INDICE
Thomas Benedikter: I piccoli popoli del nord e dell'estremo oriente russo
Wolfgang Strobl: Breve storia della colonizzazione
Winfried Dallmann: I popoli indigeni del Nord della Russia. Un panorama geografico ed etnografico
Jeremej D. Ajpin / Valerji B. Shustov: La situazione dei piccoli popoli del Nord della
Federazione Russa
| Cap 1. | Cap. 2. |
Cap. 3. | Cap. 4. |
Cap. 5. | Cap. 6. |
Cap. 7. | Cap. 8. |
Cap. 9. |
Florian Stammler: Da dove viene il nostro gas: Hanti e Nenci - Siberia Occidentale
Larissa Vyntyna: I Ciukci
| Cap 1. | Cap.
2. | Cap. 3. | Cap. 4. | Cap. 5. |
Cap. 6. | Cap. 7.
| Cap. 8. | Cap.
9. | Cap. 10. | Cap. 11. |
Il termine Siberia fa subito pensare a un immenso paesaggio di
foreste ghiacciate, ad una regione fra le meno ospitali del
mondo. Ma spesso si dimentica che il calore dei nostri bruciatori
proviene in buona parte proprio da quelle terre. Nel 1600 le
ricchezze naturali della Siberia stimolavano già
l'avidità degli Zar. Dopo tre secoli di conquista violenta
o di sottomissione "pacifica" delle popolazioni indigene gli
eserciti russi raggiunsero il Pacifico. E` una storia quasi
sconosciuta in Europa, ma molto simile a quella della
colonizzazione del Nordamerica da parte degli Europei
occidentali. Solo poco più di un milione di questi
"indiani della Siberia" sono sopravvissuti alla conquista zarista
e alla successiva russificazione. L'industrializzazione dei primi
decenni dell'Unione Sovietica ha avuto un impatto devastante
anche in Siberia.
Oggi è in atto una nuova conquista della Siberia, stavolta
in chiave capitalistica, e le risorse della taiga e della tundra
attirano le multinazionali di tutto il mondo: le foreste boreali
interessano alle compagnie di legname giapponesi, il petrolio si
trova nel mirino di compagnie statunitensi e canadesi, il gas
rimane in buona parte monopolio delle ditte statali che lo
esportano nell'Europa occidentale. L'economia russa è
malata e ha urgentemente bisogno dell'ossigeno di valute forti;
perciò forza l'estrazione di ogni risorsa che può
essere venduta sul mercato mondiale. Le vittime di tutto questo
sono l'ambiente e con esso gli abitanti della Siberia, primi fra
tutti i popoli indigeni.
Come gli Indiani del Nordamerica anche i "piccoli popoli
dell'estremo Nord ed Est della Federazione russa" - è
questo il termine ufficiale con cui vengono definiti - stanno
cercando di opporsi a questi mutamenti nefasti. Ma è solo
dopo lo scioglimento dell'URSS che la loro voce è riuscita
a penetrare anche all'esterno. Lo stesso governo russo ha
approvato una serie di misure di protezione, quasi tutte rimaste
sulla carta. Siccome la trasformazione dell'economia russa in
un'economia di mercato rafforza l'ingerenza straniera nella
gestione delle risorse di questi territori, i piccoli popoli di
queste terre, analogamente ai loro parenti americani, sono
esposti ad una doppia minaccia: le loro tradizioni di economia
sostenibile vengono spazzate via dall'invasione dell'industria
pesante e dall'inquinamento a tutto campo, la loro cultura
dall'assimilazione nella cultura nazionale russa.
Come stanno oggi gli indigeni della Siberia? Un anno fa due dei
massimi dirigenti dell'organismo parlamentare che li rappresenta,
Valeri Shustov e lo scrittore Jeremej Ajpin (già
presidente dell'Assemblea dei piccoli popoli del Nord), hanno
scritto un rapporto sulla situazione attuale dei popoli indigeni.
Il rapporto, che è stato approvato dall'Assemblea
parlamentare dei popoli indigeni, fornisce un quadro sintetico ma
approfondito della situazione odierna. A questo testo abbiamo
aggiunto una breve storia che copre il periodo dalla
colonizzazione zarista fino a Stalin e un panorama
geografico-culturale di questi popoli.
Il nostro fascicolo si conclude con la presentazione di un
progetto di cooperazione proposto dalla stessa Assemblea dei
piccoli popoli, che in questo modo cerca di mobilitare la
solidarietà internazionale. Ringraziamo in modo
particolare gli autori dei testi, il traduttore Alfons
Benedikter, già consigliere regionale del
Trentino-Sudtirolo, e la redattrice Veronika Daprà,
esperta di cultura russa. Speriamo che questo fascicolo possa
stimolare la curiosità e l'attenzione per i piccoli popoli
della Siberia, che oggi si trovano sull'orlo dell'estinzione.
L'impero plurinazionale russo si è formato attraverso
un'espansione che è durata molti secoli. Si caratterizza
per una grande varietà etnica, confessionale, sociale e
culturale. I diritti delle minoranze sono sempre stati rispettati
in modo diseguale. All'interno del grande impero russo, comunque,
molte di queste culture non sono riuscite a sopravvivere fino ad
oggi. La lealtà zarista era la condizione principale per
un rapporto non conflittuale con Mosca. In seguito al continuo
processo di espansione e riordinamento territoriale della Russia
la percentuale dei russi sul totale della popolazione continuava
a calare. Mentre alla fine del 1500 le etnie non russe toccavano
appena il 19%, all'inizio del 1700 superavano già il 30% e
alla fine del '700 arrivavano al 47% della popolazione totale.
Altre conquiste fecero si che nel 1834 i russi arrivassero a meno
della metà della popolazione, mentre Tartari, Bielorussi,
Ucraini, Polacchi, Ebrei e altre 200 etnie componevano la
maggioranza della popolazione.
Il Nord della Russia e della Siberia è tradizionalmente
abitato da popoli indigeni che erano stati padroni di queste
terre fino all'arrivo dei conquistatori russi. I russi
definiscono queste etnie, che spesso contano meno di 2.000
persone, popoli del Nord. Secondo i testi di storia i russi,
nella loro espansione verso est e verso nord, trovarono un paese
quasi deserto. L'avanzata della Russia verso il "Far East", il
selvaggio Est, ricorda l'espansione prima europea e poi
statunitense nel "Far West" nordamericano. In entrambi i casi i
colonizzatori venivano a sovvertire profondamente l'ordine
sociale e politico dei popoli indigeni. A seconda delle
condizioni climatiche, la pesca lacustre e marina, la caccia,
l'allevamento di renne e l'agricoltura a sud della frontiera del
"permafrost" erano la principale base di sussistenza dei popoli
indigeni. Prima della colonizzazione russa gli indigeni
professavano in maggior parte un animismo sciamanico. Lo
sciamanesimo è un elemento culturale e religioso comune a
tutti i popoli indigeni.
Dal 1000 al 1300 nella parte nordoccidentale del terittorio
slavo, attorno alla città di Novgorod, si formò
un'area abitata da ceppi finnici. Fra queste etnie si contavano i
Kareli, i Voti, gli Isciori e i Vepsi nel Nordovest, i Sami
(Lapponi) di lingua finna nell'estremo Nord, i Sirjeni (oggi
Komi), Permjaki, Ostjaki, Voguli (oggi Mansi) e Samojedi nel
Nordest. Tutti questi popoli soggiacevano all'amministrazione
della repubblica cittadina di Novgorod. I russi, in un primo
momento, portarono avanti una politica di acculturazione pacifica
cercando di integrare queste etnie nel cristianesimo ortodosso.
Nel caso del popolo sirjeno, per esempio, la cristianizzazione
andò di pari passo con l'integrazione nell'impero russo.
Ma non sempre si evitò il ricorso alla violenza.
Nonostante l'energica politica di acculturazione parte di questi
popoli (per es. i Kareli, i Komi) hanno potuto conservare la
propria identità etnoculturale fino ai nostri giorni.
L'annessione della repubblica, compiuta dallo Zar Ivan III nel
1478, conferì definitivamente al Granducato di Mosca il
carattere di una nazione multietnica.
Dopo la conquista militare dei khanati di Kasan e Astrachan
(1556), l'espansionismo russo verso l'Ovest fu frenato alla fine
del secolo dalla guerra di Livonia. Ma restava aperto l'Oriente
transuraliano, dove regnava il Khan di Sibir nella regione
dell'alto Ob. Nel '500 e nel '600 la Siberia era popolata da
molte piccole etnie, organizzate prevalentemente in forma di
tribù. Nella taiga più a nord, invece, abitavano i
Tungusi manciuri e gli Jukaghiri che vivevano di caccia e pesca.
I Samojedi, i Ciukci, i Kamciadali/Korjaki erano invece nomadi
allevatori di renne che vivevano nella tundra. Nel sud attorno al
lago Bajkal si erano insediati i Burjati, di lingua mongola, i
Teleuti e gli Jakuti di ceppo turcomanno, e infine gli Sciori,
pure essi pastori nomadi e allevatori di bestiame. Gli unici
agricoltori in questa vastissima area erano i Tartari,
concentrati nelle zone a margine della steppa e gli Ostjaki
(Voguli) di lingua ugra. Sotto il profilo politico tutte queste
etnie erano poco organizzate. Il khanato della Siberia
occidentale era l'unico impero di una certa importanza.
Per decenni la maggior parte di queste etnie si oppose piuttosto
tenacemente all'avanzata russa. Già all'inizio del '700 si
registravano grandi ribellioni. I popoli si organizzavano in
unità piuttosto piccole ed ovviamente erano molto
più deboli in termini militari. La resistenza dei popoli
siberiani, confrontata a quella dei popoli non russi
dell'Occidente, fu decisamente più forte, dato che la
stessa organizzazione sociale diversa (società nomade
tribale di fede musulmana rispetto i contadini stanziali di fede
cristiana dell'Occidente) alimentava la resistenza. Le fonti
storiche di questo periodo sono scarse ed impediscono un'esatta
ricostruzione delle vicende. Le continue ribellioni del '700
costrinsero Mosca ad una durissima repressione per poter
mantenere il proprio potere. Si applicarono misure draconiane che
arrivarono a vere campagne di sterminio, come nel caso dei
Ciukci.
L'opposizione sempre più compatta delle etnie non russe
costrinse Mosca a modificare la sua politica di integrazione,
rendendola più pragmatica, cauta e tollerante. Mosca
incentivò la formazione di èlite locali confermando
i privilegi dei capitribù e delegando ad essi compiti
amministrativi minori e la riscossione dello "jasak", i tributi
che venivano pagati sotto forma di pellicce. Per il resto la
Russia optò per la non ingerenza negli affari interni
delle singole etnie. Ai popoli venne concessa anche un'ampia
libertà religiosa. A popoli quali i Samojedi, i Ciukci, i
Ciuvasci e i Ceremissi fu permesso di continuare a praticare lo
sciamanesimo.
I voivoda siberiani, governatori locali nominati da Mosca, spesso
venivano esortati dal governo zarista ad essere tolleranti con le
tribù ed evitare di riscuotere lo "Jasak" con la forza. Ma
le autorità locali, i commercianti e i coloni non
ascoltavano queste esortazioni: in molte aree regnavano la
corruzione, il ricatto, lo schiavismo e la violenza. Nel 1600,
per garantire l'approvvigionamento delle truppe di occupazione,
la Russia aveva insediato numerosi contadini-coloni nella
Siberia. Nonostante questa politica di insediamento nei territori
più isolati della tundra e della taiga, i popoli indigeni
riuscirono a conservare le loro strutture tribali.
Nel 1719 i popoli del Nord contavano solo 50.000 persone, ma in
Siberia i russi erano già in minoranza. I contadini russi
erano concentrati nella fascia di terre fertili della Siberia
sudoccidentale. La caccia, l'allevamento di renne e la pesca
erano le attività principali dei popoli indigeni. Nel '700
si registrò un rinnovato tentativo di integrazione dei
popoli non russi nella società russa. Il modello di
Novgorod, che consisteva in un controllo indiretto, fece spazio
ad una stretta dipendenza amministrativa, economica e militare da
Mosca.
Per lungo tempo la Russia trattò i nomadi come cittadini
di serie B. Nel 1767 essi non potevano ancora partecipare alle
assemblee della Commissione legislativa. All'inizio dell'800
alcuni riformatori, fra i quali il governatore generale della
Siberia M.M. Speranskij (1772-1833), tentarono di "portare le
etnie arretrate ad un livello di civiltà superiore". I
cosiddetti inorodcy (stranieri) ottennero finalmente uno status
giuridico proprio. Lo statuto del 1822 conferì loro ampie
competenze amministrative. Attraverso la "legge per
l'amministrazione della popolazione indigena" lo stato
tentò di proteggerli dalla prepotenza dei coloni russi e
dallo sfruttamento. Ma questo programma di riforme, ispirato
dall'approccio illuminista e nel solco della tradizione
pragmatica della politica russa per le minoranze, potè
essere realizzato solo in parte. Impiegati corrotti, che
riuscirono a sottrarsi ai controlli, impedirono l'affermarsi
dello stato di inorodocy. Gli indigeni rimasero cittadini di
seconda classe, a dispetto di privilegi e provvedimenti.
La debolezza della Cina a metà del XIX secolo
favorì la conquista russa dei territori a nord e sud del
fiume Amur. Le tribù indigene di stirpe manduro-tungusa -
i Goldi, gli Oroci, gli Oroki, gli Ulceni, i Neghidalzi, gli
Udeghi i Giljaki - subirono la stessa sorte dei popoli siberiani.
Benché i Russi riuscissero a convertire questi popoli al
cristianesimo ortodosso, questi rimanevano attaccati alle loro
religioni animiste. L'alcoolismo, le malattie portate dai
conquistatori e lo sfruttamento delle risorse naturali ridussero
rapidamente il numero degli abitanti. Le etnie più
numerose e più compatte riuscirono a difendersi meglio dai
soprusi del governo centrale.
La politica di Nicolò I (1825-1855) mirò alla
conservazione dello status quo. Ogni mutamento si rivelò
pericoloso perché la modernizzazione provocava frequenti
ribellioni fra i popoli locali. A partire della metà
dell'800 si tornò nuovamente a una politica d'integrazione
e si rafforzò lo studio scientifico delle varie etnie.
Alcuni linguisti crearono alfabeti cirillici per i popoli senza
scrittura quali i Ciuvasci, i Votjaki e gli Jakuti. Si
elaborarono vocabolari, grammatiche e testi scolastici; venne
fondato anche un istituto magistrale per la formazione di
insegnanti non russi. L'obiettivo primario rimase comunque quello
di diffondere la fede ortodossa. Ma verso la fine dell'800 queste
iniziative furono duramente criticati dai nazionalisti russi. In
ultima analisi questa politica ebbe comunque dei risultati, visto
che fra il 1864 e il 1905 non si registrò nessuna
ribellione significativa da parte di un popolo non-russo.
All'inizio del secolo XX la Siberia diventò meta
privilegiata dei coloni russi. Questi in un primo tempo
privilegiavano la Siberia occidentale, ma dopo la costruzione
della ferrovia transiberiana iniziarono a stabilirsi anche nella
Siberia orientale. Per molti popoli la colonizzazione
significò un'estensione del loro spazio vitale (Nenzi,
Ciukci, Evenki, Eveni), ma per altri una drastica riduzione
(Enzi, Jukaghiri, Korjaki, Itelmeni). Nel corso di un'ampia
politica di rilocazione e migrazione forzata promossa dalla
riforma agraria di Stolypin, entro il 1914 erano stati insediati
oltre tre milioni di contadini russi. Spesso la caccia e la pesca
praticate dalle popolazioni locali doverono cedere il passo
all'allevamento di animali da pelliccia, che aveva un potenziale
commerciale più alto.
La maggioranza delle etnie non russe non partecipò alla
Rivoluzione. Tuttavia vari popoli non russi della periferia
contribuirono alla destabilizzazione dell'ordine politico. Del
resto la Rivoluzione stimolò anche il riscatto nazionale
di molti popoli. I loro intellettuali agitarono rivendicazioni
culturali, sociali e politiche. Nel 1905 i Ciuvasci riuscirono a
pubblicare un settimanale nella loro madrelingua. Ma il tentativo
degli Jakuti di organizzarsi a livello politico venne subito
soffocato. La "Dichiarazione per i popoli della Russia",
approvata subito dopo la Rivoluzione, non venne mai applicata.
Negli anni successivi all'interno del "Comitato di appoggio per i
popoli del Nord" (Comitato del Nord) ci furono aspre discussioni
fra chi voleva concedere ai popoli indigeni il diritto ad un
proprio sviluppo culturale e fra coloro che optavano per
integrarli nella classe operaia. Alla fine si imposero i secondi.
Quando la Russia fu divisa nel nuovo assetto amministrativo,
anche certi territori con popolazione indigena ottennero una
certa autonomia. Alle terre degli Jakuti (1922), dei Kareli
(1923) e dei Komi (1936) fu riconosciuto la status di repubblica
autonoma. In base alle leggi vigenti i dirigenti delle singole
tribù (sciamani, proprietari di renne) non avevano
però l'accesso ai ranghi superiori dei Soviet locali e del
Congresso. Tuttavia i Russi avviarono alcune riforme per
rilanciare l'economia dei territori del Nord. Si cercò di
elaborare delle lingue scritte per combattere l'analfabetismo,
che era ancora molto diffuso. La politica di Lenin per le
minoranze si agganciò alla politica delle
nazionalità della Russia premoderna. Per conservare il
proprio potere si decise di concedere più spazio alle
minoranze.
Negli anni Trenta la dittatura di Stalin ebbe un effetto
devastante sulle strutture economiche e sociali dei popoli
indigeni. L'industrializzazione dell'URSS aveva bisogno delle
risorse del Nord: la pesca su vasta scala bloccò l'accesso
degli indigeni a molti fiumi, l'industria alimentare
trasformò enormi aree in pascoli, i boschi vennero
distrutti per fare spazio alle miniere e alle centrali
idroelettriche. I popoli indigeni non furono mai coinvolti. Le
loro economie venivano meno senza che fossero rimpiazzate da
nuove opportunità di lavoro. Le grandi compagnie
importavano i propri operai e tecnici oppure si servivano dei
prigionieri dei gulag, i campi di lavoro forzato istituiti da
Stalin. Tutti questi stranieri non erano sottoposti alla
giurisdizione del soviet locale.
La maggior parte della Siberia fu trasformata in
"proprietà collettiva". Lo strapotere dei ministeri
dell'industria soffocò i timidi tentativi che erano stati
fatti per contenere gli effetti dell'industrializzazione sui
popoli indigeni. Il Comitato del Nord fu sciolto nel 1935.
Successivamente Stalin tentò di reprimere i popoli
indigeni anche dal punto di vista culturale. Il dittatore
georgiano vedeva in queste differenze culturali qualcosa che
ostacolava la creazione dell'homo sovieticus. Una differenza fu
comunque conservata: si stabilì che a parità di
lavoro gli indigeni venissero pagati meno dei lavoratori russi.
Molti gruppi di Ciukci e di Eveni, ritirandosi in zone molto
remote, riuscirono a sfuggire a questa sorte.
L'ascesa al potere di Stalin rappresentò per i popoli
indigeni un peggioramento radicale della propria situazione. Nei
loro territori, ricchi di risorse minerarie e legname, si fece
strada un'industrializzazione in grande stile, senza alcun
riguardo per la fragilità dell'ecosistema nelle zone
artiche. Davanti al sorgere di strade, miniere, pozzi di petrolio
fabbriche, le attività tradizionali degli indigeni
dovettero ritirarsi per fare spazio all'industria mineraria,
dell'allevamento, della pesca. Vennero disboscati vasti
territori, nei fiumi vennero versati gli scarichi industriali, si
interferì nel ciclo dell'acqua, si provocarono massicci
inquinamenti da petrolio. Gli operai venivano maltrattati, quando
non reclutati nei gulag, cosicché molti indigeni
perdettero la loro occupazione. La terra venne espropriata dallo
stato, i suoi abitanti trasferiti in altri territori. Nel 1877 la
Russia aveva annesso l'isola di Novaja Zemlja ("terra nuova") e
vi aveva insediato alcune centinaia di Nenzi (Samojedi). Nel 1955
Mosca decise di effettuare alcuni esperimenti nucleari su queste
isole e perciò tutti gli abitanti vennero nuovamente
trasferiti nella zona di Narjan Mar e sulle isole di Kolguev e
Vajgac. Ma la distanza dalle zone dei test non fu sufficiente:
ancora oggi numerosi indigeni accusano gli effetti delle
radiazioni nucleari.
Nel 1937 un decreto sovietico impose l'uso esclusivo
dell'alfabeto cirillico per tutte le lingue dell'URSS. A partire
del 1957 ogni insegnante poteva essere arrestato se continuava a
parlare la lingua indigena al di fuori della scuola. I genitori
vennero costretti a battezzare i loro figli con nomi russi. Il
governo costrinse molti nomadi a diventare sedentari. Gli
abitanti dei piccoli villaggi vennero costretti a trasferirsi in
grandi centri perché i servizi pubblici erano stati
chiusi. Dopo il 1970 fra tutte le 26 lingue indigene del Nord
della Russia solo il nencio continuava ad essere insegnato a
scuola. Oggi é frequente che solo gli anziani conoscano la
propria lingua materna, mentre varie lingue stanno per
scomparire.
Nel secondo dopoguerra la situazione dei popoli indigeni rimase
sostanzialmente la stessa. Alla fine degli anni '50 il governo
avviò una politica di reinsediamento forzato della
popolazione indigena nelle maggiori città della Siberia.
Questa politica favorì la perdita definitiva
dell'identità culturale, il dilagare dell'alcolismo e
della criminalità. Il boom dell'industria petrolifera
petrolio iniziato negli anni '60 sottrasse altri territori a
tutta una serie di etnie (Nenzi, Oroki, Evenki ed altri). In
varie occasioni gli operai dell'industria petrolifera attaccarono
fisicamente gli indigeni e saccheggiarono le loro
proprietà. Se questi si rivolgevano ai tribunali locali,
spesso rischiavano di finire sul banco degli imputati.
L'evoluzione in senso centralistico del sistema amministrativo
sovietico nei prim anni ottanta, quando persino la parola
"minoranza" venne cancellata dai testi di legge, tolse ai soviet
locali le ultime vestigia di autogoverno, mantenendo una mera
funzione consultiva. Fino alla fine degli anni '80 il governo
sovietico continuò l'industrializzazione selvaggia dei
territori del Nord. La deforestazione e l'estrazione di petrolio
e gas naturale continuarono a pieno ritmo. I popoli indigeni
persero vaste aree di pascolo. Solo a partire del 1989 alcuni
popoli iniziarono ad organizzarsi in associazioni. Nel 1990 lo
scrittore Nivko Vladimir Sanghi fu eletto presidente dell'Unione
dei piccoli popoli del Nord della Russia. Nella risoluzione
finale del congresso convocato per l'occasione i delegati
rivendicarono i diritti fondamentali dei popoli indigeni, la
ratifica della convenzione ILO n.169 da parte della Russia e
altre misure per consentire la sopravvivenza dei popoli
indigeni.
Per assicurare il futuro dei popoli del nord si pensa, dalla fine
degli anni 80, all'istituzione di territori nazionali che
esercitino l'autodecisione in materia economica. E' necessario
porre fine alla distruzione di insediamenti, mettere un freno
all'industrializzazione, favorire i programmi locali piuttosto
che quelli pilotati dal centro. Si incomincia a reintrodurre
l'insegnamento nelle lingue indigene, mentre si sperimentanto
programmi di formazione per l'allevamento delle renne, caccia,
allevamento di animali da pelliccia. Qualora un popolo sia
maggioritario in un terriorio, è possibile l'introduzione
dell'autogoverno. Il fine principale di questa politica consiste
nella creazione di condizioni per garantire uno sviluppo mirato
sui bisogni dei popoli indigeni. Questi tentativi di riforma sono
però gravemente ostacolati da pesanti apparati
amministrativi, da crescenti sussulti nazionalisti, da
macchinazioni mafiose, e, non ultima, dalla pesante crisi
economica della Russia.
Il nord della federazione russa si estende per circa 6000
chilometri dal confine finlandese fino all'Oceano Pacifico. In
direzione nord/sud l'estensione di ciò che nella
federazione russa viene considerato come "nord" varia dai 1000
chilometri nell'ovest fino ai 3000 chilometri della Siberia
asiatica. Questo enorme territorio era abitato prima della
conquista russa (sec. XVI-XVII) da numerosi gruppi etnici, i
quali, negli ultimi due secoli, sono diventati delle piccole
minoranze in un ambiente sempre più russificato.
Le particolarità culturali di questi popoli derivano dalla
necessità di sopravvivere in ambienti scarsamente popolati
dominati da condizioni climatiche artiche o subartiche.
L'incontro con i conquistatori russi e, nel XX Secolo, con la
dottrina sovietica, fu caratterizzato da una reciproca
incomprensione. Ciò, insieme a interessi politici ed
economici, provocò una grave distruzione delle culture
indigene. Di molte però è rimasto un nucleo
centrale. Per alcuni popoli si potrebbe essere ancora in tempo
per cominciare una nuova evoluzione sulla base della propria
cultura atavica, se solo la società Russa lasciasse loro i
necessari spazi. Le condizioni attuali della Russia sono
però a dir poco inadeguate, anche se cominciano ad essere
presenti delle garanzie di carattere giuridico.
Tundra e Taiga
I territori del nord russo e siberiano si trovano principalmente
a nord del confine del permafrost, che, sull'altopiano siberiano,
si protende molto verso sud. Grosso modo corrisponde al 55.
parallelo, più o meno la latitudine di Amburgo. Fanno
parte del Nord Russo anche i territori lungo la costa del
Pacifico che giungono fino al confine russo-cinese di Vladivostok
(limite meridionale dei ghiacci artici invernali). I popoli
indigeni, cui questa smisurata estensione apparteneva prima della
conquista russa, vengono chiamati collettivamente "popoli del
Nord".
Nell'estremo nord questo territorio consiste in una fascia di
tundra larga alcune centinaia di chilometri, quasi completamente
priva di alberi. Verso sud si passa a una fascia caratterizzata
da gigantesche foreste di conifere, detta Taiga. Ad ovest queste
foreste crescono su terreni prevalentemente paludosi, mentre
verso est il terreno è quello di un altipiano. Lungo la
costa del Pacifico il paesaggio è caratterizzato da
numerosi vulcani attivi. In Siberia scorrono alcuni dei fiumi
più grandi della terra in direzione dell'Artico: Ob,
Jenisej, Lena e Kolyma. Sono da sempre le principali vie di
comunicazione di questa terra, sia durante il periodo della
colonizzazione, sia nel successivo periodo di sfruttamento delle
ricche risorse del territorio, sfruttamento che perdura
tuttora.
Le isole nell'Artico non hanno mai ospitato una popolazione
stabile. Dopo aver annesso la Novaja Zemlja nel 1877, la Russia
vi insediò alcune centinaia di Nenzi (Samojedi). Quando
l'Unione Sovietica negli anni cinquanta co0mincio i suoi test
atomici su quest'isola, i discendenti di quegli abitanti vennero
nuovamente deportati nel territorio Narjan-Mar sul continente o
sulle isole di Kolgujev e Vajgaè, nel Mare di Barens
meridionale.
Origine e lingua
I Popoli del nord appartengono a due gruppi principali. Il primo
consiste nei discendenti di popoli che hanno da sempre abitato
queste zone. Essi vivono principalmente nella Siberia
nordorientale e in Kamèatka: Èukèi, Koriaki,
Jukagiri, Èuvani, Itelmeni. Sono sopravvissuti anche
altrove altri piccoli gruppi: di Cheti lungo il medio Enisej e i
Nivchi nella parte settentrionale dell'Isola di Sakalin e alle
foci dell'Amur. Questi popoli parlano lingue cosiddette
paleo-asiatiche. Tra questi gruppi ancestrali possono venir
considerati anche gli Inuit (eschimesi) e gli Aleutini, le cui
lingue formano una famiglia a parte.
Un posto a parte è occupato dal popolo degli Ainu, che
vive nella parte meridionale di Sakhalin, nelle isole Kurili e
nel nord del Giappone. Gli Ainu sono morfologicamente europei,
mentre tutti gli altri popoli della zona appartengono al ramo
mongolico. Secondo alcune teorie, gli Ainu erano gli abitanti
originari dell'arcipelago giapponese, prima di venir soppiantati
da invasori di ceppo mongolico provenienti dal continente. La
loro lingua è molto isolata. Oggi gli Ainu sono scomparsi
dal territorio Russo; nel censimento del 1926 se ne contavano
ancora appena 32
Il secondo gruppo è composto da popoli provenienti
dall'Asia centrale, che si sovrapposero, con ondate migratorie
che sono proseguite fino al medioevo, ai popoli paleo-asiatici,
oppure vi si mescolarono. Le loro lingue sono di ceppo
Uralo-Altaico, la famiglia cui fanno parte, assieme al Mongolo,
Turco, Ungherese e Finlandese. Ad est del fiume Jenisej predomina
il gruppo Altaico, con popoli di origine turca come Jakuti,
Dolgani, e, più a sud Karagassi. Assieme ad essi popoli di
stirpe tungusica come Evenchi, Eveni, Nanai, Negidalzi, Udeghi,
Oroci, Orochi, e Ulci.
A occidente dello Jenisej, fino al territorio dei Sami nel nord
della Russia Europea, predominano i popoli di lingua
ùrala, divisi in un ramo finnico (Komi, Sami, Careli), uno
ugrico (Canti e Mansi) ed uno samojedo (Nenzi, Selcupi, Enzi,
Nganasani). La maggior parte di questi popoli sono ora un esigua
minoranza nei loro territori originari d'insediamento, con
l'eccezione di Komi, Kareli e Jakuti, che sono ancora in
maggioranza nel proprio paese e, essendo organizzati in
Repubbliche autonome entro la Federazione Russa, godono di un
certo grado di autonomia.
Pascolo, pesca, pellicce
Come si è visto, sotto la definizione "popoli del Nord" si
celano grandi differenze linguistiche e storiche. Tuttavia vi
è un gran numero di somiglianze culturali, dovute in gran
parte alle pressioni ambientali del territorio artico e
subartico, che costringono a sviluppare economie molto simili.
Sono le necessità climatiche e geografiche, piuttosto che
l'origine etnica, a determinare le attività economiche.
Pesca, in mare e in acqua dolce, caccia e allevamento delle renne
sono, con peso diverso, i settori economici tradizionali della
maggior parte dei popoli indigeni del nord. Dall'incontro con i
coloni russi è giunto l'allevamento di animali da
pelliccia. L'agricoltura è praticata solamente a sud del
limite del permafrost, dai Kareli e da una parte dei Canti e
degli Jakuti. Nei territori meridionali di Jakuti ed Evenki
è estremamente diffuso l'allevamento di bovini ed equini.
I metodi d'esercizio delle attività economiche, l'utilizzo
di strumenti tradizionali, l'artigianato e le nuove forme
artistiche come pittura e letteratura differiscono naturalmente
da popolo a popolo e da zona a zona.
Sciamanesimo
Un tratto culturale comune essenziale è rappresentato
dalla religione tradizionale, che, prima della colonizzazione
russa, consisteva esclusivamente in forme d'animismo sciamanico,
la credenza in una natura animata, cioè nell'esistenza di
entità spirituali in ogni oggetto e forza naturale. L'uomo
può mettersi in contatto con questi esseri e loro con lui.
Gli sciamani, dopo un periodo di formazione, possono visitare gli
spiriti della natura in uno stato di trance, in modo che la loro
anima lasci temporaneamente il corpo e si rechi in un altro piano
della realtà, generalmente interdetto all'uomo comune.
Questa trance viene evocata tramite il suono di tamburi e
cantilene monotone, e solamente in casi eccezionali -per quanto
sappiamo- tramite stupefacenti.
Lo sciamano compie questi viaggi per mettersi in contatto con gli
spiriti al fine di guarire malattie o altri disagi, per lo
più offrendo sacrifici. Questi viaggi possono essere
pericolosi per gli sciamani; non è capitato raramente che
l'anima non sia tornata nel corpo e che lo sciamano sia morto.
Molte volte però il viaggio riesce: i disagi vengono
eliminati e i malati guariscono velocemente. In questo ovviamente
l'applicazione della medicina naturale e delle sue varie cure ha
un ruolo importante. Un importante piano della realtà il
quale deve essere conosciuto dallo sciamano, è quello dei
geni tutelari. Tra questi esseri, spesso in forma animalesca, lo
sciamano sceglie i suoi alleati, perché essi lo assistano
durante i suoi viaggi pericolosi nel mondo dei deceduti o
addirittura nel mondo degli spiriti creatori. La retribuzione per
questi geni tutelari consiste sempre in sacrifici.
La concezione del mondo dell'animismo sciamanico dei piccoli
popoli è simile a quella degli indiani americani e di
altri popoli indigeni, basata sull'idea di un imprescindibile
equilibrio nella natura. Tutto ciò che avviene ha
conseguenze e ripercussioni su tutto. Questa concezione
però si limita alla connessione di causa ed effetto al
livello del mondo concepibile intellettualmente. Attraverso la
pratica dello sciamanesimo, cioè il mutamento di stati
indesiderati tramite l'influenza attiva in altri piani della
realtà, questi popoli precedevano i tempi dell'ecologia
moderna. L'incomprensione del cosiddetto mondo moderno, che
perdura fino al giorno d'oggi, ha fatto perdere la maggior parte
di queste conoscenze.
Tra i molti popoli della Siberia la cristianizzazione è
stata molto meno efficace che per esempio tra i Sami europei.
Oggi spesso s'incontrano religione miste. Ufficialmente lo
sciamanesimo con i suoi pericolosi viaggi dell'anima non è
più praticato: c'è la speranza che quest'arte sia
sopravvissuta anche se rimane incerto in che grado. Tra molti
popoli come tra gli Evenchi, tra qualche gruppo samoiedo o
paleoasiatico la religione atavica è comunque
sopravvissuta. A maggior ragione dobbiamo fare in ogni modo da
garantire la sopravvivenza di queste culture anche nell'interesse
del futuro del nostro mondo, a prescindere da aspetti umani come
conflitti d'identità e sradicamento culturale, che la
colonizzazione di questi popoli inevitabilmente comporta.
Russificazione: la politica linguistica e scolastica
del governo sovietico
Già durante gli anni 20 venne fatto molto lavoro per
elaborare lingue scritte per la maggior parte dei popoli
indigeni. In alcune zone l'analfabetismo fu ridotto drasticamente
nel giro di breve tempo. Ma successivamente l'intero sistema
formativo venne conformato ai principi dello stalinismo. A
partire dal 1937, per decreto, tutte le lingue dovevano venir
scritte con alfabeto cirillico, anche quelle per le quali esso
era foneticamente inadatto. Quei linguisti che avevano elaborato
alfabeti espressamente per queste lingue furono arrestati come
nemici del popolo.
Nello stesso tempo venne vietato ai genitori di dare nomi non
russi ai propri bambini. Si diffuse la propaganda contro i
"primitivi". A partire dal 1957 i maestri potevano essere puniti
se facevano uso della lingua indigena al di fuori delle ore di
lezione ad essa riservate. Negli anni sessanta la propaganda di
regime puntava a che sempre più genitori vedessero solo i
vantaggi della lingua russa e in questa lingua facessero educare
i propri figli. Nel 1970, al di fuori delle tre repubbliche
autonome (Komi, Kareli e Jakuti), soltanto la lingua dei Nenzi
veniva ancora utilizzata nell'insegnamento scolastico.
Anche il sistema degli internati per studenti aveva gravi
conseguenze. Pensato inizialmente per offrire la
possibilità di un'educazione scolastica per i figli di
famiglie nomadi, fu successivamente esteso a tutti i bambini,
anche quelli residenti. Esso valeva per le scuole di ogni grado.
All'età di 16 anni, poi, questi ragazzi tornavano alle
loro famiglie avendo perso ogni tipo di legame culturale con il
proprio popolo. Questo sistema ora non viene più
praticato, ma ha prodotto gravi danni. Questa politica ha portato
naturalmente a un forte regresso nell'uso della madrelingua,
soprattutto per le etnie numericamente più deboli. La
lingua tradizionale viene oggi usata soprattutto dalle
generazioni più anziane, il che è rende ancora
più difficile un mantenimento di queste lingue. Un
ostacolo ulteriore è che molti appartenenti alle
generazioni di mezzo non conoscono né il russo, né
la propria lingua materna: un grave ostacolo alla trasmissione
della propria identità culturale.
I popoli indigeni della Russia oggi: sull'orlo
dell'abisso?
La dissoluzione dell'Unione Sovietica e l'apertura della Russia
verso l'esterno ci ha reso possibile negli ultimi anni farsi un
quadro più chiaro di quello che è successo e sta
succedendo nei vasti territori del nord russo. Sempre più
spesso arrivano all'estero informazioni autentiche ed attuali.
Nello stesso tempo ci rendiamo conto di cosa abbia significato la
conquista e lo sfruttamento della Siberia, costati innumerevoli
vite e che hanno ridotto molti dei popoli indigeni sull'orlo
dello estinzione.
L'industrializzazione selvaggia del nord russo durante gli anni
trenta venne ripresa vent'anni più tardi, all'indomani
della seconda guerra mondiale, con rinnovata energia. Il nord era
ricco di foreste, carbone, petrolio, gas, metalli. Territori
colossali vennero sottratti con un tratto di penna alle
popolazioni che li abitavano. Miniere, pozzi di petrolio, strade,
fabbriche, disboscamenti, nuove città industriali e
centrali idroelettriche sorsero sul terreno dove prima erano
territori di caccia e pascolo. Scorie metalliche vennero smaltite
liberamente nella tundra. Per chi doveva "portare il paese verso
un futuro felice", le leggi non avevano valore. Le forze armate
esercitavano un potere tirannico sui propri territori di manovra.
Il delicato ambiente artico venne calpestato senza riguardi.
L'estremo oriente perse il 30 % del proprio patrimonio forestale.
Negli anni ottanta, infine, vennero concesse licenze di
disboscamento a ditte cubane e nordcoreane, che oltre a questo
avvelenarono i fiumi.
Il boom petrolifero arrivò a metà degli anni
sessanta. Vennero colpiti in maniera più grave i territori
del medio Ob (territorio dei Canti), la penisola di Jamal (Nenzi)
il territorio di Magadan (Evenki e Eveni) e l'isola di Sakhalin
(Orochi e Nivchi). Strade e Ferrovie tagliarono i territori di
pascolo delle renne, nacquero città, i cingolati
calpestarono in maniera irreparabile il terreno della tundra.
Solo nella penisola di Jamal furono resi inutilizzabili 600.000
ettari di bosco, e 24.000 animali abbattuti. A questo si
aggiunsero le aggressioni da parte degli operai immigrati nei
confronti della popolazione originaria.
Questa situazione perdurò fino agli ultimi anni ottanta,
quando crescenti proteste finalmente trovarono ascolto. Vennero
ritirate alcune concessioni, qualche ditta dovette andarsene. Ma
lasciarono alle loro spalle una terra desolata. Nessuno ha mai
pensato a risarcimenti. Tra gli strascichi più nefasti
dell'epoca sovietica in Siberia sono senz'altro le conseguenze
degli esperimenti atomici, in special modo nelle vicinanze di
Novaja Zemlja (le isole Kolguev e Vajgac) e nella penisola dei
Èukèi. La popolazione non venne evacuata a distanza
sufficiente, e tuttora una gran parte della popolazione soffre di
malattie dovute a esposizione a radiazioni.
Insieme siamo più forti
Soltanto a partire dal 1986 divenne possibile protestare contro
questo stato di cose senza incorrere in conseguenze penali; in
quell'anno gli abitanti di Paren (Kamèatka), di etnia
koriaka, impedirono con successo la distruzione della loro
località. Soprattutto dopo il 1989 sono nati gruppi di
interesse, come la associazione di Nenzi "Jamal per i nostri
discendenti", "l'Associazione del Selkupi di Tomsk", l' "unione
di Sami di Kola" e l' "unione regionale degli Inuit".
Nel marzo del 1990 rappresentanti dei popoli del nord diedero
vita al "Primo congresso dei piccoli popoli del nord", alla cui
Presidenza venne eletto lo scrittore Vladimir Snagi, del popolo
dei Nivchi. Il congresso approvò una risoluzione in sette
punti, nella quale il governo dell'allora Unione Sovietica veniva
invitato a ratificare la Convenzione Internazionale per la Tutela
dei Popoli Indigeni, oltre che a prendere ulteriori misure
giuridiche, amministrative ed economiche a tutela dei popoli del
nord. Nel maggio 1990 venne eletta a mosca una "Unione dei
piccoli popoli del Nord", che si dichiarò competente come
organo consultivo del governo per tutte le questioni che
riguardavano questi popoli. Loro presidente divenne il
Èanto Eremej Ajpin, membro del Soviet Supremo.
Gia nel 1989 gli esperti sovietici per i problemi delle minoranze
avevano convenuto, durante un simposio a Tjumen (Siberia
occidentale), che la via migliore per garantire un futuro ai
popoli indigeni del Nord consiste nell'istituzione di territori
nazionali con diritto di autodecisione in campo economico, nel
divieto di trasferimenti di popolazione o della distruzione di
insediamenti. Altresì era necessario passare da
megaprogetti di sviluppo gestiti centralisticamente a misure
prese e gestite localmente. Il governo centrale decise
contestualmente di reintrodurre classi in lingua madre per
Ultschi, Jukagiri, Itelmeni, Dolgani e Nivci. Vennero varati
programmi d'insegnamento per l'allevamento delle renne, caccia e
allevamento di animali da pelliccia. Il primo "Circolo Nazionale"
(Even-Bytantaj) venne dotato di autogoverno per lo sviluppo
economico su base nazionale.
Con modifiche di legge venne resa possibile l'istituzione di
nuovi territori amministrativi su base nazionale laddove un
popolo indigeno rappresentava la maggioranza locale. Dove un
popolo indigeno rappresenta una minoranza, dovrebbero poter
sorgere "unità territoriali etniche". Questa legge venne
fatta propria anche dallo Stato Russo dopo il crollo dell'Unione
Sovietica nel dicembre 1991.
Vie verso il futuro
Nella nostra cultura occidentale viene spesso frainteso cosa
significa il desiderio dei popoli indigeni di uno sviluppo che
rispetti le proprie caratteristiche culturali. Non significa
tornare indietro nel tempo e vivere nuovamente in tende di pelli
o capanne di zolle. Nessuno vuole questo. Ma popoli derubati di
gran parte della loro terra e della loro cultura devono
recuperare almeno il diritto all'autogoverno, progettare e
realizzare la propria evoluzione sulla base dei propri valori.
Solo in questo modo, a lungo termine, è possibile evitare
conflitti etnici e il sorgere di movimenti separatistici.
Le riforme degli ultimi anni possono essere prese come un segno
di buona volontà. Ma numerosi ostacoli si frappongono alla
loro realizzazione pratica: in parte a causa di vecchi appartati
di partito cui riesce difficile, soprattutto nell'estrema
periferia, assumere nuovi atteggiamenti, in parte per il
rinascente nazionalismo russo, in parte a causa della
difficilissima situazione economica, e non per ultimo,
perché in molte zone le leggi non vengono nemmeno
applicate, soprattutto dove dominano bande mafiose o i militari
governano a loro piacimento.
Ora che i paesi occidentali e dell'estremo oriente stanno
negoziando con la Russia per l'apertura del passaggio Nord/Est e
che l'opinione pubblica mondiale può influenzare in
maniera sempre più profonda gli avvenimenti in Russia, non
si dovrebbero raggiungere accordi con la Russia, se questi
prevedono l'ulteriore espropriazione o la distruzione dei
territori e delle risorse dei popoli indigeni della Siberia. La
molteplicità culturale della nostra terra è una
ricchezza da conservare a tutti i costi. Non si devono più
cacciare uomini dalla loro patria, e devono essere protetti da
violenze da parte dei militari. Ogni possibile collaborazione
economica con Mosca nei territori del Nord deve essere legata a
queste condizioni.
Winfried Dallmann collabora con l'Istituto polare norvegese e vive a Oslo.
1. Introduzione [ top ]
Sul territorio della Federazione Russa vivono circa 200.000
persone appartenenti ai 30 popoli indigeni del Nord divisi tra 5
repubbliche, 4 territori, 10 regioni e 8 province autonome. In
condizioni artiche vivono 11 piccoli popoli, e cioè i
Saami, i Nienzi, i Dolgani, gli Enzi, gli Evenchi, i Chanti, gli
Eveni, i Ciukci, gli Eskimo, i Nganasani ed i Jukaghiri. Il
numero complessivo degli appartenenti ai popoli artici ammonta a
130.000. A prescindere da ciò, nelle immediate vicinanze
del circolo polare, a livello del 60º grado di latitudine
settentrionale, vivono ancora 5 popoli: i Korjaki, i Keti, i
Mansi, i Selkupi ed i Ciuvanzi, con un numero complessivo di
20.000 uomini.
La caratteristica specifica della vita nell'Artide sono le
temperature estremamente basse, i venti forti, la neve ed il
ghiaccio. Gli antenati di questi popoli hanno vissuto per
millenni in questa zona dal clima così rigido. Hanno
sopravvissuto perché si sono adattati alle condizioni
locali e si sono nutriti, in sostanza, di quanto fornisce la
natura stessa. Rispetto al numero complessivo dei territori in
cui vivono il numero degli appartenenti ai popoli indigeni del
Nord diminuisce continuamente e ne costituisce soltanto il 1%. La
schiacciante maggioranza, il 75% circa della popolazione
aborigene, vive in campagna, dove rappresenta il 15% della
popolazione.
Negli spazi infiniti del Nord della Russia sono concentrate
più del 60% delle riserve esplorate di materia prima
carbonifera, più della metà delle risorse naturali
riproducibili, quale il pellicciame. I territori settentrionali
rendono la quinta parte delle entrate nazionali della Russia e
producono la decima parte della produzione industriale. Nel Nord
si ricavano i ¾ del petrolio, il 92% del gas, il 15% del
carbone e quasi tutti i fosfati. Alla regione (del Nord) tocca
più della metà della pesca e dei prodotti del mare.
Nelle regioni autonome Chanti-Mansisk e di Jamalo-Nenjez si
ricavano giornalmente più di 200 milioni di tonnellate di
petrolio, circa 500 miliardi di metri cubi di gas naturale. Gli
ultimi 10 anni sono stati caratterizzati da un forte aumento del
ruolo della regione artica come territorio base della Russia per
la fornitura di materie prime. L'Artide diventa il centro
principale dell'industria petrolifera e dell'estrazione di metano
nonché della metallurgia variegata.
Un ruolo di guida nell'apertura e nello sfruttamento dei
territori polari lo riveste l'arcipelago Novaja Semlja e gli
spazi marini adiacenti dello shelf del mare Barents e del mar
Kara. Le riserve geologiche di depositi di condensato di gas
dello shelf continentale di Novaja Semlja vengono stimate in non
meno di 10 trilioni di metri cubi. I piccoli popoli del Nord sono
popoli indigeni che hanno vissuto in queste regioni fino alla
comparsa di altre etnie. I piccoli popoli indigeni si sono
insediati ed hanno popolato nel corso di secoli gli immensi
territori del Nord e dell'intera Eurasia. In condizioni
climatiche naturali estreme, essi hanno sviluppato il loro tipo
di attività economica, di cultura e di modo di
vivere.
Per tradizione i i popoli del Nord sono prevalentemente nomadi,
seminomadi comunque abitanti delle zone rurali. Tuttavia il loro
tradizionale stile di vita è stato distrutto dal governo
russo, la cui politica si proponeva di rendere sedentari i
nomadi, di inpiantare industrie e di ingrandire gli insediamenti.
Attualmente una parte importante della popolazione indigena vive
in città ed in abitati di tipo cittadino. per esempio il
50,7 Presso i Nivchi, 40%, presso gli Itelmeni il 40%, presso i
Keti il 17,8%, presso i Nienzi il 17,1% e presso i Ciukci il 10%
e così via. La vita in insediamenti e città
contribuisce a stretti contatti tra indigeni e appartenenti ad
altre etnie, ragion per cui il loro modo di vivere ha assorbito
non pochi elementi etnici eterogenei. Questo stile di vita
lontano dalla tradizione ha comportato per loro non poche
conseguenze negative. L'interazione tra società
industriale e le comunità indigene, relativamente chiusa,
con struttura tribale e con prevalente economia naturale genera
numerose contraddizioni sociali, economiche e giuridiche.
A partire dal 1926 sui problemi dei popoli indigeni sono stati
adottati più di 300 leggi e più di 1000 ordinanze
ministeriali ed amministrative. Alla loro elaborazione hanno
partecipato importanti istituzioni scientifiche. Tuttavia molte
questioni di principio non solo non sono state risolte, ma in
molti casi si sono persino aggravate. La politica dell'intensa
partecipazione dei popoli del Nord alla vita economica del Paese,
del passaggio dal nomadismo alla sedentarietà, realizzata
senza tener conto delle caratteristiche peculiari del modo di
vivere e della cultura ha condotto alla distruzione del
tradizionale complesso economico nazionale come base del tipo di
vita praticato dalle etnie settentrionali. Tale azione
sfavorevole l'ha esercitata anche un'industrializzazione
unilaterale delle regioni del Nord, senza tener conto né
delle particolarità di vita dei popoli del Nord. Né
delle loro proprie esigenze di sviluppo, né della
peculiarità dell'equilibrio ecologico di questi
territori.
Questa miope politica ha seriamente danneggiato lo sviluppo dei
popoli settentrionali: sono andate lentamente perse le
peculiarità etniche e culturali e la lingua, le forme
tradizionali dell'economia e l'ambiente sono stati distrutti, il
tenore di vita non è cresciuto, e anche dal punto di vista
della salute fisica i popoli del nord restano in pericolo . I
tentativi di normalizzare la situazione a livello locale con
l'adozione di provvedimenti per la tutela degli insediamenti e
dell'attività economica dei popoli del Nord, in mancanza
di una vera disponibilità alla soluzione e dei passi
necessari nella legislazione della federazione russa. Il Nord
è diventato la regione della Russia più esposta
alle crisi. Gli indici fondamentali del livello di vita e di
previdenza qui sono 2-3 volte più bassi dei valori medi
russi. La metà degli arretrati di salario è dovuta
ai settentrionali, un disoccupato su 5 è un'abitante di
questa zona.
E' peggiorata la situazione dei settore basilari dell'economia
degli indigeni. Negli ultimi 5 anni numero di renne si è
ristretto da 2.304.000 a 1.749.000 unità, la pesca e
quanto si ricava dalla pellicceria e dalla pesca sono diminuiti
della metà, è praticamente cessata la raccolta di
funghi, bacche, noci, di piante medicinali e di alghe. A causa
delle alte tariffe per i trasporti il 60% di quanto prodotto non
ha raggiunto i luoghi di lavorazione o di commercializzazione.
Tutto ciò ha reso più complicata la situazione
dell'occupazione dei popoli indigeni. Soltanto nel 1994 il numero
dei lavoratori indigeni è diminuito quasi del 20%, circa
il 25-30% degli abili al lavoro sono disoccupati e non dispongono
di mezzi di sussistenza. Particolarmente alta è la
percentuale dei disoccupati tra i giovani e le donne. E' calato
il numero degli occupati nei settori tradizionali dell'economia
dei piccoli popoli del Nord.
2. La situazione socio-demografica dei piccoli popoli indigeni del Nord [ top ]
L'aumento demografico dei popoli del Nord supera gli indici
medi della Repubblica e per il periodo tra i censimenti del 1959
e del 1989 questo aumento raggiunse il 39,9% rispetto al 25,4%
nell'intera Russia. Sia nel periodo 1959-1970 che nel periodo
1979-1989 il numero dei popoli del Nord è aumentato in
egual misura, e cioè del 16,6%, nei confronti della Russia
in generale dove è diminuito rispettivamente del 10,7 e
del 7,1%. Tuttavia, nel periodo tra i censimenti del 1970 e del
1979 si è osservato un acuto abbassamento (del 2,9%) dei
tempi di crescita del numero della popolazione aborigene,
verificatesi sullo sfondo del ribasso anche degli indici generali
russi di crescita (5,8%).
Il livello di natalità è relativamente alto e
supera del 2,5% il valore medio russo. Nel 1989 nella Russia il
la crescita media fu del 14,6%, mentre per i popoli del Nord il
31,9%. Nel 1991 secondo i calcoli questi indici erano
rispettivamente il 12,1% ed il 30,5%. Fino ad oggi le famiglie
indigene preferiscono più figli – circa il 40% delle
famiglie hanno tre o più figli (il 16% nella Russia in
generale). Contemporaneamente si osservano significativi divari
tra i livelli di natalità delle diverse etnie indigene. Il
più alto indice del 1989 lo hanno raggiunto gli Oroci
(45.9%), il più basso gli Oroki (7,9%), mentre il livello
di natalità di tutti i piccoli popoli del Nord (salvo gli
Oroki) supera gli indici medi della Russia in generale.
Il tendenziale calo del tasso di natalità viene anche
confermato dall'aumento delle famiglie a uno o due figli e dal
calo del numero delle famiglie a cinque o più figli. Le
giovani spose delle nazionalità indigene sono in sostanza
orientate verso un minor numero di figli. Si registra anche una
crescita degli aborti. Questi sviluppi conducono al
restringimento della famiglia media. Nel 1970 la famiglia media
contava ancora 4,7 membri, nel 1979 4,3 e nel 1989 soltanto 4
membri. La diminuzione del numero dei figli deriva anche
dall'indebolimento delle relazioni familiari, dovuto al fatto che
fino a poco tempo fa l'istruzione e l'educazione dei bambini si
svolgeva separatamente dalla famiglia. Il passaggio dal nomadismo
alla vita stanziale ha messo in crisi l'organizzazione familiare
tribale, e ha reso difficile l'incontro di potenziali coniugi. Il
rapporto tra i due sessi peggiora per i differenti livelli di
educazione e di cultura che li contraddistingue: Mentre i sono
occupati nei lavori tradizionali nella tundra, le ragazze vengono
educate nell'ambiente relativamente urbanizzato degli
insediamenti permanenti.
Cresce quindi il numero delle femmine e dei maschi non sposati.
Inoltre esistono più maschi celibi che femmine nubili. In
confronto con la popolazione russa media, presso i Nenzi, gli
Evenki, gli Eveni ed i Korjaki la quota dei maschi celibi e delle
femmine nubili è due volte più alta, presso i Saami
è più di tre volte più alta. Spesso le
ragazze indigene preferiscono convivere, senza documento di
matrimonio, con giovani che lavorano temporaneamente nella
regione. Secondo stime di esperti presso i popoli del Nord si
registrano, sempre più spesso nascite extraconiugali. I
processi di assimilazione che si vanno rafforzando condizionano
in maniera duratura i problemi della popolazione indigena del
Nord. Il numero dei matrimoni misti aumenta continuamente.
Così la quota dei matrimoni misti presso i Saami
costituisce l'80-90%. Perciò l'aumento del numero
complessivo di alcuni popoli, tra cui i Keti, i Nganasani, i
Selkupi, gli Evenki e i Mansi, è dovuto al numero
crescente degli "immigrati per matrimonio".
I figli da matrimoni misti in una serie di distretti dei
territori di Murmansk e Tjumen nonché di Krasnojarsk e
Chabarovsk costituiscono il 70-90% di tutti i figli da madri
indigene. Per continuare a ricevere i contributi statali questi
figli il più delle volte vengono registrati come persone
di nazionalità indigena. Secondo stime fatte nella Regione
autonoma dei Chanty e Mansi il 20% di tutti i nativi Chanty e
Mansi appartengono a queste etnie soltanto in base al loro
passaporto. I processi di assimilazione hanno serie conseguenze
biologiche. Secondo dati di indagini medico-genetiche il
mescolamento della popolazione indigena con gli immigrati
può condurre a quell'indebolimento del sistema di
adattamento dell'organismo che consente il sopravvivere della
popolazione in estreme condizioni ambientali e che in ultima
analisi garantisce anche l'esistenza di queste etnie singolari.
Questo aspetto del problema dovrebbe diventare oggetto di
indagini accurate ed a largo raggio.
Una particolare preoccupazione desta il tasso di mortalità
della popolazione indigena del Nord. Presso 12 dei 26 popoli essa
supera la media russa. Il tasso di mortalità specialmente
presso i maschi tra i 24 e i 34 anni in media è 1,5 volte
più alto di quello presso gli altri abitanti dei territori
settentrionali (10,4 0/00 rispetto a 6,6 nel 1989). Vi è
una grande differenza tra le diverse etnie: 6,2 per mille presso
gli Aleuti e fino a 28,3 per mille presso gli Oroci. Lo stesso
vale anche per la mortalità in età di lavoro.
Questa presso gli aborigeni è 3-4 volte superiore a quella
degli immigrati da altre regioni della Russia (1989).
La mortalità infantile presso la popolazione indigena del
Nord (30 per mille) supera egualmente 1,5 volte la media dei
rispettivi distretti in cui tale popolazione vive e 1,7 volte la
media russa. Così nel 1989 nella Regione Irkutsk (Evenki e
Tofalari) la mortalità infantile (dei bambini fino ad un
anno) ammontava a 57 su 1000 nati, nel territorio di Krasnojarsk
(Dolgani, Evenki, Nenzi, Nganasani, Keti) a 48 rispetto a 17,17
in tutto lo Stato. Presso singoli popoli la mortalità nel
primo anno di vita è molto più alta e supera i
valori medi della Russia da 5 fino a 7 volte. Particolarmente
alti sono i tassi presso i Korjaki (52,7 per mille) e gli Eskimo
(47,6 per mille).
Tra le cause di morte (anche degli uomini in età
lavorativa) spiccano i traumi le intossicazioni alcoliche, le
malattie dell'apparato respiratorio e le malattia infettive. Il
tasso di mortalità specifico supera 2,5 volte i dati
statistici medi della Russia. Il peggioramento delle condizioni
di vita sociali e -igienico sanitarie (abitazione di
qualità scadente, modo di vita instabile, cura
insufficiente della salute) fa aumentare la mortalità. Nei
centri abitati manca lo spazio abitativo. Le costruzioni
risalgono agli ultimi anni '50 ed ai primi anni '60. Lo spazio
abitativo in media non raggiunge 4 m2 a persona. Più del
30% degli aborigeni vive in tende da nomadi (cium). Mancando i
mezzi per la manutenzione, lo spazio abitativo medio disponibile
per gli indigeni è diminuito del 40%( rispetto a una
diminuzione del 23% in tutta la Russia). La cattiva situazione
abitativa diventa ancora peggiore nelle campagne, perché
qui prevalgono edifici monofamiliari, il cui costo, per la
maggior parte delle famiglie, è troppo alto.
Il forte inquinamento dei grandi fiumi e dei mari dovuto allo
scarico di acque di rifiuto industriali, a mancati investimenti
nella tutela delle acque, alla scarsa efficienza degli acquedotti
danneggiano gravemente l'ecosistema. Una grande percentuale delle
campioni di acqua potabile (40-65%) non corrisponde né
chimicamente né batteriologicamente ai limiti di legge.
Questa situazione compromessa si ripercuote negativamente sulla
crescita della popolazione. La mortalità generale è
superiore 1,7 volte e quella infantile 2 volte a quella della
popolazione non-indigena della regione. La durata media della
vita è 10-20 anni inferiore alla media russa.
Le cause di questa evoluzione o meglio involuzione sono da
ricercare nel sovvertimento delle fondamenta della vita
economica, culturale e intellettuale e nel cambiamento profondo
dell'ambiente abitativo e dell'alimentazione degli aborigeni.
Così l'alimentazione di tipo europeo dimostra una
composizione di microelementi non corrispondente all'organismo
dell'indigeno settentrionale ed una quantità insufficiente
di calorie. Perciò il mantenimento della dieta
tradizionale (carne di renna, pesce, piante) non costituisce solo
la soluzione di un problema di approvvigionamento, ma anche una
questione di conservazione delle caratteristiche etniche.
Contribuisce all'alta mortalità e la scarsa salute
psichica della popolazione. In seguite alla perdita del lavoro e
del modo di vita tradizionali, è sorto una classe di
sottoproletariati. Più del 30% delle morti presso i popoli
indigeni avvengono violentemente. Si commettono tre, quattro
volte più suicidi che nella Russia in generale. La
densità degli ospedali nelle zone di insediamento dei
popoli indigeni raggiunge solo il 67% della norma. Di 19 centri
di assistenza al parto solo 4 sono stati costruiti dopo il 1970,
gli altri risalgono al periodo 1934-1948. Inoltre questi centri
nei piccoli insediamenti sono male attrezzati. Le cause
principali della decadenza sono da ravvisare nella distruzione
dell'ambiente, nel rapido mutamento delle abitudini alimentari,
nell'alimentazione non equilibrata dei bambini e nell'aumentata
sensibilità degli aborigeni rispetto alle malattie
infettive. La rottura radicale con il modo di vita e valori
tradizionali dev'essere considerata come ulteriore causa
dell'aumento dei suicidi tra la popolazione abile al lavoro e
dell'alcoolismo molto diffuso.
Nel complesso il sopravvivere dei piccoli popoli dipende dalla
loro capacità di adattamento sociale, psicologica e
fisiologica. Secondo indagini della sezione siberiana
dell'accademia russa delle scienze mediche la riserva di salute
storica degli aborigeni del Nord di fronte alle tendenze che si
profilano potrebbe essere esaurita in due-tre generazioni.
C'è quindi la necessità urgente di elaborare un
modello di controllo medico-demografico per seguire la dinamica
dei cambiamenti genetici ed altri nella popolazione ed elaborare
su questa base un piano di neutralizzazione delle influenze
dannose.
3. La salute [ top ]
Per via delle peculiarità del cosiddetto "polmone
settentrionale" le malattie degli organi respiratori presso i
popoli indigeni hanno un andamento più lungo e più
grave. Per la popolazione immigrata è tipico l'andamento
acuto della malattia, per gli aborigeni quello cronico. Le
malattie infettive ed infiammatorie costituiscono il 57-80% di
tutte le patologie. L'andamento cronico presso la popolazione
indigena stanziale si riscontra 16-18 volte più spesso che
presso quella immigrata. Gli aborigeni sono 2,5-3 volte
più spesso colpiti dalla tubercolosi degli abitanti della
Russia in media.
Il passaggio dall'alimentazione tradizionale a quella di tipo
europeo con il caratteristico prevalere degli carboidrati genera
malattie gastrointestinali 2,5 volte più diffuse presso la
popolazione aborigene che altrove. Fino al 95% degli esaminati
soffrivano di carie o ipovitaminosi. Indagini svolte nella
Regione autonoma Nenjetz hanno dimostrato che la diffusione di
malattie presso gli abitanti di insediamenti stabili è nel
complesso 1,5 volte più alta che presso gli abitanti della
tundra, per le malattie infettive e parassitarie è 2,5
volte più alta, per le malattie degli organi digestivi e
respiratori è 1,5 volte più alta e per la malattie
psichiche è persino 5 volte più alta. Dal 1970 le
malattie psichiche sono aumentate di 6,5 volte, le malattie
cutanee 7,2 volte, le intossicazioni (acqua malsana, generi
alimentari, alcool) ed i traumatizzati 65,5 volte.
Gli abitanti del Nord possiedono una particolare facoltà
visiva: vedono meglio a lunga distanza, mentre hanno
difficoltà a guardare a breve distanza: (per es. per
leggere o guardare la Tv). Perciò la lettura di libri
presso il 90-97% degli scolari provoca forti tensioni psichiche e
stanchezza. Di conseguenza nell'età infantile prevalgono
oggi le malattie degli occhi (conseguenti a malformazioni nello
sviluppo dei vasi cardiaci e da malattie dei nervi e della
psiche). Le peculiarità mediche e sociali della
popolazione aborigene si ripercuotono sulla durata della vita:
Nel 1989 la durata media della vita degli uomini era 54 anni,
quella delle donne 65 anni. Questi valori sono di 10 anni
più bassi della media russa e di 16 anni della media dei
popoli del Nord dell'Europa e dell'America.
4. L'occupazione [ top ]
Fino all'inizio del 1992 presso i popoli indigeni del Nord il
numero degli occupati è cresciuto continuamente. Nel
periodo dal 1981 al 1991 il numero dei lavoratori, impiegati e
contadini di aziende collettive è aumentato mediamente del
22%, la manodopera è cresciuta in quasi tutti i settori
dell'economia, più rapidamente quella femminile. Col
passaggio all'economia di mercato il numero dei lavoratori
aborigeni impiegati in aziende collettive è diminuita.
Questo processo ha colpito 21 su 25 popoli del Nord. I più
gravemente colpiti sono stati gli Esquimesi (-30,1%), i Ciukci
(-28,6%), i Saami (-22,1%) e gli Itelmeni (-19,5%). Solo nel 1992
il numero degli aborigeni occupati è sceso quasi del 10%:
nell'agricoltura del 7,9%, nell'industria pesante del 13,5%,
nell'edilizia quasi del 28%, nel commercio, nel settore
alimentare, nell'industria manifatturiera del 23,7% e nei
trasporti del 15,8%.
Contemporaneamente è avvenuta una crescita insignificante
dell'occupazione indigena nel settore dell'istruzione (del 4,3%
nel 1992 dovuto in parte al sorgere di piccole scuole nazionali.
Causa principale del calo del numero degli aborigeni occupati
nella produzione è la diminuzione dei branchi delle renne,
a sua volta connesso con la riorganizzazione delle aziende di
tipo kolchos e sovchos, con lo scioglimento delle unità
selvi culturali, con il calo degli investimenti nell'edilizia,
con la privatizzazione del commercio e dell'alimentazione
pubblica. Sono calati in primo luogo i posti di lavoro che non
richiedevano alcuna qualificazione e perciò occupati
soprattutto da indigeni.
A questa perdita di posti di lavoro per gli aborigeni fa
riscontro l'aumento della popolazione abile al lavoro. Fino al
25-30% degli abili al lavoro dei piccoli popoli si trovano, oggi,
senza occupazione, cosicché possono assicurarsi
l'esistenza solo con la raccolta di piante selvatiche, con la
pesca, la caccia e l'allevamento di piccoli greggi di renne.
Circa il 15% degli abili non possono o non vogliono inserirsi nel
processo di lavoro. La disoccupazione è particolarmente
diffusa tra la gioventù e tra le donne. La scarsa
mobilità della popolazione indigena costituisce
un'ulteriore causa dell'alto tasso di disoccupazione. Secondo i
dati di un'indagine sociologica il 20% dei non indigeni in caso
di perdita del posto di lavoro è disposto a cercare lavoro
fuori della propria regione, ma solo il 2% della popolazione
indigena farebbe lo stesso. Molti aborigeni uscenti dal processo
di lavoro ritornano nella tundra o accrescono l'esercito del
sottoproletariato nei nuovi insediamenti.
4.1. L'occupazione nei settori tradizionali
dell'economia
L'economia tradizionale costituisce l'elemento più
importante, formatosi storicamente, degli ecosistemi
settentrionali. Questi territori forniscono il mercato russo di
merci rare. Così l'allevamento delle renne assicura il 96%
di tutto l'effettivo russo di renne, la caccia il 52% degli
acquisti russi di pelliccia ed il 58% della selvaggina.
All'inizio degli anni 90 la popolazione indigena lavorava in 278
aziende sovchos, 87 aziende kolchos, 353 imprese ausiliarie e 336
aziende di caccia. Nei settori tradizionali dell'economia dei
popoli indigeni (allevamento renne, pesca, caccia, preparazione e
lavorazione di piante selvatiche, produzione di abiti da
pelliccia e calzature ed altro) sono occupati attualmente circa
30.000 persone ed il 55% degli abili al lavoro indigeni. Essi
costituiscono la parte essenziale (più del 70%) degli
occupati nell'agricoltura.
All'inizio del 1993 il più alto tasso di occupazione in
agricoltura lo si riscontrava presso gli Onoki (96,4%), gli Eveni
(77,8%), i Ciukci (70,2%) e presso una serie di altri popoli.
Molti Tofalari e Udeghi sono occupati nella pesca e vengono
considerati come occupati nell'industria. Per il ministero del
lavoro non è soddisfacente il fatto che per es. tra i
Tofalari due persone (il 0,9%) vengono contate come occupati
nell'agricoltura, ma il 56,4% come occupati in altri settori.
Presso gli Udeghi i dati corrispondenti sono 4 e 31,9%. Simili
rapporti si riscontrano presso i Mansi, i Nanaizi, gli Ulci ed
altri popoli. I seguenti fattori negativi determinano la
situazione occupazionale della popolazione indigena nel settore
tradizionale dell'economia:
La sistemazione dei popoli nomadi in centri abitati, nei quali
non era stata predisposta alcuna struttura artigiano-industriale
corrispondente alle loro capacità lavorative, ha sottratto
alla popolazione abile al lavoro la possibilità di seguire
un lavoro regolare. Non mancarono le conseguenze per il benessere
materiale delle famiglie. Inoltre il calo dello standard di vita
della popolazione russa durante gli anni 1991-1993 si è
ripercosso più fortemente sulla situazione degli
aborigeni. Inoltre la prevalente maggioranza dei piccoli popoli
dispone di un reddito largamente inferiore al minimo esistenziale
e persino al di sotto del salario minimo.
La lesione dell'equilibrio ecologico del territorio causa la
diminuzione del numero dei posti di lavoro nei settori
tradizionali dell'economia. Soltanto nelle Regioni autonome
Chanty-Mansijsk e Jamalo-Nenjezki , per lo sfruttamento dei
giacimenti di petrolio e di metano si sono persi
irrecuperabilmente 1,1 milioni di ettari di pascolo per le renne.
Più di 100 grandi e piccoli fiumi sono inquinati,
più di 500.000 ettari di bosco e pascolo sono stati
espropriati. A causa l'inquinamento dell'acqua nel corso
dell'estrazione del metano periscono annualmente più di
mille tonnellate di pesce pregiato. Nell'apertura dei giacimenti
Medjeshev, Urengoi, Jamburg le misure di protezione della natura
non sono state prese in considerazione nei progetti del complesso
petrolmetanifero. Va da sé che ciò si è
immancabilmente ripercosso sulla situazione dell'occupazione nei
settori economici tradizionali degli indigeni. Nella Regione
autonoma Nenjez nell'anno 1979 erano occupati ancora 713
pescatori, nel 1989 sono rimasti soltanto 308. Inoltre gli
immigrati hanno scacciato la popolazione indigena dai loro posti
di lavoro nella pesca, nella caccia e parzialmente anche
nell'allevamento delle renne.
L'abbandono, da parte della popolazione indigena e specialmente
della gioventù, dell'economia tradizionale viene provocato
anche dal peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
L'allevatore di renne deve sottostare a un doppio carico: da un
lato infatti deve condurre la sua vita in condizioni climatiche
estremamente pesanti, e d'altro canto deve affrontare il non meno
pesante lavoro giornaliero con il gregge; in queste condizioni
sorgono difficoltà nel costituire una famiglia.
Nelle regioni ed economie in cui gli itinerari del nomade non
superano i 300-400 km e l' azienda viene gestita col metodo della
guardia, gli allevatori delle renne vivono gran parte dell'anno
con le loro famiglie in condizioni relativamente gradevoli.
Ciò favorisce il consolidamento di gruppi di lavoro nei
settori tradizionali dell'economia. Per una vita nomade che si
protrae fino a 1000 km occorre che lungo gli itinerari si
facciano sforzi aggiuntivi per creare quelle condizioni di lavoro
e di vita che non siano in alcuna maniera meno accettabili delle
comodità degli insediamenti stabili. Soltanto allora per
le donne si aprirebbe la possibilità di lavorare e vivere
non soltanto negli insediamenti, ma anche sugli itinerari delle
migrazioni. Il ripristino delle aziende comunali e
rispettivamente tribali comporta il riesame dell'atteggiamento
verso la vita nomade. Soltanto nel 1992 il numero dei nomadi
è cresciuto di 586 persone a 16.426 persone (3625 gruppi
di lavoro ed altri gruppi minori).
Un nuovo mestiere è l'allevamento di animali selvatici.
Così nel distretto Providenskij della Regione autonoma dei
Ciukci più di 2000 aborigeni sono occupati in questo ramo,
il 30% di tutti gli aborigeni occupati nell'agricoltura in questo
circondario. La soluzione dei problemi sociali ed economici dei
piccoli popoli del Nord deve basarsi sulla conservazione e sullo
sviluppo di nuove tecniche per il loro modo di lavorare e di
vivere tradizionale. Il funzionamento dell'economia tradizionale
costituisce il fondamento dello sviluppo, è questa
l'opinione degli aborigeni. Le nuove forme aziendali ed
occupazionali (farmer, economie comunali, piccole imprese
familiari e cooperative) si sono molto sviluppate nell'ambito
dell'economia tradizionale . Nel corso della riorganizzazione dei
kolchos e dei sovchos vengono create molte nuove entità
economiche, che costituiscono un ritorno alle forme tradizionali
familiari e tribali dell'economia. In una tale azienda contadina
sono occupati in media da tre a sei persone.
Il numero di queste aziende aumenta continuamente: nel territorio
del Magadan (compresa la Regione autonoma dei Ciukci) il numero
delle nuove aziende di allevamento delle renne soltanto nel primo
semestre del 1993 è aumentato da 27 a 42 unità, nel
territorio di Archangelsk (compresa la Regione autonoma Nenjez)
da 30 a 50 unità. Inoltre all'inizio del 1993 nei
distretti dell'estremo Nord funzionavano 25 imprese nazionali
(familiari), circa 30 cooperative e 7 associazioni. La
popolazione aborigena costituisce la maggioranza degli occupati
in queste nuove forme aziendali. Così per es. nel 1993
nella Regione Kamciatka vennero fondate 9 cooperative nazionali,
4 imprese nazionali e la corporazione "Vosroshdenie"
("Rinascita"). Nella Regione Sachalin venne eretta la ditta
agroindustriale "Aborigen Sachalina". Nella Regione autonoma
Nenjez venne creata l'associazione degli allevatori di renne
"Erv" e nel territorio di Krasnojarsk l'associazione industriale
di caccia dei piccoli popoli del Nord. Nella Regione autonoma
degli Evenki vennero istituite 60 aziende contadine, 23 aziende
industriali per l'allevamento delle renne, 11 comunità
tribali nei settori tradizionali dell'agricoltura e
dell'industria: allevamento di renne, fornitura e lavorazione di
pellicciame, allevamento di animali selvatici, allevamento cani
ed altro dove lavorano circa 700 uomini (4,3% degli occupati
nella Regione).
Nella legge "Sulla privatizzazione delle imprese statali e
comunali nella Federazione Russa" è stabilito il diritto
di prelazione degli abitanti indigeni sull'acquisto della
proprietà delle imprese industriali ed artigianali
tradizionali. Causa la tecnologia primitiva usata nella
produzione, lo scarso funzionamento del mercato di materie prime
e le difficoltà di smercio, l'industria tradizionale
finora costituiva spesso un'attività deficitaria. Per gli
esercizi organizzati ex novo per ora non ci sono mezzi di
promozione, benché, secondo valutazioni, per esempio
soltanto nella Regione Evenka lo sviluppo dell'industria
tradizionale potrebbe assicurare un posto di lavoro a 20.000
persone, cioè a tutte le donne disposte a lavorare
appartenenti alla popolazione indigena. Attualmente in questo
settore sono occupate soltanto 260 persone.
Negli ultimi anni i capi di renne sono calati drasticamente.
Rispetto alla media annua 1986-1990 nel 1992 gli acquisti statali
di carne (peso vivo) sono calati di 2,7 volte, l'acquisto di
pelli di renna di 3,6 volte. E' diminuita fortemente la prole, le
perdite dovute alle epidemie sono aumentate del 43%. Se nel 1986
soltanto il 10% dell'effettivo delle renne era vittima di
epidemie, tale quota nel 1992 salì al 16%. Dati questi
presupposti per le imprese si crearono difficoltà nel
rifornimento con materie prime, le quali difficoltà a loro
volta si ripercuotevano sulla lavorazione dei prodotti delle
renne, per cui diminuiscono i posti di lavoro, cala il salario e
cresce la disoccupazione latente (tempo di attesa imposto,
settimane di lavoro incomplete, aumento delle attività
stagionali).
4.2. L'occupazione nei nuovi settori
dell'economia
Le opportunità occupazionali della popolazione indigena
possono essere accresciute attraverso una migliore formazione
professionale. Gli indigeni non lavorano volentieri nei nuovi
ambiti industriali non collegati con il loro settore tradizionale
di attività. Nel complesso la parte degli indigeni
occupati nell'industria non supera di molto il 9% del totale
degli occupati. La percentuale varia notevolmente da popolo a
popolo. Così solo circa il 3% degli Evenki, il 2,6% dei
Korjaki e l'1% dei Ciukci lavorano nell'industria.
Contemporaneamente il 16,2% dei Nenzi, il 20% dei Nanaizi, il 24%
dei Nivchi, il 29,6% degli Ulci sono occupati prevalentemente
nell'industria di lavorazione del pesce. Questo ramo industriale
costituisce la continuazione tecnologica della pesca
tradizionale.
Poco più dell'1% lavora nell'edilizia, circa il 2,5% nei
trasporti e nelle comunicazioni, dove occupano soprattutto posti
di lavoro non richiedenti alcuna qualificazione speciale,
perché la loro formazione generale e professionale
è molto bassa. Dei rappresentanti della popolazione
aborigena nel servizio sanitario il 90% lavora nei servizi di
livello basso o medio e solo il 10% è costituito da medici
o dirigenti di case di salute.
4.3. La formazione professionale
Il 48% della popolazione aborigena ha ricevuto soltanto
l'istruzione elementare. Nel 16,9% manca persino questa, la
metà di essi è costituita da analfabeti. Indagini
svolte nei circondari autonomi della Regione Tjumen hanno
dimostrato che solo il 5% di coloro che frequentano la 1ª
classe concludono con successo l'ottava e la decima classe. Fino
ad un terzo degli scolari della 1ª classe deve ripetere tale
anno scolastico. Meno del 22% continuano fino alla 7ª classe
o fino ad una classe superiore. Questo basso livello di
educazione non consente agli adulti di abbracciare una
professione moderna e li costringe ad accettare lavori non
richiedenti alcuna o soltanto una scarsa qualificazione. Le cause
principali di questo inconveniente sono le seguenti:
Meritano il massimo aiuto le piccole scuole per nomadi che si trovano più vicine alle aziende dei genitori ed il cui sistema di istruzione corrisponde al sistema economico degli aborigeni. I gruppi di lavoro qualificati della popolazione indigena del Nord nella formazione tecnico-professionale vengono preparati in primo luogo per i settori tradizionali dell'economia. Ma negli anni 1987-1992 il numero degli iscritti è diminuito da 1.510 a 940 persone (-36,7%). Gran parte dei giovani e si orienta verso le professioni odierne nei nuovi settori di produzione. Però, non appena i giovani hanno concluso gli istituti di istruzione tecnica, si trovano senza lavoro. A Sachalin più del 35% dei disoccupati sono giovani al di sotto dei 25 anni, nel distretto Beresov del circondario Chanty-Mansijsk lo è il 40%. In realtà le cifre sono più alte perché molti di coloro che hanno perso il proprio lavoro non si fanno più registrare perché abitano troppo lontani dagli uffici del lavoro.
5. La situazione culturale [ top ]
Con la scomparsa delle forme tradizionali dell'attività
economica sono state minate le basi della cultura autoctona degli
aborigeni. Gli istituti e le forme tradizionali spirituali e
religiosi, ed i riti connessi sono stati annientati.
L'etnicità era considerata come qualcosa di arcaico,
folcloristico ed esotico. Perciò il lavoro culturale fino
ad oggi è indirizzato all'assistenza culturale ed
all'attività di spiegazione culturale.
La mancanza completa di aiuti finanziari ritarda la ripresa
culturale. La maggioranza delle case di cultura, biblioteche e
scuole rurali si trova in uno pessimo stato. Vanno scomparendo le
feste tradizionali ed i mestieri dell'artigianato artistico.
Sullo sfondo dei cambiamenti radicali svoltisi nella Russia in
generale, la cultura variegata dei popoli del Nord ha bisogno di
creatività. L'intellighentsija dei popoli indigeni
è molto preoccupata per la decadenza delle relazioni
intellettuali, per la liquidazione del sistema statale della
distribuzione dei libri e per i finanziamenti estremamente esigui
erogati per la cultura. Vengono elaborati programmi per lo
sviluppo del potenziale spirituale dei popoli del Nord, senza
coinvolgere le forze creative degli indigeni. Tutto ciò si
ripercuote negativamente sulla letteratura di questi popoli.
Tuttavia sono ancora state conservate le fondamenta spirituali
per la sopravvivenza. La ripresa culturale sembra costituire la
condizione principale per il recupero della situazione sociale,
perché soltanto con essa può essere evitato il
nichilismo etnico e l'estremismo.
6. Il settore sociale [ top ]
L'infrastruttura sociale dei distretti di vita dei piccoli
popoli del Nord è stata organizzata praticamente
nell'ambito del programma di industrializzazione dei territori
settentrionali. I collegamenti con la metropoli hanno garantito
alla popolazione locale la disponibilità di generi
alimentari, merci industriali, , linee di trasporto ed energia
elettrica. Partendo da questo dato di fatto, si spiega l'alta
vulnerabilità dell'infrastruttura sociale nell'attuale
fase di recessione economica attuale.
Rimangono del tutto irrisolti importanti problemi riguardanti
l'approvvigionamento elettrico od il trasporto e l'edilizia. Dei
29 centri abitati dell'Altai non provvisti di corrente elettrica
19 appartengono ad insediamenti permanenti degli aborigeni. Nei
distretti rurali a causa del terreno impervio è reso
più difficile il lavoro della posta. Mancano comunicazioni
telefoniche. In molti villaggi della popolazione indigena non
funziona alcuna radio. Dappertutto manca spazio abitativo e
mancano presupposti elementari per vivere. In tutto il Nord
(anche là dove viene estratto gas naturale) solo il 3%
degli insediamenti è provvisto di gas, solo il 4% ha un
acquedotto, lo 0,1% un riscaldamento centrale. Nell'edilizia
manca un'industria orientata verso la costruzione e l'utilizzo di
edifici in condizioni climatiche estreme. Il settore edilizio
esistente si trova in una grave crisi per il forte rincaro ed il
difficile trasporto dei materiali di costruzione che inoltre
devono essere pagati al 100% in anticipo.
Tra la popolazione non indigena attualmente sale il tasso di
emigrazione, il che porta all'abbandono di insediamenti finora
abitati. Ciò comporta a sua volta gravissime conseguenze
per i minuscoli popoli perché cessano le forniture di
generi alimentari e di prodotti industriali nonché
l'erogazione di servizi importanti per la popolazione. Più
di 2 milioni di abitanti del Nord non indigeni attualmente
pensano di emigrare. Già adesso nel Magadan sono stati
abbandonati gli insediamenti Moja Rusta, Burkandja ed altri. Nel
1994 la popolazione della Ciukcia è diminuita del 10,5%,
quella del Magadan dell'8,1%, quella della Kamciatka del 3,8%,
quella di Sachalin del 2,6%, quella della Jacuzia del 2,4%. Il
calo della produzione nelle città, l'economia tradizionale
non redditizia, il restringimento delle zone di caccia e pesca
provocano disoccupazione. La gran maggioranza della popolazione
indigena del Nord vive al di sotto del limite di
povertà.
All'inizio del 1995 la maggioranza della popolazione disponeva di
un'entrata di 30.000-40.000 rubli al mese. L'entrata minima per
sopravvivere corrispondeva a 120.000 rubli. I problemi fin qui
prospettati sono stati affrontati dal 1991 al 1995 nell'ambito
del programma statale per lo sviluppo dell'economia e della
cultura dei piccoli popoli del Nord. Questo programma è
stato confermato con ordinanza del consiglio dei ministri della
Federazione Russa dell'11 marzo 1991, n.145. Sono state emanate
la Costituzione della Russia ed una serie di importanti leggi e
decreti e sono stati varati altri programmi di importanza
federale e regionale ("I bambini del Nord", "La tecnica del Nord"
ed altri). Tutte queste misure hanno avuto un effetto positivo,
ma non riuscivano a neutralizzare completamente il generale
peggioramento della situazione dei piccoli popoli. Siccome i
mezzi assegnati dal bilancio federale non sono stati pagati
completamente, molte delle misure previste non potevano essere
realizzate. Secondo il programma statale tra il 1991 ed il 1995
sono state realizzati 405.530 metri quadrati per case di
abitazione, 302 posti letto in ospedali, 1690 posti di studio
scolastici, 6 stabilimenti per la lavorazione di carne e pesce, 7
stabilimenti per la lavorazione delle pelli e la cucitura delle
pellicce. Tali dati corrispondono rispettivamente al 20,9%
– 12,6% – 8,8% – 13,6% - 8,2% delle opere
progettate dallo Stato.
In base al decreto del governo della Federazione Russa del 28
febbraio 1996, n.295, venne effettuata un'analisi dell'attuazione
del programma statale n.145 che ha messo in luce rilevanti
ritardi. Le ragioni sono da ricercarsi nel calo annuo dei fondi
di investimento e nel ritardo del trasferimento dei finanziamenti
da parte del ministero delle finanze. In conformità al
fabbisogno medio annuo, fissato in 1,28 miliardi di rubli
(decreto 845, a prezzi dell'anno 1984) sarebbero occorsi (a
prezzi del 1991) 2,4 miliardi, nel 1992 42,8 miliardi, nel 1993
492,66 miliardi, nel 1994 2611.10 miliardi e nel 1995 6632,20
miliardi per questo programma.
Dei mezzi richiesti vennero effettivamente trasferiti nel 1991 il
31,4%, nel 1992 il 16,5%, nel 1993 il 4,4%, nel 1994 il 5,9% e
nel 1995 il 2,2%. Ma anche per i progetti di investimento
approvati il finanziamento dei programmi non è avvenuto
per intero. Nel 1993 vennero trasferiti il 71,8%, dei mezzi
previsti, nel 1994 l'83,1%, nel 1995 il 62,2%. Il debito
creditizio per il 1993 ammonta a 31,5 miliardi di rubli. E'
interrotto il finanziamento del programma statale per lo sviluppo
dell'assistenza sanitaria, dell'educazione, della cultura, non
essendo stati previsti, nel 1994 e nel 1995, stanziamenti per
questi scopi. I nuovi sviluppi politici e socio-economici (lo
sfascio dell'Unione sovietica, il passaggio all'economia di
mercato, l'orientamento sui valori umani generali, l'osservanza
di norme internazionali) impongono ora nuovi approcci ai problemi
dei piccoli popoli.
7. La situazione ecologica nelle zone di abitazione dei popoli indigeni [ top ]
L'economia del Nord della Russia negli ultimi trent'anni ha
subito enormi cambiamenti. Proprio in questo periodo i giacimenti
di petrolio e gas nella Jamalia e nella Siberia occidentale
venivano sfruttati senza alcun riguardo, i minerali del nichel
venivano sfruttati nel Taimyr, i fosfati e i fosfati nella
penisola Kola, il carbon fossile e i metalli non ferrosi nella
Ciukcia. Lo sviluppo industriale del Nord sin dall'inizio era in
netto contrasto con il modo di vita tradizionale della
popolazione indigena. Purtroppo nella politica statale di
sfruttamento e sviluppo si è poco pensato alla garanzia
della sistemazione stabile dei popoli locali, con riguardo alle
forme tradizionali di sfruttamento dell'ambiente.
Il più delle volte i territori tribali dei popoli indigeni
venivano espropriati, senza consenso e senza indennizzo, dalle
società e dai complessi industriali. Le riserve
petrolifere e di gas naturale nella Siberia occidentale e nella
Regione Chanty-Mansijsk finora non hanno portato ricchezza, ma
profonde ferite e dolori per i popoli della terra Jugorska dei
Chanty e Mansi. Da sempre gli uomini di questa regione sentivano
un profondo amore e rispetto verso la madre natura, custodendola
come un santuario, vivendo in piena armonia con essa e
prendendosi soltanto il minimo necessario per vivere.
Gli impianti di estrazione di gas metano e di petroli, sorti in
breve tempo, le nuove città ed i nuovi insediamenti hanno
avuto ripercussioni molto sfavorevoli sulla ambiente artico,
molto delicato. Si pensi soltanto alle "dune di sabbia" nel
distretto Nuovo-Urengoi. D'estate la tundra del bosco ricorda qua
e là i paesaggi centro-asiatici. Attorno al noto
giacimento del Samotlor stanno morendo, a causa dell'inquinamento
e degli interventi nel ciclo dell'acqua, gigantesche
quantità di pini cembri. Qualcosa di simile avviene sotto
Surgut, Neftejugansk e nel distretto Ottobre della Regione
Chanty-Mansijsk. Nel fiume Ob, fiume sacro per i Chanti, sono
scomparse le zone di accoppiamento e riproduzione di preziose
specie di pesci. Cala il numero degli animali da pelliccia e
degli uccelli, mentre non molto tempo fa la Regione
Chanty-Mansijsk era ancora una zona di straordinaria purezza
ecologica.
Il kombinat di Norilsk distrugge il Taimyr. Migliaia di
chilometri quadrati di fondi per l'allevamento delle renne, per
la pesca e per la caccia vengono sottratti all'economia
tradizionale. Nell'ultimo decennio intorno agli insediamenti dei
Ciukci Krasnoarmeisk e Komsomolz si sono formati giganteschi
depositi di scorie. Scompaiono dozzine di fiumi e laghi. Per
tutto l'anno le falde vengono inquinate da infiltrazioni di acido
muriatico provenienti dagli impianti di estrazione intorno al
centro abitato di Majski. La costa dei mari artici e la tundra
sono inquinati da materiale inerte e da rottami di ferro. Le
condizioni sanitarie nei centri abitati della Ciukcia destano
preoccupazione.
Per gli aborigeni nella Regione autonoma Nenjetz sulla costa del
Mare Bianco l'impianto di un'area di prova per armi nucleari
sull'arcipelago Novaja Zemlja ha cagionato immani privazioni.
Reattori non più utilizzabili vengono gettati nel
serbatoio vicino, navi e contenitori con detriti radioattivi
vengono semplicemente sommersi. Dal 1954 al 1992 nel poligono
vennero eseguite 132 esplosioni nucleari sotterranee, 87 sopra
terra e 3 subacquee. Secondo quanto dicono gli esperti, la forza
complessiva di tutte le esplosioni corrispondeva a 300 megatoni.
Come risultato delle esplosioni nell'atmosfera, vennero osservate
precipitazioni contenenti radionucleidi longevi (cesio 137,
stronzio 90 e carbonio 14). Secondo informazioni del comitato
sugli effetti della radiazione atomica nell'estremo Nord, la
radiazione interna supera di 35 volte la quantità media.
Il che significa che la popolazione che si nutre quasi
esclusivamente di carne di renna e di pesce, riceve una dose di
cesio 137 che supera da 100 a 1000 volte la dose media
individuale del resto della popolazione. Di conseguenza lo stato
di salute della popolazione peggiora visibilmente e la
mortalità aumenta.
La Regione autonoma Nenjetz negli ultimi dieci anni ha registrato
un aumento del 49,1% del cancro all'esofago. La frequenza del
cancro ai polmoni si è triplicata. Le nascite
diminuiscono, la mortalità infantile è aumentata.
La percentuale degli uomini ammalati e morti da tumori maligni
tra il 1965 ed il 1991 è salita dal 46,4 al 75%. I
distretti siti lunga la costa del Mar Bianco sono particolarmente
colpiti da malattie oncologiche ai vasi cardiaci ed urogenitali.
Negli ultimi 30 anni il numero dei tumori maligni nella Regione
Nenjetz si è moltiplicato per 7 volte (dal 2,2 per mille
nel 1961 al 30,7 nel 1989). Nell'ultimo decennio si sono anche
verificati più di frequente gli handicap congeniti (13,9
per mille nel 1969 e 30,7 per mille nel 1989). Tali handicap
risultano essere la causa principale delle malattie infantili.
Tutti i composti chimici (anche entro le concentrazioni
esistenti, ancora ammissibili) che si compongono in processi di
ossidoriduzione (composti organici di carbonio, fluoro, cloro)
agiscono sfavorevolmente sull'organismo umano.
A tale riguardo devono essere elaborati valori-limite regionali
delle concentrazioni di inquinanti ancora ammesse per l'Artide.
Devono essere esaminate questioni di protezione sociale della
popolazione con riguardo all'indennizzo per danni alla salute
derivanti da diverse produzioni ecologicamente dannose.
Più di ogni altra cosa preoccupa gli aborigeni il fatto di
non potersi sentire padroni di casa nella terra natia. I popoli
indigeni pongono sempre la stessa domanda: dove pascolare le
renne, dove cacciare gli animali selvatici, dove pescare, dove
raccogliere bacche e funghi, da dove prendere il suolo? Dove
dobbiamo vivere? Nelle imprese che estraggono il petrolio e il
gas naturale lavorano soltanto immigrati ai quali la cultura
locale non è familiare. Va da sé che in questo modo
sono sorti molti problemi sociali, tanto più che la
popolazione indigena non ha ricevuto alcun indennizzo per i danni
subiti. Anzi, a questa popolazione venne proposto di abbandonare
la vita nomade. Dal che sono risultati molti fenomeni negativi:
il degrado della personalità, la sensazione di venir
espulsi dalla propria terra natia.
8. La situazione legale degli indigeni [ top ]
L'industrializzazione dei territori abitati tradizionalmente
da questi popoli è stata attuata senza riguardo alle
conseguenze ecologiche, economiche e sociali, alle opinioni, ai
diritti ed agli interessi legittimi. In seguito alla lesione
dello spazio vitale naturale di questi popoli le aree idonee
all'esercizio di attività economiche tradizionali si sono
diradate. Nel corso degli ultimi decenni lo Stato ha rivolto poca
attenzione ai piccoli popoli. Di conseguenza la loro cultura ed
il loro modo di vita sono degenerati. Fino ad oggi non esistono
garanzie giuridiche che riconoscano a questi popoli la
libertà di esprimere la propria volontà su
questioni giuridiche. Essi non sono rappresentati negli organi
del potere statale ed in quelli dell'amministrazione autonoma
locale. Tutto ciò esige innanzitutto la costituzione di un
proprio status giuridico di questi popoli.
La legislazione deve fondarsi sugli accordi internazionali
esistenti. Di questi accordi, determinanti lo status giuridico
dei popoli indigeni, fa parte innanzitutto la convenzione ILO
n.107 del 26 giugno 1957 ("Sulla protezione ed integrazione della
popolazione indigena e di altra specie che in paesi indipendenti
segue un modo di vita tribale o semitribale") e n.179 del 26
giugno 1989 ("Sui popoli indigeni e sui popoli che in paesi
indipendenti conducono un modo di vita tribale"). Per prevenire
discriminazioni e proteggere minoranze nell'ambito delle Nazioni
Unite è stato elaborato dalla sottocommissione un progetto
sui diritti dei popoli indigeni. La legge federale è
ancora da elaborare (secondo l'art.69 della Costituzione della
Federazione Russa); questo sistema dovrà essere imperniato
sulle "Fondamenta dello stato giuridico dei piccoli popoli
indigeni della Russia". Questa legge dovrà creare il
fondamento per la successiva legislazione della Federazione e dei
soggetti della Federazione concernente questi popoli. Questi
problemi sono stati considerati parzialmente nelle seguenti leggi
federali:
I diritti collettivi di questi popoli devono essere
giuridicamente garantiti. Contemporaneamente questi piccoli
popoli hanno bisogno dell'aiuto e dell'appoggio da parte di
organi federali del potere statale, dei soggetti della
Federazione Russa ed anche degli organi dell'amministrazione
autonoma locale. E' dovere degli organi statali elaborare
speciali programmi federali e regionali che promuovano l'avvio e
lo sviluppo dei piccoli popoli e concedere loro il necessario
aiuto finanziario e di altra specie. Devono essere identificate
le fonti dei diritti di questi popoli. I piccoli popoli della
Russia secondo la Costituzione godono degli stessi diritti di
tutti gli altri popoli della Federazione Russa; questi diritti
sono stati stabiliti in atti internazionali ratificati dalla
Federazione. E' indispensabile un elenco di tutti i diritti
sociali, politici ed economici di questi popoli nonché dei
diritti nell'ambito culturale e nei confronti degli organi della
giustizia. Nel territorio di abitazione dei piccoli popoli deve
essere costituito un sistema di amministrazione autonoma locale,
il quale, nell'ambito dei suoi poteri, decide autonomamente le
questioni di importanza locale, quali il modo di vita, la lingua,
gli usi, le tradizioni e le forme di realizzazione dei diritti
dell'autoamministrazione locale (referendum, elezioni, assemblee,
comuni, associazioni pubbliche ecc.)
Le misure legislative devono tener conto dei punti di vista dei
piccoli popoli o delle loro associazioni. Ciò riguarda
soprattutto i diritti e gli interessi legittimi di questi popoli;
lo svolgimento di referendum, la creazione di consigli di
rappresentanti presso il governo della repubblica,
dell'amministrazione di un territorio, di una provincia, di una
regione, di un distretto, di una città, di un quartiere di
una città e presso un'amministrazione rurale. E'
necessario determinare un meccanismo di realizzazione del diritto
al possesso ed all'uso del territorio e delle altre risorse
naturali e creare la possibilità di trasferire nella
proprietà comune terreni di proprietà statale o
comunale. E' dovere degli organi statali e
dell'autoamministrazione locale assicurare le necessarie
condizioni-quadro per lo sviluppo dell'economia tradizionale. Per
la conservazione dell'ambiente naturale e lo sviluppo dei settori
economici tradizionali dei piccoli popoli è prevista la
formazione di territori di sfruttamento tradizionale della
natura. Questi territori non possono essere espropriati o
sfruttati a scopi industriali senza l'assenso dei piccoli popoli.
Le imprese e le organizzazione su questi territori possono
funzionare soltanto in conformità ai programmi statali di
sfruttamento dell'ambiente naturale. Deve sempre essere acquisita
preventivamente una perizia ecologica ed etnologica. Garanzie
giuridiche per i diritti di questi piccoli popoli sono elementari
per la loro sopravvivenza.
9. I problemi di sopravvivenza dei piccoli popoli – L'aspetto politico [ top ]
Il decennio dei popoli indigeni ha iniziato nel 1995. Il loro
status viene disciplinato da una serie di documenti emanati sul
piano internazionale, russo e locale (più di 170). La
situazione peculiare dei piccoli popoli esige la creazione di
diritti complementari che creano i presupposti per la loro
effettiva parità con altre nazioni e gruppi etnici.
Occorre la protezione effettiva dello spazio vitale originario e
del modo di vita tradizionale mediante sforzi comuni degli organi
amministrativi federali, delle repubbliche, dei territori, delle
province e delle regioni autonome nonché delle
amministrazione locali. Per strappare le regioni in cui sono
insediati i piccoli popoli dalla crisi e per creare i presupposti
per lo sviluppo costante dell'economia di questi popoli occorre
un aiuto massiccio da parte del bilancio federale.
Gli aborigeni degli Stati Uniti, del Canada e di altri paesi
godono, in condizioni simili, dell'aiuto statale. Questo aiuto
è finalizzato alla garanzia dello sviluppo costante dei
piccoli popoli viventi nelle loro sedi avite. Il ripristino e
l'utilizzo razionale delle risorse naturali del Nord devono
contribuire all'occupazione degli aborigeni, il lavoro deve far
riferimento soprattutto alla conservazione ed allo sviluppo dei
settori economici tradizionali. La soluzione dei compiti posti
è strettamente connessa con l'assistenza medica e
sanitario-epidemiologica degli aborigeni. Causa le distanze
estreme tra i singoli insediamenti, le cattive comunicazioni ed i
bassi redditi, questo problema può essere risolto soltanto
con misure che si distinguono da quelle applicate nei distretti
centrali della Russia. Devono essere creati gruppi mobili di
assistenza medica disposti non soltanto ad aiutare in casi di
necessità, ma ad eseguire una profilassi regolare. E'
molto attuale anche la soluzione del problema delle comunicazioni
per i piccoli popoli aborigeni del Nord, tanto più in
condizioni di economia di mercato. Qui non si può fare a
meno dell'aiuto del bilancio federale per l'acquisto dei mezzi di
trasporto e la dotazione delle imprese di trasporto del
Nord.
Uno sviluppo ulteriore presuppone la rinascita culturale, la
conservazione dei costumi e del modo di vita ancestrale e la
cessazione dell'assimilazione. E' in gioco la sopravvivenza di
molti popoli i quali non sono più in grado di ripristinare
l'economia tradizionale senza l'appoggio statale, senza aiuto
dall'esterno. La prospettiva dello sviluppo duraturo dei piccoli
popoli indigeni è stato esaminata in una serie di
conferenze internazionali e riconosciuta come fondamentalmente
necessaria. Il contenuto concreto di questa prospettiva considera
le condizioni naturali, climatiche di ciascun popolo nel suo
spazio vitale. Esso promuove la conservazione dei diritti e delle
libertà dei cittadini di ciascuna nazionalità,
stabiliti in documenti fondamentali internazionali: Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948, Patto
internazionale sui diritti economici, sociali e culturali
(approvato dall'assemblea generale il 16 dicembre 1966 e
ratificato dalla presidenza del soviet supremo dell'Unione
sovietica il 18 dicembre 1973), il documento della conferenza di
Copenaghen sulla dimensione umana della CSCE (approvato il 29
giugno 1990 da 35 Stati partecipanti), la convenzione n.107 sulla
protezione ed integrazione della popolazione indigena (approvata
dalla conferenza generale dell'Organizzazione internazionale del
Lavoro il 26 giugno 1957), la convenzione n.169 sui popoli
indigeni e sui popoli che conducono un modo di vita tribale in
paesi indipendenti (approvata dalla conferenza generale dell'OIL
il 26 giugno 1989).
Il problema più importante consiste nell'adempimento delle
legittime rivendicazioni dei popoli indigeni rispetto agli spazi
originari di vita ed attività economica e nella creazione
di una base economica per la loro esistenza ed il loro sviluppo.
Il diritto ad uno spazio vitale è uno dei diritti
prioritari, ma la rivendicazione di questo diritto solleva accese
discussioni e non di rado resistenze attive. La Russia non fa
eccezione a questo riguardo. Si potrebbe pensare che ciò
derivi dall'ignoranza del modo di vita indigeno, ma il motivo
principale pare che sia rsi nel fatto che i territori degli
aborigeni sono ricchi di petrolio, di gas naturale e di altre
ricchezze del suolo. Al diritto degli aborigeni al loro spazio
vitale si contrappone la posizione dei governi che temono di
perdere il controllo di questi territori e delle relative risorse
naturali. Non vogliono quindi tener conto della posizione di
questi popoli e tenerli sotto il proprio controllo. Esiste il
pericolo di far sorgere uno strato sociale privilegiato con
diritti speciali, il quale a sua volta deve essere protetto
contro altri gruppi (non indigeni) spesso altrettanto bisognosi.
Contemporaneamente questo problema fondamentale costituisce il
problema chiave per i popoli indigeni, perché la terra
è per loro il fondamento materiale e spirituale della loro
esistenza. Senza di essa gli aborigeni sono consacrati allo
sterminio fisico o per lo meno culturale.
Non si deve dimenticare che i popoli indigeni erano i primi ad
insediarsi nelle loro attuali sedi. Privarli della
possibilità di vivere e svolgere un'attività
economica su questi fondi, specialmente se ciò avviene non
volontariamente e senza procedure giuridiche, non è lecito
per uno Stato che pretende di essere democratico e di essere uno
Stato di diritto. Il diritto degli aborigeni alla loro terra si
rivela quale fondamento che dà vita al sistema del loro
status di diritto pubblico. Con questo diritto è collegato
il diritto di autonomia e di partecipazione al godimento delle
ricchezze del suolo. In questo modo vengono creati i presupposti
per il consolidamento del popolo, per il migliore sviluppo della
lingua, della cultura e per la soluzione di questioni sociali. Il
tramonto di questi popoli è spesso collegato con la
mancanza dei loro diritti allo spazio vitale e ad altre
risorse.
Con la privatizzazione e col conseguimento di terreni mediante
contratti d'affitto, la questione della proprietà
fondiaria acquista oggi un'importanza speciale per i popoli
indigeni. Senza garanzie giuridiche gli indigeni possono essere
esclusi dalla possibilità di sfruttamento delle risorse
naturali. Ogni tanto parti di terreno vengono cedute, senza il
consenso della popolazione aborigene, a persone e ditte straniere
che non hanno nulla da fare con l'economia tradizionale. Nella
Russia non esiste per ora una precisa idea né per quanto
riguarda l'utilizzo tradizionale della natura, né per
quanto riguarda una suddivisione secondo criteri ecologici ed
etnologici del territorio del Nord. Non è determinata
l'estensione geografica delle forme speciali dell'economia.
Finora non esiste nessun inventario delle risorse biologiche e
naturali dell'Artide. Il compito consiste nel conservare la
cultura ed i valori dei popoli indigeni nelle condizioni della
società dell'Artide che sta cambiando. A questi popoli
deve essere assicurata la possibilità di partecipare a
pari diritto all'economia ed alla vita della società e di
proteggere e conservare la natura, l'ambiente e la riproduzione
biologica dell'Artide.
Nell'aprire il Nord allo sfruttamento economico, lo Stato ha
commesso gravi errori: negli anni 50 e 60 prevaleva, in questi
territori, "l'interesse delle autorità", cosicché
l'esperienza della popolazione indigena nell'ambito dell'utilizzo
tradizionale della natura non ha potuto farsi valere. Tanto
l'organizzazione governativa e statale quanto le amministrazioni
industriali e le imprese devono riconoscere il valore
dell'esperienza tradizionale degli aborigeni e delle loro
cognizioni in ordine alla conservazione dell'ambiente,
accumulatesi nel corso dei secoli. Apprezziamo il lavoro
coscienzioso di indagine scientifica, che aiuta tutti a capire
meglio i segreti dell'Artide. Ma gli abitanti dei distretti
relativi chiedono ovviamente che venga sentita anche la loro
opinione e che verso le loro esperienze e cognizioni si abbia il
rispetto dovuto. Questi popoli possiedono una grande conoscenza
del sistema ecologico dell'Artide, del ghiaccio e della neve,
delle correnti oceaniche, del comportamento degli animali , dei
pesci ecc. I rappresentanti delle imprese industriali, delle
amministrazioni e degli organi dell'autonomia locale cercano
però di convincerci che loro sanno tutto e che delle
cognizioni tradizionali dei popoli indigeni attualmente non ha
bisogno quasi nessuno.
Un tale comportamento non è solo offensivo, ma anche
sbagliato. Le cognizioni dei popoli indigeni sull'ambiente e
sulla natura selvatica sono il risultato di osservazioni
immediate avvenute nel corso di molte generazioni. Le cognizioni
tradizionali sono importanti sia per gli stessi popoli indigeni
nella loro vita quotidiana, sia per comprendere i processi
connessi con l'utilizzo delle risorse naturali dell'Artide.
Esiste la possibilità di creare un'unica banca-dati delle
cognizioni tradizionali dei popoli indigeni del Nord.
Contemporaneamente esiste la necessità di limitare quei
tipi di produzione che fanno peggiorare la situazione ecologica
dell'Artide. Lo Stato deve contenere entro limiti ragionevoli il
rischio di possibili conseguenze negative. Al processo di
elaborazione di misure restrittive deve partecipare anche la
popolazione indigena locale. Ciò non è altro che
giusto perché in caso di errori essa ne soffre più
di tutti.
Un altro problema importante è quello dell'informazione
sistematica dei popoli indigeni sullo stato della situazione
ecologica nel loro spazio vitale e specialmente nell'ambiente
artico. In fondo i popoli indigeni vengono a sapere qualche cosa
sull'effettivo stato ecologico del loro spazio vitale soltanto
quando i loro rappresentanti partecipano a conferenze, simposi o
dibattiti internazionali. Sul luogo la gente spesso non sa nulla
sullo stato dell'inquinamento del proprio spazio vitale. Un
ulteriore problema consiste nella rivendicazione di una giusta
parte dell'utile economico derivante dalle risorse naturali nel
loro originario spazio vitale. Attualmente in Russia i funzionari
statali si sforzano a coprire il problema col silenzio, e si
sottraggono in qualsiasi maniera alla soluzione di questo
problema. Le organizzazioni dei rappresentanti dei popoli
indigeni insistono sulla elaborazione di un corrispondente
ordinamento per il pagamento di indennizzi per i danni ai loro
terreni di abitazione e di sfruttamento economico.
L'assemblea dei deputati dei piccoli popoli di fronte alla
situazione critica creatasi ritiene necessario trovare, tramite
trattative tra il governo della Russia ed i piccoli popoli
indigeni del Nord, rappresentati dalle loro organizzazioni
societarie, un approccio accettabile per entrambe le parti per la
soluzione dei seguenti problemi:
Finché non è troppo tardi, finché le
speranze dei popoli sono ancora vive, ci appelliamo al presidente
della Russia, al presidente del Governo, ai presidenti del
consiglio della Federazione e della Duma, di esaminare
accuratamente le richieste dei popoli indigeni e di non
permettere la loro completa scomparsa. Ci rivolgiamo ai partiti,
ai movimenti ed alla generalità della Russia, a tutti gli
uomini di buona volontà cui sono cari la vita ed i diritti
di ciascun popolo, di appoggiare l'aspirazione dei popoli,
numericamente piccoli, del settentrione della Russia
all'autoconservazione.
In questo tempo difficile per i popoli indigeni volgiamo lo
sguardo alla comunità internazionale ed invochiamo
l'assemblea generale e la commissione sui diritti umani delle
Nazioni Unite, i Governi ed i Parlamenti, le organizzazioni e gli
istituti statali e non statali e tutti i cittadini onesti e probi
che hanno contatti sociali e di altra specie con i supremi organi
di potere della Federazione Russa, perché si adoperino per
la conservazione dei popoli indigeni viventi nelle condizioni
climatiche estreme dell'Artide. Testo approvato il 4 dicembre
1997 dalla Presidenza dell'Assemblea dei Deputati dei piccoli
popoli del Nord, della Siberia e dell'estremo oriente della
Federazione Russa.
Il cielo è immerso in una luce arancione, come un
tramonto. Atmosfera romantica, ma ingannevole: nel piccolo
insediamento di Trom-Agan, Siberia occidentale, é
mezzanotte e la temperatura é di 20 gradi sotto zero.
Bagliori si agitano irrequieti nel cielo: non si tratta di un
tramonto, e nemmeno di un'aurora boreale. Il villaggio è
circondato da quattro depositi di petrolio. 24 ore su 24, 365
giorni l'anno si alzano verso il cielo i gas in fiamme che
accompagnano l'estrazione del petrolio. In estate gli incendi
boschivi si moltiplicano, e migliaia d'uccelli muoiono tra le
fiamme. Un volo notturno su Surgut, capitale del petrolio nella
Siberia occidentale, mostra che Trom Agan non è un caso
isolato: innumerevoli punti arancione, sparsi a perdita d'occhio,
sono l'impronta notturna che l'industrializzazione ha lasciato
nella tundra artica e nella taiga subartica.
Il cuore dell'industria estrattiva russa si trova nel Territorio
di Tjumen, Siberia Occidentale. Colà, nel territorio
autonomo degli Hanti e dei Mansi, sono state estratte nel 1997
162 milioni di tonnellate di petrolio. Poco più a nord,
nella penisola di Jamal, territorio dei Nenci, sono stati
estratti 534.9 miliardi di metri cubi di gas. I dati economici di
queste zone sono tra i migliori di tutta la Russia: nonostante il
calo dei prezzi del greggio, Gas e petrolio qui estratti
contribuiscono per il 40% alla bilancia commerciale russa. Da
quando l'industria è arrivata in queste zone le
popolazioni indigene dei Nenci, Mansi e Hanti devono lottare
duramente per sopravvivere. Sin dall'inizio dell'attività
estrattiva, durante gli anni 60, centinaia di migliaia di
lavoratori sono emigrati in queste zone, attirati da una serie di
privilegi materiali che dovevano servire a rendere più
attraente la vita nei selvaggi territori della Siberia.
Così la percentuale di popolazione rappresentata dagli
indigeni è calata all'1,4%.
E, in effetti, il clima della Tundra e della Taiga siberiana
mette a dura prova sia uomini che animali. Il terreno è
coperto dalla neve per nove mesi l'anno. Durante la breve estate
si sgela solo lo strato superiore del terreno, che si trasforma
su entrambe le rive dell'Ob in una palude difficilmente
attraversabile. Hanti e Nenci si sono adattati a questo ambiente
con il loro stile tradizionale di vita: praticano la pesca,
caccia e allevamento di renne. Per non esaurire i pascoli durante
l'anno cambiano più volte le zone di pastura,
perché, durante la breve estate, le piante crescono troppo
poco per poter garantire un pascolo annuale. Le zone di caccia,
di pesca o di pascolo nella Taiga sono divise tra i diversi clan
secondo regole ancestrali, in modo che ognuno utilizzi solo
determinate. Un'importanza particolare hanno i luoghi sacri, dove
vivono divinità delle acque o dei boschi, oppure gli
spiriti degli antenati.
Abituati ad un tale legame tra uomo e terra, é doloroso
per gli Hanti vedere la loro terra perforata, il sottosuolo
scosso da esplosioni, enormi quantità di petrolio giacere
nei depositi, pompare acqua nei giacimenti per elevare la
pressione del petrolio in uscita. Già molti fiumi, laghi,
piccoli corsi d'acqua sono biologicamente morti. I pescatori
devono spostarsi verso i corsi superiori degli affluenti minori.
Ma anche lì vengono superati abbondantemente i limiti di
legge per l'inquinamento. A causa dell'industrializzazione e
della massiccia immigrazione, le renne selvatiche sono quasi
scomparse dal territorio degli Hanti e Mansi. Il governo ha
dovuto ammettere che la caccia ha perso qualsiasi importanza come
risorsa tradizionale dell'economia indigena. Ciononostante
impedisce l'istituzione di una riserva UNESCO in un area sulle
rive del fiume Jugan - uno degli ultimi rifugi per il bestiame
selvatico - dove 900 Hanti sono riusciti fino ad oggi a mantenere
il loro modo di vita tradizionale.
Anche il settore dell'allevamento delle renne è gravemente
compromesso dall'industrializzazione. L'apertura di campi
petroliferi ingoia annualmente da 20 a 30 mila ettari. A questo
si somma il sempre maggiore inquinamento da petrolio: nel 1996,
solo a causa del cattivo stato degli oleodotti, sono affluite
nell'ambiente 7,5 milioni di tonnellate di petrolio, il 5% della
produzione totale. Il disastro ambientale è aumentato dai
non meno dannosi fanghi che sono prodotto di scarto
dell'estrazione. Le Aziende estrattive devono pagare un rimborso
per ogni danno registrato, ma la distruzione ambientale supera di
otto volte i pagamenti, anche se il risanamento ambientale
è prescritto per legge. Quando, verso la fine degli anni
80, le tribù indigene, assieme ai movimenti ecologisti,
riuscirono a bloccare grandi progetti industriali, nacque una
grande speranza. Tra il 1990 e il 1993 vennero attuate alcune
importanti legge nel territorio degli Hanti e dei Mansi,
cosicché oggi 454 famiglie sono registrati come
“famiglie tribali”. Per costoro l'usufrutto del
territorio (non la proprietà) viene ereditato
gratuitamente. I diritti sulle risorse minerarie restano sotto
responsabilità statale.
Hanti e Mansi tradizionalisti cercano, in condizioni molto
difficili, di reinsediarsi della Taiga, acquistando renne e
ritornando negli insediamenti degli antenati. Acuni fondano
cooperative economiche nei settori tradizionali dell'economia,
che ottengono una certo grado di autonomia. Lo scopo di tutti
questi tentativi è di far rivivere le tradizioni degli
antenati. A questo fine è essenziale trovare un
compromesso con le industrie estrattive. Lo Stato Russo sta
cercando di privatizzare l'industri petrolifera. Per mantenere
attiva la più importante voce dell'esportazione sono
necessari investimenti miliardari. E spesso, per le
multinazionali occidentali, è più conveniente
aprire nuovi campi petroliferi con grandi riserve, che rinnovare
quelli vecchi. Lo stato quindi apre allo sfruttamento sempre
nuovi giacimenti che si trovano nei territori indigeni.
Per evitare conflitti, vengono stipulati le cosiddette
“Convenzioni” tra popolazioni indigene e industrie
petrolifere. Le disposizioni in campo ecologico ed economico,
comunque insufficienti, spesso non vengono rispettate. E questo
comporta un ulteriore irrigidimento delle posizioni. Nel marzo
1998, nel capoluogo distrettuale di Chanty-Mansijsk, si è
svolta una conferenza attorno ai rapporti tra popolazioni
indigene e industrie, durante la quale ci vennero fissati dei
punti irrinunciabili per le future convenzioni:
Queste richieste non sono nuove. Nuovo è che esse
vengano fatte proprie da una conferenza alla quale partecipavano
industrie petrolifere e governo. Si tratta purtroppo di semplici
raccomandazioni, cosicché sono i rappresentanti indigeni
nei parlamenti locali a doverle portare avanti. Nel passato non
hanno avuto molto successo, il che dipende da una carente
attività di lobby oltre al fatto che i rappresentanti
indigeni stesso sono ora lontani dal modo di vita tradizionale
nella Taiga. Gli indigeni si stanno chiedendo ora quanto si
possano sentire rappresentati dai propri deputati nei parlamenti
locali.
Non vi erano rappresentanti di imprese occidentali in questa
conferenza: In caso di problemi legali ed ecologici esse
preferiscono scaricare la responsabilità sui loro partner
russi; ma una gran parte del metano consumato in Italia proviene
da questo territorio. Con il nostro comportamento anche noi
abbiamo un'influenza su catastrofi ecologiche o violazioni dei
diritti umani. La prossima volta che faremo una doccia calda,
pensiamo che ci sono persone che vivono su uno delle più
grandi riserve di acqua potabile del mondo, interamente ricoperta
da uno strato di olio, e i cui animali annegano nei fanghi di
scarto dell'estrazione del petrolio.
Florian Stammler è docente di Etnologia a Colonia e ha svolto due viaggi nei territori degli Hanti, Mansi e Nenci.
Forse per qualcuno il nome "Ciukci" non significa nulla. Prendiamo una carta dell'Asia, e vedremo all'estremità nordorientale una frastagliata penisola più o meno triangolare che si staglia tra il Pacifico e il Mare Artico. E' questa la penisola dei Ciukci. Lo stretto di Bering la separa dall'Alaska. Unite fino a 30.000 anni fa sono state separate dalla deriva dei continenti, ma sembrano tuttora due sorelle che si tendono la mano. In questa terra aspra è stata istituita un'unita amministrativa della Russia, il cui nome è: "Regione autonoma dei Ciukci"
1. La "Regione autonoma dei Ciukci" [ top ]
La Regione autonoma dei Ciukci esiste ufficialmente dal
10.12.1930. Dapprima faceva parte della regione di Chabarowsk, in
seguito del territorio della Kamciatka e quindi di quello di
Magadan. Nel 1992 essa è diventata membro autonomo della
repubblica federativa russa. Copre una superficie di 737.000 kmq,
che comprende 8 circoscrizioni, 3 città, 18 insediamenti
urbani, 50 villaggi e altri insediamenti minori. Centro
Amministrativo è la città di Anadyr. Gli organi
principali sono la Duma (assemblea) regionale e la giunta
regionale, cui capo è posto un governatore. Il presidente
della Duma e il governatore fanno parte di diritto della camera
alta del parlamento federale russo.
Ciascuna circoscrizione rappresenta un'unità
amministrativa paragonabile ad un comune. Le elezioni degli
organi rappresentativi e del governatore sono universali e
dirette. Gli indigeni, nella Duma dei Ciukci, sono meno del 2%.
Tutti gli uffici e i principali posti di responsabilità
sono occupati da rappresentanti non indigeni. Non sono previste
forme di autogoverno della popolazione indigena. Gli indigeni
sono rappresentati nell'Unione dei piccoli Popoli del Nord, della
Siberia e dell'estremo Oriente (RAIPON), creata dalle
autorità federali russe nel 1990. Negli ultimi anni
è stata inoltre istituita una sezione per i Ciukci presso
la Conferenza Circumpolare degli Inuit (ICC).
2. Composizione e distribuzione della popolazione [ top ]
La penisola dei Ciukci contava nel 1993 circa 124.000 abitanti, ridottisi ora a ca. 90.000; questo a causa di una forte emigrazione da parte degli abitanti non indigeni delle zone centrali. La popolazione non ciucka consiste principalmente di russi ed ucraini. Nella Regione dei Ciukci, oltre ai Ciukci (11.000) vivono anche Eschimesi (1.500), Eveni (1.200) Ciuvachi (400) Jukagiri (120) Coriacchi (30) e Cherecchi. I Ciukci vivono sull'intero territorio della regione, gli Eschimesi occupano il Nord/Est, gli Eveni il Sud/Ovest, mentre Ciuvachi, Cioracchi, Cherechi e Jucagiri occupano il centro. Tutte queste tribù fanno parte dell'Unione dei piccoli Popoli del Nord, della Siberia e dell'estremo Oriente (RAIPON). In tutto 30 popoli, per un totale di ca. 150.000 persone, si riconoscono in questa organizzazione.
3. Insediamento, trasporti e comunicazioni [ top ]
La maggior parte della popolazione indigena vive in villaggi o altri insediamenti minori. Una parte dei Ciukci risiede solo formalmente in questi insediamenti, in quanto non possiede abitazione fissa e vive nella tundra. Molti hanno abitudini nomadi. La distanza che può esistere tra questi nomadi e i villaggi cui essi fanno capo arriva fino a 400 km. Non esistono vie di comunicazione praticabili per tutto l'anno. I trasporti avvengono durante l'estate per via aerea (elicotteri o aeroplani), per via terra, con mezzi fuoristrada, e per via fluviale. In inverno vengono approntate piste invernali, sfruttando anche i fiumi ghiacciati. Nella penisola dei Ciukci gli approvvigionamenti sono molto difficili, per via di una rete di comunicazioni insufficiente e delle condizioni climatiche estreme. Anche i collegamenti via radio sono embrionali. Il collegamento tra i nomadi e i villaggi, che negli anni scorsi era garantita soprattutto da radio portatili, è molto peggiorato negli ultimi tempi, perché viene trascurata la manutenzione delle attrezzature e mancano i soldi per l'acquisto dei pezzi di ricambio.
4. Economia: allevamento di renne e pesca [ top ]
I settori principali dell'economia della popolazione indigena
sono l'allevamento delle renne, la caccia e la pesca, in mare e
in acqua dolce. La fonte più sicura di introiti è
l'allevamento di grandi greggi di renne. Si tratta di
un'attività economica particolare, che può
sopravvivere solo mantenendo lo stile di vita tradizionale. I
pastori di renne vivono come nomadi per la maggior parte
dell'anno, spostandosi alla ricerca di nuovi pascoli.
Interrompono le loro migrazioni solo quando la stagione, o la
qualità del pascolo, oppure altri motivi lo rendono
necessario. Nel corso dell'anno le mandrie di renne si separano e
si riuniscono alcune volte. In questi periodi anche gli uomini si
separano, e ogni gruppo segue un percorso differente. Nel passato
anche donne vecchi e bambini si separavano dagli uomini che
seguivano le mandrie e costruivano un accampamento estivo.
Generalmente si cercava un luogo di sosta nelle vicinanze di un
fiume pescoso dove ci fossero alberi o cespugli (per il
rifornimento di legna).
Donne e bambini conciavano le pelli, cucivano vestiti,
essiccavano pesci e preparavano le scorte di radici, mentre gli
anziani costruivano slitte da renne o finimenti per i cavalli.
Erano i preparativi per l'inverno. Nel frattempo gli adulti e gli
adolescenti seguivano le mandrie, le pascolavano con speciali
metodi appresi dagli antenati, cercando di ingrassare le renne il
più possibile. Per fare questo era necessario possedere
un'ottima conoscenza del territorio, delle erbe, delle tecniche
di selezione delle renne, oltre che del loro comportamento. La
renna è un'animale semiselvatico, pauroso e molto veloce,
il che rende il lavoro del pastore molto difficile. E' necessario
percorrere molti chilometri, superare fiumi, paludi, nevai e
piccoli vulcani. In inverno si possono usare traini da renna o
sci. In estate è tutto molto più faticoso
soprattutto per via di zanzare e tafani, e dei funghi, di cui le
renne sono ghiottissime. Un altro pericolo sono le renne
selvatiche. Sono più grosse e più forti, e,
vedendole, le renne semidomestiche riscoprono il loro passato non
lontano e fuggono assieme a loro. E' quasi impossibile
trattenerle, e il pastore, per qualche tempo, può restare
senza gregge. In questi casi le uniche cose che possono essere
d'aiuto sono una buona conoscenza delle abitudini delle renne e
un gruppo di sentinelle disposte attorno alla mandria. Una vista
acuta ed un udito fine sono indispensabili per i pastori.
Numerosi predatori (Orsi, lupi, ghiottoni) sono in agguato lungo
il cammino. Una volta i cacciatori non si opponevano con le armi
agli animali selvatici, ma cercavano di convincerli ad
allontanarsi: nei casi estremi gli gettavano addosso serpi,
oppure provavano a fargli il solletico. Funzionava.
In autunno, i gruppi dispersi di renne si riuniscono e ritornano
sulle piste invernali, dove in Agosto- settembre hanno luogo gli
accoppiamenti. I vitelli nascono in primavera, ed in questo
periodo si incontrano gli allevatori di diversi gruppi, si
aiutano nel separare le madri dal resto della mandria, e
festeggiano la nascita dei primi vitelli. E' il periodo
più allegro e luminoso dell'anno. L'allevamento delle
renne garantiva agli uomini nutrimento, vestiti, scarpe e casa.
Per la cultura materiale degli indigeni allevatori, le renne
significavano moltissimo, anche se non tutto.
Non era meno interessante la pesca marittima. Lungo quasi tutta
la costa veniva praticata la caccia a balene, trichechi e foche,
cacciati con arpioni ricavati dai denti dei trichechi. Alcuni di
essi avevano le estremità girevoli, ed erano capolavori di
capacità tecnica per il loro tempo. Si cacciava durante
tutto l'anno, in estate in canoa, in inverno sul ghiaccio. I
prodotti della caccia bastavano a soddisfare tutte le esigenze
degli abitanti della costa. Essi festeggiano tuttora molte feste
particolari, delle quali la più importante è la
festa della balena. La vita dei pescatori è però
molto cambiata negli ultimi 70/80 anni.
5. Geografia: clima, flora e fauna [ top ]
La penisola dei Ciukci è occupata in gran parte da
altipiani e catene montuose. Le zone pianeggianti consistono
soprattutto in tundra paludosa. I confini meridionali e
occidentali sono segnati dal fiume Kolyma. Il più grande
fiume della penisola, l'Anadyr, forma numerosi laghi.
Naturalisticamente è molto interessante il lago
Elgygytgyn, profondo 160 metri, formatosi probabilmente in
seguito ad un impatto meteoritico. Sono presenti inoltre alcuni
vulcani spenti. L'inverno dura otto mesi. Il clima è molto
aspro: sulla costa predominano venti fortissimi, che spesso si
trasformano in bufere di neve. All'interno predomina il clima
continentale. In inverno la temperatura, nella regione di
Bilibinsk raggiunge i - 60, mentre la media annuale si aggira
attorno ai 12 gradi. La parte settentrionale della regione si
trova al di là del circolo polare artico, e il permafrost
è presente quasi dappertutto. La vegetazione è
scarsa; nella tundra si trova muschio, licheni, erbe palustri,
alberi nani; nelle valli e nel sud della regione crescono pioppi
e betulle.
La fauna si è adattata all'asprezza della natura. Nella
Penisola vivono soprattutto renne, alci, capre delle nevi, orsi
bruni e bianchi, lupi artici, ghiottoni, volpi, zibellini,
aquile, pernici bianche, urogalli e, in estate, corvi, oche e
anatre. La fauna acquatica è caratterizzata da trichechi,
foche, balene, temoli, salmoni siberiani, Omul, e altri
salmonidi. La Penisola dei Ciukci confina con l'Alaska, e,
geologicamente, assieme formano la Zona di Bering. La gran parte
di questa zona si trova sott'acqua, mentre fino a 12.000 anni fa
un ponte di terra congiungeva le due penisole. I rispettivi
ecosistemi sono molto simili. Negli ultimi anni è stata
esaminata la possibilità di creare un parco internazionale
dello stretto di Bering, ma la decisione in merito è
tuttora in sospeso per via di momenti tesi nelle relazioni
russo-americane.
6. Primi insediamenti [ top ]
Non si sa con certezza a quando risale la prima presenza umana
nella penisola, ma ritrovamenti archeologici fanno ritenere che i
primi abitanti siano arrivati dal continente americano attraverso
la lingua di terra che univa Alaska e Siberia.
La parentela con l'Alaska, quindi, non è solo geografica
ma è anche antropologica. Questo fatto è confermato
da una serie di affinità tra i nativi americani e i popoli
indigeni della Penisola. L'insediamento è avvenuto in
condizioni climatiche estreme, nel pieno della cosiddetta
"glaciazione sartanica" che ha interessato la Siberia. La vita si
svolgeva prevalentemente nelle valli tra i ghiacciai, o nella
tundra davanti alla calotta glaciale. Allora popolavano la
penisola mandrie di Mammut, rinoceronti pelosi e buoi uri, di cui
tuttora gli abitanti ritrovano i resti. Le attività
principali dei primi abitanti erano caccia, raccolta e pesca. Col
tempo le popolazioni dell'interno (i progenitori degli attuali
Ciukci) si specializzarono nell'allevamento delle renne, mentre
le popolazioni della costa (che sarebbero diventati gli
Eschimesi) si dedicarono alla pesca. Queste attività
economiche crearono le condizioni per il passaggio dalla
comunità tribale alla famiglia patriarcale e per
l'affermarsi delle diseguaglianze economiche.
7. La colonizzazione russa [ top ]
Nel XVII sec. apparvero i primi esploratori nella penisola, e
posero fine all'isolamento che aveva mantenuto gli indigeni
nell'età della pietra. I coloni russi riuscirono a
superare la distanza tra gli Urali ed il Pacifico in soli 60
anni. La spinta alla conquista di queste nuove terre aveva molti
motivi, il più importante dei quali era la ricerca di uno
sbocco al mare per l'impero degli Zar. Tutti i nuovi territori
furono annessi alla Russia. Questo doloroso processo costò
ai popoli indigeni un alto tributo di sangue. Gli Zar, comunque,
non intendevano sterminare o cacciare gli indigeni, ma
"unicamente" sottometterli. A questo scopo fu introdotta la Jasak
- un particolare genere di tributo - che nella Russia degli Zar
ha svolto da sempre una duplice funzione. In primo luogo era
un'entrata per lo Stato, dall'altra era una conferma della
volontarietà della sottomissione.
Successivamente i russi si appropriarono anche dell'Alaska; solo
nel 1867 essa fu venduta agli Stati Uniti. Il destino delle due
gemelle era deciso per sempre: l'Alaska cadde in mano ad un
popolo di pragmatici "civilizzati" e calcolatori, ricevendo da
loro un corredo di pipeline, una rigida organizzazione degli
indigeni e la "benedizione" della cultura occidentale, mentre gli
altri furono affidati alle cure di un pazzo megalomane che si
premurò di donarle il disastro economico dei Kolkos e la
diffusione dell'alcoolismo. I Ciukci sono famosi per essere stato
l'unico dei popoli del nord a non essersi sottomessi alla
politica zarista della Jasak. Il successo della resistenza armata
e gli assalti agli insediamenti dei cosacchi costrinsero i russi
a rinunciare repressione violenta. John Mur, che visitò la
penisola nel secolo scorso, scriveva: " I Ciukci non sono affatto
dei selvaggi, ma lavoratori tranquilli e diligenti, che pensano
al loro futuro e sono in grado di prevederlo, e per la loro
laboriosità e intelligenza riescono a sopravvivere ad ogni
vicenda, anche quando epidemie, fame e altri flagelli colpiscono
loro e le loro mandrie di renne. Essi danno l'impressione di
gente buona, loquace, allegra, piena di passione e, per quanto ho
potuto vedere, giusta nel rapporto con gli altri,
indipendentemente se questi siano civili o selvaggi".
8. Concezioni religiose [ top ]
Uno dei principi della politica degli zar nei confronti dei popoli del nord era la tolleranza rispetto alla loro vita materiale e spirituale. Una particolarità della vita spirituale degli indigeni erano le loro concezioni religiose caratterizzate da animismo e sciamanismo. I Ciukci credono che il creatore abbia creato gli uomini e gli altri esseri. Gli uomini morti con dignità (in guerra, durante la caccia, etc.) raggiungevano la sfera celeste, quelli che morivano indegnamente raggiungevano la sfera sotterranea. In questo modo una grande popolazione di spiriti abita il mondo, per aiutare o danneggiare gli uomini. Si deve essere molto attenti e sapere come essi si comportano per sopravvivere in un mondo complesso e sconosciuto, dove in ogni zolla o palo di tenda si può nascondere uno spirito che ne è il padrone. Nella vita di tutti i giorni gli uomini devono cavarsela con l'esperienza e le regole di sopravvivenza. Inoltre ci si difende da attacchi con amuleti e preghiere. Occasionalmente però si verificano casi insoliti, per esempio che uno spirito malvagio rapisca l'anima di un uomo. In questi casi è necessario l'aiuto di un guaritore, che ha il dono di mettersi in contatto con il mondo degli spiriti e lì compiere le azioni giuste per salvare l'anima rapita. Quest'uomo è lo sciamano. Essere sciamano non è un lavoro, ma una vocazione, o una malattia.
9. Oppressione e sfruttamento [ top ]
I cambiamenti più radicali nel modo di vita dei Ciukci
avvennero dopo la rivoluzione d'ottobre e la presa del potere da
parte dei Soviet. Ubbidienti alle proprie concezioni ideologiche,
essi presero misure radicali nei confronti degli indigeni, il cui
fine era di portare i popoli del nord dallo stato di natura al
comunismo senza passare per gli stadi intermedi del feudalesimo e
del capitalismo. Si pensava che questi popoli possedessero
già elementi di vita comunitaria e che quindi fossero in
grado di superare con successo questo salto. Sulle prime vi
furono dei successi.
I Ciukci impararono a leggere e a scrivere, ricevettero
assistenza medica, e supporto organizzativo. Presto però
si videro i primi segni di fallimento, perché la
dimensione, la radicalità e la velocità dei
cambiamenti introdotti non era compatibile con la
mentalità indigena. Vennero collettivizzate le mandrie di
renne e gli attrezzi da lavoro, vennero vietati gli usi e i
costumi tradizionali e la religione, i bambini furono isolati dai
genitori e allevati in asili e collegi. In questo modo lo Stato
Sovietico intervenne in profondità nel modo di vivere dei
Ciukci. Molti "riformatori" credevano sinceramente di strappare
dei "selvaggi" ad una vita primitiva, per portarli al livello
della loro cultura c.d. progredita.
In questo periodo furono cambiati i confini degli insediamenti e
le piste sulle quali le tribù si muovevano, i clan vennero
trasformati in collettivi di produzione e aziende familiari. Ne
seguì una grave crisi. Le comunità indigene e le
loro forme economiche però riuscirono a sopravvivere.
Durante il periodo sovietico la vita degli indigeni era
programmata dalla nascita alla morte. Il controllo era esercitato
da operai russi che facevano parte del Partito, dei Sindacati,
delle Gioventù Comunista, che formavano la gran parte
della popolazione dei villaggi (talvolta la percentuale di
indigeni non raggiungeva il 10%) Il lavoratori immigrati
assicuravano l'organizzazione di tutte le attività,
economiche, sociali e culturali degli indigeni.
Negli anni che precedettero e seguirono la seconda guerra
mondiale i sovietici si impadronirono anche delle risorse del
territorio. Vennero cominciate ricerche geologiche, vennero
aperte miniere, estratti oro, zinco, uranio, volframio. Fino
all'inizio degli anni 50 lo sfruttamento delle risorse era
compiuto soprattutto da internati dei Gulag. In seguito
incominciò la costruzione di un gran numero di
insediamenti industriali e il trasferimento di popolazione dalle
regioni centrali dell'unione sovietica.
L'industrializzazione comportò l'appropriazione dei
territori che una volta appartenevano agli indigeni,
appropriazione dettata solo da motivi di profitto. I diritti
degli indigeni e l'importanza dell'utilizzo tradizionale del
territorio, vennero completamente dimenticati. In breve tempo
vennero distrutti enormi estensioni di terra prima riservate alla
caccia, alla pesca, al pascolo. I rappresentanti della "cultura
sviluppata" distrussero con ogni mezzo ogni cosa vivente. Con
fuoristrada ed elicotteri si dava la caccia a alci, orsi,
ghiottoni, renne. I fiumi venivano imbrigliati in reti
metalliche, il loro corso alterato facendo ricorso ad esplosivi.
Gli indigeni vennero avvelenati con la vodka. Per gli indigeni fu
un disastro. Essi erano culturalmente abituati ad assumere funghi
come stupefacenti, e avevano gli strumenti culturali per farlo
senza rischi. Il diffondersi dell'alcoolismo distrusse tutto
questo. Era il trionfo dell'ipocrisia, secondo il motto:
"dì una cosa, fanne un'altra, pensane una terza". La crisi
interiore si manifestò in un'aumentata morbilità e
mortalità.
In quegli anni sia gli indigeni che gli studiosi riconobbero
l'avanzamento del degrado fisico e psicologico, ma non venne
fatto nulla. I risultati di ricerche sugli indigeni venivano
tenuti segreti. Tra gli abitanti "ciucko" divenne sinonimo di
imbecille. Fu persino pubblicato un libro di barzellette, e nel
1998 il vocabolario ufficiale della lingua russa accoglieva la
parola "ciucko" nel senso di "persona ingenua, limitata". Grazie
alle cure del "buon popolo russo" i Ciukci erano stati
trasformati, da popolo libero, in una mandria di beoni, sporchi e
indecenti. Viene di che chiedersi chi venga umiliato maggiormente
dalle trasformazioni imposte agli indigeni e dalle storielle
volgari: se i Ciukci stessi, o la Russia.
10. Gli ultimi 10 anni [ top ]
Con la fine del periodo sovietico emerse la crisi dei popoli
del nord emerse in tutta la sua gravità. Glasnost e
riforme cambiavano l'Unione Sovietica. Questo, per i popoli del
nord, significò il passaggio da un estremo ad un altro. Al
periodo della politica della regolamentazione segui quello
dell'assenza di ogni politica. Ci si lavava le mani dei crimini e
degli errori del passato senza però prendere alcun
provvedimento concreto per i popoli del nord. Si preferiva
parlare dei mali che affliggevano gli indigeni. In innumerevoli
congressi e conferenze si ricamava attorno alle idee astratte di
partnership e reintegrazione. Vennero creati numerosi fondi,
vennero pubblicati libri, messi in scena spettacoli, concerti di
gala, party d'addio. I capi dei governi locali (non indigeni)
riuscirono ad ottenere, per la tutela degli interessi degli
indigeni, aiuti, o nuovi poteri per la loro regione o per la loro
amministrazione. Non significava altro che prendere le sofferenze
dei popoli indigeni come scusa per continuare a "prendersi cura"
di loro, e per il profitto degli stessi che avevano causato la
crisi.
Venne reso pubblico che in alcune regioni l'aspettativa di vita
degli indigeni non arrivava a 40 anni, e che il numero dei
suicidi era spaventosamente aumentato. In alcuni distretti
riesplosero epidemie che si credevano dimenticate dal secolo
scorso (tubercolosi, echinococcosi ed altre malattie
parassitarie). Nonostante le preoccupanti condizioni
igenico-sanitarie, venne smantellata l'assistenza medica nei
luoghi di residenza dei popoli del nord. Le fattorie collettive
vennero privatizzate con l'introduzione dell'economia di mercato,
lottizzate e vendute al tutti - compresi i lavoratori immigrati.
Gli indigeni non ricevettero quello che loro spettava, né
sapevano utilizzare o costudire quello che riuscirono ad
ottenere. Le renne e i terreni di caccia finirono in mano altrui.
I programmi statali per il sostegno dei popoli indigeni offrivano
fin troppi spiragli per abusi e malversazioni.
Gli esperti, i Leader dei popoli del nord che hanno interesse
alla difesa degli indigeni, ritengono necessario che vengano
emanate leggi che sanciscano lo status particolare degli
indigeni, il loro autogoverno, i loro diritti sulla terra e sulle
risorse. La Russia deve abbandonare la politica paternalistica e
passare a rapporti di partnership. Il paternalismo dello Stato
Russo è una bugia: questo pseudopaternalismo, infatti, ha
ridotto gli indigeni del nord in una condizione che ha poco in
comune con lo stato degli indigeni degli altri territori
circumpolari.
L'erosione dei diritti politici, economici e culturali degli
indigeni non è una conseguenza del capitalismo sovietico,
ma della sfortunata convergenza di fattori etnici interni, senza
il superamento dei quali ogni provvedimento rimarrà senza
esito. I Ciukci non sono stati sottomessi con una campagna aperta
di distruzione, ma sono stati piegati con metodi sottili ed
inconsci, tanto che verrebbe voglia di dire: meglio una
crudeltà dichiarata, che questa parodia del bene. Si fa
sempre più largo oggi la convinzione che la più
utile ed urgente misura per la tutela degli indigeni del nord
è di dichiarare questi popoli oppressi, perché
esporre queste popolazioni, pochissimo preparate e
particolarmente vulnerabili, a interventi come quelli attuati
fino ad oggi equivale a proseguire nell'oppressione, se non nella
forma, certamente nella sostanza.
11. Cenni sull'arte dei Ciukci [ top ]
Nonostante nelle anime degli indigeni che ancora vivono nella
penisola dei Ciukci sono sopravvissute piccole isole di ricordo
etnico, che talvolta si manifestano nei comportamenti, nella
visione del mondo, in frammenti di usi e costumi, e nell'arte.
Qui dobbiamo distinguere tra l'arte autentica e quella calata
dall'alto, come "dimostrazione del trionfo della cultura e
dell'arte di tutte le nazioni nella famiglia dei popoli
sovietici". Bisogna riconoscere che anche alcuni esempi di queste
forme artistiche si distinguono per chiarezza e forza, ma si
tratta comunque soltanto di abili riproduzioni di ciò che
veniva ideato sotto la supervisione di professionisti russi, e
fabbricato in serie. Non si tratta quindi di un'eco o un
manifestarsi dello spirito del popolo, ma piuttosto di una loro
manipolazione.
L'incontro con artisti autentici della tundra o della taiga, che
cercano di comunicare il loro sentimento del mondo, è
un'esperienza che riempie di gioia. Questi artisti lavorano nella
tundra, accanto al fuoco, oppure alla luce di una candela in una
capanna di caccia, oppure ancora in una jaranga stretta e fumosa
sulla costa. Osservando gli oggetti creati dalle mani di questi
maestri, anche senza volerlo si è costretti a riflettere
radici della creazione di questi oggetti. Perché questi
uomini, in particolare i più giovani, non basano la loro
attività artistica sulle conoscenze tecniche, bensì
su un atavico senso per il bello.
Questi lavori potrebbero servire come oggetti di ricerca non solo
per gli amanti dell'arte, ma anche per antropologi,
etnopsicologi, filosofi. Gli artisti che li hanno creati lavorano
nella tundra allevando renne, cacciando o pascolando, e non sono
artisti accademici. Evitano qualsiasi istruzione artistica, per
paura di diventare dipendenti e semplici imitatori di modelli.
Preferiscono trarre i loro motivi e i loro mezzi d'espressione
direttamente dalla Tundra.
Testo: Larissa Vyntyna. Traduzione dal russo Dr. Alfons Benedikter.
Descrizione | Popolazione secondo il censimento | Parlanti la lingua madre in % | |||
- | 1926 | 1959 | 1989 | 1959 | 1979 |
Popoli di stirpe finnica | |||||
Sami, Lapponi | 1.720 | 1.792 | 1.890 | 70 | 53 |
Finnici | - | - | 77.000 | - | - |
Kareli | - | 167.000 | 138.000 | 71 | 56 |
Komi Siriani | - | 287.000 | 344.500 | - | - |
Popoli di stirpe ugrica | |||||
Hanti, Ostiachi | 17.334 | 19.410 | 22.521 | 77 | 68 |
Mansi, Voguli | 6.095 | 6.449 | 8.461 | 59 | 50 |
Popoli di stirpe samojeda (Nenzi) | |||||
Nenci, Samoiedi dello Jurak | 16.217 | 23.007 | 34.665 | 85 | 80 |
Scelkup, Samoiedi dell'Ostiak | 1.630 | 3.768 | 3.621 | 51 | 57 |
Enci, Samoiedi dello Jenisej | 482 | 350 | 209 | - | - |
Nganasani, Samoiedi di Tawgi | 867 | 748 | 1.278 | - | - |
Popoli di stirpe tungusa | |||||
Evenki, Tungusi | 18.805 | 24.710 | 30.163 | 56 | 43 |
Eveni, Lamuti | 2.044 | 8.121 | 17.199 | 81 | 57 |
Negidal | 683 | 350 | 622 | - | 44 |
Nanai, Goldi, Cotso | 5.860 | 8.026 | 12.023 | - | - |
Orocci | 647 | 782 | 915 | - | - |
Olci | 723 | 2.055 | 3.233 | 68 | 41 |
Oroki | 162 | 450 | 190 | - | - |
Udeke | 1.357 | 1.444 | 2.011 | 74 | 31 |
Popolazioni turche | |||||
Jakuti | - | 283.000 | 382.000 | 98 | 95 |
Dolgati | 656 | 3.934 | 6.932 | 94 | 90 |
Caragassi, Tofalari | 415 | 731* | - | - | - |
Popoli di stirpe paleo-asiatica | |||||
Ciukci | 2.332 | 11.727 | 15.184 | 94 | 78 |
Coriacchi | 7.439 | 6.287 | 9.242 | 91 | 69 |
Itelmeni | 859 | 1.109 | 2.481 | 36 | 24 |
Iukaghiri | 443 | 442 | 1.142 | 53 | 38 |
Ciuvani | 705 | - | 1.511 | - | - |
Nivci, Ghiliacchi | 4.076 | 3.717 | 4.673 | 76 | 31 |
Keti, Ostiacchi dello Jenisej | 1.428 | 1.019 | 1.113 | - | - |
Ainu | 32 | - | - | - | - |
Popoli di stirpe eschimese - aleutina | |||||
Inuit, Eskimo | 1.293 | 1.118 | 1.719 | 84 | 61 |
Aleutini | 3.534 | 421 | 702 | 22 | 18 |
* Dal censimento 1979
Nota: 26 di questi popoli
appartengono all'"Unione dei piccoli popoli del Nord", e vengono
definiti, nell'elenco ufficiale del Governo russo come " popoli
del nord numericamente piccoli": Dolgani, Nganasani, Nenzi, Sami,
Ciukci, Evenki, Eveni, Enci, Inuit, Jukaghiri, Coriacchi, Keti,
Mansi, Selkupi, Ciuvani, Aleutini, Itelmeni, Nanai, Negildazi,
Nivci, Oroki, Oroci, Udeke, Ulci, Tofalari (Karagassi).
Complessivamente questi popoli ammontano, secondo i dati del
censimento del 1989 a 183.700. Il totale della popolazione
indigena ammonta a 1.048.200 persone. Il territorio di
insediamento comprende circa 10 milioni di chilometri quadrati,
circa il 60% del territorio russo. Nel 1993 all'elenco dei popoli
indigeni del nord sono stati aggiunti i popoli della Siberia
meridionale dei Kumandi, Teleuti e Snorzi. I popoli o gruppi
etnici di seguito elencati non appaiono nei dati del censimento
per via del loro numero troppo limitato (o della loro completa
sparizione): Aliutorzi, Kereki, Tasi, Voti, Kamciadali,
Ciulmimzi. Gli Aliuorzi e i Kereki sono stati considerati assieme
ai Coriacchi, i Tasi assieme agli Udeke, i Ciulmimzi tra i Tatari
e i Ciakassi. I Kamciadali non sono considerati più gruppo
etnico a parte, probabilmente perché parlano russo. I
Vepsi sono un popolo che non è considerato tra gli
abitanti indigeni del nord.
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BRUNNER, G. & KAGEDON, A. (eds.) 1988: Die Minderheiten in der Sowjetunion und das Völkerrecht. Minorities in the Soviet Union under international law. Köln.
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GfbV 1991: Jakutien zur Unabhägigkeit entschlossen. Pogrom 158, S. 38-39.
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GfbV-Sudtirol, "Indianer Russlands", von Jeremej D. Ajpin, Bozen, 1996 (vergriffen). Weitere Beiträge erscheinen laufend in: POGROM, Zeitschrift für bedrohte Völker, herausgeg. von der Gesellschaft für bedrohte Völker Deutschland, Postfach 2024, 37010 Göttingen.