Bolzano, Göttingen, maggio 2000
INDICE
Quadro generale | Richieste |
Il massacro | Le violazioni dei
diritti umani: un bilancio | L'impossibilità di verifiche indipendenti |
L'aggravarsi delle violenze dopo il massacro |
La criminalizzazione della comunità
islamica | Carta geografica: la regione
autonoma dello Xinjiang | Il movimento
Meshrep | Indicazioni bibliografiche
Il 5 febbraio 1997 le agenzie di stampa riferivano
di gravi disordini nella città di Gulja (in cinese Yining,
distretto di Ili) nella provincia autonoma dello Xinjiang nella
Cina nordoccidentale. Subito le autorità cinesi
s'impegnavano ad occultare le reali dimensioni e l'occasione
degli scontri. Secondo Pechino, gruppi di Uiguri musulmani
avevano attaccato le forze di polizia e gli immigrati cinesi Han,
uccidendo nove persone e ferendone più di 200. Soltanto
vari giorni dopo si comprese che il numero delle vittime era
notevolmente superiore, e che gli scontri erano stati provocati
da un'ondata di arresti da parte della polizia cinese.
Ai gravi incidenti si era giunti quando parenti ed amici avevano
manifestato per la liberazione di centinaia di giovani musulmani
arrestati la notte precedente, in occasione della festa del
Ramadan, mentre si erano riuniti in case private per la
tradizionale preghiera collettiva. Nella sanguinosa repressione
della protesta furono uccise più di 100 persone, ed altre
centinaia rimasero ferite. Almeno 52 persone di etnia uigura sono
state in seguito condannate a morte, e giustiziate, per la loro
presunta partecipazione ai disordini. Le pene sono state inflitte
agli imputati con procedimenti sommari o con processi-spettacolo
contrari ad ogni principio processuale degli Stati di diritto.
L'esecuzione della condanna a morte di altri cinque condannati fu
sospesa; almeno 90 Uiguri sono poi stati condannati a pene
detentive, nella maggior parte dei casi a molti anni di
reclusione.
Dopo l'esplosione dei disordini furono arrestati 4.000 abitanti
della città. Fu temporaneamente imprigionato almeno un
terzo degli uomini adulti di etnia uigura abitanti a Gulja. Tutte
le abitazioni degli Uiguri furono perquisite dalle forze di
sicurezza cinesi. Secondo testimonianze oculari le condizioni
della detenzione, nelle carceri sovraffollate e nei campi di
prigionia improvvisati, divennero catastrofiche. Anche
innumerevoli donne furono arrestate e violentate nelle prigioni o
nelle stazioni di polizia. Molte "confessioni" furono ricavate
con la tortura. Almeno 14 arrestati morirono sotto tortura, o a
causa della tortura. Ai parenti dei torturati, dei giustiziati e
delle persone uccise senza processo furono negati i cadaveri dei
loro cari ed una loro dignitosa sepoltura.
Si decretò poi, sotto la minaccia di pene draconiane, che
la popolazione dovesse mantenere un assoluto silenzio sullo
svolgimento dei disordini. Chi ha trasgredito a quest'ordine ed
ha messo a disposizione dei giornalisti le proprie informazioni
sull'effettivo andamento del massacro, è stato condannato
a lunghe pene detentive. Per nascondere la sanguinosa repressione
dei disordini, più di 40.000 appartenenti alle forze di
sicurezza isolarono ermeticamente Gulja dal resto del mondo
(Hongkong Ping Kuo Jih Pao, 19.4.1997). Ancora diversi mesi
più tardi i giornalisti stranieri giunti nella
città in incognito, per indagare sulle reali dimensioni
della repressione, venivano arrestati senza indugio ed espulsi
dal circondario di Ili. Il Governo cinese aggravò le
misure repressive contro i Musulmani uiguri. Le moschee e le
scuole coraniche furono chiuse, gli insegnanti licenziati, i
giovani espulsi dalle scuole. Vi furono anche arresti per
"attività religiose illegali". Il massacro di Gulja ha per
gli Uiguri una portata simile a quella del massacro del 1989
sulla piazza della Pace Celeste (Tien An Men) di Pechino per il
movimento democratico cinese. I due episodi sono accomunati dal
fatto che i responsabili dell'apparato cinese di sicurezza non
sono mai stati chiamati a risponderne; e dal fatto che le
autorità rifiutano rigidamente di render noti il numero
delle vittime ed il reale svolgimento dei fatti. Ancora nel 1999
varie persone di etnia uigura sono state giustiziate per la
presunta partecipazione agli scontri. Parecchie dozzine di Uiguri
dovranno scontare decenni di carcere per la loro protesta contro
l'arbitrio delle forze di sicurezza cinesi. Ma con la
continuativa, sistematica e brutale repressione della religione e
cultura degli Uiguri il Governo cinese fa un passo avanti nella
spirale della violenza nel Turkestan Orientale (l'originario nome
uiguro della provincia; ché gli Uiguri rifiutano
generalmente il nome "Xinjiang" - terra nuova - usato dopo
l'occupazione cinese).
L'Associazione per i Popoli Minacciati si appella al Governo
cinese, chiedendo:
1) di rilasciare senza indugio e senza precondizioni tutti gli
Uiguri arrestati a Gulja prima, durante e dopo il massacro,
mentre esercitavano la propria libertà di religione o di
dimostrazione;
2) di amnistiare tutti gli altri Uiguri arrestati dopo il
massacro. In considerazione del mancato rispetto nei processi dei
principi dello Stato di diritto, questa sarebbe l'unica misura in
grado di impedire un ulteriore aggravamento della violenza nella
provincia;
3) in caso di mancata concessione dell'amnistia, di riaprire i
processi; affinché possano svolgersi in modo
regolare;
4) di rendere immediatamente noto l'effettivo bilancio del
massacro, e di chiamare i responsabili a risponderne di fronte a
un tribunale;
5) di riabilitare prima possibile le vittime dei processi
ingiusti, e di indennizzare i sopravvissuti ed i familiari delle
persone uccise;
6) di interrompere immediatamente la politica di
criminalizzazione dei movimenti per i diritti umani e per la
democrazia nello Xinjiang;
7) di cessare immediatamente le esecuzioni capitali degli
oppositori uiguri (gli Uiguri sono l'unico gruppo di prigionieri
politici cui è sistematicamente applicata la pena di
morte);
8) di assicurare il libero accesso nella provincia dello Xinjiang
alle organizzazioni per i diritti umani ed ai giornalisti;
9) di porre fine all'insediamento nello Xinjiang di immigrati
cinesi;
10) di attuare nei fatti l'autonomia nominalmente accordata alla
"Regione Autonoma dello Xinjiang";
11) di coinvolgere nello sviluppo economico la popolazione di
antico insediamento.
Lo svolgimento dei fatti di Gulja può essere
ricostruito in base a varie testimonianze oculari e a ciò
che ha riferito la stampa. Sul numero dei morti, tuttavia, le
stime differiscono notevolmente. L'APM ritiene che si possa
parlare con sicurezza dell'uccisione di almeno 100 persone. Nella
ventisettesima notte del Ramadan, la "santa notte"
(Leyletul-Qadr), le forze di sicurezza cinesi fecero irruzione
nelle abitazioni private. Nonostante il divieto ufficiale,
ragazzi e ragazze vi si erano radunati per la tradizionale
preghiera comune. A seguito di perquisizioni sistematiche casa
per casa, decine di fedeli musulmani furono arrestati
arbitrariamente e senza indicarne il motivo. Molti, fra le
giovani e i giovani arrestati, appartenevano al movimento
"Meshrep", che con mezzi pacifici vuole salvaguardare la
tradizione, la cultura e la religione degli Uiguri.
Il giorno seguente, 5 febbraio 1997, parenti ed amici si
radunavano di fronte alle autorità per chiedere il
rilascio degli arrestati. Testimoni oculari riferiscono che la
polizia inizialmente cercò di disperdere la folla con
getti d'acqua. Poiché in quel momento, sempre secondo tali
testimonianze, il freddo era glaciale, con una temperatura tra i
20 ed i 30 gradi sotto zero, 146 persone sarebbero morte
assiderate sotto i getti d'acqua degli idranti. Secondo altre
indicazioni, tra 300 e 400 persone, completamente bagnate,
sarebbero state trattenute per due ore dalle forze di sicurezza
(vedi Rapporto di Amnesty International). Numerose persone
accusarono congelamenti e negli ospedali si dovettero amputare
loro dita, mani e piedi. Giovani uomini e donne arrestati
sarebbero stati costretti a camminare scalzi nella neve. Quando
uno dei fermati, un giovane di nome Abdu Gani, criticò il
modo in cui erano trattenuti i dimostranti, i poliziotti
aizzarono contro di lui i cani.
Ablimit Tursun, fuggito da Gulja e rifugiato in Germania dal
1999, così racconta la dimostrazione del 5 febbraio 1997:
"Quella mattina mi recai a casa di un amico per avere
informazioni sulla sorte di mio fratello Abdirishit, di cui non
avevo più notizie. Ad un tratto vidi ad un incrocio un
assembramento di un centinaio di giovani Uiguri. Un'ora dopo,
c'erano circa mille persone. Un Uiguro di nome Ablajan
alzò la voce e disse ai dimostranti: "Assalamu Aleykhum!
Cari fratelli, molti dei nostri fratelli uiguri sono stati
arrestati una settimana fa; ed altri arresti sono stati eseguiti
la notte scorsa. Per questo io penso che si debba andare al posto
della polizia e richiedere la loro liberazione". Mentre diceva
queste parole, fu colpito da una pallottola e cadde dal podio su
cui si era arrampicato per parlare alla folla. Mentre i
dimostranti si diressero al posto di polizia, alcuni Uiguri
portarono il ferito in ospedale. Costoro riferirono che gli
ospedali "Hsinhua" ed "Amicizia" si rifiutarono di ricoverare il
ferito, che soltanto quattro-cinque ore dopo l'attentato fu
condotto all'Ospedale Nazionale, dove i medici uiguri poterono
soltanto constatarne l'avvenuto decesso. La salma di Ablajan fu
avvolta in un sudario di lino e portata alla sua casa. Sulla
strada la polizia fermò il corteo e cercò di farsi
consegnare la salma; ma non vi riuscì per l'opposizione
degli Uiguri. Al funerale, che si svolse il seguente 8 febbraio
in presenza di massicce misure di sicurezza, presero parte circa
15.000 Uiguri".
Il 6 febbraio vi furono ulteriori manifestazioni, durante le
quali pare vi siano stati anche scontri fra Uiguri ed immigrati
cinesi di etnia Han. Secondo notizie non confermate, la polizia
avrebbe sparato a casaccio sui dimostranti. Gli Uiguri avrebbero
causato scontri di piazza con le forze di sicurezza ed avrebbero
anche aggredito i coloni cinesi. Secondo testimonianze oculari,
negli scontri sarebbero rimasti uccisi almeno 200 dimostranti e
100 immigrati cinesi.
Fra i testimoni vi fu Parhat Niyaz, che dopo la fuga negli Stati
Uniti dichiarò all'APM: "Dozzine e dozzine di giovani
uomini e donne vennero arrestati durante le preghiere della notte
sacra del Ramadan. Con manifestazioni pacifiche, il 5 ed il 6
febbraio parenti ed amici ne chiesero la liberazione. Durante le
marce di protesta del 5 febbraio la polizia e l'esercito
impiegarono gas lacrimogeno ed idranti per sciogliere la
dimostrazione. Non ottenendo i risultati desiderati, dopo alcune
ore si misero a sparare. Centinaia di persone rimasero ferite e
più di 500 uiguri furono arrestati. Per via del gran
freddo 146 persone morirono assiderate nei loro vestiti. 90
persone furono uccise di botte il primo giorno della
dimostrazione.
Il secondo giorno militari cinesi armati di mitragliatrici
aprirono il fuoco sulla folla manifestante ed uccisero 160
dimostranti. Complessivamente furono uccise 400 persone, ne
furono ferite alcune centinaia e migliaia vennero arrestate,
tutte di etnia uigura. La prima vittima di un proiettile cinese
fu una bambina uigura di otto anni, di nome Fatima, che chiedeva
la liberazione di suo padre. Anche una donna incinta venne
uccisa: Gulzira era venuta per reclamare suo marito prigioniero.
Nello stesso giorno, tutti e sei i membri della famiglia di
Yakup-Haji, della località di Juliza (a 15 miglia da
Yining), vennero uccisi durante il massacro di Yining. Tutta la
città era circondata dalle forze armate. Il governo cinese
dislocò 30.000 soldati da Gansu a Yining. Sommando gli
effettivi della guardia nazionale, della polizia, del distretto
militare regionale, per ogni persona di etnia uigura ci sono
quattro militari armati.
La Cina informò il presidente del Kazakistan, Nursultan
Nazarbayev, dei massicci movimenti militari nella città di
confine. Yining si trova a soli 70 km dal confine con il
Kazakistan. Tutte le forze paramilitari Bingtuan vennero armate e
preparate per un'eventuale azione (N.d.R.: Nella lingua locale
con "Bingtuan" viene designata la "Xinjiang Production and
Construction Corps", che negli anni 50 con aiuti statali
iniziò a impiantare grandi aziende agricole e industriali,
che impiegano prevalentemente Cinesi Han. Decine di migliaia di
Cinesi vennero insediati nella provincia per spostare la
struttura demografica a favore della Cina e per garantire la
sicurezza nella regione di frontiera. Soltanto il 1° gennaio
1999 il dirigente del Corp, Zhang Wenyuei, dichiarò alla
China News Agency che il compito più importante del Corp
è "assicurare la stabilità nello Xinjiang").
Il 90 per cento delle famiglie uigure di Yining avevano almeno
tre familiari imprigionati. Molti prigionieri riferirono di
essere stati picchiati più volte al giorno e di aver
ottenuto razioni di cibo insufficienti (due fette di pane al
giorno). Quando alle quattro di pomeriggio inizia il coprifuoco,
Yining diventa molto pericolosa. I soldati hanno l'ordine di
sparare a chiunque non si fermi. Un'ottantina di mezzi blindati
delle forze armate pattugliano la città 24 ore su 24. Col
decreto segreto N. 175 il governo cinese vietò ogni
interrogazione dei testimoni e la diffusione di qualsiasi
informazione riguardante lo svolgimento del massacro. Inoltre
venne vietato ai familiari di visitare i parenti
imprigionati..."
Omicidi "extralegali"
Oggi si può solamente ipotizzare quante persone siano
state uccise a Gulja durante le dimostrazioni. Le stime si
aggirano intorno ai cento morti. Gli esuli uiguri parlano invece
di 400 morti. Oltre all'uccisione della bambina Fatima, della
donna incinta Gulzira (vedi il resoconto del testimone oculare
Parhat Niyaz, sopra) e dell'uiguro Ablajan (vedi sopra) altre
persone furono uccise nelle rappresaglie delle forze di
sicurezza. Abdusalam, uno dei dirigenti del movimento Meshrep,
venne arrestato l'8 marzo 1997, dopo tre mesi di
clandestinità a Gulja. Dopo quattro giorni le
autorità cinesi ne consegnarono il cadavere al fratello
Ablehet Haji intimandogli: "Seppellisca suo fratello in silenzio
e di nascosto. Non informi nessuno della sua morte. Se qualcuno
viene a sapere della sua morte, Le toccherà lo stesso
destino." Secondo affermazioni delle autorità cinesi,
Abdusalam si sarebbe suicidato buttandosi da un edificio. Al
momento di lavare la salma i parenti scoprirono che gli mancavano
sei denti e le unghie delle dita dei piedi e delle mani. Tutto
questo indica che Abdusalam è stato torturato durante la
prigionia e che non ha commesso suicidio.
In seguito a un processo sommario, in cui il 24 aprile 1997 tre
uiguri erano stati condannati a morte ed altri 27 condannati a
pene detentive, un autocarro scoperto trasportò gli
imputati attraverso la città. Parenti e amici si riunirono
intorno al veicolo per salutare i condannati. Quando la folla
iniziò a gridare "Dio è grande", "Arrivederci",
"Dio vi aiuterà" e "La verità vincerà", le
forze armate cinesi aprirono il fuoco sulla folla circostante.
Sotto la pioggia di proiettili tre uiguri morirono e dieci
rimasero feriti (Reuters, 28.07.99 / East Turkestan Information
Center, ETIC, 4/29). Le autorità giustificarono la
brutalità dell'azione con la pericolosità della
folla, che cercava di liberare i prigionieri (dpa,
28.04.1994).
Esecuzioni
Le autorità cinesi punirono la protesta degli uiguri
contro gli arresti arbitrari di fedeli islamici con una serie di
esecuzioni capitali, che proseguirono fino al 1999. A partire dal
febbraio 1997, 52 presunti responsabili delle azioni di protesta
sono stati condannati a morte e giustiziati. Vennero condannate a
morte almeno altre 5 persone; fino ad ora le relative condanne
non sono state eseguite.
Presumibilmente molti altri Uiguri sono stati giustiziati per la
loro partecipazione alle dimostrazioni. In molti casi, infatti,
le autorità cinesi rifiutano di render note le motivazioni
delle condanne a morte. Secondo la maggior parte delle
informazioni sull'esecuzione di oltre 180 condanne a morte a
partire dal febbraio 1997, gli Uiguri condannati sono imputati in
blocco di "separatismo" e di "attività religiose
illegali". L'agenzia di stampa France Presse, già il 12
febbraio 1997, riferiva che secondo testimonianze oculari circa
100 Uiguri erano stati condannati a morte con procedimenti
sommari e quindi giustiziati. Poiché questa notizia non ha
ancora potuto ricevere conferme indipendenti (a causa della
politica delle autorità cinesi, restrittiva nei confronti
dell'informazione), questi numeri non sono presi in
considerazione nella seguente lista di violazioni dei diritti
umani.
- Il 24 aprile 1997 tre Uiguri (Aishan Maimati, Yusuf Tursun,
Ibrahim Kasim) sono condannati a morte nello stadio di Gulja,
dopo un processo sommario tenutosi di fronte a 5.000 spettatori.
L'accusa: "incendio doloso, danneggiamento e ferimento" (CNN,
26.4.1997). A conclusione del processo, i tre condannati sono
stati subito giustiziati nei pressi della città.
- Altri tre Uiguri sono condannati e giustiziati l'11 giugno
1997, per aver partecipato alle manifestazioni di Gulja (ETIC,
11.6.1997).
- 14 Uiguri sono giustiziati il 24 giugno 1997, per la loro
presunta partecipazione ai disordini (Rapporto di Amnesty
International, pag. 59)
- Il 22 luglio 1997 altri sette Uiguri (Alimjan Yolvas, Abdurehim
Memet, Jappar Talet, Memetjan Nurmenet, Hesenjan Imin, Sidik
Rozi, Abdurehim Tudahun) sono giudicati con processo sommario
nello stadio di Gulja, e giustiziati, sempre per aver partecipato
ai disordini. L'esecuzione della condanna a morte di altri tre
Uiguri è stata invece sospesa. (Reuters, AFP,
22.7.2997).
- Il 29 dicembre 1997 tredici Uiguri sono condannati a morte da
un tribunale di Urumqi per "omicidio, aggressioni a scopo di
rapina e traffico di droga" in collegamento con gli scontri di
Gulja. Secondo le testimonianze dei loro familiari, era stato
negato ogni contatto degli imputati con le loro famiglie, ed era
stata loro impedita un'adeguata assistenza legale. (Reuters,
12.1.1998 / Xinjiang Legal Daily, 12.1.1998).
- Nel mese di ottobre del 1998 un gruppo di giovani è
condannato a morte per "rivolta antigovernativa armata". Dei
condannati facevano parte anche Abdusalam Shamseden e Abdusalam
Abdurahman. Non è finora noto se le condanne siano state
eseguite (Rapporto di Amnesty International, pag. 61)
- Il 22 gennaio 2999 un Uiguro è condannato a morte per
"sobillazione della popolazione, furto ed attività
sovversive". L'esecuzione della condanna è sospesa
(Reuters, 22.1.1999).
- Tra il 27 ed il 29 gennaio 1999 dieci Uiguri (Alim Yakup,
Ibrahim Ismail, Abdushkur Nurullah, Nurmemt Ismail, Aysayan
Musajan, Rozi Keyum, Abulet Osman, Ablumit Mahmut, Abdurahim
Aysa, Abdulkarim Aburahim) sono condannati e giustiziati a Gulja
per vari delitti politici (AFP, 1.3.1999 / Reuters, 10.2.1999).
Un altro Uiguro è condannato a morte, ma l'esecuzione
è sospesa.
Il 28 gennaio 1999 è nuovamente inflitta (ed eseguita) la
condanna a morte di due Uiguri (Yibulayin Simayi, Abudureyimu
Aisha), condannati entrambi per "sobillazione della popolazione"
e di molti altri delitti. Il giornale "Ili Evening News" descrive
Simayi come il capo della protesta di Gulja e come uno dei
criminali più ricercati della Cina (Reuters, 5.2.1999).
Spesso i familiari dei condannati non sono stati informati della
prevista esecuzione, o ne sono stati informati solo pochissimo
tempo prima. In molti casi le autorità hanno rifiutato ai
familiari il permesso di seppellire le salme dei loro congiunti.
Molti degli accusati sono stati condannati a morte in
processi-spettacolo od in procedimenti sommari contrari ad ogni
principio dello Stato di diritto. Oltre al pregiudizio diffuso
dai mezzi di comunicazione sotto controllo statale, gli imputati
criticavano soprattutto il fatto che si è regolarmente
impedito loro di rivolgersi ad avvocati per la difesa delle
proprie posizioni processuali.
Lunghe pene detentive per i dimostranti
Almeno 90 Uiguri sono stati condannati a lunghi periodi di
detenzione per gli scontri di Gulja:
- Il 24 aprile 1997 27 persone sono stati condannate a pene
comprese tre i 17 anni di detenzione ed il carcere a vita (CNN,
26.4.1997).
- Sette Uiguri sono condannati al carcere a vita il 22 luglio
1997; l'imputato Rahmatjan, sedicenne, è condannato a 18
anni di carcere, ed altre nove persone sono condannate alla
reclusione fino a 15 anni in un processo sommario davanti a
quattromila spettatori nello stadio di Gulja, trasmesso anche in
televisione (Reuters, 28.7.1997 / AFP, 28.7.1997).
- Tra marzo ed aprile 1998 Iminjan, insegnante ventottenne, e
Turgan Tay, negoziante ventisettenne, sono condannati a dieci
anni di carcere per "attività religiose illegali"
(Rapporto di Amnesty International, p. 37).
- Il 22 gennaio 1999 un tribunale condanna un Uiguro al carcere a
vita per la sua partecipazione ai disordini. Ad altre 27 persone
sono inflitte pene detentive più brevi (Reuters,
22.1.1999)
- Tra il 27 ed il 29 gennaio 1999 due Uiguri sono condannati al
carcere a vita; ed altre 14 persone a pene detentive anche lunghe
(Reuters, 10.2.1999).
Dopo i disordini, quattromila Uiguri sono stati arrestati e
trattenuti per qualche tempo in prigione. Molti di costoro sono
stati liberati solo dopo aver preso parte alle misure di
"rieducazione" volute dalle autorità (Ili Evening News,
3.6.1998).
Torture e violenze in carcere
Nelle carceri la tortura è all'ordine del giorno. Alcuni
accusati sono stati torturati in modo così pesante da non
potersi quasi muovere durante il processo. I familiari di un
diciassettenne arrestato hanno riferito ad Amnesty International
che le celle erano talmente piccole, che i prigionieri potevano
dormirvi soltanto a turno. Quando i guardiani entravano nelle
celle, i detenuti erano picchiati. Secondo queste testimonianze,
nei centri per gli interrogatori sarebbe sistematico il ricorso a
torture: si strapperebbero le unghie dalle mani e dai piedi degli
interrogati, si praticherebbe loro l'elettroshock, si
costringerebbero gli stessi a stare in piedi per ventiquattr'ore
di seguito (Rapporto di Amnesty International, p. 45).
L'insegnante Iminjan fu costretto a stare scalzo nella neve per
ore, e riportò un grave congelamento. Oltre a ciò,
gli furono gettati addosso secchi d'acqua gelida nel pieno
dell'inverno. L'ex-giornalista Nizamidin Yusayin morì in
stato di fermo di polizia il 7 aprile 1998, dopo che i poliziotti
lo avevano picchiato per estorcergli una confessione. Yusayin era
stato accusato di aver nascosto alcuni Uiguri ricercati con
mandati di cattura dopo le manifestazioni di Gulja. Fino a 14
persone morirono in prigionia in conseguenza delle torture.
La giovinetta uigura Zeynep fu violentata più volte dai
poliziotti dopo il suo arresto, avvenuto il 4 febbraio 1997
mentre stava pregando in un'abitazione privata. Zeynep
riferì le violenze nelle lettere spedite agli amici.
Quando Zeynep, per le violenze subite, perse l'equilibrio
psichico, fu rilasciata senza avvisare la famiglia. Disorientata,
la ragazza vagò due giorni per Gulja, finendo uccisa in un
incidente stradale. L'autopsia dimostrò che era incinta al
secondo mese.
Non è purtroppo finora possibile controllare la
veridicità delle testimonianze oculari sul massacro
attraverso ricerche in loco di osservatori indipendenti. Le
autorità cinesi sono decise a coprire con un manto di
silenzio i disordini di Gulja e negano alle organizzazioni per i
diritti umani ed ai giornalisti la possibilità di
investigazioni indipendenti nel circondario di Ili.
Così l'11 aprile 1997 fu arrestata a Gulja una troupe
cinematografica della BBC che in segreto stava intervistando sul
massacro gli abitanti della città. I giornalisti avevano
fatto il loro ingresso dal Kazakistan, muniti di visto turistico.
Secondo fonti della stessa polizia cinese, l'accompagnatrice
kazaka dei giornalisti britannici fu picchiata dai poliziotti
cinesi. Tutte le pellicole sono state sequestrate. Dopo dieci
giorni di arresto e numerosi interrogatori, la troupe fu espulsa
verso il Pakistan. Successivamente all'espulsione dei
giornalisti, molti delle persone da loro intervistate furono
arrestate. Hamit Mejit, e così anche i commercianti Kasim
Haji e Shevket Tursun, furono condannati a pene oscillanti fra i
15 ed i 18 anni di reclusione per aver parlato con giornalisti
stranieri od aver messo a loro disposizione informazioni sul
massacro.
Non andò meglio alla giornalista taiwanese Lee Fu-chung,
che nell'estate 1998 aveva pensato di utilizzare la visita di una
fiera nella capitale provinciale, Urumqi, per recarsi a Gulja ed
indagare sui retroscena del massacro. Fu arrestata immediatamente
dopo il suo arrivo, ed espulsa verso Taiwan solo parecchi giorni
dopo (South China Morning Post, 2.9.1998).
Le autorità cinesi agirono con tutta la durezza possibile
anche nei confronti dei giornalisti cinesi che non avevano
osservato il silenzio comandato dallo Stato sulle reali misure
della protesta. Così la giornalista televisiva Medinay
Bahadir fu costretta nel 1999 a lasciare la Cina, in quanto
sospettata di aver fornito immagini del massacro ed altre
informazioni alle organizzazioni uigure in esilio. Medinay
Bahadir, in qualità di corrispondente ad Urumqi della
televisione di Stato cinese, era stata incaricata, insieme ad un
cineoperatore, di riprendere la protesta di Gulja. In
considerazione della brutale repressione la giornalista decise di
mettere a disposizione delle organizzazioni uigure all'estero le
proprie informazioni sulle violazioni dei diritti umani. Quando
l'apparato cinese della sicurezza cominciò ad avere dei
sospetti, Medinay Bahadir fuggì in Germania e richiese
l'asilo politico. Anche il cineoperatore che l'aveva accompagnata
a Gulja, nel frattempo, si rifugiava all'estero.
Il massacro di Gulja ebbe per conseguenza un aggravamento
della violenza nel Turkestan Orientale. In varie località
della Cina vi furono attentati con ordigni esplosivi, che furono
attribuiti agli estremisti uiguri. Poliziotti ed altri
rappresentanti dello Stato cinese furono assassinati. La brutale
repressione da parte delle forze di sicurezza cinesi, ed il
trattamento disumano riservato alla popolazione di Gulja, hanno
ridotto le possibilità di una soluzione pacifica del
conflitto che da lungo tempo contrappone il governo cinese e gli
Uiguri che lottano per una maggiore autonomia.
In considerazione delle proteste anche violente degli estremisti
uiguri, dopo il massacro di Gulja le forze di sicurezza cinesi
intensificarono la repressione. Il presidente del Governo della
Provincia, Abduhalat Abdurixit, ed il segretario del Partito
Comunista dello Xinjiang, Wang Lequan, fecero pubblici appelli
alla lotta contro il "separatismo". Dopo gli attentati degli
estremisti uiguri, dichiararono: "Il Partito ed il Governo non
dimenticheranno. Il popolo non dimenticherà." (South China
Morning Post, 21.8.1997). Il presidente del Congresso del Popolo
dello Xinjiang, Amudun Niyaz, pretese addirittura di affermare:
"La lotta contro il separatismo è un imperativo assoluto
ed andrà condotta con i metodi con cui si combattono i
parassiti del cotone". (AFP, South China Morning Post,
3.7.1997).
Furono sistematicamente criminalizzate anche le persone
pacificamente impegnate nella conservazione delle tradizionali
cultura e religione del Turkestan Orientale. Anche costoro sono
vittime di violazioni dei diritti umani. Dal febbraio 1997, per
esempio, non solo sono state condannate a morte (e giustiziate)
52 persone per aver partecipato agli scontri di Gulja; ma altri
180 Uiguri risultano condannati a morte in tutta la regione.
Secondo fonti ufficiali, soltanto nel 1998 ben 140 Uiguri sono
stati arrestati per "attività religiose illegali"
(Reuters, 15.4., 22.2.1999). Dopo i disordini di Gulja la
libertà di culto è stata nuovamente limitata. Sono
state per esempio chiuse 133 moschee, e sciolte 105 scuole
coraniche non autorizzate. (AP, 26.6.1997 / FR, 28.6.1997). Gli
insegnanti sospettati di appoggiare il "separatismo musulmano"
furono licenziati. Cinquecento studenti furono espulsi dalle
scuole (AP, 26.6.1997). Nel circondario di Ili le forze di
sicurezza furono particolarmente rinforzate. Ad esempio, nel
gennaio 1997 8.660 poliziotti appartenenti alle forze
d'intervento speciale furono stanziati a Gulja in modo permanente
(AFP, 4.2.1999). Nel circondario furono istituiti 33 nuovi posti
di polizia e furono rinforzati i ranghi con 456 poliziotti
ausiliari (AP, 29.8.1998).
Durante i disordini di Gulja vi furono sicuramente Uiguri che
commisero atti di violenza, che dovevano essere repressi
penalmente. Tuttavia è particolarmente evidente il
contrasto fra il trattamento riservato agli Uiguri e quello degli
agenti delle forze di sicurezza responsabili del massacro.
Nonostante le innumerevoli violenze, finora né un
poliziotto, né un soldato sono stati chiamati a rispondere
delle gravi violazioni commesse nei confronti dei diritti
umani.
Il Governo cinese cerca sistematicamente di criminalizzare la
resistenza degli oltre sette milioni di Uiguri e degli altri
popoli del Turkestan Orientale contro la repressione della loro
religione, la devastazione della loro terra e la distruzione
della loro cultura. Chi nello Xinjiang prende posizione per i
diritti umani e denuncia il mutamento della demografia a favore
dei Cinesi Han, che vengono insediati nella regione con l'aiuto
dello Stato, viene categoricamente demonizzato come "nazionalista
islamico" e "separatista", e perseguito penalmente. Ogni
discussione aperta sui diritti della popolazione autoctona
è in tal modo resa impossibile.
L'assurdità dell'attribuzione di tutti i disordini agli
"estremisti islamici" risulta chiara da una semplice occhiata
alla struttura etnica della provincia. Diciassette gruppi etnici
diversi vivono oggi lungo l'antica via della seta, che faceva
tradizionalmente da ponte tra Oriente ed Occidente. Si
riconoscono nella religione islamica i seguenti popoli turcofoni:
Uiguri, Kazaki, Usbechi, Kirghisi e Tatari; più i Tagichi,
di lingua indoeuropea, e gli Hui, che parlano cinese. Mongoli,
Manciù, Tibetani ed Uiguri Gialli sono buddisti; i Russi
sono cristiani ortodossi. Questi popoli stavano cercando insieme
di impedire l'estinzione strisciante delle loro nazioni e si
stavano impegnando per la democrazia, per i diritti umani e per
l'autodeterminazione. Quanto più disperata sarà la
loro lotta, tanto più frequentemente si giungerà ad
atti di terrorismo. La maggioranza delle persone, nel Turkestan,
rifiuta la violenza terroristica come mezzo per imporre le
proprie richieste; ben sapendo che la resistenza armata
porterebbe i loro popoli all'estinzione. Dopo il massacro di
Gulja il Turkestan Orientale ha percorso un passo avanti nella
spirale della violenza. Solo se le autorità cinesi
chiameranno finalmente i responsabili del massacro a rispondere
delle proprie responsabilità, e solo se renderanno nota la
reale portata del massacro, la situazione nel Turkestan Orientale
si potrà acquietare e sarà possibile un equilibrio
pacifico fra tutte le etnie.
Nel 1994 un gruppo di Uiguri ha dato vita al movimento
"Meshrep", allo scopo di rivitalizzare le forme tradizionali di
attività sociale comunitaria. Per esempio, ragazzi e
ragazze si riunivano per suonare insieme, per discutere, per
pregare e per preservare i tradizionali valori culturali, sociali
e religiosi degli Uiguri. Il movimento ebbe notevole affluenza e
raggiunse sempre più settori della vita sociale. Nacquero
persino associazioni calcistiche affiliate al Meshrep. Negli
incontri erano vietati il fumo, l'alcool e le droghe.
Inizialmente l'amministrazione cittadina di Gulja sostenne il
movimento, vedendovi un efficace modo di lotta alla
narcocriminalità in costante crescita, ed alle
catastrofiche conseguenze della disoccupazione giovanile. Ma
quando il Meshrep divenne un vero e proprio fenomeno sociale, le
autorità cominciarono a temerne la crescente
influenza.
Pochi giorni l'elezione a capo del Meshrep di Abduhelil
Mollakhun, uno dei fondatori del movimento, avvenuta il 30 aprile
1995, la polizia lo fece convocare. Sebbene non gli si potesse
imputare alcuna colpa, gli fu chiaramente fatto capire che il
Meshrep non solo non avrebbe più goduto dell'appoggio
delle autorità, ma che avrebbe anche dovuto temere
interventi dello Stato. Il 13 Agosto 1995Abduhelil fu arrestato
insieme a due suoi collaboratori, per motivi che non furono resi
noti. Cinque giorni più tardi le autorità vietavano
il movimento Meshrep.
Abduhelil, per protestare contro il proprio arresto,
cominciò lo sciopero della fame. Quando, dopo tre giorni,
perse conoscenza, fu ricoverato in ospedale. Poichè la sua
salute visibilmente non era migliorata, fu rilasciato dopo un
mese e messo sotto stretta sorveglianza di polizia agli arresti
domiciliari. Il mese seguente Abduhelil riuscì ad evadere
dalla propria abitazione. Indifferente al divieto proclamato
dalle autorità, il movimento Meshrep continuò
clandestinamente la propria attività.
Dal 1996 innumerevoli moschee sono state sistematicamente chiuse
dalle forze di sicurezza. Per limitare la diffusione della fede
islamica, ai credenti musulmani è anche stato vietato di
radunarsi in abitazioni private.
- Rapporto di Amnesty International: People's Republic of
China: Gross volations of Human Rights in the Xinjiang Uighur
Autonomous Region, London, 21.4.1999
- Memorandum dell'APM: Uiguri: Bisogna
fermare gli arresti in massa e le esecuzioni nello
Xinjiang!
Abbreviazioni
AFP- Agence France Presse; AP - Associated Press; ETIC - East
Turkestan Information Center, Monaco di Baviera; FR - Frankfurter
Rundschau; South China Morning Post, Hongkong; Xinjiang Legal
Daily, Urumqi.