Di Thomas Benedikter
Bolzano, 7 Marzo 2003
Il 4 febbraio 1996 il Governo del
Nepal si è visto bruscamente confrontato con un ultimatum.
La dirigenza del Partito Comunista del Nepal (Maoista) gli aveva
recapitato un messaggio chiaro: "O ottemperate subito alle nostre
40 rivendicazioni per liberare le classi oppresse o parte la
guerra del popolo!" I maoisti neanche aspettarono la risposta dai
palazzi di Kathmandu. Il 13 febbraio hanno lanciato la prima
serie di assalti su postazioni della polizia seguite, nel primo
mese dell'insurrezione, da 6000 "azioni armate". Nei sette anni
successivi la crudeltà della "guerra del popolo" nelle
montagne del Nepal ha bruciato 7.416 vite, ha lasciato una scia
di sangue e terrore nelle regioni del Nepal centro occidentale,
ha sradicato decine di migliaia di famiglie e ha ricacciato zone
da sempre povere in una situazione ancora più disperata.
L'"Armata di liberazione del popolo" alla fine del 2002 non solo
era riuscita ad impiantare basi in un'ampia zona di alcuni
distretti centro occidentali, ma aveva chiaramente dimostrato la
sua capacità operativa su quasi tutto il territorio
nazionale comprese le città. Un sufficiente motivo per il
regime monarchico per trattare una tregua poi in vigore dal 29
gennaio 2003.
Nonostante gli orrori vissuti in
Nepal, la "guerra del popolo" ha guadagnato l'attenzione dei
media internazionali solo quelle poche volte in cui gli attacchi
maoisti contro caserme e aeroporti sono costati la vita a
centinaia di combattenti e civili; passava invece in sordina il
fatto, che durante il periodo dello stato di emergenza dal
novembre del 2001 in poi in media si registravano 15 vittime al
giorno, persone etichettate da parte delle forze armate sempre
come "Maoisti", ma in verità per gran parte civili non
combattenti, non armati e semplici sospettati, maoisti già
catturati o feriti. Gli attacchi dei ribelli avevano provocato
questa spietata reazione delle Forze Armate che sembra ispirarsi
alle peggiori campagne anti-guerriglia del Guatemala, El Salvador
e Colombia degli anni 80 e 90.
Oltre ad essere al limite
dell'inaudito, in Europa la guerriglia maoista del Nepal ha anche
dei risvolti sconosciuti. É risaputo che il Nepal è
uno dei paesi più poveri del mondo con almeno il 42% della
popolazione ridotta ad assoluta povertà. Ma la sola
povertà non avrebbe potuto scatenare questa ondata di
violenza. Nell'immaginario del turista e dell'alpinista straniero
era esistito come un "Shangri-La" di convivenza armoniosa fra
svariate etnie e religioni, mentre poco trapelava delle profonde
discriminazioni etniche e sociali. Pur essendo il carattere di
fondo della rivolta maoista una lotta di classe, ispirata alla
ventennale "guerra del popolo" del Partito Comunista Cinese
guidata da Mao Tse Tung (1927-1949), il momento etnico
dell'odierna guerriglia nepalese è un fattore molto
importante. Alcuni piccoli Fronti di liberazione nazionale di
singoli popoli indigeni del Nepal si sono apertamente schierati
con in Maoisti, altri gruppi più grandi come i Magar
simpatizzano o lottano con i rivoluzionari percependoli come
forza in grado da scardinare la secolare discriminazione
etnica.
Il Nepal, infatti, è un
mosaico di etnie. Nel 2001 ufficialmente sono state censite 61
etnie che parlano 120 lingue e contano almeno il 35% della
popolazione totale. Solamente in 11 dei 75 distretti esiste una
maggioranza numerica assoluta di un gruppo etnico. Appena
metà dei cittadini nepalesi parla la lingua nepalese come
propria madrelingua, quasi il 20% non la parla affatto.
All'insegna dello slogan "Una nazione, un costume, una lingua!"
che sin dalla fondazione dello stato unitario del Nepal nel 1769
ha caratterizzato la politica delle elite di Kathmandu, la
monarchia basata sulle alte caste Hindu ha sempre cercato di
imporre non solo la sua lingua, il Nepali, ma anche la sua
matrice culturale e religiosa su tutto il resto del paese. I
piccoli popoli invece, appartenenti a ceppi diversi da quello
indoariano e hinduista, non si sono mai arresi all'egemonia delle
caste superiori di etnia indoariana.
La ricostituzione della democrazia
parlamentare nel 1990 fra i popoli indigeni aveva sollevato
grandi speranze. Ogni discriminazione etnica e religiosa da ora
era vietata dalla Costituzione. Ma in realtà lo Stato si
preoccupò ben poco delle sorti delle etnie indigene
limitandosi a gesti simbolici e piccole operazioni di facciata:
alcune ore di lingua indigena nella radio statale, alcuni libri
di testo per gli allievi delle scuole elementari, alcune parole
di saluto in lingua locale durante le cerimonie ufficiali.
L'imposizione della lingua Nepali in tutta la vita pubblica e
l'egemonia delle alte caste Hindu in 13 anni di democrazia sono
rimasti inattaccati. In quali ambiti oggi è più
sentita questa discriminazione? - I popoli indigeni minoritari
nel Parlamento e nei consigli distrettuali non sono equamente
rappresentati.
- Per persone appartenenti a popoli minoritari è quasi
impossibile trovare un lavoro nel pubblico impiego.
- Nei livelli superiori dell'amministrazione statale gli indigeni
sono quasi assenti, nei rapporti con gli organi statali spesso si
sentono trattati come cittadini di seconda classe.
- Non solo a livello nazionale, ma anche a livello distrettuale e
comunale il Nepali è l'unica lingua ufficiale.
- Nelle scuole superiori non
è ammessa nessun altra lingua che il Nepali, mentre nelle
scuole elementari le lingue indigene sono presenti solo in forma
sporadica.
- A numerose persone appartenenti a gruppi minoritari del Sud del
Nepal - il terai - per decenni fu pure negata la
cittadinanza.
- Nei media statali le lingue minoritarie, benché parlate
ogni giorno da quasi la metà della popolazione, hanno uno
spazio assolutamente trascurabile.
- La hinduizzazione del paese attraverso la cultura e i valori
delle alte caste continuano ad essere sistematicamente promossi
dallo Stato, mentre non hanno mezzi le lingue minoritarie.
- I programmi di sviluppo economico hanno interessato in misura
minore i distretti popolati prevalentemente dai popoli indigeni,
benché la Costituzione prevedesse proprio il contrario,
cioè sforzi particolari per sostenere le zone
arretrate.
Infine il Nepal continua anche in
tempi democratici ad essere uno stato troppo centralizzato. Da
quando esiste come stato unitario il Nepal è sempre stato
uno stato governato dal centro, dai palazzi reali prima, dal
governo democratico dopo con il suo apparato concentrato a
Kathmandu. Poco contano invece i distretti e i VDC (Village
development committees, una specie di Comune). Nel 1999 una nuova
legge di decentramento doveva riorganizzare l'assetto
amministrativo trasferendo ampi poteri in periferia, ma - come
capita regolarmente nella politica nepalese - la realtà
è ancora lontana dalla lettera della legge. Inoltre, a
causa della guerra, numerose strutture locali sono state
distrutte, centinaia di politici locali ammazzati e gli stessi
consigli distrettuali e comunali sono congelati.
In Nepal non si dubita della
necessità di una lingua nazionale di comunicazione, ma
esiste un forte disagio fra le comunità indigene - fra cui
31 realtà con più di 100.000 persone, la maggiore
conta il 7% della popolazione nazionale - di sentirsi
continuamente discriminati dalla caste Hindu dominanti.
Benché le caste ufficialmente fossero abolite, la
"bahunbad", cioè l'appartenenza e affiliazione alla
cultura delle caste Bahun (brahmani) e Chhetri è decisiva
per contare nel mondo della politica, sul mercato del lavoro,
nell'economia e nella scienza. Non si tratta di una
discriminazione aperta, ma di una sottile egemonia strutturale. I
piccoli popoli indigeni per lo più abitano le regioni
più remote, hanno un sistema di educazione e formazione
arretrato, un'economia di sussistenza, non sono integrati in un
mercato nazionale. Nel groviglio del potere politico di Kathmandu
non riescono a farsi avanti, in termini italiani: o sono i poveri
montanari senza cultura o gli immigrati del sud poco amati.
Ma come cambiare? "La via della
violenza non paga", mi risponde Bal Krishna Mabuhang, un Limbu
delle montagne orientali del Nepal che a Kathmandu dirige la
"Federazione delle Nazionalità del Nepal" (NEFEN, www.nefen.org): "I partiti
compreso quello maoista finora hanno solo strumentalizzato la
nostra causa. Noi cerchiamo di unire le nostre forze per
costruire una piattaforma comune dei popoli indigeni per far
passare delle riforme strutturali nel paese. Noi puntiamo sul
dialogo e sulla trattativa politica, ma cerchiamo di organizzarci
bene per far pressione sul governo e sulle forze politiche. Forse
la guerra maoista li ha resi un po' più sensibili nei
nostri riguardi."
Il NEFEN ed altre voci autorevoli
del mondo indigeno chiedono l'abolizione della predominanza delle
alte caste Hindu in tutta la sfera pubblica; vogliono
l'educazione bilingue e le loro lingue come lingue ufficiali nei
distretti popolati dai loro gruppi etnici, e chiedono la
federalizzazione del Nepal. Infatti, data la sua conformazione
geografica e culturale il Nepal è predestinato per una
forma di stato federalista, almeno quanto è predestinato
per una guerriglia. Finora lo Stato, impegnato a riarmarsi ed
organizzare la repressione anti-guerriglia, non ha ancora reagito
con politiche concrete a questa grande sfida, la sfida di rendere
i rapporti fra le etnie minoritarie e maggioritarie più
eque ed equilibrate. I maoisti premono per i pari diritti dei
popoli indigeni, chiedono il loro accesso al potere centrale, il
riconoscimento delle loro lingue e culture a livello distrettuale
e un'autonomia territoriale. La stessa Costituzione ha un forte
bisogno di essere riscritta in questa direzione se si vuole
arginare la spinta etnica verso la lotta armata, un'operazione
più che urgente poiché una soluzione militare dei
conflitti etnici in un paese come il Nepal è semplicemente
impensabile.
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Regione geografica | Numero dei gruppi | Persone appartenenti, numero assoluto | Quota in % sulla popolazione totale |
Zona di alta montagna - totale | 3 | 138.293 | 0,7 |
Di cui appartenenti a caste | 0 | 0 | 0 |
Gruppi etnici (indigeni) | 3 | 136.552 | 0,7 |
Altri | - | 1.741 | 0 |
Zona di montagna e colline | 20 | 12.420.157 | 67,2 |
Di cui appartenenti a caste | 9 | 7.457.170 | 40,3 |
Gruppi etnici (indigeni) | 11 | 4.776.993 | 25,8 |
Altri | - | 185.994 | 1,1 |
Terai interiore (pianura) - totale | 7 | 206.068 | 1,1 |
Di cui appartenenti a caste | 0 | 0 | 0 |
Gruppi etnici (indigeni) | 7 | 206.068 | 1,1 |
Terai esteriore - totale | 25 | 5.718.770 | 30,9 |
Di cui appartenenti a caste | 20 | 2.939.175 | 15,9 |
Gruppi etnici (indigeni) | 5 | 1.452.652 | 7,9 |
Altri | - | 1.326.943 | 7,1 |
Non dichiarati e stranieri | - | 7.809 | 0 |
Gran totale popolazione | 55 | 18.491.097 | 100 |
"Nazionalità" (cioè etnie o gruppi etnici)
del Nepal
Alta Montagna (21 gruppi): Barah Gaule, Bhutia, Byansi,
Chhairotan, Chimtan, Dolpo, Larke, Lhomi (Shingsawa), Lhopa,
Manange, Marphali, Mugali, Siyar, Sherpa, Syangtan, Tangbe,
Thakali, Thintan, Thudam, Topkegola e Walling.
Zona di montagne e colline (23 gruppi): Bankaria, Baramo,
Bhujel/Gharti, Chepang, Chhantyal, Dura, Fri, Gurung, Hayu,
Hyolmo, Jirel, Kushbadia, Kusunda, Lepcha, Limbu, Magar, Newar,
Pahari, Rai, Sunuwar, Surel, Tamang e Thami.
Terai (pianura) interiore (7 gruppi): Bote, Danuwar,
Darai, Kumal, Majhi, Raji e Raute.
Terai esteriore (10 gruppi): Danuk (Rajbanshi), Dhimal,
Gangai, Jhangad, Kisan, Meche, Rajbanshi (Koch), Satar/Santhal,
Tajpuria e Tharu.
Fonte: National Committee for Development of Nationalities of
Nepal, Kathmandu
Thomas Benedikter, economista, pubblicista e
ricercatore a Bolzano, ha lavorato per anni in varie
organizzazioni per i diritti umani, dal luglio 2002 al gennaio
2003 ha vissuto in Nepal per studiare le cause dell'insurrezione
maoista; in collaborazione con organizzazioni per i diritti umani
locali ha elaborato un'ampia documentazione del conflitto che
uscirà a breve (thomas.benedikter@dnet.it).