territori degli Hanti, Mansi e Nenci.

Larissa Vyntyna - I Ciukci [ top ]

Forse per qualcuno il nome "Ciukci" non significa nulla. Prendiamo una carta dell'Asia, e vedremo all'estremità nordorientale una frastagliata penisola più o meno triangolare che si staglia tra il Pacifico e il Mare Artico. E' questa la penisola dei Ciukci. Lo stretto di Bering la separa dall'Alaska. Unite fino a 30.000 anni fa sono state separate dalla deriva dei continenti, ma sembrano tuttora due sorelle che si tendono la mano. In questa terra aspra è stata istituita un'unita amministrativa della Russia, il cui nome è: "Regione autonoma dei Ciukci"

1. La "Regione autonoma dei Ciukci" [ top ]

La Regione autonoma dei Ciukci esiste ufficialmente dal 10.12.1930. Dapprima faceva parte della regione di Chabarowsk, in seguito del territorio della Kamciatka e quindi di quello di Magadan. Nel 1992 essa è diventata membro autonomo della repubblica federativa russa. Copre una superficie di 737.000 kmq, che comprende 8 circoscrizioni, 3 città, 18 insediamenti urbani, 50 villaggi e altri insediamenti minori. Centro Amministrativo è la città di Anadyr. Gli organi principali sono la Duma (assemblea) regionale e la giunta regionale, cui capo è posto un governatore. Il presidente della Duma e il governatore fanno parte di diritto della camera alta del parlamento federale russo.

Ciascuna circoscrizione rappresenta un'unità amministrativa paragonabile ad un comune. Le elezioni degli organi rappresentativi e del governatore sono universali e dirette. Gli indigeni, nella Duma dei Ciukci, sono meno del 2%. Tutti gli uffici e i principali posti di responsabilità sono occupati da rappresentanti non indigeni. Non sono previste forme di autogoverno della popolazione indigena. Gli indigeni sono rappresentati nell'Unione dei piccoli Popoli del Nord, della Siberia e dell'estremo Oriente (RAIPON), creata dalle autorità federali russe nel 1990. Negli ultimi anni è stata inoltre istituita una sezione per i Ciukci presso la Conferenza Circumpolare degli Inuit (ICC).

2. Composizione e distribuzione della popolazione [ top ]

La penisola dei Ciukci contava nel 1993 circa 124.000 abitanti, ridottisi ora a ca. 90.000; questo a causa di una forte emigrazione da parte degli abitanti non indigeni delle zone centrali. La popolazione non ciucka consiste principalmente di russi ed ucraini. Nella Regione dei Ciukci, oltre ai Ciukci (11.000) vivono anche Eschimesi (1.500), Eveni (1.200) Ciuvachi (400) Jukagiri (120) Coriacchi (30) e Cherecchi. I Ciukci vivono sull'intero territorio della regione, gli Eschimesi occupano il Nord/Est, gli Eveni il Sud/Ovest, mentre Ciuvachi, Cioracchi, Cherechi e Jucagiri occupano il centro. Tutte queste tribù fanno parte dell'Unione dei piccoli Popoli del Nord, della Siberia e dell'estremo Oriente (RAIPON). In tutto 30 popoli, per un totale di ca. 150.000 persone, si riconoscono in questa organizzazione.

3. Insediamento, trasporti e comunicazioni [ top ]

La maggior parte della popolazione indigena vive in villaggi o altri insediamenti minori. Una parte dei Ciukci risiede solo formalmente in questi insediamenti, in quanto non possiede abitazione fissa e vive nella tundra. Molti hanno abitudini nomadi. La distanza che può esistere tra questi nomadi e i villaggi cui essi fanno capo arriva fino a 400 km. Non esistono vie di comunicazione praticabili per tutto l'anno. I trasporti avvengono durante l'estate per via aerea (elicotteri o aeroplani), per via terra, con mezzi fuoristrada, e per via fluviale. In inverno vengono approntate piste invernali, sfruttando anche i fiumi ghiacciati. Nella penisola dei Ciukci gli approvvigionamenti sono molto difficili, per via di una rete di comunicazioni insufficiente e delle condizioni climatiche estreme. Anche i collegamenti via radio sono embrionali. Il collegamento tra i nomadi e i villaggi, che negli anni scorsi era garantita soprattutto da radio portatili, è molto peggiorato negli ultimi tempi, perché viene trascurata la manutenzione delle attrezzature e mancano i soldi per l'acquisto dei pezzi di ricambio.

4. Economia: allevamento di renne e pesca [ top ]

I settori principali dell'economia della popolazione indigena sono l'allevamento delle renne, la caccia e la pesca, in mare e in acqua dolce. La fonte più sicura di introiti è l'allevamento di grandi greggi di renne. Si tratta di un'attività economica particolare, che può sopravvivere solo mantenendo lo stile di vita tradizionale. I pastori di renne vivono come nomadi per la maggior parte dell'anno, spostandosi alla ricerca di nuovi pascoli. Interrompono le loro migrazioni solo quando la stagione, o la qualità del pascolo, oppure altri motivi lo rendono necessario. Nel corso dell'anno le mandrie di renne si separano e si riuniscono alcune volte. In questi periodi anche gli uomini si separano, e ogni gruppo segue un percorso differente. Nel passato anche donne vecchi e bambini si separavano dagli uomini che seguivano le mandrie e costruivano un accampamento estivo. Generalmente si cercava un luogo di sosta nelle vicinanze di un fiume pescoso dove ci fossero alberi o cespugli (per il rifornimento di legna).

Donne e bambini conciavano le pelli, cucivano vestiti, essiccavano pesci e preparavano le scorte di radici, mentre gli anziani costruivano slitte da renne o finimenti per i cavalli. Erano i preparativi per l'inverno. Nel frattempo gli adulti e gli adolescenti seguivano le mandrie, le pascolavano con speciali metodi appresi dagli antenati, cercando di ingrassare le renne il più possibile. Per fare questo era necessario possedere un'ottima conoscenza del territorio, delle erbe, delle tecniche di selezione delle renne, oltre che del loro comportamento. La renna è un'animale semiselvatico, pauroso e molto veloce, il che rende il lavoro del pastore molto difficile. E' necessario percorrere molti chilometri, superare fiumi, paludi, nevai e piccoli vulcani. In inverno si possono usare traini da renna o sci. In estate è tutto molto più faticoso soprattutto per via di zanzare e tafani, e dei funghi, di cui le renne sono ghiottissime. Un altro pericolo sono le renne selvatiche. Sono più grosse e più forti, e, vedendole, le renne semidomestiche riscoprono il loro passato non lontano e fuggono assieme a loro. E' quasi impossibile trattenerle, e il pastore, per qualche tempo, può restare senza gregge. In questi casi le uniche cose che possono essere d'aiuto sono una buona conoscenza delle abitudini delle renne e un gruppo di sentinelle disposte attorno alla mandria. Una vista acuta ed un udito fine sono indispensabili per i pastori. Numerosi predatori (Orsi, lupi, ghiottoni) sono in agguato lungo il cammino. Una volta i cacciatori non si opponevano con le armi agli animali selvatici, ma cercavano di convincerli ad allontanarsi: nei casi estremi gli gettavano addosso serpi, oppure provavano a fargli il solletico. Funzionava.

In autunno, i gruppi dispersi di renne si riuniscono e ritornano sulle piste invernali, dove in Agosto- settembre hanno luogo gli accoppiamenti. I vitelli nascono in primavera, ed in questo periodo si incontrano gli allevatori di diversi gruppi, si aiutano nel separare le madri dal resto della mandria, e festeggiano la nascita dei primi vitelli. E' il periodo più allegro e luminoso dell'anno. L'allevamento delle renne garantiva agli uomini nutrimento, vestiti, scarpe e casa. Per la cultura materiale degli indigeni allevatori, le renne significavano moltissimo, anche se non tutto.

Non era meno interessante la pesca marittima. Lungo quasi tutta la costa veniva praticata la caccia a balene, trichechi e foche, cacciati con arpioni ricavati dai denti dei trichechi. Alcuni di essi avevano le estremità girevoli, ed erano capolavori di capacità tecnica per il loro tempo. Si cacciava durante tutto l'anno, in estate in canoa, in inverno sul ghiaccio. I prodotti della caccia bastavano a soddisfare tutte le esigenze degli abitanti della costa. Essi festeggiano tuttora molte feste particolari, delle quali la più importante è la festa della balena. La vita dei pescatori è però molto cambiata negli ultimi 70/80 anni.

5. Geografia: clima, flora e fauna [ top ]

La penisola dei Ciukci è occupata in gran parte da altipiani e catene montuose. Le zone pianeggianti consistono soprattutto in tundra paludosa. I confini meridionali e occidentali sono segnati dal fiume Kolyma. Il più grande fiume della penisola, l'Anadyr, forma numerosi laghi. Naturalisticamente è molto interessante il lago Elgygytgyn, profondo 160 metri, formatosi probabilmente in seguito ad un impatto meteoritico. Sono presenti inoltre alcuni vulcani spenti. L'inverno dura otto mesi. Il clima è molto aspro: sulla costa predominano venti fortissimi, che spesso si trasformano in bufere di neve. All'interno predomina il clima continentale. In inverno la temperatura, nella regione di Bilibinsk raggiunge i - 60, mentre la media annuale si aggira attorno ai 12 gradi. La parte settentrionale della regione si trova al di là del circolo polare artico, e il permafrost è presente quasi dappertutto. La vegetazione è scarsa; nella tundra si trova muschio, licheni, erbe palustri, alberi nani; nelle valli e nel sud della regione crescono pioppi e betulle.

La fauna si è adattata all'asprezza della natura. Nella Penisola vivono soprattutto renne, alci, capre delle nevi, orsi bruni e bianchi, lupi artici, ghiottoni, volpi, zibellini, aquile, pernici bianche, urogalli e, in estate, corvi, oche e anatre. La fauna acquatica è caratterizzata da trichechi, foche, balene, temoli, salmoni siberiani, Omul, e altri salmonidi. La Penisola dei Ciukci confina con l'Alaska, e, geologicamente, assieme formano la Zona di Bering. La gran parte di questa zona si trova sott'acqua, mentre fino a 12.000 anni fa un ponte di terra congiungeva le due penisole. I rispettivi ecosistemi sono molto simili. Negli ultimi anni è stata esaminata la possibilità di creare un parco internazionale dello stretto di Bering, ma la decisione in merito è tuttora in sospeso per via di momenti tesi nelle relazioni russo-americane.

6. Primi insediamenti [ top ]

Non si sa con certezza a quando risale la prima presenza umana nella penisola, ma ritrovamenti archeologici fanno ritenere che i primi abitanti siano arrivati dal continente americano attraverso la lingua di terra che univa Alaska e Siberia.

La parentela con l'Alaska, quindi, non è solo geografica ma è anche antropologica. Questo fatto è confermato da una serie di affinità tra i nativi americani e i popoli indigeni della Penisola. L'insediamento è avvenuto in condizioni climatiche estreme, nel pieno della cosiddetta "glaciazione sartanica" che ha interessato la Siberia. La vita si svolgeva prevalentemente nelle valli tra i ghiacciai, o nella tundra davanti alla calotta glaciale. Allora popolavano la penisola mandrie di Mammut, rinoceronti pelosi e buoi uri, di cui tuttora gli abitanti ritrovano i resti. Le attività principali dei primi abitanti erano caccia, raccolta e pesca. Col tempo le popolazioni dell'interno (i progenitori degli attuali Ciukci) si specializzarono nell'allevamento delle renne, mentre le popolazioni della costa (che sarebbero diventati gli Eschimesi) si dedicarono alla pesca. Queste attività economiche crearono le condizioni per il passaggio dalla comunità tribale alla famiglia patriarcale e per l'affermarsi delle diseguaglianze economiche.

7. La colonizzazione russa [ top ]

Nel XVII sec. apparvero i primi esploratori nella penisola, e posero fine all'isolamento che aveva mantenuto gli indigeni nell'età della pietra. I coloni russi riuscirono a superare la distanza tra gli Urali ed il Pacifico in soli 60 anni. La spinta alla conquista di queste nuove terre aveva molti motivi, il più importante dei quali era la ricerca di uno sbocco al mare per l'impero degli Zar. Tutti i nuovi territori furono annessi alla Russia. Questo doloroso processo costò ai popoli indigeni un alto tributo di sangue. Gli Zar, comunque, non intendevano sterminare o cacciare gli indigeni, ma "unicamente" sottometterli. A questo scopo fu introdotta la Jasak - un particolare genere di tributo - che nella Russia degli Zar ha svolto da sempre una duplice funzione. In primo luogo era un'entrata per lo Stato, dall'altra era una conferma della volontarietà della sottomissione.

Successivamente i russi si appropriarono anche dell'Alaska; solo nel 1867 essa fu venduta agli Stati Uniti. Il destino delle due gemelle era deciso per sempre: l'Alaska cadde in mano ad un popolo di pragmatici "civilizzati" e calcolatori, ricevendo da loro un corredo di pipeline, una rigida organizzazione degli indigeni e la "benedizione" della cultura occidentale, mentre gli altri furono affidati alle cure di un pazzo megalomane che si premurò di donarle il disastro economico dei Kolkos e la diffusione dell'alcoolismo. I Ciukci sono famosi per essere stato l'unico dei popoli del nord a non essersi sottomessi alla politica zarista della Jasak. Il successo della resistenza armata e gli assalti agli insediamenti dei cosacchi costrinsero i russi a rinunciare repressione violenta. John Mur, che visitò la penisola nel secolo scorso, scriveva: " I Ciukci non sono affatto dei selvaggi, ma lavoratori tranquilli e diligenti, che pensano al loro futuro e sono in grado di prevederlo, e per la loro laboriosità e intelligenza riescono a sopravvivere ad ogni vicenda, anche quando epidemie, fame e altri flagelli colpiscono loro e le loro mandrie di renne. Essi danno l'impressione di gente buona, loquace, allegra, piena di passione e, per quanto ho potuto vedere, giusta nel rapporto con gli altri, indipendentemente se questi siano civili o selvaggi".

8. Concezioni religiose [ top ]

Uno dei principi della politica degli zar nei confronti dei popoli del nord era la tolleranza rispetto alla loro vita materiale e spirituale. Una particolarità della vita spirituale degli indigeni erano le loro concezioni religiose caratterizzate da animismo e sciamanismo. I Ciukci credono che il creatore abbia creato gli uomini e gli altri esseri. Gli uomini morti con dignità (in guerra, durante la caccia, etc.) raggiungevano la sfera celeste, quelli che morivano indegnamente raggiungevano la sfera sotterranea. In questo modo una grande popolazione di spiriti abita il mondo, per aiutare o danneggiare gli uomini. Si deve essere molto attenti e sapere come essi si comportano per sopravvivere in un mondo complesso e sconosciuto, dove in ogni zolla o palo di tenda si può nascondere uno spirito che ne è il padrone. Nella vita di tutti i giorni gli uomini devono cavarsela con l'esperienza e le regole di sopravvivenza. Inoltre ci si difende da attacchi con amuleti e preghiere. Occasionalmente però si verificano casi insoliti, per esempio che uno spirito malvagio rapisca l'anima di un uomo. In questi casi è necessario l'aiuto di un guaritore, che ha il dono di mettersi in contatto con il mondo degli spiriti e lì compiere le azioni giuste per salvare l'anima rapita. Quest'uomo è lo sciamano. Essere sciamano non è un lavoro, ma una vocazione, o una malattia.

9. Oppressione e sfruttamento [ top ]

I cambiamenti più radicali nel modo di vita dei Ciukci avvennero dopo la rivoluzione d'ottobre e la presa del potere da parte dei Soviet. Ubbidienti alle proprie concezioni ideologiche, essi presero misure radicali nei confronti degli indigeni, il cui fine era di portare i popoli del nord dallo stato di natura al comunismo senza passare per gli stadi intermedi del feudalesimo e del capitalismo. Si pensava che questi popoli possedessero già elementi di vita comunitaria e che quindi fossero in grado di superare con successo questo salto. Sulle prime vi furono dei successi.

I Ciukci impararono a leggere e a scrivere, ricevettero assistenza medica, e supporto organizzativo. Presto però si videro i primi segni di fallimento, perché la dimensione, la radicalità e la velocità dei cambiamenti introdotti non era compatibile con la mentalità indigena. Vennero collettivizzate le mandrie di renne e gli attrezzi da lavoro, vennero vietati gli usi e i costumi tradizionali e la religione, i bambini furono isolati dai genitori e allevati in asili e collegi. In questo modo lo Stato Sovietico intervenne in profondità nel modo di vivere dei Ciukci. Molti "riformatori" credevano sinceramente di strappare dei "selvaggi" ad una vita primitiva, per portarli al livello della loro cultura c.d. progredita.

In questo periodo furono cambiati i confini degli insediamenti e le piste sulle quali le tribù si muovevano, i clan vennero trasformati in collettivi di produzione e aziende familiari. Ne seguì una grave crisi. Le comunità indigene e le loro forme economiche però riuscirono a sopravvivere. Durante il periodo sovietico la vita degli indigeni era programmata dalla nascita alla morte. Il controllo era esercitato da operai russi che facevano parte del Partito, dei Sindacati, delle Gioventù Comunista, che formavano la gran parte della popolazione dei villaggi (talvolta la percentuale di indigeni non raggiungeva il 10%) Il lavoratori immigrati assicuravano l'organizzazione di tutte le attività, economiche, sociali e culturali degli indigeni.

Negli anni che precedettero e seguirono la seconda guerra mondiale i sovietici si impadronirono anche delle risorse del territorio. Vennero cominciate ricerche geologiche, vennero aperte miniere, estratti oro, zinco, uranio, volframio. Fino all'inizio degli anni 50 lo sfruttamento delle risorse era compiuto soprattutto da internati dei Gulag. In seguito incominciò la costruzione di un gran numero di insediamenti industriali e il trasferimento di popolazione dalle regioni centrali dell'unione sovietica.

L'industrializzazione comportò l'appropriazione dei territori che una volta appartenevano agli indigeni, appropriazione dettata solo da motivi di profitto. I diritti degli indigeni e l'importanza dell'utilizzo tradizionale del territorio, vennero completamente dimenticati. In breve tempo vennero distrutti enormi estensioni di terra prima riservate alla caccia, alla pesca, al pascolo. I rappresentanti della "cultura sviluppata" distrussero con ogni mezzo ogni cosa vivente. Con fuoristrada ed elicotteri si dava la caccia a alci, orsi, ghiottoni, renne. I fiumi venivano imbrigliati in reti metalliche, il loro corso alterato facendo ricorso ad esplosivi. Gli indigeni vennero avvelenati con la vodka. Per gli indigeni fu un disastro. Essi erano culturalmente abituati ad assumere funghi come stupefacenti, e avevano gli strumenti culturali per farlo senza rischi. Il diffondersi dell'alcoolismo distrusse tutto questo. Era il trionfo dell'ipocrisia, secondo il motto: "dì una cosa, fanne un'altra, pensane una terza". La crisi interiore si manifestò in un'aumentata morbilità e mortalità.

In quegli anni sia gli indigeni che gli studiosi riconobbero l'avanzamento del degrado fisico e psicologico, ma non venne fatto nulla. I risultati di ricerche sugli indigeni venivano tenuti segreti. Tra gli abitanti "ciucko" divenne sinonimo di imbecille. Fu persino pubblicato un libro di barzellette, e nel 1998 il vocabolario ufficiale della lingua russa accoglieva la parola "ciucko" nel senso di "persona ingenua, limitata". Grazie alle cure del "buon popolo russo" i Ciukci erano stati trasformati, da popolo libero, in una mandria di beoni, sporchi e indecenti. Viene di che chiedersi chi venga umiliato maggiormente dalle trasformazioni imposte agli indigeni e dalle storielle volgari: se i Ciukci stessi, o la Russia.

10. Gli ultimi 10 anni [ top ]

Con la fine del periodo sovietico emerse la crisi dei popoli del nord emerse in tutta la sua gravità. Glasnost e riforme cambiavano l'Unione Sovietica. Questo, per i popoli del nord, significò il passaggio da un estremo ad un altro. Al periodo della politica della regolamentazione segui quello dell'assenza di ogni politica. Ci si lavava le mani dei crimini e degli errori del passato senza però prendere alcun provvedimento concreto per i popoli del nord. Si preferiva parlare dei mali che affliggevano gli indigeni. In innumerevoli congressi e conferenze si ricamava attorno alle idee astratte di partnership e reintegrazione. Vennero creati numerosi fondi, vennero pubblicati libri, messi in scena spettacoli, concerti di gala, party d'addio. I capi dei governi locali (non indigeni) riuscirono ad ottenere, per la tutela degli interessi degli indigeni, aiuti, o nuovi poteri per la loro regione o per la loro amministrazione. Non significava altro che prendere le sofferenze dei popoli indigeni come scusa per continuare a "prendersi cura" di loro, e per il profitto degli stessi che avevano causato la crisi.

Venne reso pubblico che in alcune regioni l'aspettativa di vita degli indigeni non arrivava a 40 anni, e che il numero dei suicidi era spaventosamente aumentato. In alcuni distretti riesplosero epidemie che si credevano dimenticate dal secolo scorso (tubercolosi, echinococcosi ed altre malattie parassitarie). Nonostante le preoccupanti condizioni igenico-sanitarie, venne smantellata l'assistenza medica nei luoghi di residenza dei popoli del nord. Le fattorie collettive vennero privatizzate con l'introduzione dell'economia di mercato, lottizzate e vendute al tutti - compresi i lavoratori immigrati. Gli indigeni non ricevettero quello che loro spettava, né sapevano utilizzare o costudire quello che riuscirono ad ottenere. Le renne e i terreni di caccia finirono in mano altrui. I programmi statali per il sostegno dei popoli indigeni offrivano fin troppi spiragli per abusi e malversazioni.

Gli esperti, i Leader dei popoli del nord che hanno interesse alla difesa degli indigeni, ritengono necessario che vengano emanate leggi che sanciscano lo status particolare degli indigeni, il loro autogoverno, i loro diritti sulla terra e sulle risorse. La Russia deve abbandonare la politica paternalistica e passare a rapporti di partnership. Il paternalismo dello Stato Russo è una bugia: questo pseudopaternalismo, infatti, ha ridotto gli indigeni del nord in una condizione che ha poco in comune con lo stato degli indigeni degli altri territori circumpolari.

L'erosione dei diritti politici, economici e culturali degli indigeni non è una conseguenza del capitalismo sovietico, ma della sfortunata convergenza di fattori etnici interni, senza il superamento dei quali ogni provvedimento rimarrà senza esito. I Ciukci non sono stati sottomessi con una campagna aperta di distruzione, ma sono stati piegati con metodi sottili ed inconsci, tanto che verrebbe voglia di dire: meglio una crudeltà dichiarata, che questa parodia del bene. Si fa sempre più largo oggi la convinzione che la più utile ed urgente misura per la tutela degli indigeni del nord è di dichiarare questi popoli oppressi, perché esporre queste popolazioni, pochissimo preparate e particolarmente vulnerabili, a interventi come quelli attuati fino ad oggi equivale a proseguire nell'oppressione, se non nella forma, certamente nella sostanza.

11. Cenni sull'arte dei Ciukci [ top ]

Nonostante nelle anime degli indigeni che ancora vivono nella penisola dei Ciukci sono sopravvissute piccole isole di ricordo etnico, che talvolta si manifestano nei comportamenti, nella visione del mondo, in frammenti di usi e costumi, e nell'arte. Qui dobbiamo distinguere tra l'arte autentica e quella calata dall'alto, come "dimostrazione del trionfo della cultura e dell'arte di tutte le nazioni nella famiglia dei popoli sovietici". Bisogna riconoscere che anche alcuni esempi di queste forme artistiche si distinguono per chiarezza e forza, ma si tratta comunque soltanto di abili riproduzioni di ciò che veniva ideato sotto la supervisione di professionisti russi, e fabbricato in serie. Non si tratta quindi di un'eco o un manifestarsi dello spirito del popolo, ma piuttosto di una loro manipolazione.

L'incontro con artisti autentici della tundra o della taiga, che cercano di comunicare il loro sentimento del mondo, è un'esperienza che riempie di gioia. Questi artisti lavorano nella tundra, accanto al fuoco, oppure alla luce di una candela in una capanna di caccia, oppure ancora in una jaranga stretta e fumosa sulla costa. Osservando gli oggetti creati dalle mani di questi maestri, anche senza volerlo si è costretti a riflettere radici della creazione di questi oggetti. Perché questi uomini, in particolare i più giovani, non basano la loro attività artistica sulle conoscenze tecniche, bensì su un atavico senso per il bello.

Questi lavori potrebbero servire come oggetti di ricerca non solo per gli amanti dell'arte, ma anche per antropologi, etnopsicologi, filosofi. Gli artisti che li hanno creati lavorano nella tundra allevando renne, cacciando o pascolando, e non sono artisti accademici. Evitano qualsiasi istruzione artistica, per paura di diventare dipendenti e semplici imitatori di modelli. Preferiscono trarre i loro motivi e i loro mezzi d'espressione direttamente dalla Tundra.

Testo: Larissa Vyntyna. Traduzione dal russo Dr. Alfons Benedikter.

Quadro dei piccoli popoli del Nord e dell'Est della Russia [ top ]

Descrizione Popolazione secondo il censimento Parlanti la lingua madre in %
- 1926 1959 1989 1959 1979
Popoli di stirpe finnica
Sami, Lapponi 1.720 1.792 1.890 70 53
Finnici - - 77.000 - -
Kareli - 167.000 138.000 71 56
Komi Siriani - 287.000 344.500 - -
Popoli di stirpe ugrica
Hanti, Ostiachi 17.334 19.410 22.521 77 68
Mansi, Voguli 6.095 6.449 8.461 59 50
Popoli di stirpe samojeda (Nenzi)
Nenci, Samoiedi dello Jurak 16.217 23.007 34.665 85 80
Scelkup, Samoiedi dell'Ostiak 1.630 3.768 3.621 51 57
Enci, Samoiedi dello Jenisej 482 350 209 - -
Nganasani, Samoiedi di Tawgi 867 748 1.278 - -
Popoli di stirpe tungusa
Evenki, Tungusi 18.805 24.710 30.163 56 43
Eveni, Lamuti 2.044 8.121 17.199 81 57
Negidal 683 350 622 - 44
Nanai, Goldi, Cotso 5.860 8.026 12.023 - -
Orocci 647 782 915 - -
Olci 723 2.055 3.233 68 41
Oroki 162 450 190 - -
Udeke 1.357 1.444 2.011 74 31
Popolazioni turche
Jakuti - 283.000 382.000 98 95
Dolgati 656 3.934 6.932 94 90
Caragassi, Tofalari 415 731* - - -
Popoli di stirpe paleo-asiatica
Ciukci 2.332 11.727 15.184 94 78
Coriacchi 7.439 6.287 9.242 91 69
Itelmeni 859 1.109 2.481 36 24
Iukaghiri 443 442 1.142 53 38
Ciuvani 705 - 1.511 - -
Nivci, Ghiliacchi 4.076 3.717 4.673 76 31
Keti, Ostiacchi dello Jenisej 1.428 1.019 1.113 - -
Ainu 32 - - - -
Popoli di stirpe eschimese - aleutina
Inuit, Eskimo 1.293 1.118 1.719 84 61
Aleutini 3.534 421 702 22 18

* Dal censimento 1979

Nota: 26 di questi popoli appartengono all'"Unione dei piccoli popoli del Nord", e vengono definiti, nell'elenco ufficiale del Governo russo come " popoli del nord numericamente piccoli": Dolgani, Nganasani, Nenzi, Sami, Ciukci, Evenki, Eveni, Enci, Inuit, Jukaghiri, Coriacchi, Keti, Mansi, Selkupi, Ciuvani, Aleutini, Itelmeni, Nanai, Negildazi, Nivci, Oroki, Oroci, Udeke, Ulci, Tofalari (Karagassi).

Complessivamente questi popoli ammontano, secondo i dati del censimento del 1989 a 183.700. Il totale della popolazione indigena ammonta a 1.048.200 persone. Il territorio di insediamento comprende circa 10 milioni di chilometri quadrati, circa il 60% del territorio russo. Nel 1993 all'elenco dei popoli indigeni del nord sono stati aggiunti i popoli della Siberia meridionale dei Kumandi, Teleuti e Snorzi. I popoli o gruppi etnici di seguito elencati non appaiono nei dati del censimento per via del loro numero troppo limitato (o della loro completa sparizione): Aliutorzi, Kereki, Tasi, Voti, Kamciadali, Ciulmimzi. Gli Aliuorzi e i Kereki sono stati considerati assieme ai Coriacchi, i Tasi assieme agli Udeke, i Ciulmimzi tra i Tatari e i Ciakassi. I Kamciadali non sono considerati più gruppo etnico a parte, probabilmente perché parlano russo. I Vepsi sono un popolo che non è considerato tra gli abitanti indigeni del nord.

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GfbV-Sudtirol, "Indianer Russlands", von Jeremej D. Ajpin, Bozen, 1996 (vergriffen). Weitere Beiträge erscheinen laufend in: POGROM, Zeitschrift für bedrohte Völker, herausgeg. von der Gesellschaft für bedrohte Völker Deutschland, Postfach 2024, 37010 Göttingen.


Vedi anche:
* www.gfbv.it: www.gfbv.it/3dossier/siberia/sibirien-it.html | www.gfbv.it/3dossier/siberia/sakhal-it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2006/060322it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2005/050808it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/2005/050120it.html | www.gfbv.it/2c-stampa/03-1/030414it.html

* www: www.pacificenvironment.org | www.globalresponse.org | www.npolar.no/ansipra/english/index.html | www.ilo.org/ilolex/english/newratframeE.htm | www.raipon.org/english/ | www.indigenous.ru

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