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Il "Memorandum sull'autonomia genuina del popolo tibetano"

Un progetto politico di autonomia regionale moderato e rispettoso dell'ordinamento costituzionale cinese

Di Thomas Benedikter

Bolzano, 8 gennaio 2009

Indice
Garantire l'identità tibetana | Le competenze di una nuova autonomia | Un Tibet autonomo su tutto il territorio tibetano | Democrazia ed autonomia

Il Kumbum del monastero di Gyantse è lo 'chörten' (stupa) più grande di tutto il Tibet. Foto: Thomas Benedikter. Il Kumbum del monastero di Gyantse è lo 'chörten' (stupa) più grande di tutto il Tibet. Foto: Thomas Benedikter.

Nel secondo giro degli incontri fra delegati tibetani e del governo cinese, svolto in Cina nel luglio 2008, i rappresentanti del Governo in esilio tibetano hanno confrontato la parte governativa cinese con la proposta ufficiale di "autonomia genuina" per il Tibet all'interno della Cina. Il documento, con chiarezza e coerenza, esprime la piena disponibilità della parte tibetana ad accettare la sovranità cinese a patto che venga istituito un altro tipo di autonomia "genuina", da estendere a tutti i territori compattamente abitati da tibetani all'interno della Cina (vedi il testo completo sul sito: www.tibetoffice.ch/web/mwa/memorandum/italian.pdf). Si tratta di un progetto politico moderato - ad esempio non si allude minimamente al fondamentale diritto dei popoli all'autodeterminazione - che il Governo in esilio di Dharamsala ritiene compatibile sia con la Costituzione cinese (Cost.) sia con l'attuale "legge quadro sull'autonomia regionale nazionale" (LARN, approvata nel 1984), che disciplina tutti i tipi di autonomia territoriale creati per le minoranze nazionali in Cina. Nel contempo, questo memorandum illustra cosa i Tibetani democratici si immaginano debba essere un quadro politico-giuridico appropriato per salvare la loro cultura e per rispettare i loro diritti all'interno dello Stato cinese. Quindi vale la pena sintetizzarne gli elementi più importanti.

Garantire l'identità tibetana [ su ]
Il documento parte dai principi fondamentali della Costituzione cinese (Cost.) che riconosce il diritto all'autonomia e all'autogoverno delle minoranze nazionali, cercando una via di mezzo fra lo sciovinismo Han, ripudiato dalla Cina ufficiale, e un presunto "nazionalismo delle minoranze nazionali", che in realtà sono spesso popoli minoritari. Pur istituendo autonomie territoriali a quattro livelli di governo, i poteri degli organi statali di interferire a discrezione in questi ambiti politici formalmente autonomi sono enormi. Perciò, sempre richiamandosi alle finalità della Costituzione, i tibetani propongono di adattare la legislazione statale e di varare delle leggi specifiche per attribuire al Tibet un nuovo assetto autonomistico speciale, rispondendo alla singolarità del caso tibetano.

Se per lo Stato cinese la preservazione dell'unità nazionale e dell'armonia fra i popoli è un valore prioritario, per i tibetani l'interesse fondamentale è quello di salvaguardare la loro identità nazionale, un principio del resto solennemente riconosciuto anche dalla Cost. Non può esserci dubbio che i tibetani siano un popolo che da sempre ha abitato l'immenso altipiano del Tibet, e quindi sia il popolo indigeno di quelle terre. Le aspirazioni del popolo tibetano sono quelle di conservare il ricco patrimonio culturale, ma anche di poter sviluppare la sua cultura, scienza, religione e le sue tradizioni spirituali. Quindi non si rifiuta il progresso economico e tecnologico, ma si chiede di poterlo gestire autonomamente senza mettere a repentaglio l'ambiente fragile dell'altipiano tibetano: "Per poter progredire come popolo distinto della Repubblica Popolare Cinese (RPC) i tibetani hanno bisogno di svilupparsi in corrispondenza con lo sviluppo economico, sociale e politico della RPC, ma rispettando le caratteristiche tibetane di tale sviluppo" (Memorandum). Da qui l'esigenza di poter autogovernarsi su tutto il territorio in cui i tibetani vivono in comunità compatte, in accordo con i loro bisogni, priorità ed esigenze culturali, economiche e sociali. I tibetani saprebbero perfettamente governare se stessi, si afferma nel memorandum, ma per quali settori politici si chiede un effettivo autogoverno?

Il complesso monastico di Kumbum, da cui proviene l'attuale Dalai Lama, oggi si trova nella provincia di Qinghai, l'antico Amdo, reclamato dai tibetani come parte integrale del Tibet. Foto: Thomas Benedikter. Il complesso monastico di Kumbum, da cui proviene l'attuale Dalai Lama, oggi si trova nella provincia di Qinghai, l'antico Amdo, reclamato dai tibetani come parte integrale del Tibet. Foto: Thomas Benedikter.

Le competenze di una nuova autonomia [ su ]
La lingua (non la religione) è definita subito l'attributo più importante dell'identità tibetana. Una lingua di antica origine, il veicolo della sua spiritualità, una lingua di pari rango con il Sanscrito, dotata di una ricca letteratura. Quindi, la lingua principale di tutti i territori autonomi tibetani dovrà essere la lingua tibetana, un principio espresso nella stessa Costituzione (art. 121) e nella LARN (art. 10), ma non pienamente rispettato nella realtà. Di riflesso, il governo autonomo dovrà poter decidere sulle lingue di insegnamento nel sistema scolastico autonomo.

Vari articoli sia della Cost. sia della LARN ribadiscono il diritto delle minoranze nazionali di difendere la loro cultura. Il Tibet, che non si percepisce una mera "minoranza", per continuare ad esistere come popolo culturalmente distinto, ha bisogno di norme costituzionali specifiche che garantiscano le sue specificità. La religione buddista sarebbe inseparabile dalla cultura tibetana, si riconosce però l'importanza della separazione fra religione e stato, senza pregiudicare i diritti di libertà del culto. La libertà di espressione e del culto ha un significato particolare per i tibetani, si afferma nel Memorandum, ed infine la piena libertà religiosa sarebbe compatibile con la Cost. cinese che all'art. 36 riconosce il diritto all'esercizio della religione e vieta ogni discriminazione per motivi religiosi. Questo principio includerebbe anche il diritto dei monasteri buddisti di gestire autonomamente i propri monasteri, di accogliere liberamente nuovi monaci, di organizzare l'insegnamento senza nessuna ingerenza statale nel rapporto fra monasteri e monaci, e fra maestri e discepoli, e nessuna interferenza nel riconoscimento delle reincarnazioni.

La nuova stazione di Lhasa è stata completata nell'estate del 2006. Ora, il treno ogni anno porta più di un milione di turisti cinesi nel Tibet. Foto: Thomas Benedikter. La nuova stazione di Lhasa è stata completata nell'estate del 2006. Ora, il treno ogni anno porta più di un milione di turisti cinesi nel Tibet. Foto: Thomas Benedikter. Nell'educazione, di nuovo non si chiede altro che coerenza con la Cost., che all'art. 119 afferma: "Gli organi di autogoverno delle aree nazionali autonome gestiscono indipendentemente i loro affari educativi nelle rispettive aree", principio ripreso nell'art. 36 della LARN. Si sottolinea che i tibetani hanno bisogno di una genuina autonomia nella politica scolastica per poter preservare la loro identità.

Particolare importanza il Memorandum ascrive anche alla tutela dell'ambiente e all'utilizzo delle risorse naturali. Il tradizionale ambiente naturale del Tibet avrebbe già subito dei danni irreparabili, arrecati alle foreste, alle risorse idriche, alle steppe, alla fauna dell'altipiano. Tutte le competenze sarebbero da attribuire al governo autonomo. Non a caso la LARN è particolarmente vaga e restrittiva nella definizione dei diritti delle entità autonome sulle risorse naturali, non definendo chiari limiti all'intervento dello Stato centrale nello "sfruttamento razionale delle risorse". Un aggancio importante in questo contesto è dato dalla proprietà della terra: "Solo la nazionalità titolare della regione autonoma deve avere l'autorità di regolamentare il trasferimento e l'affitto dei terreni, ad eccezione dei terreni demaniali. La regione autonoma dovrebbe aver la piena competenza di formulare ed applicare i suoi piani di sviluppo, integrando i piani statali" (Memorandum). Quindi, in via di principio sia la Cost. (art. 118), sia la LARN (art. 25) riconoscono il diritto delle autorità autonome di gestire il loro sviluppo economico, l'autonomia finanziaria e la possibilità di svolgere scambi commerciali transfrontalieri con i paesi vicini (in pratica l'India, il Nepal, ed il Bhutan), ma il problema starebbe nell'effettiva applicazione che va regolamentata in maniera diversa.

Nel monastero femminile Ani Sanghkhung a Lhasa. Foto: Thomas Benedikter. Nel monastero femminile Ani Sanghkhung a Lhasa. Foto: Thomas Benedikter. Anche la politica sanitaria, di principio, secondo la Cost. (art. 119) e la LARN (art. 40), rientra nelle competenze delle entità autonome, permettendo decisioni per sviluppare i servizi medici e sanitari regionali e locali, abbinando la medicina moderna a quella tradizionale. Oggi il sistema sanitario pubblico in Tibet non coprirebbe i bisogni della popolazione rurale, per cui un governo realmente autonomo dovrà poter disporre sia delle risorse sia delle competenze per garantire il servizio su tutto il territorio, rispettando anche la medicina tradizionale tibetana.

Materia molto sensibile sono la sicurezza e l'ordine pubblico ed il controllo dei flussi migratori. I tibetani denunciano l'assenza di un'autorità locale di polizia, diretta da ufficiali pubblici tibetani. Ma su questo sia la Cost. sia la LARN pongono limiti molto stretti. Sta sotto gli occhi di tutti che una minoranza nazionale è minacciata, se non ci sono limiti di afflusso di persone non residenti e alla libertà di insediamento della popolazione maggioritaria dello Stato. Perciò, i tibetani pretendono che la Cost. rispetti integralmente il diritto delle nazionalità minoritarie all'autonomia laddove questa comunità abita in forma compatta un determinato territorio. I movimenti migratori, pilotati dall'alto a scopi politici, si trovano in assoluto contrasto con il dettato della Cost. e andrebbero controllati dalle autorità autonome. L'argomentazione tibetana è coerente, ma già in altri casi, come quello del Turkestan orientale (Xinjiang, in cui gli Uiguri autoctoni sono già stati trasformati in minoranza) la Cina ha dimostrato di non tener in nessun conto i precetti costituzionali. Il governo autonomo, si propone quindi, deve poter regolamentare la residenza, l'impiego ed il mercato del lavoro, l'attività economica indipendente di persone provenienti da fuori. Ma non si intende espellere i cinesi che già si sono stabilmente insediati nel Tibet, si sottolinea nel memorandum.

Come numerosi altri monasteri la sede centrale della scuola dei Sakyapa si trova in ristrutturazione, co-finanziata dalla Regione 'autonoma' del Tibet. Foto: Thomas Benedikter. Come numerosi altri monasteri la sede centrale della scuola dei Sakyapa si trova in ristrutturazione, co-finanziata dalla Regione 'autonoma' del Tibet. Foto: Thomas Benedikter.

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Un Tibet autonomo su tutto il territorio tibetano
Per poter efficacemente promuovere e preservare la loro identità e spiritualità, i tibetani devono poter vivere in un unico territorio, governato secondo le stesse regole di autonomia territoriale. Riunire tutte le aree tibetane attualmente titolari di un'autonomia di vario livello, sarebbe previsto anche dall'art. 4 della Cost. e dall'art. 2 della LARN, argomentano i tibetani, che prevedono che "l'autonomia regionale è praticata nelle aree dove le minoranze nazionali vivono in comunità concentrate." Un effettivo autogoverno può esplicarsi solo attraverso organi di autogoverno competenti per tutta la nazionalità tibetana come tale. Perciò anche la LARN ammette la possibilità di modificare confini delle unità territoriali esistenti, operazioni già avvenute nel passato.

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Democrazia ed autonomia
Il diritto dei tibetani ad un'autonomia genuina non sarebbe rispettata, se non fosse dotata di organi rappresentativi effettivamente autonomi, cioè un Congresso del popolo regionale con effettivi poteri legislativi, ed un governo regionale dotato del potere di applicare le leggi approvate all'interno dell'autonomia. Il Memorandum non si esprime sul modo di eleggere questo organo, rinunciando quindi ad un esplicito concetto di "Uno Stato - due sistemi" sul modello di Hong Kong.

Molta più attenzione è dedicata alle garanzie costituzionali affinché le norme sulla nuova autonomia non possano essere unilateralmente abrogate o modificate. La nuova autonomia del Tibet, una volta codificata nella Cost. cinese ed all'interno di una legge statale specifica, andrebbe applicata con apposite 'norme di attuazione', una procedura che ricorda l'applicazione delle autonomie speciali in Italia.

Il monastero di Tsurphu fino al 2000 fu la sede del numero 3 della gerarchia religiosa tibetana, del Karmapa, capo della scuola dei Kagyüpa. Foto: Thomas Benedikter. Il monastero di Tsurphu fino al 2000 fu la sede del numero 3 della gerarchia religiosa tibetana, del Karmapa, capo della scuola dei Kagyüpa. Foto: Thomas Benedikter. Tuttavia, restano dei problemi di difficile risoluzione all'interno del quadro giuridico cinese. In generale, le competenze legislative delle regioni autonome della Cina non solo sono troppo limitate, ma non c'è neanche chiarezza nella divisione delle competenze, e troppa ingerenza da parte dello Stato centrale nelle competenze regionali. Se da una parte la Cost. riconosce il particolare diritto delle regioni ad autogovernarsi tramite una legislazione autonoma in numerosi settori, l'art. 116 Cost. dispone il contrario: questo articolo, infatti, prevede che il massimo livello del Governo centrale - il Comitato permanente del Congresso Nazionale del Popolo - abbia l'ultima parola su ogni atto di legislazione autonoma. È significativo che tale autorizzazione centrale - una specie di veto e visto governativo - sia previsto solo per le regioni autonome, non invece per le province ordinarie della Cina. In aggiunta, l'esercizio dell'autonomia regionale è sottoposto a numerose leggi e regolamenti speciali (art. 115 Cost.), che ne limitano la portata e si contraddicono.

Quindi l'assetto giuridico odierno delle autonomie territoriali è poco chiaro, e gli organi centrali, su iniziativa del partito comunista, possono liberamente interferire con leggi statali di settore e con altri regolamenti. Non esiste neanche un meccanismo di consultazione della rappresentanza popolare della regione autonoma colpita da nuove misure né commissioni permanenti per dirimere eventuali conflitti fra Pechino ed una regione autonoma. Ne risultano garanzie insufficienti per il rispetto delle competenze autonome, su cui comunque prevalgono i poteri dello Stato, liberamente gestiti dalla parallela struttura di potere, cioè quella del partito. Il memorandum del governo tibetano in esilio si guarda però di contestare il ruolo del partito comunista ed il carattere non democratico dello stato cinese in quanto tale, immaginando invece di poter istituire un'autonomia genuina nell'ambito costituzionale cinese e quindi del sistema politico della RPC odierna.

Non tutti i tibetani ritengono possibile una tale riforma autonomista. Uno studioso tibetano, Wangchuk Shakapa, ad esempio, commenta che altre norme della Cost. cinese lasciano apparire illusorie le proposte tibetane per un'autonomia genuina. L'art. 4 afferma: "Ogni atto che minaccia l'unità delle nazionalità o istiga alla secessione è proibito." L'interpretazione di questa frase è lasciata libera alle istanze centrali del Partito e dello Stato. Anche chiedere democrazia per il Tibet o rivendicare il rispetto di tutti i diritti umani potrebbe essere facilmente interpretato in questa maniera e quindi dar luogo ad un intervento arbitrario di Pechino. La Cost. (art. 51) afferma: "L'esercizio da parte dei cittadini della RPC delle loro libertà e dei loro diritti non deve contrastare con gli interessi dello Stato, della società e della collettività…" Questa frase sta a dire, commenta Shakapa, che in Cina gli interessi dello Stato sono comunque sovra ordinati ai diritti individuali. Qualora lo Stato o il partito ritenessero un discorso, una religione o un atto lesivo degli interessi dello Stato, potrebbero bandirlo in base a tale norma costituzionale. La Costituzione della RPC certamente con è una costituzione modello, tant'è vero, afferma Shakapa, che istituisce uno stato in cui prevalgono gli interessi dello Stato sui diritti dei singoli, per non parlare dei diritti di entità autonome. Un'effettiva autonomia, per non parlare di democrazia, in queste condizioni non sarebbe praticabile, non a caso afferma l'art. 5 della LARN: "Organi autonomi nelle aree etniche autonome devono sostenere l'unità del paese e garantire che la Costituzione e le altre leggi siano rispettate." E l'art. 7 della stesse legge specifica: "Le istituzioni di autogoverno in aree etniche autonome devono anteporre gli interessi dello Stato ad ogni altro interesse e devono attivamente espletare ogni obbligo attribuitogli dalle istituzioni statali di livello superiore."

Tirando le somme, il memorandum del Governo tibetano in esilio, pur troppo fiducioso delle possibilità offerte dall'ordinamento giuridico cinese, è stato un atto più che doveroso come proposta diretta al Governo cinese. Sta a testimoniare che la popolazione del Tibet in generale accetterebbe l'assetto generale dello stato cinese a patto di ottenere un'autonomia effettiva, compatibile con la Costituzione cinese e gli interessi vitali dei tibetani. Quindi i tibetani in esilio si immaginano una situazione di autonomia accettabile, sicura, e sostenibile, che non debba necessariamente dirompere la struttura fondamentale dello Stato cinese, rinunciando di chiedere un altro sistema politico all'interno del Tibet, ma solo un deciso riassetto del rapporto fra il Tibet quale regione autonoma e lo Stato centrale cinese. Come sappiamo, il governo cinese dopo l'ottavo giro di consultazioni fra tibetani e cinesi tenuto a novembre, ha spazzato via anche questa proposta moderata, chiudendo per ora il discorso su una nuova autonomia per il Tibet. Almeno il mondo ed anche il regime cinese hanno potuto prendere atto che i tibetani hanno in mente un progetto politico tutt'altro che secessionista, ma moderato, realista e in linea con lo spirito della Costituzione cinese e con un concetto di autonomia regionale che funziona in più di 20 paesi del mondo, Italia inclusa.

Thomas Benedikter. Ricercatore presso l'Accademia Europea di Bolzano EURAC. È, tra altre opere, autore del volume "The World's Working Regional Autonomies", ANTHEM Press, Delhi/Londra 2007, un'analisi comparata di tutte le autonomie territoriali del mondo.