INDICE GENERALE Prefazione (Tilman Zülch) | Introduzione (Fadila Memiševic) | Impressum |
PARTE I - Risultati delle indagini
in Erzegovina Cartine |
PARTE II - Tavola rotonda: "Cerchiamo giustizia" |
Munevera Rahimić - magistrato inquirente della Corte Suprema di Mostar: "Arresto e punizione dei criminali di guerra" .: su :.
Alla base di ogni discussione su quanto avvenuto in Erzegovina tra il 1992 ed il 1995 deve essere posto il fatto che agli inizi di novembre del 1991 fu fondata la comunità croata Herceg-Bosna (HZ HB), e che l'articolo 1 dello Statuto di fondazione della stessa stabilisce che essa deve servire alla salvaguardia dei diritti del popolo croato, senza peraltro nuocere alle altre popolazioni che vivono o hanno vissuto nei 29 comuni appartenenti alla Bosnia Erzegovina. Il numero 29 è contenuto nell'articolo 2 del documento e definisce il territorio della comunità croata di Herceg-Bosna, ovvero di quella che più tardi si autodefinì come Repubblica Croata di Herceg-Bosna.
Bisogna quindi partire dalla considerazione che tutti gli avvenimenti, a cominciare dall'attacco sferrato dall'HVO e dall'esercito croato contro Prozor (ottobre 1992), erano stati pianificati e organizzati con largo anticipo. Ancor prima che questa Repubblica fosse proclamata, alcuni documenti, come per esempio le pagelle scolastiche stampate nel 1991, furono provvisti del timbro della Herceg-Bosna.
Fondando il parastato Herceg-Bosna si creò una struttura il cui territorio sarebbe poi stato definito per mezzo delle aggressioni dell'HVO e dell'HV e con il genocidio della popolazione musulmano-bosniaca dell'Erzegovina. Attraverso il mio lavoro presso il tribunale di Čapljina fui testimone della nascita di questa struttura. Nel corso della notte furono sospese le norme della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina ed emanate leggi dalle autorità della Herceg-Bosna.
Vi sono numerose prove che dimostrano l'aggressione compiuta dall'HVO ma anche dall'esercito croato nel territorio dell'Erzegovina. Risulta inoltre in modo evidente che durante queste aggressioni è stato perpetrato il genocidio della popolazione musulmana e, ancora, che era stato pianificato lo sterminio totale del popolo musulmano-bosniaco. Per questo il termine "pulizia etnica" non è accettabile; esso è stato infatti coniato dalla Comunità Internazionale allo scopo di autoassolversi per il fatto di non essere intervenuta in alcun modo per impedire questo genocidio. Purtroppo questo termine è entrato in uso anche da noi ed è largamente impiegato nella terminologia locale. Ciò non solo è scorretto, ma può addirittura risultare molto pericoloso, perché falsa e nasconde la vera portata degli avvenimenti.
Per poter mantenere una qualche forma di convivenza occorre che la verità e soprattutto le effettive responsabilità si riconoscano chiaramente. Tacere la verità, come purtroppo il governo legittimo della Bosnia Erzegovina fa spesso per non turbare un certo equilibrio e per saldare le relazioni tra i partner federali, conduce al risultato opposto. In tal modo, infatti, si crea una spaccatura tra i due popoli, mentre si dovrebbero invece mettere in chiaro le colpe nominando esplicitamente i crimini, avviando procedimenti giudiziari nei confronti dei criminali di guerra e punendo quelle persone che non solo erano colpevoli allora, ma che ancora oggi (si tratta di solito degli stessi soggetti) esercitano il terrore per intimidire la popolazione musulmana e per impedire il rimpatrio dei profughi nei luoghi d'origine (ad es. a Stolac, Čapljina e Mostar Ovest).
Stupisce e delude quindi il fatto che il "Tribunale Internazionale dell'Aia per i crimini di guerra nell'ex-Jugoslavia" non abbia fino ad oggi dato seguito ad alcuno dei casi penali che, a partire dall'aprile del 1997, sono stati ripetutamente sottoposti alla sua attenzione dalla Suprema Corte di Mostar. Svariati documenti si riferiscono a crimini commessi dall'HVO e dall'esercito croato ai danni dei Musulmani bosniaci dell'Erzegovina. Ci sono in proposito numerose testimonianze e spesso anche riscontri oggettivi, quali protocolli d'esumazione e rapporti autoptici. Dalla firma dell'accordo di Roma, ovvero delle direttive del febbraio 1996, notoriamente un tribunale nazionale non può intraprendere nulla contro persone che siano sospettate di aver commesso crimini di guerra, fintantoché il Tribunale dell'Aia non confermi che, nel caso di specie, si tratti effettivamente di crimini di guerra e non autorizzi la devoluzione del procedimento al tribunale nazionale. Il Tribunale dell'Aia può inoltre avocare a sè determinati procedimenti.
Ma se è evidente come quest'ultima ipotesi comporti necessariamente un gran dispendio di tempo e di denaro, risulta invece incomprensibile che determinati casi che sono stati inoltrati non ottengano nemmeno una risposta, e questo o perché si ritiene che non si tratti di crimini di guerra, o perché si preferisce che un processo venga trattato sino all'epilogo dal tribunale nazionale, cosa che in effetti non richiederebbe molto denaro, né molto tempo. È inconcepibile che, in questi due anni (dal 1997 al 1999), nemmeno uno dei casi legati ai crimini di guerra in Erzegovina abbia ottenuto risposta dal Tribunale dell'Aia.
Questa circostanza si ripercuote soprattutto sul processo di rimpatrio. In molte località dei comuni di Čapljina e Stolac i rimpatriati vivono a fianco a fianco con i presunti criminali a carico dei quali sono stati aperti dei fascicoli ora in possesso del Tribunale dell'Aia. Naturalmente questi rimpatriati hanno molta paura ed è comprensibile che per questo motivo molti Musulmani siano restii a tornare. Oltretutto i presunti criminali di guerra si considerano invulnerabili e continuano a commettere atti di terrore, facendo per esempio saltare in aria le case dei Musulmani.
La giustificazione data dalle Istituzioni statali di Stolac e di Čapljina che, non conoscendo quali siano i colpevoli non sarebbe possibile arrestarli, risulta alla luce dei fatti opinabile. Così le autorità giudiziarie non hanno avviato nessun procedimento nemmeno in quei casi in cui i colpevoli erano noti ed erano persino stati ripresi con una videocamera; inoltre non sono stati puniti neanche quegli uomini che spararono a dei Musulmani nel febbraio 1997, durante una visita al cimitero di Bajran nel parco Liska.
Da tutto ciò emerge in modo impellente la necessità di stabilire la verità. E la verità è che nel periodo dal 1992 al 1995 prima i Serbi e poi i Croati perpetrarono il genocidio dei Musulmani bosniaci, e che determinate persone che sono responsabili di questo e di altri crimini di guerra devono essere punite".
Tarik Sadovic, rappresentante dei profughi di Trebinje, presidente del Klub di Trebinje, deputato parlamentare della Republika Srpska .: su :.
"Gentili signore e signori,
do un caloroso benvenuto agli organizzatori e ai partecipanti a
questa tavola rotonda, il cui tema "Cerchiamo giustizia" riveste
grande importanza. Secondo le leggi di Dio è dovere di
ogni uomo proclamare la verità e agire secondo giustizia.
Secondo le leggi umane, dal punto di vista formale, il compito di
ricercare la verità è demandato a determinate
istituzioni. Allo stesso tempo è serio dovere morale di
ognuno denunciare situazioni d'ingiustizia, menzogna e rancore.
Ho perciò deciso di partecipare ai lavori di questa tavola
rotonda. Allo stesso tempo la mia presenza deriva dalla mia
responsabilità e dal mio impegno nei confronti del popolo
al quale appartengo e della nazione in cui vivo.
Sono nato e ho vissuto a Trebinje, così come per generazioni i miei avi. Dal punto di vista geografico sono un Erzegovese. Trebinje è il comune che si trova più a Sud nella Bosnia Erzegovina. Storicamente questa città, in quanto territorio di confine, è stata il punto d'incontro di diverse civiltà, culture e tradizioni, che vi hanno lasciato delle tracce significative. Per la sua posizione geograficamente strategica questo comune è stato purtroppo anche un luogo in cui molto spesso è stato versato del sangue umano.
Durante l'ultima guerra a Trebinje si sono avute le prime azioni di guerra in Bosnia Erzegovina. Il 1 ottobre 1991, dal territorio di Trebinje, l'Esercito Popolare di Jugoslavia attaccò Dubrovnik. Nei mesi precedenti, nell'ambito della campagna ideologica per il progetto di realizzazione della "Grande Serbia", la popolazione serba era stata preparata psicologicamente agli eventi. Tutto questo è noto e in questa sede non intendo lamentarmene.
Si deve tuttavia segnalare che sull'esempio di Trebinje furono anche valutate, sia dagli inviati militari che nelle cerchie dei politici, le reazioni della popolazione non-serba, soprattutto quelle dei Musulmani bosniaci, poiché dovevano servire come riferimento per le relazioni future. Circa 300 Musulmani bosniaci furono arruolati a forza in quello che allora era l'Esercito Jugoslavo al presunto scopo di difendere la Jugoslavia. Ben presto però, udendo le orribili canzoni cetniche cantate dai loro camerati e vedendo gli stemmi che ricordavano i tragici avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale, essi si resero conto di che tipo di Jugoslavia si voleva creare. Purtroppo il continuo lavaggio del cervello attuato allora dal regime stava già da tempo avendo un forte effetto sulla coscienza dei Musulmani, al punto che non si resero conto di quello che inesorabilmente sarebbe avvenuto. Va detto che non c'era neanche molta scelta, poiché opporsi all'arruolamento nell'Esercito Popolare di Jugoslavia significava praticamente perdere il posto di lavoro o subire un processo davanti al Tribunale penale militare. So per certo che questo è accaduto sul mio come in molti altri posti di lavoro.
In tanti però si nascosero e, nonostante le molte minacce, disertarono e fuggirono da Trebinje e Bileca. I primi profughi all'interno della Bosnia Erzegovina provenivano da Trebinje e Bileca. Arrivarono già nel 1991 e si stabilirono a Sarajevo. I rapporti tra i vari gruppi etnici peggiorarono a vista d'occhio. I non-Serbi erano minacciati e si sparava contro le loro case ed i loro negozi. Tra l'ottobre 1991 ed il maggio 1992 i maltrattamenti non costituivano però ancora una minaccia per la vita.
Il referendum per l'indipendenza della Bosnia Erzegovina si svolse in un clima tranquillo ma teso. Nel giugno e luglio 1992 la situazione a Trebinje, così come nell'intera Bosnia Erzegovina, peggiorò drammaticamente. Si cominciò a dare la caccia ai non-Serbi. Li si voleva reclutare, sia per tenerli sotto controllo, sia per poterli utilizzare come carne da cannone. Le persone venivano arrestate nelle proprie case, nei bar, sul posto di lavoro, per strada, nei campi. I soprusi erano all'ordine del giorno: pestaggi, saccheggi, uccisioni, profanazioni di oggetti religiosi e di cimiteri, incendi di case ecc.
In questo caos organizzato e diretto dal Governo, accanto alle formazioni militari regolari e alla Polizia, agivano anche molte forze paramilitari con lo scopo di intimorire le persone ed attuare la pulizia etnica. All'epoca furono anche predisposti dei luoghi da utilizzare come campi di concentramento, ma fortunatamente non furono utilizzati; questo soprattutto perché i Musulmani non spararono un solo colpo contro i Serbi.
La maggior parte delle uccisioni avvenne tra la metà del 1992 fino all'esodo dei Musulmani alla fine del gennaio 1993. Stando a fonti attendibili, furono uccisi 17 civili, 12 dei quali erano stati reclutati dall'Esercito Popolare di Jugoslavia, gli altri risultano tuttora dispersi. Circa 100 persone hanno riportato danni permanenti a causa delle torture. 15 di loro morirono a causa delle ferite. Questi dati si riferiscono in gran parte ai Musulmani bosniaci. Per quanto riguarda i casi citati, il Governo non ha mai svolto alcun'inchiesta e, naturalmente, nessuno è stato chiamato a rispondere di questi fatti. Un'eccezione è data dal caso di un Serbo che fu ucciso mentre tentava di proteggere un amico musulmano. Vi fu un processo, durante il quale al padre dell'assassinato furono rivolte le testuali parole: "Non è colpa di nessuno se tuo figlio voleva proteggere un Musulmano!"
A Trebinje non furono distrutti tanti beni materiali quanti in altre città della Bosnia Erzegovina. Furono comunque distrutti gli edifici e i monumenti religiosi e culturali dall'architettura marcatamente islamica, come per esempio la casa del Beg, museo etnografico e splendido esempio d'architettura musulmana, data alle fiamme nel capodanno 1993. Il 27 gennaio 1993 fu incendiata anche la Moschea di Osman Pascià nella città vecchia, la moschea più grande dell'Erzegovina, costruita agli inizi del XVIII secolo. L'incendio doloso di questa moschea non fu l'ultimo avvertimento per i Musulmani bosniaci a lasciare Trebinje, dal momento che non vi erano più desiderati. Il sindaco di Trebinje, Božidar Vucurevic disse che il governo cittadino non poteva garantire sicurezza a nessuno; un'affermazione questa che ne esprime l'orientamento in modo piuttosto evidente. Dal 27.01.1993 al 10.02.1993 furono cacciati da Trebinje e deportati in Montenegro circa 4.500 Musulmani bosniaci. Essi poterono portare con sé solo lo stretto necessario, ma durante il tragitto furono nuovamente derubati di tutto.
Nel marzo 1993 a Trebinje e nei dintorni furono distrutti o dati alle fiamme anche le restanti nove moschee ed altri edifici di culto. Nel corso di una barbarica aggressione fu distrutta persino una fontana nella città vecchia, la cui costruzione era stata sostenuta dal poeta ed eroe nazionale serbo Jovan Ducic.
La maggior parte di questi misfatti fu opera delle unità speciali dell'Esercito della Republika Srpska.
Fu possibile impedire con uno stratagemma solo all'ultimo minuto che fosse fatto saltare in aria il bellissimo ponte Arslangic, ribattezzandolo "ponte Perovic". A quanto pare, quella famiglia prima della conversione all'Islam si chiamava Perovic ed era serba. Grazie a Dio in questo modo fu possibile salvare almeno un monumento, seppure a costo di una bugia.
È un dato di fatto che sul territorio di Trebinje
avvenne un conflitto tra unità serbe e croate. Ciò
nonostante sia la chiesa cattolica di Trebinje che la chiesa
serbo-ortodossa di Dubrovnik (Ragusa) rimasero inviolate. Ma come
conseguenza di detti conflitti, in questa zona non ci sono
più moschee.
Oggi, 25.03.1999, sono passati già tre anni dalla firma
dell'accordo di Dayton. In tutto questo tempo nessun Musulmano
è ancora ritornato a Trebinje. Nessuno è stato
finora chiamato a rispondere per crimini di guerra. Anche se
formalmente il governo di guerra non è più al
potere, esso continua tuttavia a muovere i fili dietro le
quinte.
I Serbi locali non vogliono confrontarsi con la verità o parlare pubblicamente di quello che è successo. Ma senza questo confronto con la verità e di conseguenza anche con se stessi, sarà difficile la riconciliazione, la tolleranza e la convivenza. Onore alle eccezioni, che esistono realmente. A mio giudizio però i Serbi si trovano però in una situazione di amnistia collettiva.
Il popolo al quale appartengo non ha il diritto di dimenticare; altrimenti scomparirà.
Perché sia possibile un nuovo inizio, abbiamo bisogno
di giustizia e non di vendetta.
Nell'inno nazionale serbo si dice: "Dio, rendi giustizia!".
Oggi pare che giustizia possa essere fatta."
Heidi Rudolf, Katharina - Werk, Svizzera, membro della
presidenza del Tribunale Permanente dei Popoli con sede
principale a Roma: "Sul riconoscimento da parte del Tribunale
Permanente dei Popoli del genocidio da parte croata, i
presupposti per la rappacificazione, lo sfondo politico e le
relative implicazioni" .: su :.
"A mio modo di vedere, la rappacificazione ha a che fare con:
· l'essere riconosciuti e accettati con tutto quello
che si è vissuto;
· la possibilità di proclamare la verità e
la giustizia senza che nessuno distolga più lo
sguardo;
· il fatto che le persone possano piangere i propri cari:
ciò significa aprire le fosse comuni e dare degna
sepoltura alle vittime;
· la possibilità, per le vittime, di esprimere la
propria paura e rabbia, senza essere nuovamente condannate.
Ai fini di tale riconoscimento e dell'individuazione delle
responsabilità internazionali, avevo citato brevi brani
delle conclusioni politiche da me redatte per il Tribunale di
Barcellona. Il fulcro della questione riguardava naturalmente la
responsabilità di Franjo Tudjman per il genocidio in
Erzegovina.
Parecchio tempo prima che avesse inizio, il genocidio era già intuibile nella posizione politica di Tudjman ed in un suo discorso che è stato accettato in silenzio da tutto il mondo. Già al Tribunale avevo elaborato quanto segue: quasi tutto il mondo adesso sostiene Franjo Tudjman e non riconosce i fatti, tra i quali rientra anche il genocidio di Musulmani perpetrato dai Croati nell'Erzegovina. Non solo il Presidente croato era a conoscenza degli attacchi delle truppe croato-bosniache contro i Musulmani, ma la milizia croato-bosniaca agiva in collegamento e alle dirette dipendenze dello Stato croato. In questo senso Tudjman è corresponsabile per la "pulizia etnica", i massacri e i campi di concentramento. Non solo: egli diede ai Croati bosniaci la possibilità di partecipare alle elezioni in Croazia. (quest'informazione è stata fornita da Josip Manolic, il braccio destro di Tudjman, al quotidiano italiano "Repubblica" il 28 ottobre 1995. Manolic era a capo della Polizia segreta ed in seguito è stato Primo Ministro e poi Presidente del Parlamento della Croazia).
La politica internazionale, tuttavia, non permette ancora di valutare completamente l'intera portata dei crimini commessi dai Croati. Ciò è provato, tra l'altro, dalla mancata partecipazione delle organizzazioni internazionali a questa tavola rotonda e dal fatto che i casi di Mostar non vengono presi in considerazione. Ma tutto era iniziato molto prima: in un'intervista pubblicata il 25 settembre 1995 sul giornale francese "Le Figaro", il Presidente Tudjman, interpellato riguardo alle affermazioni che aveva fatto nel marzo 1991, confermò ciò che aveva dichiarato allora:
"Ci sono tre entità nazionali e tre diverse civiltà. Sotto Tito i comunisti volevano fare di tutto per sostenere l'esistenza della Bosnia. Ma così hanno solo reso più difficili le cose, perché hanno fatto dei Musulmani una nazionalità autonoma. Durante le trattative del 1990 e soprattutto all'inizio dell'aggressione serba nel 1991, eravamo giunti ad un punto in cui potevamo risolvere la crisi ... (in particolare) creando un'unione di tre Repubbliche: una musulmana, una serba e una croata ... Questa soluzione sarebbe stata accettabile per i Croati, ma per il mondo e per l'Europa occidentale non lo era. L'Europa e il mondo occidentale non volevano nessuno Stato musulmano, per quanto piccolo. Grazie anche agli sforzi dell'Occidente, fu proposto di creare una federazione musulmano-croata. Per motivi strategici, soprattutto per problemi di confine, la Croazia ha dato il proprio assenso. Per questo ci siamo assunti il compito, affidatoci dall'Europa, di europeizzare i Musulmani di Bosnia. Noi siamo i garanti della loro integrazione nella civiltà europea e del fatto che essi non diventino dei fondamentalisti. Dal punto di vista storico la maggior parte dei Musulmani di Bosnia proviene dalla Croazia e molti di loro parlano la lingua croata ikavica.
E tutto il mondo avallò quest'ignobile affermazione, con il silenzio totale di fronte a questa intervista a tutta pagina sul "Figaro". E l'avalla tuttora, "spazzando sotto il tappeto" le atrocità commesse dai Croati.
Di seguito presentai la sentenza (la parte riguardante la Croazia) del Tribunale Permanente per i Popoli. In detta sentenza anche la Croazia e la cosiddetta Repubblica di Herceg-Bosna, al pari della Serbia, sono accusate di genocidio. Ma nessuno ne vuol sentir parlare!
Solo quando il mondo guarderà in faccia alla realtà, in Erzegovina potrà nascere una nuova convivenza, perché allora le vittime non dovranno più avere paura dei colpevoli. Apparentemente si oppongono però ancora troppi motivi economici e di geopolitica; e tutto questo a scapito delle vittime."
Sentenza del Tribunale Permanente per i Popoli,
11.12.1995 .: su :.
Il Tribunale Permanente nella sua seconda sessione, tenutasi a
Barcellona, Spagna, dal 7 all'11.12.1995, con riferimento
all'ex-Jugoslavia rende noto quanto segue:
Considerata la responsabilità internazionale, il Tribunale dei popoli decreta:
1. La responsabilità dei soggetti, che hanno commesso le sopra menzionate violazioni di diritti umani; dei loro comandanti militari e leader politici, per crimini contro l'umanità, compreso lo stupro, basati su un criterio etnico. Il Tribunale sottolinea che vi sono prove sufficienti per incriminare i Presidenti Slobodan Miloševic e Franjo Tudjman, nonostante essi non siano stati incriminati dal Tribunale Internazionale per i crimini di guerra nell'ex-Jugoslavia.
2. La Repubblica Federale di Jugoslavia (Serbia e Montenegro) è responsabile dei seguenti crimini internazionali:
· aggressione della Repubblica di Bosnia Erzegovina e
della Repubblica Croata;
· ingerenza in attività rientranti nel campo delle
competenze della giurisdizione interna della Repubblica di Bosnia
Erzegovina e della Repubblica Croata;
· massacro e sistematica violazione dei diritti
fondamentali e dei diritti umani della popolazione albanese in
Kosovo, compresa la negazione del diritto
all'autodeterminazione;
· non rispetto degli impegni scaturenti dalle decisioni
del Consiglio di Sicurezza sul divieto di ingerenza negli affari
interni della Bosnia Erzegovina, e dell'impegno a collaborare con
il tribunale Internazionale per l'ex-Jugoslavia;
· crimine di genocidio ai danni della popolazione
musulmana di Bosnia;
· ripetute e massicce trasgressioni delle norme del
diritto bellico, e gravi violazioni delle norme del diritto
umanitario internazionale;
· crimini contro l'umanità e gravi violazioni dei
diritti fondamentali e dei diritti umani nell'ambito della
propria giurisdizione;
·
3. La Repubblica Croata è responsabile dei seguenti
crimini internazionali:
· aggressione della Repubblica di Bosnia
Erzegovina;
· ingerenze in attività di spettanza della
giurisdizione interna della Repubblica di Bosnia
Erzegovina;
· violazione degli impegni derivanti dalle decisioni del
Consiglio di Sicurezza sul divieto di ingerenza negli affari
interni della Bosnia Erzegovina, e dell'impegno a collaborare con
il Tribunale Internazionale per l'ex-Jugoslavia;
· crimine di genocidio ai danni della popolazione
musulmana della Bosnia;
· ripetute trasgressioni al diritto di guerra, al pari di
gravi violazioni di norme del diritto umanitario internazionale,
soprattutto nella zona della Slavonia occidentale e della
Krajina;
· crimini contro l'umanità e massicce e
sistematiche violazioni dei diritti fondamentali e dei diritti
umani nell'ambito della propria giurisdizione.
4. La Repubblica di Bosnia ed Erzegovina è responsabile dei seguenti crimini internazionali:
· ripetuta trasgressione al diritto bellico, e gravi
violazioni di disposizioni del diritto umanitario
internazionale;
· gravi e massicce violazioni dei diritti fondamentali e
dei diritti umani all'interno della propria giurisdizione.
5. L'autoproclamata Repubblica dei Serbi bosniaci è responsabile dei seguenti crimini internazionali:
· crimine di genocidio ai danni della popolazione della
Bosnia;
· ripetuta trasgressione al diritto bellico e gravi
violazioni delle norme del diritto umanitario
internazionale;
· crimini contro l'umanità e sistematiche e
massicce violazioni dei diritti fondamentali e dei diritti umani
nell'ambito del territorio posto sotto il controllo
dell'autoproclamata Repubblica.
6. L'autoproclamata Repubblica di Herceg-Bosna è responsabile dei seguenti crimini internazionali:
· crimine di genocidio ai danni della popolazione
bosniaca;
· ripetuta trasgressione al diritto bellico come pure
gravi violazioni delle norme del diritto umanitario
internazionale nell'ambito del territorio controllato da questa
autoproclamata Repubblica.
7. La Repubblica serba di Krajina è responsabile dei seguenti crimini internazionali:
· ripetuta e massiccia trasgressione al diritto bellico e alle norme del diritto umanitario internazionale;
8. Gli Stati membri delle Nazioni Unite non hanno adempiuto alle seguenti disposizioni del Consiglio di Sicurezza:
· mantenimento dell'embargo in materia di armamenti nei
confronti dell'ex-Jugoslavia;
· mantenimento dell'embargo commerciale e finanziario nei
confronti della Repubblica Federale di Jugoslavia (Serbia e
Montenegro);
· adattamento delle proprie giurisdizioni allo Statuto del
Tribunale Internazionale per l'ex-Jugoslavia.
Inoltre:
1. Numerosi Stati sono moralmente e politicamente responsabili
di non essere intervenuti, nonostante vi fossero informazioni
sufficientemente vagliate che comprovavano evidenti e pianificati
crimini di genocidio.
2. Come conseguenza questi Stati hanno omesso di adempiere ai
loro doveri giuridici e di sostenere, rispettare e assicurare il
mantenimento del diritto umanitario internazionale.
3. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al momento di
assicurare la pace con riferimento ai conflitti nel territorio
dell'allora Jugoslavia, non ha adempiuto ai suoi obblighi. I
cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza hanno al
riguardo una particolare responsabilità, in quanto non
hanno definito in modo netto ed adeguato l'incarico
dell'UNPROFOR, lasciando così ai comandanti una notevole
libertà di decisione nell'eseguire i loro compiti.
4. L'Unione Europea e i suoi Stati membri hanno una particolare
responsabilità morale e politica per il fatto di non
essere intervenuti in alcun modo per sedare i conflitti, e per il
fatto di essersi in alcuni casi addirittura opposti all'adozione
di misure volte ad impedire i crimini di genocidio e i crimini
contro l'umanità, nonché ad assicurare la pace
nella zona dell'ex-Jugoslavia.
5. La Germania in particolare è responsabile di aver
favorito la spaccatura che si è creata nella
società dell'ex-Jugoslavia, avendo prematuramente ed
unilateralmente riconosciuto la Slovenia e la Croazia, senza che
fosse garantita la salvaguardia dei diritti delle minoranze di
queste zone, il che, ai sensi dell'inequivocabile affermazione
della Commissione Badinter dell'autunno 1991, costituisce una
delle condizioni di sovranità.
6. Per quanto riguarda il ruolo dei mezzi di comunicazione, i
servizi di informazione e gli altri mass-media sono responsabili,
nella misura in cui siano al servizio di coloro che collaborano
con i gruppi paramilitari nei vari territori dell'ex-Jugoslavia,
di aver creato un'atmosfera di paura e di inimicizia nelle
singole comunità. Quest'atmosfera ha in parte contribuito
allo scoppio dei conflitti armati e all'aggravarsi delle
violazioni dei diritti umani, fino ad arrivare al crimine di
genocidio.
Raccomandazioni e proposte
Il Tribunale Permanente dei Popoli fa riferimento nuovamente alle raccomandazioni che sono state esposte alla seduta del 20 febbraio 1995 a Berna, richiamando inoltre l'attenzione sulle seguenti raccomandazioni:
A. La comunità Internazionale e in particolare l'Unione Europea sono invitate a prendere le seguenti misure per rimediare al grave danno (di cui sono responsabili), riconoscendo così le proprie responsabilità in conformità alla sopra citata sentenza:
1. Sono chiamati ad impiegare le loro risorse economiche,
tecnologiche e culturali per favorire la ricostruzione materiale
e morale degli Stati che sono stati distrutti dalla guerra, in
particolare della Bosnia Erzegovina.
2. L'Unione Europea in particolare dovrebbe prendere l'iniziativa
e mettere a disposizione il proprio territorio per un uso comune.
Questo contribuirebbe a ridurre i problemi di confine e
faciliterebbe la ricostruzione.
A questo proposito sarebbe possibile ricostruire la rete di coesistenza e dei diritti individuali e collettivi, la cui crisi ha dato luogo alla guerra. In questo modo l'Europa potrebbe fornire un risarcimento per la propria passività nel corso del conflitto. Mentre l'accordo di pace di Dayton ha sostanzialmente condannato la divisione etnica della popolazione dei Balcani mediante lo smembramento dell'ex-Jugoslavia e la sua spartizione fra territori con diverse sfere d'interesse, l'Europa potrebbe creare una pace effettiva e stabile, aprendosi a tutti i nuovi Stati che sono sorti durante la guerra. L'attuazione di un simile progetto dipenderà dall'instaurazione di un sistema democratico in questi nuovi Stati e dalla tutela delle minoranze. Gli obiettivi di una tale ricostruzione consistono, oltre che nel sostegno al processo di pace e alla ricostruzione degli Stati dell'ex-Jugoslavia, anche nel rafforzamento dell'Unione europea e nell'apertura dei suoi Stati membri e delle popolazioni appartenenti a diverse culture nei confronti di nuovi rapporti e di nuovi e fruttuosi influssi culturali in un clima di pacifica coesistenza. Questa prospettiva dell'accettazione in Europa di tutti i popoli dell'ex-Jugoslavia è un'occasione storica per realizzare un'idea più ampia di Europa. A ben vedere, queste popolazioni si trovano al centro e nel punto d'incontro di tre grandi civiltà (Chiesa romano-cattolica, Chiesa ortodossa ed Islam) situate tra due grandi imperi ormai scomparsi (Austria-Ungheria e Impero Ottomano) e tra due grandi blocchi ormai caduti (l'Occidente capitalista e l'Est comunista). La Bosnia costituisce il simbolico epicentro dove questi punti storici di contatto e di rottura s'intrecciano in un'unione indissolubile. È chiaro che la sopravvivenza di questa nuova struttura politica bipartita dello Stato bosniaco sorta in seguito all'accordo di Dayton, è altamente improbabile all'interno di un'Europa allargata e comune.
3. In conclusione, questo Tribunale è dell'avviso che gli orrori della guerra civile nell'ex-Jugoslavia, che hanno spinto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad instaurare "ad hoc" il Tribunale per i crimini di guerra, rendono evidente soprattutto l'impellente necessità di creare un Tribunale Permanente per i crimini contro l'umanità. Questo Tribunale sarà dotato di una giurisprudenza vincolante non solo per gli Stati, ma anche per le vittime dei crimini e sarà competente a verificare la responsabilità personale di tutte le persone ad essi collegate, inclusi i politici di spicco, e a pronunciare le corrispondenti sentenze. All'instaurazione di tale Tribunale dovrebbe far seguito, entro termini ragionevoli, la creazione di un codice penale internazionale; da impiegarsi non solo in caso di genocidio, tortura e crimini contro l'umanità, ma anche nelle ipotesi di gravi violazioni dei diritti umani per le quali non esiste alcuna giurisdizione statale. Lo "Statuto del Tribunale Penale Permanente", redatto dalla Commissione del Diritto Internazionale, dovrebbe essere attentamente rivisto per farlo corrispondere a queste esigenze.
B. Esigiamo inoltre che i disertori, gli oppositori di regime
e gli obiettori al servizio di guerra dell'ex-Jugoslavia
ottengano lo status legale di profughi politici e il diritto
d'asilo politico. Sollecitiamo altresì i leader politici a
concedere a dette persone l'amnistia e a garantire loro
nuovamente tutti i diritti civili.
C. Si raccomanda ai collaboratori dei mass-media di verificare le
regole della propria etica professionale allo scopo di sostenere
la pace. Si raccomanda altresì ai media internazionali di
sostenere i media autonomi nazionali nel loro lavoro.
D. Si raccomanda inoltre al Tribunale dell'Aia di reperire, porre
sotto accusa e condannare quei giornalisti, redattori e direttori
dei mezzi di comunicazione i quali, stando alle disposizioni
della Convenzione del 1948, siano sospettati di crimini e di
incitamento al genocidio.
E. Si raccomanda al Tribunale dell'Aia di dichiarare gli atti di
violenza sessuale, in conformità all'articolo 5 del
proprio Statuto, crimini contro l'umanità e, qualora ne
sia provata l'intenzione, di punire gli stessi, ai sensi
dell'articolo 4 dello Statuto, come crimini di genocidio.
F. Si raccomanda agli Stati membri delle nazioni Unite di
ratificare la Convenzione del 4 dicembre 1989, che vieta il
reclutamento, l'impiego, il finanziamento e l'addestramento di
mercenari.
Mehmed Dizdar, profugo di Stolac: "Crimini perpetrati nella
regione di Stolac dal 1992 ad oggi" .: su
:.
"Per evidenziare la portata dei crimini commessi a Stolac
dall'HVO con l'appoggio dell'Esercito Croato e dei suoi soldati,
occorre anzitutto tener presente che, in questa zona, l'Esercito
della Bosnia Erzegovina e l'HVO non si sono combattuti a vicenda.
Inoltre va osservato che nel comune di Stolac v'era ca. il 44% di
Musulmani bosniaci, il 33% di Croati ed il 21% di Serbi.
Nel giugno del 1992, dopo che i Serbi si erano ritirati con il loro esercito sugli attuali confini della Republika Srpska, Stolac fu occupata dalle unità dell'HVO, dell'HOS e dall'Esercito Croato (HV). Ciò era stato reso possibile da un accordo avvenuto a Graz, se non erro nel maggio del 1992, tra Radovan Karadžic, il Presidente della Republika Srpska, e Mate Boban, il Presidente della Herceg-Bosna,. Si trattava in sostanza di una rettifica dei risultati del colloquio di Karadjordjevo sulla suddivisione della Bosnia Erzegovina. L'operazione fu inscenata come "sfondamento" oltre la Neretva, così che sembrava che il nostro territorio fosse stato conquistato durante un'azione di guerra.
Subito dopo iniziarono i crimini. Le case dei Serbi furono date alle fiamme. I Serbi che erano rimasti a Stolac furono deportati a Dretelj dove furono torturati. I Musulmani furono chiamati alle armi e - in parte perché forzati, in parte perché sollecitati dal partito SDA - dovettero combattere nell'HVO. Dal marzo del 1993 l'HVO cominciò ad arrestare in massa i Musulmani. Dapprima si trattava solo dei cittadini più in vista, poi, a partire da luglio, di tutti gli uomini musulmani. I Musulmani che militavano nell'HVO furono disarmati e deportati nei campi di concentramento, dove vennero torturati nei modi più atroci e molti di essi morirono. Agli inizi di agosto le donne, i bambini e gli anziani furono caricati su autocarri e autobus, derubati di tutti i loro averi e deportati a Blagaj presso Mostar. Dieci donne e persone anziane morirono di sfinimento lungo il tragitto. A Blagaj dozzine di nostri concittadini morirono di fame, perché quel territorio rimase isolato per alcuni mesi dall'approvvigionamento dei viveri.
Contemporaneamente l'HVO, dopo averle saccheggiate, diede alle fiamme tutte le case dei Musulmani bosniaci. Cominciarono dalle case vecchie, poi fu la volta anche degli edifici più moderni. Tutti i monumenti culturali musulmani furono fatti saltare in aria e le macerie furono completamente rimosse con le ruspe. Si trattava, tra l'altro, di dieci moschee della città, di cui quattro particolarmente belle e preziose: quella più antica risaliva all'anno 1519. Furono distrutti anche il monumento Begovina, complessi di case musulmane, Chane [alloggi], biblioteche, pinacoteche, arredamenti e suppellettili antichi.
La distruzione delle case continuò anche dopo la firma degli accordi di Washington e di Dayton e continua tuttora. Finora nel comune di Stolac ne sono state distrutte circa 2.000.
L'accordo di pace non ha avuto alcuna ripercussione su Stolac. Tutte le decisioni vengono prese a livello della comunità di Herceg-Bosna. Adesso è stato formato un consiglio comunale, ma i rappresentanti musulmani in consiglio sono solo una farsa. Solo una parte dei profughi ha finora potuto fare ritorno a Stolac, ma essi vivono come in un ghetto: non hanno nessun diritto, vivono continuamente nella paura, non ottengono alcun lavoro e molti non hanno nemmeno la corrente elettrica nelle loro abitazioni. La cosa più grave comunque è che a Stolac sono ancora al potere coloro che hanno perpetrato il genocidio. Nonostante alcuni di loro non svolgano funzioni ufficiali, decidono comunque la politica di governo.
Per poter creare i presupposti per una vita normale per i profughi rimpatriati, è necessario che i criminali di guerra vengano arrestati. Questo è il primo ed unico presupposto necessario per la sicurezza delle persone; solo in seguito si potrà discutere di occupazione, scuola e sanità. Tuttavia, finché la politica del partito HDZ della Bosnia ed Erzegovina verrà dettata dall'HDZ croato di Franjo Tudjman, nulla di tutto questo potrà accadere. I criminali croati sono considerati eroi che hanno distrutto e cancellato qualsiasi traccia di vita musulmana a Stolac. Essi hanno svolto il loro compito, creando i presupposti per un territorio etnicamente "pulito" e la garanzia di una costa adriatica croata saldamente sotto controllo.
Behdžet Mesihovic, prigioniero nel campi di
concentramento Dretelj e Heliodrom, ex Presidente della "Unione
degli ex internati nei lager della Bosnia Erzegovina" .: su :.
"Durante tutto il corso della guerra io mi sono trovato a Mostar,
o sono stato prigioniero nei campi di concentramento dell'HVO:
dal 01.07.1993 al 19.07.1993 a Dretelj, poi, fino al 22.03.1994 a
Heliodrom. Indicherò solo alcuni esempi del terrore e del
genocidio di cui sono stato testimone.
1. Tutto cominciò con l'assedio di Mostar da parte
delle unità della Polizia dell'HVO e delle unità di
Tuta e di Štela e con la cacciata dalle loro abitazioni di
tutti quelli che non erano Croati. Furono cacciati persino i
vecchi e i malati. Gli uomini furono deportati nei campi di
concentramento, mentre le donne e i più deboli furono
condotti sull'altra riva del fiume Neretva che fui poi
bersagliata con tutte le armi da fuoco disponibili.
2. Questa la situazione nei campi di concentramento: soprusi,
pestaggi, vari giorni senza cibo né acqua a Dretelj e
Heliodrom; pesante lavoro fisico sulle linee del fronte
più avanzate che fu causa del ferimento e della morte di
molti prigionieri; uccisioni volontarie dei prigionieri dei campi
di concentramento di Vojno, Ðubrani, Dretelj e Gabela.
3. Condizioni di vita, terribili, disumane, tra le quali
l'isolamento totale dai familiari costituiva la tortura
più orribile. Ogni contatto con la famiglia era vietato. I
prigionieri nei campi di concentramento per esempio venivano a
sapere solo in modo casuale della morte delle persone a loro
più care.
4. I prigionieri di Heliodrom venivano usati come scudi umani
dall'HVO e dall'HV. Questi due eserciti bersagliavano Mostar
giornalmente con tutte le armi possibili, anche con mezzi
corazzati, cosicché era impossibile immaginare che
qualcuno avesse potuto sopravvivere.
5. Alla cacciata dei non-croati dalle abitazioni e dalla
città nel maggio 1993 prese parte anche il capo della
Polizia di Mostar, Ilja Filipovic.
6. Parlando coi soldati dell'HVO, constatai che molti di loro
erano stati condotti al fronte e messi nella situazione di dover
sparare ad altri, contro la loro volontà. Una tipica
affermazione di molti era: "Se solo fossi un po' più
vecchio; non sarei costretto ad essere qui!"
7. È degno di nota lo svolgimento della "pulizia etnica" a
Ljubuški e Vitina. Lì gli abitanti si opposero alla
cacciata dei loro vicini musulmani. Si rifiutarono addirittura di
parlare con Boban e Prlic che volevano convincerli e istigarli a
cacciare altre persone. Io stesso fui testimone della cacciata
dei miei vicini musulmani da Ljubuški. Io accolsi 300 di
loro quando il 15 agosto vennero deportati da Ljubuški. Da
Heliodrom furono poi ricondotti a Ljubuški, per essere poi
deportati a Zagabria ed essere scaricati davanti alla moschea
della città. Poi si sono sparsi per tutto il mondo.
8. In Erzegovina esistevano, secondo le mie stime, circa 60 campi
di concentramento che comprendevano i più tristemente noti
come Heliodrom, Dretelj, Gabela, Otoka, Kucerin, ma anche molti
lager più piccoli e provvisori. Nei campi di
concentramento dell'Erzegovina all'epoca erano tenute prigioniere
in tutto tra le 25.000 e le 35.000 persone. Solo a Heliodrom
erano internate 10.000 persone, per lo più di
nazionalità non-croata. Durante la prima metà del
1992, i campi di concentramento Heliodrom e Dretelj erano pieni
di Serbi che divennero vittime della politica organizzata, volta
a ridurre in numero "sopportabile" i non-croati in quel
territorio "storicamente croato". Nei lager c'erano anche donne
con bambini piccoli e anziani. Nel luglio 1993 furono tenuti
prigionieri, rispettivamente a Dretelj e Heliodrom, un vecchio di
82 anni, Šefko Milavic, e una vecchia di 85 anni,
Hatidža Alajbegovic.
Testimonianze: .: su :.
1. N.N., testimone di Trebinje: "Mio fratello Ekrem e la sua
famiglia furono aggrediti da tre cetnici. Questi fecero a pezzi
tutti i mobili dell'appartamento e pestarono selvaggiamente mio
fratello. Puntarono una pistola alla testa di sua moglie e le
intimarono di lasciare la casa entro le 12 del mattino seguente.
Mio fratello lasciò Trebinje il giorno dopo e andò
in Montenegro. Io fui costretto a combattere con l'Esercito
Popolare Jugoslavo durante gli attacchi a Dubrovnik (Ragusa).
Insieme ad altri Musulmani di Trebinje mi trovavo al fronte in
prima linea; venivamo usati come scudi umani. Qualsiasi cosa
cercassi di fare per non partecipare a questa guerra non
funzionava. Per sei mesi fui esposto a pesante pressione
psicologica. Il mio villaggio era praticamente rimasto senza
uomini, c'erano solo le donne e i bambini. A partire dall'aprile
1992 la situazione a Trebinje si fece sempre più
pericolosa. Gli uomini venivano prelevati di notte, rinchiusi e
uccisi. Dopo che la moschea fu distrutta solo perché si
trattava di un luogo di preghiera dei Musulmani, chiedemmo una
spiegazione al sindaco. Cercavamo delle garanzie per la nostra
sicurezza. Il sindaco disse che non poteva garantire per la
sicurezza personale di nessuno. Dopo l'episodio di mio fratello,
nel gennaio 1993, per non subire anch'io la stessa sorte, lasciai
Trebinje assieme alla mia famiglia. Andai in Danimarca."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 104/99.
2. N.N., testimone di Trebinje: "Eravamo esposti giornalmente
a torture psicologiche. Io mi trovavo al fronte in prima linea,
dove venivo impiegato come scudo umano. Mentre stavo zappando le
patate nell'orto, arrivarono due cetnici armati fino ai denti,
che mi prelevarono e mi portarono alla stazione della Polizia. Mi
puntavano contro i loro fucili automatici, minacciando di
uccidermi. Nel settembre e ottobre del 1992 ero in malattia.
Quando tornai di nuovo al mio posto di lavoro, l'amministrazione
dell'azienda mi informò che ero stato licenziato. Non
potevo ricevere aiuti umanitari, poiché questi erano
riservati ai Serbi. Oltre ad un Albanese, io ero l'unico uomo
adulto in paese. Cercai di sottrarmi alla chiamata alle armi, ma
quando la mia famiglia ed io restammo senza cibo, dovetti andare
al fronte. Lì ero solo uno scudo umano tra i Serbi e i
Croati (zona di Dubrovnik). La situazione a Trebinje peggiorava
di giorno in giorno. Quando furono date alle fiamme la casa del
Beg e l'ultima moschea, non ci fidavamo più di nessuno. Il
27.01.1993 richiedemmo una seduta del Consiglio Comunale.
L'allora Presidente si rivolse a noi con queste parole: "Non vi
cacciamo, ma qui non possiamo garantirvi nessuna sicurezza." Poi
Trebinje e i suoi dintorni furono abbandonati dal 95% della
popolazione (quelli che non erano Serbi). Il 27 gennaio 1993
anch'io lasciai Trebinje e con la mia famiglia mi recai a
Rožaj."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 105/99
3. N.N., testimone di nazionalità croata di Mostar: "Il
29 maggio 1992 io, come civile, fui deportato dall'Esercito
Popolare Jugoslavo e da formazioni paramilitari nel campo di
concentramento di Bileca. Tra coloro che mi conducevano via
riconobbi un gran numero di conoscenti serbi, i miei ex vicini di
Bacevici. Nel lager di Bileca ero giornalmente esposto a
maltrattamenti e torture. A causa delle percosse avevo quattro
costole rotte. Nel campo c'erano moltissimi Croati e Musulmani
bosniaci. I Musulmani venivano torturati in modo particolare.
Erano tenuti prigionieri in celle singole e molti di loro furono
uccisi. Io ho assistito all'uccisione di Marko Spuževic di
Rodoc. Lo presero a calci, fratturandogli la spina
dorsale."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 127/98.
4. N.N., testimone di nazionalità serba di Ortive
(Mostar): "In seguito ad un inganno da parte della leadership
serba, l'intera popolazione serba del nostro paese si
ritirò in direzione di Nevesinje. Anch'io, il 16.06.1992
andai con gli altri."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 23/98.
5. N.N., donna, testimone di nazionalità serba di Malo
Polje (Mostar): "L'11.06.1992 noii abitanti di Malo Polje (in
gran parte Serbi) ricevemmo dall'Esercito Popolare Jugoslavo
l'ordine di ritirarci a Nevesinje. Noi tutti abbandonammo il
villaggio nella convinzione che presto avremmo potuto farvi
ritorno. Solo ora stiamo ritornando nelle nostre case."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n.24/98.
6. N.N., donna, testimone di nazionalità serba di Želeca (Mostar): "Il 19.06.1992 l'Esercito Popolare Jugoslavo e l'Esercito serbo ci ordinarono di ritirarci dal nostro villaggio e così anch'io, mio malgrado e in preda al panico, mi avviai insieme assieme agli altri verso l'ignoto." Documentaz. dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 29/98.
7. N.N., testimone di nazionalità serba di
Lakševine (Mostar): "L'11.06.1992 membri delle
unità dell'HVO e dell'HV vennero nel nostro villaggio di
Lakševine e ci cacciarono. Insieme ad altri vicini anch'io
andai a Nevesinje."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 35/98.
8. N.N., donna, testimone di nazionalità serba del
villaggio di Bacevici (Mostar): "Il 24.08.1992 membri
dell'unità paramilitare HOS vennero nel mio appartamento e
pretesero i miei documenti, soldi e gioielli. Io mostrai loro i
documenti. Presero i soldi e poi mi condussero alla sede
dell'HOS. Da lì fui condotta nel campo di concentramento
di Dretelj e poi nel campo di concentramento di Grabovina
(Čapljina) dove fui torturata e picchiata. Vi rimasi per 52
giorni e poi fui portata nel lager Heliodrom dove passai altri 11
giorni. Infine fui allontanata dalla zona di guerra."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n.38/98.
9. N.N., testimone di nazionalità serba del villaggio
di Raštani (Mostar): "Il 4 aprile 1992 fu minata la
caserma dell'Esercito "Mostarski bataljon" e questo
scatenò il panico nella popolazione serba. Il 12 e
13.06.1992 il nucleo operativo dell'Esercito Popolare Jugoslavo e
con esso tutta la popolazione del villaggio, si ritirarono da
Raštani. 600 abitanti di questo paese andarono a
Nevesinje. Noi tutti trovammo sistemazione in case di Musulmani
abbandonate."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 39/98.
10. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Mostar:
"Il 15 maggio 1993 fui cacciato dal mio appartamento e condotto
con altri civili - Musulmani e Serbi - dapprima nel campo di
concentramento di Dretelj, poi nel lager Heliodrom ed infine in
un campo di concentramento installato nel campus
dell'Università di Mostar. In questi lager ho trascorso in
tutto 9 mesi, fino al febbraio 1994. Ho vissuto ogni tipo di
orrore e ne sono perseguitato ancora oggi; questo perché
adesso noi ex detenuti nei campi non possiamo parlare dei campi
di concentramento nella Herceg-Bosna. Mentre mi trovavo nel
lager, delle unità dell'HVO penetrarono nell'appartamento
di mia madre (aveva 75 anni) e la assassinarono. Mia sorella non
poté seppellire nostra madre. Per una settimana intera mia
madre giacque morta in casa, perché L'HVO non voleva
emettere il certificato di morte."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 40/98.
11. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Borijevici (Stolac): "Le unità dell'HVO e dell'HV
ammassarono tutti gli abitanti del mio villaggio nell'edificio
della scuola elementare "Crnici". Lì passammo 15 giorni;
c'erano donne, bambini, vecchi, l'intera popolazione della zona
Dubravska Visoravan. Poi fummo deportati a Buna e da lì
dovemmo proseguire a piedi fino a Blagaj. Molte donne furono
deportate a Bregova. Si può solo intuire cosa abbiano
dovuto subire. Tutta la popolazione bosniaca era esposta a
soprusi e saccheggi. Gli uomini furono deportati nei lager di
Dretelj e Gabela. Dopo la nostra deportazione il villaggio fu
dato alle fiamme; non ne rimane più niente."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n.45/98.
12. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Stolac: "Dei soldati dell'HVO (si trattava di poliziotti e di
nostri vicini) prelevarono mio marito dal nostro appartamento e
lo portarono nel campo di concentramento di Dretelj dove fu
ucciso. Lo stesso giorno, il 02.07.1993, tutti i membri musulmani
delle unità dell'HVO (circa 7.000) furono deportati nei
lager di Dretelj o Gabela. Fino a quel momento avevo difeso dagli
attacchi serbi le postazioni intorno a Stolac. Anche i miei due
figli, che erano a loro volta membri delle unità dell'HVO,
furono arrestati e deportati nel campo di concentramento di
Dretelj. Il mio figlio più grande passò nove mesi
in vari campi di concentramento (Dretelj, Gabela, Heliodrom) e il
02.03.1994 fu ferito mentre veniva usato come scudo umano.
Subì la frattura del femore. Nel campo di concentramento
lo pestarono e lo torturarono. Agli inizi di settembre, dopo una
visita della Croce Rossa nel lager, il mio figlio più
giovane fu trasferito a Bodja per potersi riprendere. Da
lì partì per gli Stati Uniti dove vive tuttora. Il
04.08.1993 fui cacciata dal mio appartamento e deportata a Blagaj
presso Mostar. Fummo trasportati in autocarri a Buna presso
Mostar e da lì, sotto la sorveglianza dell'Esercito della
Bosnia Erzegovina, dovemmo proseguire a piedi verso Blagaj. Lungo
il percorso fummo bersagliati dagli spari. Dopo essere stati
prelevati dalle nostre abitazioni, fummo condotti nell'edificio
della scuola elementare, dove fummo perquisiti e spogliati di
tutti i nostri averi. Nel gruppo di uomini - erano una decina -
che ci perquisirono riconobbi uno dei miei ex alunni che oggi fa
il poliziotto a Stolac. Tutti portavano delle uniformi
identificabili (tute mimetiche) con il distintivo
dell'HVO."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 14/99.
13. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Stolac,
sulla sua reclusione nel campo di concentramento di Dretelj: "Il
campo di concentramento era costruito in cemento. Non c'era aria,
non c'era igiene, era soffocante e molto caldo. Dormivamo sul
pavimento di cemento e avevamo pochissimo spazio. Non avevamo
niente da mangiare e da bere. Eravamo torturati e picchiati.
Alcuni venivano prelevati e picchiati all'aperto. Tutto questo
succedeva ogni giorno".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 17/99.
14. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Gacko:
"Il 04.07.1992 l'Esercito Serbo e i cetnici del luogo cacciarono
me e mia moglie dalla nostra casa. Ci portarono davanti all'hotel
"RITE" che era il luogo di raccolta dei prigionieri musulmani
(circa 1.000 uomini, donne e bambini). Le donne furono caricate
su autobus, gli uomini su autocarri. Assieme a 100 uomini di
Gacko fui portato nel campo di concentramento di Bileca. Per 33
giorni ricevemmo solo alcune croste di pane e un po' di acqua. A
Stolac, presso la centrale, fui scambiato. Fino a Stolac portai
in spalla un altro prigioniero al quale i Serbi avevano
fratturato una gamba. Poi ho vissuto a Pocitelj, dove il
01.07.1993 fui catturato dall'Esercito dell'HVO e deportato nel
lager di Dretelj dove resti per un mese. Da Dretelj fui condotto
a Blagaj in un autocarro. Da allora vivo a Mostar."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 15/98.
15. N.N., testimone di nazionalità musulmana (di 74
anni) di Gacko: "Il 04.07.1992 i cetnici locali cominciarono ad
attuare la pulizia etnica a Gacko. Quel giorno venne un gruppo di
cetnici e cacciarono mio fratello e sua moglie dalla loro casa.
Io mi nascosi nel bagno che solo per puro caso non fu perquisito.
Passato il pericolo, uscii di casa e mi nascosi dapprima in
giardino; poi quando si fece buio, percorrendo strade sconosciute
e scavalcando una montagna, giunsi al villaggio di Borac a Nord
di Gacko, dove restai per alcuni giorni assieme ad altri profughi
provenienti da Gacko. Poi, in un gruppo più grande,
attraversammo Borac, Trebove, Bjelašnica e ci dirigemmo al
monte Igman. Dall'Igman proseguimmo poi verso Mostar con degli
autocarri. Nel 1993 arrivai a Pocitelj dove ho vissuto per otto
mesi. Il 05.08.1993 fui fatto prigioniero dall'Esercito dell'HVO
e deportato nel campo di concentramento di Dretelj dove rimasi
per un mese, durante il quale mi torturarono nei modi più
disparati. Poi andai a Blagaj dove incontrai molti Musulmani che
erano fuggiti da Stolac. Adesso vivo a Bijelo Polje -
Livac."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 22/98.
16. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Gacko: "Il 04.07.1992, alle 4 del mattino, io e le mie figlie
fummo cacciate di casa e portate davanti all'hotel "TE" di Gacko.
Davanti ai nostri occhi uccisero alcune persone. Assieme a
più di 1.000 donne e bambini fummo caricate sugli autobus
e trasportate in Macedonia, dove restammo per due mesi. Dopo il
nostro arrivo a Mostar trovammo una sistemazione nella parte
occidentale della città. Il 04.07.1993 fummo cacciati
dagli ustascia e dovemmo fuggire nella parte orientale di
Mostar."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 25/98.
17. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Gacko: "Assieme ad altri vicini fui cacciata dal mio paese
dall'Esercito serbo. Ci nascondemmo nei boschi per due mesi,
mentre nel frattempo le nostre caso venivano date alle fiamme
perché non potessimo più ritornarvi. Per tutto il
tempo fummo assediati e bersagliati. Infine ci fecero prigionieri
e ci cacciarono verso Čapljina, da dove, poco tempo dopo
fummo nuovamente cacciati, questa volta dall'HVO."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 29/98.
18. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Gacko:
"A causa della situazione che si era creata a Gacko e dei
continui bombardamenti sul nostro villaggio (Kula) che erano
incominciati il 18.06.1992, fummo costretti a fuggire. Tutta la
popolazione si rifugiò nei boschi e sulle montagne; tutti
quelli che erano rimasti al paese furono uccisi o bruciati vivi.
Anch'io per due mesi mi nascosi sulle montagne e cercai infine,
insieme ad altre persone, di arrivare fino al monte Igman e al
territorio libero. Insieme a me nei boschi c'erano circa 2.000
abitanti di Gacko, perché dopo la nostra fuga la
circoscrizione di Kula fu data alle fiamme e bruciò fino
alle fondamenta. Dal monte Igman, passando per Jablanica,
raggiunsi Dubrovnik (Ragusa) dove si trovava la mia famiglia.
Poiché a Dubrovnik la situazione era diventata
insopportabile, ce ne andammo a Čapljina. A causa dei
conflitti che erano appena scoppiati con l'HVO, l'otto agosto
1993 i soldati dell'HVO ci cacciarono in direzione di Blagaj. I
miei due figli furono deportati nei campi di concentramento di
Gabela e Heliodrom. Lungo la strada verso Blagaj vidi i cadaveri
di molte donne che erano state uccise nella deportazione.I
deportati, prima erano liberati, poi si sparava contro di loro
per farli cadere in preda al panico. La mia figlia più
giovane (nata nel 1971) rimase a Mostar. Fu uccisa da un cecchino
dell'HVO."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 37/98.
19. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Gacko:
"A causa dei bombardamenti fui costretto a fuggire nei boschi e
sulle montagne. Assieme a me si nascosero nel bosco tutti gli
abitanti fuggiti dai 13 villaggi della circoscrizione di Fazlagic
Kula. Rimanemmo nei boschi per due mesi e mezzo, soffermandoci in
caverne e buche. Infine, valicando diversi passi montani,
riuscimmo a raggiungere Pazaric nei pressi di Sarajevo. Da
lì, passando per Jablanica, andammo a Ljubuški,
dove, a causa degli scontri con l'HVO, fui arrestato e portato in
un carcere in cui passai due notti. Fui subito derubato. Ci
pestarono e ci torturarono. Poi fummo condotti nel campo di
concentramento Heliodrom nei pressi di Mostar. In quel lager,
situato nell'edificio dell'ex scuola elementare, si trovavano
già gli abitanti di Mostar che erano stati fatti
prigionieri. Nell'edificio erano stipati donne, bambini e vecchi.
Erano picchiati tutti i giorni; soprattutto gli uomini più
giovani, perché si aveva paura che un giorno, se si fosse
arrivati ad uno scambio di prigionieri, avrebbero dovuto
combattere contro di loro. Ci prendevano a calci e ci picchiavano
con tutti gli oggetti a disposizione. Dormivamo per terra e
avevamo solo una coperta. Quando arrivò la Croce Rossa,
chiedemmo ai delegati alcune coperte e qualcosa da mangiare,
perché nel lager non ricevevamo quasi niente. Quelli della
Croce Rossa ci aiutarono subito. I prigionieri erano usati come
scudi umani (accadde anche a me per due volte) e molti morirono o
furono feriti. Dopo la visita della Croce Rossa la situazione
migliorò un po', così che anche a noi detenuti
andò un po' meglio.
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 54/98.
20. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Gacko:
"Il 04.07.1992, di mattina presto, fui cacciato dalla mia casa e
condotto davanti all'hotel "TE" di Gacko. Insieme ad altri
abitanti anziani di Gacko fui caricato su un autocarro e
deportato nel campo di concentramento di Bileca. Lì
eravamo circa 100 persone. Fummo tenuti prigionieri nel lager per
35 giorni e dovevamo sopportare i maltrattamenti più
disparati. Io già prima non ero in buona salute, ma quando
lasciai il campo di concentramento ero più morto che vivo.
Per 35 giorni ero rimasto praticamente senza cibo e solo con un
po' d'acqua. In agosto lasciai il lager e fui scambiato a Stolac.
Al momento vivo con la mia famiglia a Mostar".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 60/98.
21. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Gacko:
"Vidi degli uomini in uniforme, per lo più Serbi. Fuggii
dall'azienda in cui lavoravo e mi rifugiai nei boschi con i miei
due figli. Mia moglie rimase in casa con sua madre e nostra
figlia. Furono deportate in Macedonia. Mia figlia di otto anni fu
condotta nel campo di concentramento di Kalinovik, dove rimase
prigioniera per 40 giorni".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 67/98.
22. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Gacko:
"Fui fatto prigioniero assieme ai miei vicini e deportato in un
campo di concentramento che era stato allestito nel silo
Čapljina. Tutto il villaggio era in quel lager. Ci
torturavano ogni giorno, ci picchiavano e ci derubavano. Presero
anche mio figlio e lo picchiarono davanti ai miei occhi. Poi lo
deportarono. Da allora non ho più saputo niente di lui. Si
può solo intuire che cosa io abbia passato quando dovetti
assistere impotente al pestaggio di mio figlio. I prigionieri
erano picchiati ogni giorno con tutti gli oggetti a disposizione.
Si sentivano continuamente le loro grida, le invocazioni di aiuto
e il loro pianto. Nel campo si trovavano quasi esclusivamente
persone della zona del comune di Čapljina, che erano state
fatte prigioniere solo perché erano di nazionalità
musulmana. Le condizioni di vita nel campo di concentramento
erano terribili. I detenuti dormivano sul pavimento di cemento.
L'aerazione era pressoché inesistente. Inoltre in estate
faceva tremendamente caldo. Si doveva dormire nello stesso locale
in cui si espletavano anche i bisogni corporali. In ognuno dei
silos erano stipati dai 600 ai 700 prigionieri, così che,
dal momento che non c'era abbastanza spazio, si doveva dormire
quasi gli uni sopra gli altri. Regolarmente venivamo lasciati
senza cibo per quattro giorni. Poi ricevevamo un po' di carne in
scatola e di brodo avanzati dal cibo dei soldati. I prigionieri
più giovani venivano per lo più deportati nella
regione di Ljubuški, dove dovevano scavare trincee. Essi
poi, di nascosto, ci portavano del cibo. Ma ciò non
durò molto, perché ad un certo punto furono
scoperti. I detenuti venivano regolarmente trasferiti in altri
campi di concentramento; io prima fui condotto nel lager di
Ljubuški, poi a Heliodrom ed infine a Gabela. Appena si
veniva a sapere che sarebbe arrivata la Croce Rossa, i
prigionieri venivano condotti in altri lager, o nascosti, per
tenere la Croce Rossa all'oscuro di tutto. Io stesso fui
registrato dalla Croce Rossa a Ljubuški, ma fui liberato
solo a Gabela.
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 78/98.
23. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: "Fui condotto in un hangar di cemento nel quale
erano ammassati già 560 detenuti. Ognuno aveva a
disposizione solo mezzo mq di spazio. Mancavano l'aria, il cibo e
l'acqua. I bisogni corporali li espletavamo in un canale che
scorreva attraverso il hangar. Poiché l'acqua
scarseggiava, la maggior parte di noi beveva la propria urina.
Queste sofferenze durarono più di tre mesi, poi
arrivò la Croce Rossa e alleviò il nostro
tormento".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 82/98.
24. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: "Degli sconosciuti fecero irruzione in casa mia,
mi ammanettarono e mi condussero alla stazione di Polizia del
comune di Čapljina, dove mi picchiarono e mi torturarono. Vi
restai per un mese. Poi fui deportato nel campo di concentramento
Heliodrom e da lì nel lager di Dretelj. Dopo il fallimento
di un'operazione militare delle loro unità, i soldati
dell'HVO un bel giorno spararono contro i prigionieri nel hangar,
ferendo me e altri 20 persone. Nonostante ciò, per tre
giorni fummo lasciati senza cibo né acqua. Più
volte io e anche gli altri prigionieri perdemmo i sensi. Eravamo
completamente allo stremo, ma grazie al Dottor Baškailo
(di Pocitelj) siamo rimasti in vita. Il Dottor Boškailo
aiutava come meglio poteva tutti i detenuti. Di notte molti
prigionieri venivano deportati verso destinazioni ignote. Ogni
giorno avevamo solo 11 minuti per mangiare, e questo valeva per
tutti i 500 prigionieri. Chi ci metteva di più veniva
pestato e torturato. Le persone venivano torturate fino allo
sfinimento totale. Di solito ci si doveva sdraiare a torso nudo
sul pavimento di cemento, rovente per la calura estiva. Dopo
l'arrivo della Croce Rossa la situazione migliorò un po',
ma i sorveglianti ci sottoponevano ancora ad una pesante
pressione psicologica. Quando ci vedevano accendere una
sigaretta, ci toglievano i viveri e i vestiti che avevamo
ricevuto dalla Croce Rossa".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 86/98.
25. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: "Fui cacciata per due volte: la prima da Brdo a
Čapljina, la seconda, a causa dei conflitti tra l'HVO e
l'Esercito della Bosnia Erzegovina, da Čapljina a Sovici. Il
14.07.1993 fui arrestata insieme ad altre 16 vicine e deportata
in un lager situato nel silo della fabbrica "Lasta" dove si
trovavano già 5.000 prigionieri, per lo più donne,
bambini e vecchi. Non ci davano niente da mangiare. Le condizioni
erano insopportabili: mancavano i servizi igienici e l'acqua.
Fortunatamente mi fu concesso di tenere con me il mio bambino di
18 mesi, perché succedeva spesso che i bambini venissero
separati dai genitori, il che generava il panico generale tra i
prigionieri. Restammo in quel silo per due giorni, poi fummo
condotti a Pocitelj, ci smistarono - eravamo 400 persone - in 30
case. Nei villaggi vicini i civili che erano stati fatti
prigionieri erano in numero ancora maggiore. Ogni giorno venivano
portate via delle ragazze e delle giovani che poi venivano
maltrattate. Passammo 10 giorni in quel villaggio, poi fummo
caricati su autocarri e condotti nuovamente nella fabbrica
"Lasta". Da lì fummo deportati a Sovici. Da Sovici dovemmo
poi proseguire a piedi verso Jablanica".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 89/98.
26. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: " Dopo aver svolto un incarico di guerra, fui
fatto prigioniero dal reggimento "Bruno Bušic". Sin
dall'inizio fui picchiato e torturato. In seguito ai calci
infertimi alla gola, riportai una ferita all'esofago e non
riuscivo più a deglutire bene. Fui condotto a Mostar per
degli ulteriori interrogatori. Lì mi picchiarono in testa
con un mattone fino a farmi svenire. Poi mi portarono nel carcere
dell'unità speciale "Ludvig Pavlovic", dove mi dissero che
sarei stato rilasciato solo quando fosse stato liberato un certo
soldato dell'HVO che era stato ferito e portato dall'Esercito
della Bosnia Erzegovina nell'ospedale di Jablanica. Non mi
credettero quando dissi che quel soldato non era stato fatto
prigioniero. Rimasi in quel carcere per 8 mesi. Continuavano a
picchiarmi ogni giorno, il più delle volte col calcio del
fucile, e mi prendevano anche a calci; dopo mi davano qualcosa da
mangiare, ma poiché il mio esofago era ferito, non
riuscivo a mandare giù niente; questo li faceva infuriare
ancora di più e così continuavano a torturarmi.
Solo dopo due mesi vennero a sapere che quel soldato era ancora
vivo e si trovava all'ospedale di Jablanica. Allora la mia
situazione migliorò un po'. Il 28.02.1994 fui trasferito
da Čapljina a Mostar, nel campo di concentramento Heliodrom,
dove fui infine liberato nel corso di uno scambio di
civili.
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 90/98.
27. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: "L'armata dell'HVO venne in casa mia e mi
ordinò di andarmene entro cinque minuti. Dovetti
consegnare le chiavi ai soldati. Fummo condotti a Buturovic Polje
con un autocarro".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 94/98.
28. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: "Fui cacciata dall'appartamento insieme alla mia
famiglia. Dovemmo consegnare una busta contenente le chiavi e il
nome del proprietario alla Polizia dell'HVO. Per otto ore, dalle
16.00 alle 24.00, gli inquilini musulmani furono tenuti in
arresto, per poi essere deportati in vari campi di
concentramento. Mio padre fu condotto nel lager di Gabela, dove
rimase per quasi sei mesi. Poi fummo cacciati verso il confine a
Vrda e da lì a Drežnica. Sul confine fummo tenuti
prigionieri per quattro ore; infine, un battaglione spagnolo
dell'UNPROFOR ci portò a Buturovic Polje nei pressi di
Jablanica. All'inizio non capivano cosa stesse succedendo e da
dove venissero tutte quelle persone. Tutti piangevano e
invocavano aiuto. I soldati dell'UNPROFOR fecero poi venire altri
automezzi da Jablanica, in modo da potervi portare tutti i
profughi".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 99/98.
29. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: "Io, i miei figli e mia suocera di 87 anni fummo
condotti nel centro di raccolta che si trovava nella fabbrica
"Lasta" a Čapljina. In quel posto si trovavano già
moltissime persone, per lo più donne, bambini e vecchi.
Non c'era abbastanza spazio e così sedevamo pigiati gli
uni contro gli altri. Ci sentivamo svenire, perché mancava
l'aria. I prigionieri venivano torturati dai soldati e dai
poliziotti dell'HVO che anche all'interno dell'edificio sparavano
all'impazzata. Verso l'una di notte fummo caricati su degli
autobus e portati al confine in direzione di Vrde. Di lì
fummo deportati a Drežnica".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 105/98.
30. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: "Con megafoni alcuni soldati dell'HVO
sollecitavano i Musulmani ad arrendersi. Noi ci arrendemmo per
salvare i nostri figli, perché avevamo già sentito
che le donne venivano stuprate e i prigionieri deportati verso
ignote destinazioni. Assieme ad altri vicini fui condotta subito
al centro di raccolta "Lasta" a Čapljina, dove c'erano
già circa 2.500 donne, bambini e vecchi di
nazionalità musulmana di Čapljina. La stessa notte
fummo caricati su autocarri e autobus e condotti sul confine a
Vrda. Immediatamente dopo il nostro arrivo cominciarono a sparare
addosso alle persone che stavano fuggendo e un bambino di sei
anni fu colpito a morte da un tiratore scelto. Tra i profughi
regnava il panico. Le due ore seguenti camminammo fino a Gornja,
dove fummo accolti dai soldati spagnoli dell'UNPROFOR, i quali,
dal momento che i soldati dell'HVO sparavano dalle loro
postazioni contro noi profughi, ci portarono fino al tunnel di
Grabovica".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n.112/98.
31. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: "Tutti gli abitanti (donne, uomini, bambini)
vennero caricati su autocarri e condotti davanti al silo, dove
noi uomini fummo separati dalle donne. Per tre giorni non
ricevemmo niente da mangiare, né da bere. Molti
prigionieri furono picchiati, torturati e deportati verso
destinazioni ignote. Passai circa dieci giorni nel Silo, poi mi
lasciarono andare a Sovici assieme ad altre 370 persone. Da
Sovici andammo poi a Jablanica. Nella regione di Čapljina
furono distrutte circa 20 moschee".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 118/98.
32. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Čapljina: "Fui fatto prigioniero in casa mia dai soldati dell'HVO e condotto subito al campo di concentramento di Gabela. Ci richiusero in hangar che andavano riempiendosi di giorno in giorno. In ogni hangar si trovavano circa 650 prigionieri e le condizioni erano catastrofiche. Non c'era quasi niente da mangiare (capitava spesso che restassimo senza cibo per tre giorni interi). I prigionieri venivano picchiati e torturati; erano costretti a vangare il terreno coperto di spine, procurandosi così delle ferite, che a causa della sporcizia nel campo si infettavano. Non esisteva alcuna misura di sicurezza. I detenuti dovevano cantare canzoni nazionaliste ed erano anche condotti ai lavori forzati, dove ricevevano del cibo un po' migliore, così molti si offrivano volontari per non morire di fame. I detenuti venivano sistematicamente trasferiti da un campo di concentramento all'altro. Così io giunsi a Ljubuški, dove c'erano altri 700 prigionieri di Žepce, Šeher, Tešanj ecc. Quando si venne a sapere che sarebbe arrivata la Croce Rossa, tutti i prigionieri furono rispediti a Gabela o trasferiti a Mostar e Heliodrom. Si voleva tener nascosta la verità sulla situazione nei campi di concentramento. A Ljubuški, a causa della mancanza di spazio, i prigionieri erano tenuti in un campo recintato, senza preoccuparsi minimamente delle condizioni atmosferiche. Una volta una delegazione di politici croati venne per vedere i prigionieri nei campi di concentramento. Uno dei capi del lager costrinse i prigionieri a salutare alla maniera ustascia. Negli hangar venivano ostruite tutte le fessure, affinché non penetrasse aria fresca nei locali; così molti detenuti svenivano. C'era pochissima acqua e i prigionieri, prima di poterne avere qualche goccia, venivano provocati e picchiati". Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 119/98.
33. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: "Mentre stavo tornando dal lavoro, soldati
dell'HVO mi fecero prigioniero e mi condussero nel campo di
concentramento di Gabela. Tutto questo solo perché ero di
nazionalità musulmana. Nel campo di concentramento io e
gli altri prigionieri patimmo sofferenze indicibili (fame,
maltrattamenti). Durante la mia permanenza, si trovavano nel
lager circa 700 detenuti. Dormivano sul pavimento di cemento.
Ricevevano da mangiare una pagnotta da dividersi tra 24 uomini.
Quando arrivò la Croce Rossa, per un breve periodo di
tempo potemmo lasciare il lager. In seguito le condizioni nel
campo di concentramento migliorarono un po'. Noi non venivamo
più torturati così spesso, perché si temeva
la Croce Rossa. I prigionieri erano spesso condotti ai lavori
forzati; dovevano scavare delle trincee. I sorveglianti del lager
provenivano per lo più da Konjic. Due di loro, in
particolare, picchiavano e torturavano spesso i prigionieri.
Vendevano ai detenuti anche del cibo, così che chi era
riuscito a mettere in salvo un po' di denaro dalle perquisizioni,
perse anche quello".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 126/98.
34. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: "Avevo 79 anni quando fui internato nel campo di
concentramento. Lì restai per sei giorni senza acqua,
né luce, né aria; mangiai solo una volta un po' di
cavolo. Svenivo spesso".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 128/98.
35. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina, detenuto nei campi di concentramento di Gabela e
Vitina: "Ero in un locale in cui erano stipati troppi
prigionieri; soffrivo la fame. Ognuno dei prigionieri non aveva
più di mezzo mq. di spazio. Era luglio, c'era un caldo
terribile e non avevamo acqua. Siccome andavamo di corpo in modo
irregolare, venivamo torturati fisicamente e psicologicamente.
Soffrivamo pensando alle nostre famiglie, perché non
sapevamo fino a quando saremmo rimasti in vita. Alcuni detenuti
furono condotti via e pestati; alcuni non tornarono
più".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 133/98.
36. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina: "Il 4. 7. 1993 dei membri dell'HVO mi condussero
nel campo di concentramento di Gabela. Mi ficcarono in uno dei
tre hangar militari che erano già zeppi di prigionieri.
Nell'hangar dove mi trovavo, c'erano almeno altri 650 detenuti:
si trattava esclusivamente di civili, tutti arrestati ed
internati solo perché erano di nazionalità
musulmana. Nell'hangar non c'era spazio per tutti i prigionieri,
così che alcuni stavano in piedi ed altri seduti. Mancava
l'aria e molti svenivano. Ci accorgevamo benissimo di tutte le
sconfitte sul campo di battaglia dei nostri aguzzini,
perché in quelle occasioni ostruivano anche gli ultimi
fori di aerazione per tormentarci. I prigionieri venivano
torturati, umiliati e insultati ogni giorno. Non c'era quasi
niente da mangiare. Quando arrivai nel lager pesavo 106 chili,
quando ne uscii solamente 78. A volte restavamo senza acqua
né cibo anche per quattro giorni. I bisogni corporali li
espletavamo in un vaso che si trovava nell'hangar. In quello
stesso posto poggiavamo poi anche il cibo. Un giorno, dopo che mi
trovavo già lì da un mese, ci chiamarono a raccolta
e ci condussero in una scuola nei pressi di Kocerin, dove
probabilmente volevano nasconderci. Anche lì ci
torturarono. Dopo un po' di tempo ci riunirono di nuovo e con
degli autobus ci portarono in un podere tra Ljubuški e
Vitina, chiamato Otaka. Lì si trovava un deposito di
attrezzi e tutt'intorno c'erano solo vigne. In quel campo si
trovavano già circa 400 prigionieri musulmani dei dintorni
di Žepce, Tešanj e Zenica. Siccome non c'era
più posto, io dormivo in una buca nel cemento. Nel lager
si svolgevano per lo più lavori agricoli. In seguito ci
riportarono però a Gabela. Gli altri prigionieri di
Žepce, Tešanj e Zenica furono deportati a Gornji
Vakuf, dove dovevano scavare trincee od erano usati come scudi
umani. Le torture continuarono anche dopo il nostro ritorno a
Gabela. Venivano picchiati in modo particolarmente brutale
prigionieri sospettati di aver militato nell'Esercito della
Bosnia Erzegovina. Con l'arrivo della Croce Rossa la situazione
migliorò un po'. I rappresentanti della Croce Rossa ci
promisero che avrebbero fatto di tutto per liberare i prigionieri
nei lager. Il 19.10.1993 io fui effettivamente liberato, e
lasciai il campo di concentramento di Gabela".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 136/98.
37. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Čapljina, prigioniero nel campo di concentramento di Gabela:
"Attorno a noi c'era solo cemento. I prigionieri erano moltissimi
e non c'era abbastanza spazio. Soffrivamo la fame e la sete ed
eravamo sottoposti ad una pesante pressione psicologica. Nel
lager non c'erano condizioni igieniche; mancavano le medicine e
non c'era nessun medico per curarci. A causa di quelle terribili
condizioni perdevo spesso conoscenza".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 140/98.
38. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Prozor: "Tutte le donne musulmane furono ammassate nella
cosiddetta casa comunale. Alcune giovani donne furono portate via
da alcuni soldati dell'HVO in uniforme nera. Non avevamo niente
da mangiare. Restammo prigioniere in quel posto per 50 giorni.
Poi fummo deportate a Jablanica".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 23/99.
39. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Prozor: "Fuggii nel bosco assieme ai miei vicini, perché i
soldati dell'HVO stavano già uccidendo altri nostri
compaesani. Rimasi nascosta nel bosco per tre mesi, resistendo a
tutte le intemperie. Ogni tanto sparavano verso il bosco, nel
quale si trovavano anche circa altri 70 miei vicini. Alla fine
fummo però catturati, e ci condussero in un luogo dove
c'erano già altri 7.000 civili musulmani".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 25/99.
40. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Prozor: "Avevo 84 anni quando dei soldati dell'HVO mi portarono
in carcere assieme ad altri abitanti del mio villaggio. Ci
picchiarono e ci torturarono. Io fui condotta due volte
all'esterno per essere fucilata, perché i miei due figli
militavano nell'Esercito della Bosnia Erzegovina".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 26/99.
41. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"I soldati dell'HVO diedero alle fiamme la mia casa e portarono
mio figlio nel campo di concentramento Heliodrom, dove fu tenuto
prigioniero per nove mesi. Dato che non avevo più un posto
dove stare, andai dall'altro mio figlio, ma anche lì mi
tormentarono ogni giorno, minacciando di cacciarmi, solo
perché ero musulmana. Ogni giorno vivevo nella paura del
successivo. Tutti i miei documenti andarono distrutti
nell'incendio della mia casa. A causa di queste sofferenze e per
la paura i miei nervi adesso sono molto scossi".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 28/99.
42. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Prozor: "I soldati dell'HVO mi cacciarono dalla mia casa natale,
che fu subito data alle fiamme. Fummo poi deportati nella
città di Prozor, dove eravamo tenuti agli arresti
domiciliari. Vivevamo continuamente nella paura. Venivano spesso
in questa casa e si portavano via dei mobili. Li ho visti con i
miei occhi condurre via una ragazza, della quale più tardi
venni a sapere che era stata violentata".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 29/99.
43. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"Siccome sono musulmano, il 15.07.1993 i soldati dell'HVO mi
arrestarono assieme ad altri uomini di Prozor e mi internarono
nel campo di concentramento situato nell'edificio della scuola
superiore di Prozor. Dopo soli due giorni, il 18.07.1993 tutti i
prigionieri furono chiamati per nome e condotti nel campo di
concentramento di Ljubuški. Lì prima ci separarono
dai prigionieri serbi che già si trovavano nel lager, poi,
in gruppi di 35 uomini ci assegnarono dei locali di 8 mq. Ogni
giorno ci portavano a scavare trincee in direzione del fronte
serbo, esponendoci così continuamente al pericolo di
morte: le nostre vite per loro non valevano niente. Dal gennaio
1993 la situazione a Prozor era peggiorata sempre più. Gli
abitanti venivano torturati ogni giorno dai soldati dell'HVO. In
città regnava l'anarchia assoluta. Gli abitanti
sopportavano queste orribili condizioni nella speranza che la
situazione sarebbe presto cambiata; volevano evitare i conflitti,
ma il 23.10.1993 questi scoppiarono comunque. Prima della caduta
definitiva di Prozor, gli abitanti musulmani venivano inviati di
continuo al fronte, in prima linea. I Musulmani dei villaggi
circostanti furono deportati nei campi di concentramento
già nel giugno del 1993, senza che noi ne sapessimo
niente. Il 09.07.1993 tutti i soldati dell'allora Esercito della
Bosnia Erzegovina furono arrestati e deportati nei campi di
concentramento. Nei lager i detenuti ricevevano solo una
scatoletta di pesce e una fetta di pane al giorno, da dividersi
tra quattro persone. La notte era per noi il momento peggiore. A
causa della mancanza di spazio, durante tutta la prigionia fui
costretto a dormire su una botte di cetrioli. Eravamo torturati e
tormentati ogni giorno; ci costringevano a stare tutto il giorno
in ginocchio sul pavimento di cemento rovente o a cantare
determinate canzoni; poi ci picchiavano. Alla fine di agosto fui
trasferito a Vrda, dove le torture continuarono. Lì
dovevamo costruire dei bunker per scopi militari. Poi mi
condussero nel campo di concentramento di Dretelj, dove ho patito
le peggiori sofferenze. Mi picchiavano con tutto quello che
avevano sotto mano, così che molto spesso perdevo i sensi
e non sapevo più dove mi trovavo. Un trattamento
particolarmente brutale era riservato ai soldati dell'Esercito di
Bosnia Erzegovina: molti di loro non sopportarono le percosse e
morirono per le ferite. Qualche volta mi picchiarono anche per 7
ore di seguito. A causa delle percosse ho perso tutti i denti e
la mia spina dorsale è danneggiata. Nel campo di
concentramento c'erano anche bambini dagli 11 anni in su: questi,
ogni volta che si veniva a sapere che sarebbe arrivata la Croce
Rossa, erano condotti a Čapljina e nascosti. Prima
dell'arrivo della Croce Rossa l'edificio del lager veniva
accuratamente ripulito, i prigionieri venivano disinfettati dai
pidocchi e potevano lavarsi. Si voleva così far apparire
che nel campo si svolgeva una 'vita normale'."
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 35/99.
44. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Prozor: "I soldati dell'HVO diedero alle fiamme la mia casa, mi
fecero prigioniera e mi condussero nel campo di concentramento di
Pogrodje, dove rimasi per 20 giorni. Ero terrorizzata,
perché sapevo che di notte alcune donne del vicinato erano
state prelevate dalle loro case e violentate. Dopo 20 giorni ci
caricarono su degli autocarri e ci deportarono a
Jablanica".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 37/99.
45. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"Dei soldati dell'HVO mi cacciarono dalla mia casa che subito
dopo fu data alle fiamme e completamente distrutta. In quanto
soldato della TO (Difesa Territoriale dei Musulmani, predecessore
dell'Esercito della Bosnia Erzegovina), fui catturato dall'HVO ed
internato nel lager della fabbrica "UNIS". Siccome nella TO ero
sabotatore, mi tormentarono in modo particolare (ero picchiato e
torturato ogni giorno, condotto a scavare trincee, usato come
scudo umano). Le condizioni di vita erano insopportabili. Ci
nascosero affinché la Croce Rossa non ci trovasse. Mio
padre fu assassinato dai soldati dell'HVO".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 38/99.
46. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"Solo perché appartengo al gruppo etnico musulmano, fui
catturato assieme ad altri uomini di Prozor dai soldati dell'HVO,
condotto nel carcere investigativo e infine internato
nell'edificio della scuola superiore di Prozor. Lì
venivamo interrogati ogni giorno e torturati in tutti i modi
immaginabili. A causa delle percosse (picchiavano usando tutto
quello che avevano a disposizione) ebbi tre costole fratturate e
in seguito ad un calcio alla mandibola, persi tutti i denti. Le
condizioni di vita erano terribili. In un locale di 20 mq erano
stipate fino a 60 persone. Dormivamo sul pavimento di cemento e
avevamo a disposizione solo una coperta. Il cibo era pessimo (una
scatoletta di carne al giorno da dividersi tra quattro
prigionieri). I prigionieri venivano condotti a Crni Vrh, dove
venivano impiegati come scudi umani; molti morirono. I detenuti
di solito erano picchiati con il calcio del fucile o con un
manganello, ed anche presi a calci. Io rimasi in quel campo di
concentramento fino al 23.10.1993 e infine fui trasferito a
Gabela. Nonostante i pestaggi continuassero, la situazione era
tutto sommato decisamente migliore, perché di tanto in
tanto arrivava la Croce Rossa. A Gabela ci piazzarono in quelli
che erano stati sei hangar militari. In ogni hangar erano
rinchiusi almeno 600 uomini. I prigionieri venivano per lo
più da Stolac, Čapljina, Glamoc, Prozor e tutti erano
di nazionalità musulmana".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n.44/99.
47. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"Fui fatto prigioniero dai soldati dell'HVO assieme ad altri 13
civili e portato nel campo di concentramento situato nella
fabbrica "UNIS", dove passai due mesi senza cibo, acqua,
condizioni igieniche ... senza alcunché. Non potevamo
lasciare il lager, venivamo picchiati ogni giorno - di solito con
badili o col calcio del fucile - e presi a calci. I prigionieri
venivano torturati in tutti i modi possibili e immaginabili. Da
questo campo di concentramento fui poi condotto in un altro lager
situato nell'edificio della scuola superiore di Prozor. Anche
lì venivamo picchiati e torturati tutti i giorni. Ci
conducevano ai lavori forzati; di solito dovevamo scavare trincee
e costruire capanne di argilla in prima linea al fronte. Dovevamo
fare tutto quello che ci ordinavano. Le condizioni di vita nel
lager erano terribili. Dormivamo sul pavimento di cemento senza
coperte; non c'erano servizi igienici, mancava il cibo e subivamo
continue torture. Oltre a noi nel lager c'erano prigionieri
provenienti da Prozor, Zenica, Travnik, Jajce, tutti Musulmani
che avevano lavorato in Croazia e che a causa dei conflitti
appena scoppiati erano tenuti lì come prigionieri e
ostaggi. In quel periodo nel campo di concentramento della scuola
superiore di Prozor si trovavano ancora 600 prigionieri di
nazionalità musulmana, provenienti per lo più da
Prozor e dintorni. Il 15.12.1993 fui trasferito nel campo di
concentramento Heliodrom assieme ad altri 200 prigionieri. Fummo
sistemati nell'edificio della scuola militare Heliodrom,
già stracolmo di detenuti, soprattutto donne e bambini di
Mostar. In ogni locale si trovavano dai 60 ai 70 prigionieri.
Dormivamo sul pavimento di cemento, uno sopra l'altro, "come
sardine", perché non c'era abbastanza spazio. Regnava una
grande paura, perché ogni giorno dei prigionieri erano
deportati verso destinazioni ignote. Io stesso fui condotto ai
lavori forzati a Ljubuški, Lištica ecc. Anche
lì i prigionieri venivano torturati e tormentati. Anche
quando la Croce Rossa cominciò il proprio lavoro, non
cambiò praticamente niente. Tutto quello che ricevevamo da
quelli della Croce Rossa, ci veniva tolto non appena se ne erano
andati".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 47/99.
48. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"I soldati dell'HVO costrinsero me e mia moglie a lasciare la mia
casa natale e ci cacciarono a Prozor, dove restammo per 22
giorni. A causa dei conflitti armati tra l'HVO e l'Esercito della
Bosnia Erzegovina dovemmo lasciare la città assieme agli
altri abitanti. In quel periodo mio figlio scomparve. Dal
15.11.1992 non ho più saputo niente di lui. I miei vicini
croati non mi hanno fatto niente di male; sono stato cacciato da
sconosciuti che venivano da fuori".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 50/99.
49. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Prozor: "I soldati dell'HVO mi cacciarono di casa e mi
rinchiusero in un'altra casa dove passai 21 giorni. Durante
quegli arresti domiciliari venivo tormentata ogni giorno. Infine
fummo caricati su degli autocarri e condotti al confine al
villaggio di Kucani; da lì dovemmo camminare per tre
giorni per arrivare al territorio libero di Jablanica".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 53/99.
50. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"Dopo la conquista del nostro villaggio, in 14 civili, ci
nascondemmo nei boschi per quattro mesi. L'8. agosto 1993 i
soldati dell'HVO riuscirono a catturarci e ci condussero nel
carcere investigativo nell'edificio della scuola superiore di
Prozor. In quel carcere fui torturato e pestato anche fino a 10
volte al giorno. Ero condotto ai lavori forzati, dove le torture
si ripetevano, e a volte erano anche peggio che in carcere.
Volevano che ammettessi di aver partecipato all'assassinio di
alcuni Croati a Doljani, cosa che però non era vera. Non
sono mai stato a Doljani in vita mia, ma loro non mi credevano.
Erano torturati e tormentati in particolare i soldati
dell'Esercito della Bosnia Erzegovina. Quando si veniva a sapere
che sarebbero arrivate le delegazioni della Croce Rossa, ci
portavano in altri luoghi per nascondere i crimini commessi
contro di noi. Nel campo di concentramento i prigionieri erano
picchiati con badili, picconi e manganelli. Le guardie del lager
ci picchiavano solitamente con sbarre di ferro e ci torturavano
con bruciature di sigarette sul corpo. Durante i lavori forzati,
un giorno dovetti riempire 800 sacchi di sabbia con le sole mani;
lo sforzo fu tale che ancora dopo molto tempo non riuscivo ad
usarle. Siccome ero un ufficiale di riserva dell'allora Esercito
Popolare Jugoslavo, minacciavano ogni giorno che non sarei uscito
vivo dal campo di concentramento; avevano infatti paura delle mie
conoscenze della terminologia militare e del fatto che in seguito
avrei forse potuto farne uso contro di loro. Tentai due volte la
fuga, ma inutilmente: fui raggiunto e catturato, col risultato
che poi mi picchiarono e mi torturarono ancora più
selvaggiamente. Il mio desiderio di libertà mi diede
però la forza per un altro tentativo che ebbe successo,
così dopo 7 mesi di prigionia raggiunsi il territorio
libero a Jablanica (tutto il percorso da Prozor a Jablanica lo
feci a piedi, ma ormai non mi importava praticamente più
di ciò che mi sarebbe potuto succedere)".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 55/99.
51. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"Assieme ad altri 50 amici fui usato come scudo umano sul monte
Crni Vrh. I soldati dell'HVO ci ammanettarono con dei cavi del
telefono e ci spinsero in prima linea. In quell'occasione persero
la vita 24 uomini".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 56/99.
52. N.N., donna, testimone di nazionalità musulmana di
Prozor: "Mi trovavo da mia nonna a Sovici, quando il villaggio fu
attaccato dai soldati dell'HVO. Assieme a tutte le donne ed i
bambini fummo deportate in un'altra località e rinchiuse
in alcune case dove restammo per 20 giorni. Poi ci cacciarono a
Vakuf. Nella città di Prozor la situazione era ancora
pacifica e così tornai dai miei genitori. 15 giorni dopo
scoppiarono gli scontri ed io fui nuovamente cacciata, questa
volta a Jablanica".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 58/99.
53. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"Il 1 luglio 1993 i militari dell'HVO mi fecero prigioniero e mi
condussero subito al centro di raccolta nell'edificio della
scuola superiore di Prozor. Immediatamente dopo mi deportarono
nel campo di concentramento di Dretelj, dove rimasi prigioniero
per due mesi. Ci picchiavano ogni giorno e ci lasciavano senza
cibo né acqua anche per 96 ore di seguito,
cosìcché eravamo costretti bere la nostra urina.
Oltre a me lo stesso giorno furono deportate a Dretelj altre 20
persone del mio villaggio. Quando si veniva a sapere che la Croce
Rossa avrebbe visitato il campo, i prigionieri vecchi e deboli
venivano nascosti in altri silos, di modo che i rappresentanti
della Croce Rossa non potessero vedere in quali condizioni si
trovavano. Alcuni giorni prima dell' annunciato arrivo della
Croce Rossa, il lager veniva ripulito, si costruivano dei servizi
igienici da campo, venivano aerati i locali per dare
l'impressione che tutto fosse a posto. Quando giungemmo al campo
di concentramento ci furono tolti tutti gli oggetti di valore, i
soldi, i gioielli e persino i vestiti. I prigionieri erano spesso
rinchiusi in un tunnel all'interno del lager, dove mancava la
luce e c'era solo poca aria".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 59/99.
54. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"In quanto soldato dell'HVO (ero Musulmano bosniaco), fui
deportato nel campo di concentramento di Dretelj assieme ad altri
19 Musulmani dai miei compagni croati dell'HVO. Eravamo i primi
prigionieri condotti in quel lager. Nelle ore seguenti, tutti e
sei gli hangar si riempirono di Musulmani provenienti da tutte le
zone della Bosnia Erzegovina. Uno dei gruppi più numerosi
proveniva da Blagaj. Arrivavano di continuo nuovi gruppi di
prigionieri: da Prozor, Stolac e Čapljina. Si sentivano
grida, invocazioni di aiuto, pianti. Come prima cosa ci tolsero
tutti gli oggetti contundenti (coltelli ecc.), poi, nei giorni
successivi, ci privarono anche dei soldi, gioielli e di qualsiasi
altro oggetto di valore in nostro possesso. Nel campo di
concentramento v'erano detenuti dai 14 anni in su. Nel hangar in
cui mi trovavo io, c'erano altri 350 prigionieri. Negli altri
hangar erano anche molti di più; a volte - a prescindere
dalla la situazione sul campo di battaglia - vi venivano stipati
dai 700 agli 800 prigionieri. Ognuna delle loro sconfitte
significava per noi percosse, torture e sofferenze indicibili. A
causa delle percosse ebbi tre costole fratturate: un soldato
dell'HVO prima mi aveva preso a pugni fino a farmi stramazzare a
terra, e poi mi aveva preso a calci sulle costole fino a
fratturarle. Dormivo sul pavimento di cemento e avevo solo una
sottile coperta. Il cibo era pessimo. Prima di essere catturato
pesavo 85 kg, quando fui rilasciato solamente 47. I 750 detenuti
avevano a disposizione solo 7 minuti per mangiare. Di solito il
cibo consisteva in un po' di acqua bollente con un po' di sale o
grasso. Essendo tale brodaglia bollente, non si riusciva a
trangugiarla tutta in quel breve tempo e così di solito si
doveva tornare affamati negli hangar".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 60/99.
55. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"Fui fatto prigioniero dai soldati dell'HVO e condotto
direttamente al campo di concentramento di Dretelj. Già al
mio arrivo fui picchiato con un manganello. Ci lasciarono subito
senza acqua né cibo per tre giorni. Ero torturato ogni
giorno, psicologicamente e fisicamente. I detenuti venivano
insultati con esclamazioni nazionalistiche; ogni giorno alcuni
venivano condotti via e uccisi. Ho visto con i miei occhi come
durante un'esecuzione con un solo colpo furono uccisi tre
prigionieri contemporaneamente. Le condizioni nel campo di
concentramento erano veramente pessime. Eravamo costretti a
nascondere dell'acqua nei nostri stivali e a bere la nostra
urina. A intervalli regolari ci nascondevano in altri silos,
affinché la Croce Rossa non ci trovasse e non ci
registrasse. In questo modo si voleva nascondere la situazione
nei campi di concentramento. Era come se fossimo già
morti, perché quelli della Croce Rossa non potevano
neanche immaginarsi che qualcuno potesse sopravvivere a
quell'inferno".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 64/99.
56. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"I soldati e i poliziotti dell'HVO mi arrestarono e mi condussero
nel campo di concentramento di Dretelj, dove mi pestarono e mi
torturarono. Eravamo affamati e avevamo paura. Nel luglio 1993
fui condotto a Korcula (Curzola) in Croazia e da lì sono
poi emigrato in Danimarca".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 67/99.
57. N.N., testimone di nazionalità musulmana di Prozor:
"Fui arrestato assieme a 13 compagni dai soldati dell'HVO e
condotto direttamente nell'edificio della fabbrica "UNIS".
Cominciarono subito con le percosse e le torture psicologiche.
Dopo un mese di internamento in quel campo di concentramento fui
condotto in un altro lager, situato nell'edificio della scuola
superiore di Prozor dove si trovavano già altri 360
prigionieri musulmani. Anche lì i prigionieri venivano
picchiati e torturati. Molti furono condotti via e non tornarono
mai più. Eravamo costretti a scavare trincee per i soldati
dell'HVO, rischiando la nostra vita. Mi picchiavano soprattutto
con il manganello e mi prendevano a calci in tutto il corpo;
farlo li divertiva. Le condizioni nel campo di concentramento
erano terribili. C'erano un unico water e un unico rubinetto. Era
impossibile soddisfare i più elementari bisogni umani.
Dormivamo sul pavimento di cemento, senza coperte e non
ricevevamo quasi niente da mangiare; quando c'era del cibo,
questo non bastava lontanamente per tutti quanti noi. La
situazione nel campo di concentramento cambiava continuamente,
perché di solito i detenuti venivano deportati in altri
lager come Dretelj, Gabela, Ljubuški. Nel lager, oltre a
persone di Prozor, c'erano anche civili provenienti da Zenica,
Dubrovnik (Ragusa), Jajce, i quali per caso si erano venuti a
trovare in quella zona e che, quando erano scoppiati i conflitti,
erano stati arrestati a causa della loro appartenenza etnica.
Dopo molto tempo, da Prozor fui condotto nel campo di
concentramento Heliodrom, dove fui subito registrato e liberato
dalla Croce Rossa. Dopo tre giorni di cammino arrivai a
Jablanica, dove finalmente ero di nuovo libero. Quand'erano
arrestati, i prigionieri venivano privati di tutti gli oggetti di
valore come i soldi e i gioielli".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 68/99.
58. N.N., testimone di nazionalità serba di
Tomislavgrad: "Quando scoppiò la guerra in Croazia, mi
trovavo dai miei genitori a Lapari e lì ricevetti l'ordine
di marciare su Vukovar. Siccome non volevo combattere, andai con
mia moglie a Tomislavgrad dove vivevano i miei suoceri, ma non
passai inosservato. Il 25.05.1992 venne la polizia e chiese alla
famiglia di mia moglie: "Qui vive un Serbo?" Allora io mi feci
avanti e dissi che ero la persona che stavano cercando. Mi
portarono alla stazione di Polizia per interrogarmi e mi tennero
lì fino al giorno seguente. Con una macchina della polizia
due poliziotti mi condussero poi al campo di concentramento di
Ljubuški. Quel lager originariamente era stato una vecchia
prigione con un cortile chiuso in cui c'erano 13 celle. In ogni
cella erano rinchiuse almeno 15 persone. Fui sottoposto ad un
interrogatorio con torture. Volevano che confessassi e firmassi i
documenti per divorziare da mia moglie che è di fede
musulmana. Ero in una cella singola - la n. 5 - dove dovetti
subire le torture più crudeli. Ne elencherò alcune:
mi infilarono un sacco di plastica sulla testa (perché non
li riconoscessi), mi fecero girare verso il muro e mi picchiarono
sulla schiena con dei cavi. Poi la mia schiena era tutta nera e
non riuscivo né a stare seduto, né a stare
sdraiato. Due settimane dopo fui trasferito nella cella n. 8.
Insieme ad altri prigionieri, per lo più civili di
nazionalità serba, ero condotto ai lavori forzati a
Čapljina. Dovevamo sminare delle caserme militari. Di sera
tornavamo nel campo di concentramento dove venivamo nuovamente
torturati. Dopo 57 giorni fui trasferito nel lager di
Tomislavgrad. Si trattava di un campo di concentramento
improvvisato nei locali di quello che una volta era stato il
ginnasio, dove si trovavano detenuti già dai 60 ai 70
civili serbi. Un modo di tortura particolare consisteva nella
disidratazione (privazione di acqua). Ci fecero restare senza
acqua dal 28 maggio fino a metà luglio, nel pieno della
calura estiva. In quel periodo dimagrii di 27 chili. Ho visto con
i miei occhi come furono assassinati diversi prigionieri.
Più tardi nel campo di concentramento furono portati anche
i Musulmani. Questi ultimi erano torturati in modo
particolarmente brutale. Nel periodo in cui fui internato in quel
lager, furono uccisi almeno 100 detenuti. Il lager si riempiva
continuamente di nuovi prigionieri, provenienti da Mostar,
Čapljina e altre zone della Herceg-Bosna. Dopo essere
rimasto per quattro mesi nel campo di concentramento di
Tomislavgrad, fui registrato. Per tutto quel tempo il Governo
aveva negato l'esistenza di campi di concentramento in
Herceg-Bosna. La visita di Tadeusz Mazowiecki aveva poi portato
alla luce l'esistenza del lager di Tomislavgrad. Tadeusz
Mazowiecki arrivò con un interprete e ci chiese come
venivamo trattati e se eravamo civili o soldati. Io ero l'unico
disertore serbo, gli altri erano abitanti della città e
avevano dai 18 ai 60 anni. Non avevamo il coraggio di parlare
delle torture che subivamo nel lager, per paura delle possibili
conseguenze".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 145/98.
59. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Trebinje: "La prima accusa che mi rivolsero era che solo i
Musulmani erano stati informati dell'attacco con le granate che
sarebbe stato sferrato il giorno seguente, ma non i Serbi. Io
avevo saputo dell'attacco casualmente parlando coi giornalisti di
Radio Trebinje, dove avevo lavorato. La seconda accusa era che
avevo una trasmittente e che informavo i Croati sulle zone
strategicamente importanti della città. Naturalmente negai
entrambe le accuse, aspettandomi che mi avrebbero creduto e che
sarei stato liberato; ma con mia grande sorpresa mi condussero
giù per le scale nello scantinato. Lì c'era un
gruppo di cosiddetti poliziotti che cominciarono immediatamente
ad insultarmi e a picchiarmi. Secondo quello che mi ricordo,
c'erano 8 o 9 uomini. Mi presero a calci, mi picchiarono con i
pugni, con il calcio del fucile e persino con delle stampelle.
M'insultavano talmente tanto e in modo così pesante, che
quegli insulti erano più duri da sopportare delle
percosse. C'era sangue dappertutto. La cosa peggiore però
era che dovevo deglutirlo, perché mi avevano detto che se
il mio sangue fosse caduto a terra, lo avrei dovuto leccare. Mi
pestarono per tre ore; poi mi portarono a casa. Mi intimarono di
non parlare con nessuno dell'accaduto e di non contattare nessun
medico, ma la mia vicina di casa, una donna serba, si
spaventò talmente tanto nel vedermi che chiamò
subito il medico di guardia il quale mi ricoverò in
ospedale. Un mese dopo i poliziotti vennero di nuovo alla mia
porta, perquisirono la mia casa e mi condussero nello scantinato
della scuola elementare. Lì mi fecero vestire un'uniforme
dell'Esercito e mi spedirono al fronte".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 115/99.
60. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Trebinje: "Quando mi trovai di nuovo nella prima scuola
elementare, notai che c'era qualcosa di diverso dal solito e
capii che mi sarebbe successo qualcosa di terribile. Mi portarono
nello scantinato della scuola. Dovetti sedermi su una panca. Vidi
subito le macchie di sangue e sentii l'odore stantio. Avevo
già sentito che in quell'edificio erano state torturate
molte persone. Cominciai ad avere paura. In quel momento qualcuno
mi sferrò un calcio all'altezza degli occhi così
potente, che io pensai che il mio occhio fosse fuoriuscito. Poi
cominciò il vero terrore: vennero altri cinque uomini e
cominciarono a prendermi a calci e a picchiarmi con manganelli e
con un'asse di legno lunga un metro e mezzo. Ero ammanettato, per
terra in ginocchio. Non sapevo più con che cosa mi
stessero percuotendo. Le mie grida si potevano sentire fin fuori
sulla strada principale Titova ulica. Mi chiesero dove si
trovasse l'ustascia Ćatovic. Pensai che si stessero
riferendo al mio giovane cognato che si stava nascondendo a causa
della mobilitazione. Dissi che si trovava al fronte, al che loro
mi riposero che sapevano molto bene dove fosse e che io e mia
sorella eravamo dei bugiardi. Poi mi dissero che io ero stato a
Dubrovnik (Ragusa) al funerale dell'ustascia
Ćatovic. Solo allora capii che si riferivano ad un
mio conoscente - un ingegnere della società in cui
lavoravo. Immediatamente prime della guerra il nostro collega si
trasferì a Dubrovnik (Ragusa) a lavorare nella fabbrica di
armamenti "TUP". Non si se esattamente che cosa gli sia successo;
si diceva (per lo più lo dicevano gli estremisti serbi)
che avesse costruito una bomba e che fosse morto nel collaudarla.
Tutti i suoi colleghi, a prescindere dalla loro
nazionalità, erano andati al suo funerale a Dubrovnik
(Ragusa). Continuarono a picchiarmi al punto che persi
conoscenza; mi trascinarono in uno dei bagni al primo piano dove
mi spruzzarono addosso dell'acqua. Non appena ebbi ripreso i
sensi, mi riportarono nello scantinato e continuarono a
torturarmi e a pestarmi. Più tardi fui anche interrogato.
Fu dato l'ordine di condurmi alla stazione di polizia e di
rinchiudermi nella quarta cella. Mentre mi torturavano, parlavano
di massacrarci tutti; dissero che il Trebišnjica, un monte
nei pressi di Trebinje, sarebbe stato inondato di sangue, che la
città vecchia - così come tutto il resto -
apparteneva a loro e che non vi sarebbe mai potuta essere una
convivenza fra i due gruppi etnici".
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 118/99.
61. N.N., testimone di nazionalità musulmana di
Trebinje, mobilitato a forza dall'Esercito Jugoslavo, spedito al
fronte croato e fatto prigioniero dai Croati: "Da pochi metri di
distanza mi ordinarono di sdraiarmi per terra a pancia in
giù. Il primo mi pestò col piede sulla schiena e mi
premette il calcio del fucile contro la nuca; un altro mi
ammanettò. Quando, guardando i miei documenti, videro che
ero Musulmano, cominciarono a bestemmiare e a prendermi a calci.
Dicevano: "Musulmano" e "cetnico"! Mi ordinarono di alzarmi e di
correre verso la macchina con cui erano arrivati; aprirono il
bagagliaio e mi ordinarono di entrarci. Io tentai, ma era molto
difficile perché avevo le mani legate. Allora mi ficcarono
dentro a calci. Il tragitto non fu lungo, ma sentivo che stavo
lentamente perdendo conoscenza, probabilmente per via dei colpi
che mi avevano inferto col calcio del fucile. Mi condussero di
fronte ad un edificio tenendosi molto vicini alla porta
d'ingresso affinché non potessi riconoscere in che zona
della città ci trovavamo. Io conoscevo molto bene
Dubrovnik e capii subito che eravamo alla stazione di Polizia
vicino all'hotel "Petko". Quando entrammo, notai che nel
corridoio c'erano molte persone in uniforme. Mentre passavo,
tutti cercavano di afferrarmi per picchiarmi. Alcuni ci
riuscirono, ma non tutti perché quelli che mi avevano
portato lì mi calciavano innanzi a loro lungo il
corridoio. All'inizio delle scale incontrammo il loro capo.
Suppongo si trattasse del loro capo, perché più
tardi mi interrogò anche lui. Stava giusto recandosi da
qualche parte e disse: "Ecco un altro cetnico!" Risposi che non
ero cetnico, al che subito mi picchiò. Se quelli che mi
conducevano non mi avessero tenuto, sarei caduto per terra.
L'ufficio del capo era occupato e così dovetti aspettare
in corridoio. Intorno a me si raccolse una massa di persone;
tutti volevano picchiare il presunto cetnico. Uno di loro mi
colpì così violentemente al plesso solare che non
riuscii più a respirare e persi i sensi. Quando rinvenni
ero completamente bagnato perché mi avevano gettato
addosso dell'acqua. C'era anche il capo. Io ero seduto sulla
stessa panca sulla quale ero svenuto. Iniziò
l'interrogatorio. Il capo cominciò con delle domande sulla
mia persona alle quali risposi. Gli dissi che ero musulmano; lui
sostenne che stavo mentendo, perché sul mio documento
militare c'era scritto che ero serbo. Avevo quel documento
perché dal 1963 al 1965 avevo svolto il servizio militare
a Cuprica in Serbia. Dissi nuovamente che ero musulmano, al che
mi sferrò un pugno così violento al viso, che
sputai un dente. Mi ricordai che nel portafoglio tenevo un
"talismano" (della fede islamica, n. d. t.), così dissi
che controllassero e si accertassero di quello che stavo dicendo.
Prese il mio portafoglio, ne estrasse il "talismano" e mi chiese
cosa fosse. Io glielo spiegai e lui mi disse: "Se non ti salva
questo, allora non c'è nient'altro che ti potrà
salvare". Raccontai loro tutto ciò che era successo, ma
non volevano credere che fossi stato al fronte solo per un tempo
così breve, perché la suola dei miei stivali di
dotazione dell'Esercito si era completamente consumata e rotta.
Spiegai che ciò era successo perché per tutta la
notte avevo camminato su sassi e rocce. Mi tolsero più
volte gli stivali, per controllare che non appartenessero a
qualche soldato croato ucciso. La pelle degli stivali era ancora
completamente nuova. Poi mi dissero che avevo due alternative: o
deporre davanti ad una telecamera, dicendo quello che volevano
sentire o farmi uccidere. Dissi che avrei deposto davanti alla
telecamera, cosa che li stupì molto. Smisero di
picchiarmi, mi caricarono nuovamente nel bagagliaio di una
macchina e dopo un tragitto di circa 15 minuti mi portarono in
altri locali della Polizia civile. Fui di nuovo interrogato e
picchiato. Poi il poliziotto che mi conduceva reagì in
modo molto strano: mi ricordo che mi disse che non riusciva a
credere che io, che ero originario di Lastive, facessi parte dei
cetnici; era come se sapesse tutto. Per impedire ulteriori
percosse, ad un certo punto estrasse il suo coltello e
puntandomelo alla gola disse agli altri: "Basta per oggi. Io l'ho
portato qui, e sarò io ad ucciderlo; voi occupatevi delle
vostre faccende". Io mi spaventai molto. Infine mi fotografarono,
mi presero le impronte digitali e i due poliziotti che mi avevano
condotto lì mi portarono in prigione. Mi consegnarono alle
guardie carcerarie che mi rinchiusero in una cella di sei mq con
un letto, un catino per wc e un lavandino. La cella non aveva
finestre e così non sapevo quando era giorno e quando
notte. A causa dei dolori alla schiena e altri dolori, per una
settimana non riuscii a stare seduto e a mangiare, ma potevo
sdraiarmi sul letto solo quand'era ora di dormire.
Dopo due giorni di reclusione mi portarono in tribunale, dove fui
dichiarato nemico dello Stato della Croazia (posseggo ancora la
sentenza). Sette giorni dopo vennero dei giornalisti che volevano
intervistarmi. Rimasto solo con il cameraman e la giornalista,
dissi loro: "Se succede qualcosa alla mia famiglia a Trebinje, a
mia moglie, ai miei figli o al mio anziano padre, voi potete
considerarvi i loro assassini". Mi chiesero spiegazioni ed io
dissi loro che se fossi comparso in televisione alla HTV
(Televisione Croata), il governo cittadino di Trebinje mi avrebbe
considerato una spia e si sarebbe vendicato sulla mia famiglia.
Quelli della tv furono molto comprensivi, si limitarono a farmi
una foto e promisero che non avrebbero pubblicato la mia
immagine, né altri dati personali. In cella avevo molto
tempo per pensare agli avvenimenti passati e capii che l'uomo che
mi aveva puntato il coltello alla gola non era mio nemico, ma
che, anzi, mi aveva salvato la vita. Più tardi venni a
sapere che anche lui era Musulmano. Il periodo in prigione fu
difficile. I secondini mi provocavano e mi maltrattavano
continuamente. Quindici giorni dopo arrivarono quelli della Croce
Rossa e mi registrarono. Quando chiesi che cosa significasse
quella procedura, una donna mi rispose nella nostra lingua che
così avevo maggiori possibilità di sopravvivere.
Ero stato fatto prigioniero il 5.7.1992; lo scambio ebbe luogo il
14.8.1992 a Nemetin presso Osijek.
Documentazione dell'APM - Bosnia Erzegovina, n. 124/99.
62. Testimonianza di una donna di Nevesinje: "Credetemi, la
cosa più difficile è parlare del mio dolore, della
tragedia, di quello che avevo e che ho perso. Se vi state
chiedendo cosa sia, ve lo dico subito: mio marito, la mia
bambina, che non aveva neppure dieci mesi quando i criminali me
la strapparono dalle braccia, e il mio bambino di quattro anni.
La nostra sola colpa erano la nostra appartenenza etnica e la
nostra religione. I Serbi questo me lo dissero apertamente con
queste testuali parole: "Taci, balinko (espressione
spregiativa/offensiva per indicare le donne musulmane), smettila
di fare domande. Sei colpevole perché sei musulmana!"
Assieme a me, mio marito e i nostri figlioletti, furono arrestati
altri 75 civili di Nevesinje, di cui venti erano bambini. Il
più giovane era un neonato di appena sette giorni che non
aveva ancora nome. Separarono subito gli uomini dalle donne e li
deportarono verso una destinazione ignota. In quell'occasione
vidi mio marito per l'ultima volta. Noi donne e bambini fummo
portati nella fabbrica di pentole in disuso di Nevesinje, dove
restammo per quattro giorni senza cibo né acqua,
praticamente senza nulla. Ci trattavano come animali che dovevano
essere abbattuti e macellati, sterminati per sempre. È
stato terribile. Vedevo i miei bambini morire di fame e non
potevo fare niente. Mio figlio mi chiese un po' di acqua,
guardandomi con i suoi grandi occhioni neri, pieno di speranza
che potessi esaudire il suo desiderio. Ma io non potevo aiutarlo.
Lo guardai in silenzio e piansi. Se avessi potuto, avrei dato la
mia vita, le mie lacrime per lui al posto dell'acqua. Ero
totalmente impotente; soffrivo fino alla disperazione; mi
sembrava di impazzire. Ed è proprio questo che mi fa
soffrire di più e che non riuscirò mai a
perdonarmi: non aver potuto fare niente. La mia figlioletta
piangeva fra le mie braccia, affamata e assetata. Era ancora
così piccola, non era in grado di chiedere né di
dire niente. Io supplicavo Dio di farmi morire in quell'istante,
per no dover vivere quello strazio. In quel momento la morte
sarebbe stata una liberazione. Ma come potete vedere, non ci si
può costringere a morire, ma ci si può, invece,
costringere a vivere. Dio voleva che vivessi, ed io vivo; come,
questo lo so solo io.
Dopo tutto questo ringrazio Dio, non perché mi ha lasciato
in vita, ma perché mi dato la forza di sopportare, di
vincere me stessa. La cosa più difficile, infatti,
è dover lottare giorno per giorno contro se stessi, contro
il proprio dolore, la propria vita, i ricordi, le immagini del
passato. Il momento più difficile [duro] è al
mattino, quando mi sveglio; quando mi accorgo che sono sola,
triste, vuota, senza i miei cari, e capisco che dovrò
affrontare anche questo giorno che non mi porterà niente
di bello, niente per cui valga la pena di vivere. So che quello
che è successo è successo; niente cambierà o
tornerà indietro. So che devo vivere senza le persone che
amo di più. Ma se Dio mi ha lasciata in vita, devo trovare
tutta la forza per vivere con questo dolore. E non solo io, ma
tutte le madri che hanno perso i propri figli; tutte le mogli che
hanno perso il proprio marito; tutte le donne che, come me, sono
sopravvissute all'inferno del campo di concentramento.
Cos'è un campo di concentramento? Questo lo sanno solo
quelli che ci sono passati, che hanno vissuto sulla propria pelle
tutti gli orrori dell'odio criminale, le torture psicologiche e
fisiche. Io ho visto la morte in faccia, l'ho guardata con
disprezzo, non perché sono così coraggiosa, ma
perché ho perso tutto in una volta sola. È
difficile perdere qualcosa, ma la cosa più difficile in
assoluto è perdere i propri figli e la propria
dignità, perché allora non si esiste più
come essere umano. Chi sono io senza la mia dignità? Che
essere umano è quello che non ha più
dignità? Secondo me è solo un'entità senza
volto, rivestita di misere sembianze umane. Per questo disprezzo
e sfido la morte, che, per mia sfortuna, non mi volle, mi
allontanò da sé. Non mi rimaneva nient'altro che
vivere; e la vita per me è un fiume nero che devo
attraversare. Non possiamo perdonare nessuna morte, nessuna
sofferenza, nessun'umiliazione; e non dobbiamo nemmeno
dimenticare. Parlando di me, delle mie sofferenze, parlo a nome
di tutte le donne, mogli, sorelle, che hanno dovuto accettare la
morte dei loro figli, mariti, fratelli. Abbiamo perso tutte le
battaglie, ma stiamo ancora combattendo; non ci siamo ancora
arresi. Ci siamo ancora, a dispetto di tutti quelli che non ci
volevano qui, che volevano piegarci e sterminarci. Alziamoci
dalla polvere, ergiamoci al di sopra del dolore, siamo forti,
viviamo per i nostri figli, figlie e mariti defunti,
perché finché noi viviamo, vivranno anche loro.
Dobbiamo essere caldi come il nostro amato sole dell'Erzegovina,
che scalda noi e le tombe dei nostri figli; ma dobbiamo anche
essere forti, duri e indistruttibili come la nostra roccia
dell'Erzegovina. Dobbiamo continuare a vivere per i nostri figli,
perché se continuiamo a vivere, continueranno a vivere
anche loro. Dobbiamo continuare a vivere anche per i nostri
nemici che ci volevano distruggere. Dobbiamo trovare la forza di
guardarli in faccia con disprezzo e sfida. Ancora non ci siamo
arresi; esistiamo ancora. Non fraintendetemi, non sto incitando
nessuno all'odio; vi devo però dire che noi non dobbiamo
dimenticare quello che è accaduto. Se ce ne dimentichiamo,
siamo perduti. Viviamo con dignità e non
dimentichiamo".
Documentazione dell'APM -.Bosnia Erzegovina, n. 164/98.
APPENDICE
Ivan Lovrenovic, scrittore: "Sul metodo di spartizione
politica dello Stato della Bosnia" .: su
:.
"Per quanto concerne la Bosnia, Tudjman ha già manifestato
spesso pubblicamente la sua opinione riguardante l'obiettivo e la
soluzione ideale, nel modo più preciso e brutale lo ha
fatto a Capodanno 1991-92, quando in Croazia è stato
firmato un trattato di pace e la guerra in Bosnia stava
diventando sempre più probabile e inarrestabile. È
nell'interesse croato risolvere questo problema [la questione] in
modo naturale, così com'è già stata risolta
la questione della Banovina1. In questo senso si potrebbe
mantenere una parte del piccolo Stato della Bosnia in cui i
Musulmani siano la maggioranza degli abitanti. Questo Stato
potrebbe fungere da cuscinetto tra la Croazia e la Serbia.
Così allo stesso tempo scomparirebbe la struttura
coloniale della Bosnia Erzegovina. (Discorso di Capodanno di
Tudjman ai giornalisti, citato da "Slobodna Dalmacija" - giornale
croato, il 31.12.1991 e il 01.01.1992.
L'interesse croato così definito andava di pari passo
con due obiettivi primari:
1. il trasferimento della popolazione (per il quale fu inventato
il grottesco eufemismo "trasferimento umano"), secondo un
principio di organizzazione etnico-territoriale.
2. la sparizione dello Stato della Bosnia Erzegovina dalle mappe
geopolitiche.
Se si è però a conoscenza di quanto fossero
numerosi i Croati (560.000 Croati solo in Bosnia, senza contare
l'Erzegovina) e di quanto sparsi essi vivessero nelle loro
storiche zone di insediamento (fatalmente legati e interconnessi
con gli altri, soprattutto con i Musulmani bosniaci nelle
più antiche comunità della Bosnia centrale, della
Posavina), ci si avvede che il loro reale interesse è
fatalmente legato al mantenimento dello Stato della Bosnia
Erzegovina. Ne consegue che questa interpretazione dell'interesse
croato data dall'HDZ e da Tudjman, non poteva realizzarsi senza
lo sterminio programmato dei Musulmani bosniaci e quindi senza il
sanguinoso conflitto con gli stessi. Per nascondere l'inganno
l'HDZ della Bosnia Erzegovina ha assunto il compito, usando il
duro apparato ideologico-propagandistico di Tudjman, di far
apparire questo progetto una battaglia per la sopravvivenza ed il
mantenimento dei territori croati in Bosnia Erzegovina, e per
convincere le persone che era nel loro interesse che esse
scomparissero!
Tutto questo si può ricostruire - anche senza una
dettagliata cronologia e descrizione dei procedimenti
consapevolmente orchestrati e del protrarsi delle
malvagità (il che richiederebbe uno studio apposito) -
sulla base di alcuni inequivocabili fatti: la programmazione a
tavolino della divisione dello Stato della Bosnia Erzegovina
(soprattutto nel periodo precedente l'accordo di Washington),
l'allontanamento di tutti i politici dell'HDZ dalle istituzioni
di governo a Sarajevo (furono rabbiosamente rinnegati tutti i
Croati non appartenenti all'HDZ che mantenevano una parvenza di
legalità in Bosnia Erzegovina); la continua
"islamizzazione" dello Stato e del governo della Bosnia
Erzegovina, al contempo denunciati come islamici e quindi come
fondamentalisti; la programmata fomentazione dell'avversione e
dell'odio contro i Musulmani bosniaci (vedi, per quanto riguarda
la stampa, la rivista croata filo-regime, nel periodo dal 1993 al
1994) ed infine la creazione della "Herceg-Bosna" quale "Stato
croato" con vuote promesse da parte della Croazia alla
popolazione dell'Erzegovina.
Quale dei suoi obiettivi bellici è veramente riuscita a
realizzare l'HDZ della Bosnia Erzegovina? Detto brutalmente: meno
di quelli dell'SDS. Lo Stato della Bosnia Erzegovina non è
scomparso, mentre è stata invece istituita ad acta la
"Repubblica di Herceg-Bosna". Si è comunque riusciti a far
sì che oggi in Bosnia vivano così pochi Croati come
non mai. E per alcune migliaia di sfortunati, che tra la Slovenia
e la Nuova Zelanda non hanno trovato una soluzione migliore per
il loro esilio, è stata creata una nuova "zona croata"
nelle lande desolate di Glamoc, Grahovo e Drvar".
Erasmus (giornale croato di Zagabria), ottobre 1996
Stipe Mesic, ex presidente della Dieta locale e
vicepresidente del partito HNS, attuale Presidente della Croazia:
"Il fallimento della politica di Tudjman" .:
su :.
"Quando una politica fallisce, e la politica di Tudjman ha subito
un collasso sia dall'esterno che dall'interno, qualcuno deve
togliere le castagne dal fuoco. Ora, anche se Tudjman questo lo
sta facendo, egli non vuole però rinunciare alla Bosnia
Erzegovina e non abbandona l'idea di dividerla! Si vede
chiaramente come si tenti di tutto per ottenere la vittoria
dell'HDZ e dividere così la Bosnia. Allo stesso modo
agisce anche Miloševic, solo che questi ha cambiato i suoi
giocatori: la signora Plavšic e Krajišnik al posto
di Mladic e Karadžic. Neppure lui vuole rinunciare alla
Bosnia Erzegovina. Per quanto riguarda i Croati, questo ruolo lo
ebbe per un certo periodo Boban, poi fu la volta di Kordic e di
molti altri ancora, ma l'obiettivo della divisione della Bosnia
Erzegovina continua ad essere perseguito in modo imperterrito.
Stiamo parlando di una Bosnia Erzegovina unita, ma gli
onniscienti consiglieri di Tudjman sostengono che la Herceg-Bosna
non sia stata sciolta, ma che, anzi, sia stata allargata; in
altre parole, si esprimono così: prendiamo qualcosa in
più rispetto a quanto avevamo originariamente
programmato".
Nedjeljina Dalmacija -giornale croato, 06.09.1996.
Warren Zimmermann, ex ambasciatore degli Stati Uniti a
Belgrado: "Rimasi scioccato dalle dichiarazioni di Tudjman"
.: su :.
"Purtroppo la passività degli Stati Uniti coincise con la
crescente pressione sulla Bosnia Erzegovina. Né
Miloševic, né Tudjman fecero niente per nascondere
le loro intenzioni riguardo alla Bosnia. Trattandosi di un luogo
in cui per secoli Serbi, Croati e Musulmani avevano più o
meno convissuto, la Bosnia rappresentava un'offesa - e al
contempo una sfida - per quelle due potenze etniche. Al termine
di una lunga riunione comune, Tudjman, in mia presenza, si
lasciò andare ad una serie d'insulti nei confronti di
Izetbegovic e dei Musulmani. "Sono dei pericolosi
fondamentalisti", li accusava, "... ed usano la Bosnia come base
per diffondere la loro ideologia in Europa e persino negli Stati
Uniti. Gli Stati civilizzati devono unirsi per eliminare questa
minaccia dalla faccia della terra. La Bosnia non è mai
veramente esistita come Stato; dev'essere spartita fra la Serbia
e la Croazia". Rimasi ammutolito di fronte a questo sfogo. Avevo
l'impressione che i consiglieri di Tudjman fossero tanto
esterrefatti quanto me. Alquanto agitato chiesi: "Signor
Presidente, come può aspettarsi che l'Occidente l'aiuti a
riottenere i territori della Croazia conquistati dai Serbi,
quando Lei stesso manifesta tali palesi e infondate ambizioni nei
confronti del suo Stato vicino?" Non rispose. Aggiunsi: "Come
può aspettarsi che Miloševic rispetti l'accordo che
avete raggiunto sulla spartizione della Bosnia, quando allo
stesso tempo sta cercando di annettere dei territori della
Croazia?" Tudjman allora mi scioccò con le testuali
parole: "Perché di Miloševic mi posso fidare". Al
termine di quel colloquio surreale, scendendo le scale, chiesi a
un consigliere di Tudjman se avevo difeso l'unità della
Bosnia in modo troppo emotivo. "Oh no", mi rispose questi, "lei
è stato veramente in gamba".
Foreign Policy - giornale americano, marzo/aprile 1995.
Noel Malcolm, Professore di storia presso
l'Università di Cambridge: "Il più grande sbaglio
di Tudjman" .: su :.
"Già in passato avevo scritto molto sugli eventi politici
in Jugoslavia, poiché me ne occupavo come ricercatore
nell'ambito del mio lavoro. Quando scoppiò la guerra,
rimasi esterrefatto da come la propaganda di Belgrado e di Pale
manipolasse la politica e la storia. Questa propaganda era
ripetuta così spesso, che gli scrittori e i politici
britannici finirono per considerarla un fatto inevitabile. Per
questo presi la decisione di scoprire e di svelare queste
distorsioni della verità, e nell'estate del 1993 scrissi
il mio libro "Breve storia della Bosnia". Per quanto riguarda la
Croazia, lo sbaglio più grande nei confronti della Bosnia,
a mio parere, fu commesso all'inizio della guerra, quando Tudjman
aveva ancora lasciato aperte tutte le possibilità, inclusa
la spartizione della Bosnia Erzegovina. A differenza di tutti gli
altri osservatori occidentali, non ho mai considerato questo un
segno di parità di condizioni fra la Croazia e la Serbia.
E infatti la Croazia dovette affrontare gravi problemi e i Croati
di Bosnia delle grandi sofferenze. Sin dall'inizio la Croazia
avrebbe dovuto insistere sull'unità della Bosnia e
rifiutare le discussioni sulle modifiche dei suoi confini,
perché ciò metteva in discussione anche il confine
croato. Per quanto riguarda la Bosnia, in Gran Bretagna si
sosteneva che tale Stato fosse stato inventato da Tito, che i
suoi confini fossero stati definiti in modo arbitrario e che il
territorio stesso fosse stato inventato in modo artificioso. Io
volevo spiegare ai miei lettori che tali affermazioni erano
assolutamente sbagliate, e che la Bosnia, uno degli Stati
più antichi dei Balcani, aveva invece un'identità
storica millenaria.. Perché in quest'area geografica mi ha
affascinato proprio la Bosnia? Per me questa zona ha
un'importanza storica e simbolica, perché la Bosnia per
sua natura rappresenta l'anello di collegamento tra i popoli dei
Balcani, le loro religioni e culture.
La Bosnia ha per me un'importanza simbolica anche
perché nel periodo della Guerra Fredda la questione della
Bosnia era diventata una questione di pace mondiale. Il caso
della Bosnia mostra che nel mondo i vecchi sentimenti di odio si
sono risvegliati sotto altra forma,e che sono stati accettati
dalla società occidentale. Speravamo che i vecchi
conflitti tra Islam e Cristianesimo fossero scomparsi e che non
si sarebbero mai più ripetuti. Ma ora non possiamo non
accorgerci che dovremo invece conviverci per almeno i prossimi
venti-trent'anni. E proprio la Bosnia porta in sé questo
triste messaggio".
Slobodna Dalmacija -giornale croato, 24 gennaio 1995.
Klub della patria Bosanska Posavina: "La Croazia
alla mercé di un popolo di montanari senza scrupoli"
.: su :.
"Abbiamo letto con grande interesse il suo articolo dal titolo
"Erzegovesi", comparso sul Globus del 23 gennaio di quest'anno
(1998). Le Sue conclusioni e il modo in cui presenta all'opinione
pubblica la lobby erzegovese, suscitano in noi al contempo
stupore e timore. In ogni caso va lodato il Suo zelo,
perché gli Erzegovesi sono in effetti un fenomeno unico,
del quale la nostra scienza in futuro dovrà occuparsi
più seriamente.
Per quanto riguarda il resto della Croazia, le Sue conclusioni non costituiscono una grande scoperta e nemmeno qualcosa di nuovo, perché noi tutti sappiamo che questo popolo di montanari già da tempo domina la Croazia; come ci sia riuscito, finora nessuno lo sa o deve saperlo. È senz'altro vero che la Croazia è oggi in tutto e per tutto in mano a questo popolo di montanari senza scrupoli: dal punto di vista politico, militare ed economico, e per quanto riguarda la politica dell'informazione e della sicurezza. Inoltre gli Erzegovesi, lentamente ma inesorabilmente, stanno riuscendo con la diplomazia, anch'essa sotto il loro controllo, ad avere dalla loro parte anche l'Europa e persino il mondo; si tratta veramente di un fenomeno; come si può spiegare altrimenti la loro "capacità"? Quando si tratta di questo fenomeno, nessuno è alla loro altezza. Circa dieci anni fa inventarono la "Gospa" a Medjjugorie1 e poco tempo fa anche un'apparizione della Vergine Maria, la quale pare si sia mostrata anche al Presidente della Suprema Corte, sicché anche in questo gli Erzegovesi non hanno rivali. A loro si manifesta e a loro accade quello che essi vogliono, e questo è il vantaggio che hanno su tutto il resto del mondo.
Ma non soffermiamoci troppo su ipotesi e supposizioni e veniamo ai fatti. Il roccioso territorio dell'Erzegovina è una delle zone più arretrate della nostra Repubblica, dove prima della guerra vivevano circa 100.000 abitanti, sparsi in una miriade di villaggi ed in poche città. Gli Erzegovesi non spiccavano per nessuna particolare qualità, men che meno per il loro carattere, il che è dimostrato anche dal vostro sondaggio. In passato facevano i commercianti di tabacco e anche nella serie televisiva di dieci anni fa "Mendicanti e figli", sono stati mostrati in una luce piuttosto negativa. Salvo che per la loro stranezza, non erano molto conosciuti né in patria, né nel mondo. Il loro lavoro poi non si può dire si contraddistinguesse per onestà o impegno; si barcamenavano in qualche modo e tiravano avanti alla meno peggio alla loro maniera.
E cos'è successo a questo popolo di montagna in questi pochi anni di guerra? Da un giorno all'altro gli Erzegovesi si sono ritrovati tra le persone più influenti e famose del mondo. Come e perché è accaduto questo?
Oggi in Croazia non ci sono un solo posto di lavoro di rilievo e una sola funzione importante che non siano occupati e ricoperti da un Erzegovese: nell'Esercito, nella Polizia, negli ispettorati, negli uffici pubblici, alla dogana, nelle aziende pubbliche ... Così gli Erzegovesi oggi siedono anche nel Parlamento croato, vedi Ante Beljo, Kruno Bošnjak, Zdravka Bušic, Stipe Hrkac, Mladen Jurkovic, Jazo Maric, Žarko Domljanin, Antun Vrodoljak, Ivan Milaš, Marijan Milicevic, Luka Bebic, Bosiljko Mišetic, Ðuro Njavo, Ivic Pašatic, Vladimir Šoljic, Vice Vukojevic ... Alcuni di loro non sono nemmeno cittadini croati; ma non importa, ciò che conta è che essi governino la Croazia. Non è forse un miracolo che ben cinque parlamentari provengano da Imotski (Domljan, Bušic, Milaš, Milicevic, Vrodoljak); e che dire di Granic, Žužal, Pero Jurkovic, Mate Boban, Damir Zoric, Sima Krašic, Branimir Glavaš e di molti altri? Immaginatevi che terreno fertile rappresenta questa zona per il quadro politico del nostro Stato. È un miracolo di cui non ci si può non accorgere. La maggior parte di questi dirigenti politici ha potuto guadagnare un seggio in parlamento, grazie alla benevola magnanimità del Presidente Tudjman, perché è stato lui e non il popolo ad inserirli nelle liste alle ultime elezioni.
Ancora più grave risulta il fatto che un terzo delle cariche di governo è ricoperto da Erzegovesi o da chi è del loro stesso orientamento: Granic, Škegro, Prka, Škare, Vokic, Kovac ... Chi se non il Presidente ha messo queste persone in una posizione così importante? È possibile che in nessun'altra Regione vi siano delle persone in grado di svolgere tali funzioni per governare lo Stato croato; deve essere proprio questa gente di montagna?
Queste sono solo alcune delle questioni che meritano di essere analizzate attentamente quando si tratta della percentuale di Erzegovesi nelle più alte cariche di governo. Cosa dire allora del potente apparato amministrativo dello Stato, al quale i comuni mortali non hanno accesso e nel quale solo gli Erzegovesi sembrano essere affidabili (per esempio l'esercito di Pašalic, Čengia, Ćuric, Barišic, Hrga per la televisione, i giornali Vjesnik e Vecernji list, ambasciate e consolati in tutto il mondo ecc.)
È innegabile che l'Erzegovina sia un covo del commercio illegale, della corruzione, della criminalità e della più grande delinquenza, che da lì vengono poi esportati in Croazia. Chi ha bisogno di tutto questo? Nonostante le numerose ammonizioni dei partiti dell'opposizione e della comunità internazionale, il Presidente non ci sente e continua imperterrito con le sue azioni che significano la fine sua e del popolo croato. Tutto ciò è finanziato dallo Stato croato. Per questo occorre chiedersi quanto a lungo ancora, e a beneficio di chi, potrà continuare in questo modo. Quante disgrazie ci ha portato la guerra coi Musulmani, e quanti avevano cercato di dissuaderci dal condurla!. Le più grottesche sono le previsioni meteorologiche, in cui rappresentiamo l'Erzegovina come parte della Croazia. Non riusciamo proprio a ragionare. Per questo illustriamo questi tragici argomenti e vicende:
Avete mai sentito parlare della Posavina bosniaca (oggi Krajina serba), che una volta comprendeva le città di Bosanski Brod, Bosanski Šamac, Brcko, Derventa, Gradacac, Modrica, Odžak e Orašje (Orašje si trova sotto il nostro controllo) e dove all'epoca vivevano 128.741 Croati? E se ne avete sentito parlare, vi siete mai chiesti dove si trovino queste persone oggi? Noi non siamo Erzegovesi; non siamo rappresentati letteralmente da nessuna parte, né in Parlamento, né nel Governo, né negli enti pubblici, né tra le autorità; non occupiamo nessun posto di lavoro di rilievo e non svolgiamo nessuna funzione importante. A noi della Posavina bosniaca, il Presidente non ha riservato nessun incarico di rilievo e non ha affidato nessun ufficio importante; anzi, ponendo la sua firma sull'accordo di Dayton, egli, con l'aiuto di Miloševic, ci ha venduti per sempre ai Serbi. È triste che né l'opposizione, né qualcun altro voglia parlarne apertamente.
Ci farebbe piacere se realizzaste un reportage anche su di noi, in modo da poterci chiedere insieme perché nella Croazia di Tudjman i Croati della Posavina bosniaca non ricoprano alcun incarico di rilievo: né fra le cariche elettive, né tra i funzionari da lui nominati. Nemmeno tra gli impiegati o gli uscieri nella Pubblica Amministrazione ci sono Croati della Posavina bosniaca. Ma tali funzioni (addetti alle pulizie, uscieri) non le ricoprivamo neanche nel periodo della Jugoslavia, se questo ci può consolare.
Se gli Erzegovesi, protetti come sono dal Presidente, costituiscono un fenomeno, le persone della Posavina bosniaca, invece, sono quelle di cui Kosorica e Milas1 non vogliono sapere niente. Lo sapevate che in guerra ci hanno definiti vigliacchi, sostenendo che eravamo fuggiti dalla Posavina perché non volevamo combattere contro i cetnici; e che poi Milas e Kosorica ci avevano dato da mangiare? Non avevamo niente da pretendere dalla Croazia; la Croazia apparteneva a loro, non a noi. Non c'è insulto che Erzegovesi e loro sottoposti non ci abbiano rivolto.
L'unico sostegno e la sola solidarietà che abbiamo ricevuto sono venuti da Zdravko Tomac2, Zvonimir Šeparovic3 e dal generale Martin Špegelj4. Tomac ha anche scritto un libro, intitolato "Chi ha ucciso la Bosnia".
Oggi ci chiediamo perché e per chi un migliaio di persone della Posavina bosniaca abbia dovuto perdere la vita combattendo per la patria. Forse affinché il Presidente e i suoi Erzegovesi possano godersi la pace e vantarsi che la Croazia appartiene a loro? E noi, non esistiamo più? La Posavina è caduta sul tavolo verde di Dayton, non sul campo di battaglia.
Dov'è la relazione sulla caduta della Posavina che
già alcuni anni fa Tudjman aveva promesso al Parlamento?
Perché l'opposizione non interpella il Presidente in
proposito? La verità deve finalmente venire a galla! Oggi
migliaia di persone della Posavina bosniaca cercano faticosamente
di tirare avanti, nel mondo e in Croazia. Al Governo chiediamo
solo di non essere svergognati [umiliati] e cacciati mentre i
montanari erzegovesi si pavoneggiano e godono delle nostre
sofferenze. Scrivete e chiedete dove vivano oggi i 130.000 Croati
della Posavina bosniaca. Potete ottenere tutti i dati nel Klub
della patria a Zagabria, Remetinacka 77, dal Presidente Mate
Gogic o da Ante Raulic.
Klub della patria "Bosanska Posavina" - Globus, giornale croato,
20.2.1998.
Mirko Pejanovic, Presidente del Consiglio civico serbo: "La
"Herceg-Bosna", una nuova realtà politica" .: su :.
"Quale sede del Governo della Herceg-Bosna fu scelta dapprima la
piccola località di Grude. Furono create una struttura
politico-militare ed una struttura economica, che in
realtà erano più di natura politico-psicologica e
ideale e che si fondavano sull'idea della salvaguardia
dell'unità della Bosnia Erzegovina e delle sue istituzioni
centrali.
Nel processo di creazione della Herceg-Bosna come istituzione,
le cui fondamenta politiche furono poste dall'HDZ, si distinguono
tre fasi:
Nella prima fase, l'HDZ e l'HVO, così come tutta
l'infrastruttura della Herceg-Bosna, (in quanto elementi
dell'amministrazione statale croata, in quelle zone in cui
avevano la maggioranza), erano, sul piano politico, partner di
governo dell'SDA e sul piano militare, alleati dell'Esercito
della Bosnia Erzegovina, opponendosi all'aggressione serba di
Karadžic.
Nell'ambito di questa collaborazione c'era un alto grado di coordinamento tre le forze del quadro politico presenti negli organi comuni a Sarajevo - vale a dire nel Governo, nella Presidenza collegiale, nel Ministero della Difesa e in altre istituzioni. In questa fase le operazioni militari comuni dell'HVO e dell'Esercito della Bosnia Erzegovina ebbero successo. Gran parte della Bosnia Erzegovina si trovava sotto il controllo comune dell'HVO e dell'Esercito della Bosnia Erzegovina. Vi fu anche un'offensiva comune dell'HVO e dell'Esercito della Bosnia Erzegovina, per rompere il blocco intorno a Sarajevo, ma le azioni non erano ben coordinate tra loro e non raggiunsero quindi l'obiettivo.
Questa prima fase durò dall'inizio della guerra fino al 1993, quando cominciarono gli scontri tra l'Esercito della Bosnia Erzegovina e l'HVO. L'HVO a quel tempo era considerata parte integrante delle unità di combattimento della Bosnia Erzegovina. Questa collaborazione fu molto importante per il rafforzamento del corpo di difesa della Bosnia Erzegovina, ossia di quelle forze che volevano salvaguardare l'idea di una Bosnia multietnica e unita.
Noi membri della Presidenza collegiale eravamo bloccati nella città di Sarajevo assediata, e, di conseguenza, non sapevamo quanto grande fosse veramente l'influenza della Herceg-Bosna come organizzazione dello Stato croato, nell'Erzegovina occidentale, nella Bosnia occidentale, a Mostar e nella pianura della Neretva. Ce ne avvedemmo solo quando fu posta fine al conflitto armato tra l'Esercito della Bosnia Erzegovina e l'HVO.
Questo conflitto armato tra l'HVO e l'Esercito della Bosnia Erzegovina nel 1993, marcò l'inizio della seconda fase. Fu il periodo più difficile della guerra in Bosnia Erzegovina, perché sussisteva il pericolo di una guerra di tutti contro tutti e quindi di una guerra civile generale, il che significava che i popoli si sarebbero distrutti a vicenda.
Il conflitto fu originato dal piano di pace Owen-Stoltenberg, esposto a Ginevra nel 1993, che prevedeva tre entità territoriali etniche in Bosnia Erzegovina e Sarajevo come capitale. Queste tre unità si sarebbero dovute formare in proporzione ai tre maggiori gruppi della popolazione. La Herceg-Bosna era all'epoca governata da Mate Boban. Al mio ritorno da Ginevra, prima di arrivare a Sarajevo, dovetti fare tappa a Spalato. La sera vidi un dibattito in televisione , trasmesso dallo studio televisivo HTV di Spalato. Oltre a Mate Boban, vi partecipavano anche alcuni funzionari della Herceg-Bosna. Mi ricordo, per esempio, che c'era Mile Akmadžic, allora a capo del Governo della Bosnia Erzegovina.
La tesi principale di questa discussione, sostenuta soprattutto da Mate Boban, era che tramite quella versione del piano di pace fossero stati riconosciuti a livello internazionale la lotta, l'indipendenza e tutte le istituzioni del popolo croato. Nel caso in cui il piano non trovasse consensi in Bosnia Erzegovina, il popolo croato sarebbe sicuramente stato in grado di risolvere anche militarmente la questione. Poi scoppiarono gli scontri, soprattutto nella zona della pianura della Neretva, a Prozor e Gornji Vakuf.
Un altro fattore importante che originò i conflitti sarà indicato dagli storici una volta trascorso un adeguato lasso di tempo. Sulla base della suddivisione della Bosnia Erzegovina in tre unità etniche, fissata nel piano di pace di Ginevra, il Governo della Herceg-Bosna, con a capo Mate Boban, decise che era arrivato il momento, e che le circostanze a livello internazionale erano propizie, per iniziare a riscattare i territori che appartenevano al popolo croato e per eliminare la popolazione non-croata in quelle zone (omogeneizzazione territoriale). Fu seguito l'esempio di Karadžic che, per la parte serba, aveva già agito in tal senso. Conseguenze di quest'ideologia furono gli scontri militari. In Erzegovina, a Stolac, Čapljina, Prozor e Mostar Ovest vi furono operazioni di pulizia etnica.
La popolazione serba di quelle zone era già stata messa
in fuga all'inizio della guerra, da quelle che allora erano
ancora le forze di difesa comuni dei Croati e Musulmani bosniaci.
Ora cominciava la cacciata dei Musulmani bosniaci da Stolac,
Čapljina, Duvno, Ljubuški, Prozor e altre
località. La maggior parte dei profughi provenienti da
città come Stolac e Čapljina fu internata nei
famigerati campi di concentramento di Dretelj e Heliodrom.
Non sarebbe mai stato possibile realizzare un simile passo, e,
ancor più, realizzarlo con tale perfezione, senza l'aiuto
della centrale dell'HDZ a Zagabria, vale a dire senza l'aiuto
della Repubblica croata, o meglio, della lobby erzegovese, che
all'interno dell'HDZ, del Governo e dell'Esercito croato godeva
di grande influenza.
La decisione di iniziare gli scontri ebbe conseguenze negative per il popolo croato e musulmano, così come per tutta la Bosnia Erzegovina. Per quale motivo? Perché questo conflitto, che in Erzegovina e a Mostar era appoggiato dalle unità della Croazia, benché recasse dei vantaggi ai Croati di quella zona, causava dei gravi problemi ai Croati della Bosnia centrale, dove dominava l'Esercito della Bosnia Erzegovina. I Croati della Bosnia centrale si trovavano sotto l'influenza dell'HDZ ed erano controllati dall'HVO. Sotto la direzione politica e militare di Dario Kordic circondarono vari territori etnici della Bosnia centrale, per insediarvi un governo dell'HDZ, subordinandovi le loro vite.
Risulta significativa anche l'idea che stava alla base dell'istituzione Herceg-Bosna. Presupponendo il funzionamento dell'accordo di Karadjordjevo tra Miloševic e Tudjman, si perviene inevitabilmente alla seguente conclusione: l'instaurazione della Republika Srpska assieme al ritiro di numerosi deputati serbi dal Parlamento della Bosnia Erzegovina e l'istituzione della Herceg-Bosna (con sede prima a Grude, poi a Mostar), accompagnata dal ritiro dei rappresentanti croati dagli organi comuni, e dal trasferimento di svariate funzioni di governo alla Herceg-Bosna, indicano chiaramente gli obiettivi perseguiti: la suddivisione etnica della Bosnia Erzegovina, la netta delimitazione dei rispettivi territori e - in un momento successivo - anche la secessione.
Non conosco l'intero testo dell'accordo di Karadjordjevo, ma so dei progetti che sono stati realizzati per quanto riguarda la Bosnia Erzegovina. Si può prendere ad esempio la sorte del popolo croato della Posavina, tralasciando peraltro ciò che accadde durante i combattimenti e l'offensiva delle forze serbe che avevano l'appoggio dell'Esercito Popolare Jugoslavo. Da allora, anche dopo l'accordo di Dayton, i Croati della Posavina non sono trattati come profughi che hanno perso tutto quello che avevano. Questo dato di fatto deve sempre essere considerato, a prescindere dal compromesso raggiunto. I principi fondamentali dell'accordo di Karadjordjevo rimasero intatti fino all'accordo di Dayton e si comprendono considerando la sorte degli abitanti di Drvar. Drvar e Grahovo sono popolate per la maggior parte da Serbi. Queste due località sono state cedute senza combattere. Le persone abbandonarono le loro case, nelle quali avevano vissuto per secoli, portando con sé solo quel po' che stava in una borsa. Se si considerano più attentamente le mosse strategiche e tattiche e gli interessi nazionali, ci si avvede che le persone di Drvar da un lato, e le persone della Posavina dall'altro, condividono la stessa sorte, e che questo loro destino è taciuto. Gli uni furono cacciati dalla Posavina perché non vi tornassero mai più, gli altri furono cacciati da Drvar per mandarli nella Posavina, affinché a Drvar si potessero insediare dei Croati. Ho avuto l'occasione di parlare con una famiglia di amici croati della sorte loro toccata. Furono cacciati da Dobrinja, un quartiere di Sarajevo conquistato dall'Esercito serbo. In seguito all'accordo di Dayton ricevettero la proposta di trasferirsi a Drvar, ma rifiutarono. Per nessuna ragione al mondo avrebbero fatto una cosa simile, nemmeno se ciò significava lasciare la Bosnia ed emigrare in un altro paese. Al momento sono "senza tetto" a Sarajevo
Quali sono dunque il significato della Herceg-Bosna, ed il suo obiettivo finale: Herceg-Bosna significa terrorismo nazionalista, separazione etnica e governo monoetnico. Tutto indica che quest'idea è appoggiata da Zagabria. Si tratta anche di dare una risposta allo smembramento dei territori serbi e alle separazioni etniche, così come alle sofferenze dei Croati in seguito all'aggressione serba, e di proteggere i Croati. Quest'ultimo aspetto - la protezione dei Croati - può anche essere visto come una giustificazione per il mantenimento della Herceg-Bosna. La Herceg-Bosna costituisce per così dire la soluzione di emergenza, nel caso il progetto della divisione etnica della Bosnia Erzegovina dovesse fallire.
Perché è così? Perché la Herceg-Bosna durante la guerra è divenuta un fattore di forza economico, e questo soprattutto per due motivi. Da un lato gli aiuti provenienti dalla Croazia e dalla diaspora croata e le entrate derivanti dai dei dazi doganali e da altri servizi collegati ai passaggi di frontiera; dall'altro l'incentivazione dell'attività imprenditoriale privata, favorita dal capo del Governo della Herceg-Bosna, Jadranko Prlic. Prlic affermò in un'intervista che il successo economico della Herceg-Bosna costituiva il più grande successo della sua vita. In effetti, è riuscito a portare l'economia a dei livelli invidiabili. Prlic è noto come economista ed esperto di strategie economiche, possedendo sia conoscenze teoriche che esperienza pratica. Anche nell'ambito del sistema sociale si è rivelato un economista di successo.
Il motivo principale per cui è così difficile cancellare la Herceg-Bosna, risiede nel fatto che non è ancora stato deciso come si finirà per risolvere la questione della Bosnia Erzegovina; se al suo interno si creeranno dei territori etnicamente definiti, o se si perverrà ad una temporanea o anche definitiva secessione dei territori serbi e, in seguito, anche di quelli croati.
Il destino della Herceg-Bosna è di non perdere mai di vista ciò che fa il regime di Pale e di fare attenzione a non perdere terreno nei confronti dell'entità serba. Un ulteriore importante fattore è costituito dalla paura di quei Croati che hanno vissuto come minoranza croata al confine con la Croazia e che ora temono di diventare una minoranza demografica e nazionale nella Bosnia Erzegovina, che nel tempo verrà assimilata o avrà difficoltà a mantenere la propria identità nazionale, culturale e religiosa.
Il timore è poi anche alimentato dalle sofferenze che i Croati dell'Erzegovina occidentale hanno conosciuto a partire dalla Seconda Guerra Mondiale, nel periodo del Comunismo, del revanscismo per gli eventi della Seconda Guerra Mondiale dovuti al settarismo comunista. Questa paura è diffusa soprattutto laddove i Croati sono in minoranza, e dove essi, in quanto minoranza, vivono circondati da una netta maggioranza. Di questa paura ci si occupa poco.
Quando nel 1997 a Washington Izetbegovic ricevette il premio dell'Istituto Americano per la Democrazia, nel suo discorso di ringraziamento egli indicò la questione dei rapporti fra maggioranza e minoranza come un aspetto fondamentale per lo sviluppo della democrazia. I Croati della Bosnia Erzegovina hanno il diritto di vedere risolta tale questione. Essi sono un popolo con gli stessi diritti, radicato nella Costituzione; ma sono anche il popolo più piccolo dal punto di vista demografico.
Hanno il diritto di cercare una risposta su come nei loro comuni e cantoni possano essere realizzate apposite istituzioni religiose ed educative, per mezzo delle quali sia possibile l'autonomia etnica del popolo croato per quanto riguarda la lingua, la religione e l'informazione. Il sentimento di insicurezza e precarietà farà in modo che anche in futuro il popolo croato cercherà delle soluzioni che possano liberare le persone da questa paura, anche se non se è ancora dato capire se prevarrà il programma dei sostenitori della Herceg-Bosna, dell'ala radicale dell'HDZ, dei Croati della Posavina centrale, dei profughi della Posavina centrale, dei Croati di Tuzla, della Chiesa Cattolica o dell'HKD "Napredak". Quest'ultimo programma, se realizzato, significherebbe l'indipendenza nell'accettazione delle diversità e nel rispetto della convivenza.
A questo punto vorrei ripetere in questa sede un confronto che ebbi già modo di fare in tempo di guerra in un'intervista a "Slobodna Dalmacija". Durante la guerra, la comunità culturale croata "Napredak" di Sarajevo organizzava la maggior parte degli avvenimenti culturali, manifestazioni, esposizioni. Potrebbe quindi sembrare che i Croati fossero il gruppo etnico più numeroso a Sarajevo. Ma ciò che importava non era quanto si fosse numerosi, ma piuttosto quali fossero i rapporti con gli altri, e in particolare se nelle istituzioni vi fossero una levatura e una tolleranza tali da saper apprezzare le differenze e onorare l'uguaglianza.
Come si è visto, il popolo croato ha bisogno di scuole cattoliche, nelle quali si dia particolare importanza alla lingua e sia tutelata l'autonomia etnica. Ciò non dovrebbe essere vietato, né nelle zone monoetniche, né, nelle zone miste. Prendiamo l'esempio della scuola cattolica a Sarajevo. Essa non ha messo in pericolo né il sistema scolastico, né l'educazione dei giovani, ma, anzi, ha favorito entrambi. Molte persone del popolo serbo e musulmano desideravano che i loro figli frequentassero quella scuola. Ciò sta ad indicare che KD "Napredak", ma, ancor più, la cultura in generale, i mezzi di comunicazione, tutto quello che riguarda la lingua e la cultura linguistica e che tutela l'identità di un popolo, deve essere sostenuto e valorizzato da tutta la società, soprattutto laddove quel popolo, in confronto agli altri due popoli della Bosnia Erzegovina, sia il più piccolo.
Sull'esempio dello sviluppo e della tutela dell'autonomia culturale dei Croati della Bosnia Erzegovina, dovranno concretizzarsi anche la tolleranza, l'uguaglianza dei popoli e la possibilità di coesistenza e di collaborazione delle tre etnie in Bosnia Erzegovina. Le moderne democrazie conoscono il modello di tutela e promozione dei diritti delle minoranze. Sulla base di questo modello si potrà verificare quali siano i rapporti con gli Ebrei, i Rom e gli appartenenti ad altri popoli e gruppi etnici che vivono in Bosnia ed Erzegovina.
Nella primavera ed estate del 1995 a Mostar, nella sede dell'amministrazione dell'Unione Europea, visitai il signor Koschnick e i suoi collaboratori e in seguito diedi inizio ad un colloquio presso la sede del Governo della Herceg-Bosna. Parlai anche con Krešmir Zubak, allora Presidente del Consiglio della Herceg-Bosna. Si trattava del mio primo incontro con i funzionari della Herceg-Bosna durante la guerra. Il nostro colloquio durò mezz'ora. Parlammo degli aspetti di un possibile piano di pace per la Bosnia Erzegovina, poiché si stava avvicinando la data della firma dell'accordo di Dayton. All'epoca cambiarono i rapporti di forza militari nel territorio della Bosnia Erzegovina; fu applicato il piano del gruppo di contatto. In questo colloquio Zubak sosteneva l'intento del consiglio civico serbo e dei Serbi rimasti nella Federazione con i Musulmani bosniaci e con i Croati di pervenire ad una soluzione politica pacifica che avrebbe portato benessere a tutti i popoli e a tutte le persone della Bosnia Erzegovina. Parlammo anche della possibilità che il Consiglio Civico dei Serbi svolgesse un'attività nel territorio della Herceg-Bosna. Zubak mi propose di far pervenire una lettera agli organi della Herceg-Bosna, esponendo questa richiesta e allegando gli atti di fondazione, il programma e lo statuto del Consiglio Civico Serbo; disse che avrei ottenuto una risposta positiva. E così fu. Tuttavia, a parte alcuni brevi incontri delle giunte di iniziativa nel territorio della Herceg-Bosna, non potevamo svolgere attività più importanti del Consiglio Civico. Parlai con alcuni conoscenti che vivevano nella parte Ovest di Mostar, che avrebbero voluto far parte del Consiglio Civico Serbo. Essi però nel momento in cui apparve necessario agire pubblicamente si ritirarono, perché in quella zona della città il clima e le circostanze erano tali da dover temere di apparire in pubblico. Ciò significa che non vi sono un sistema democratico sviluppato ed un clima in cui le persone, a prescindere dalla loro appartenenza etnica e senza essere esposte a rischi, pericoli o minacce, possano liberamente e apertamente svolgere le proprie attività,
Ho parlato spesso con Zubak, dopo che questi, successivamente alla firma dell'accordo di Dayton, ebbe assunto la carica di Presidente della Federazione e divenne membro della Presidenza della Bosnia Erzegovina (che si compone dei rappresentanti dei tre gruppi etnici). È un uomo col quale si può discutere di tolleranza e uguaglianza di diritti, e che accetta dei modi di pensare e di argomentare diversi dai propri. A mio parere, ha però anche le caratteristiche di un vero Bosniaco: possiede, cioè, ciò che si addice ad un uomo della Bosnia Erzegovina: il sentimento dell'unicità e della comunanza nell'interesse di tutti e tre i gruppi etnici della Bosnia Erzegovina. È nato a Doboj, territorio tipicamente bosniaco. Zubak è il solo uomo a ricoprire una carica di governo, non solo perché appartenente all'HDZ, ma anche in virtù della sua esperienza di partecipazione attiva in guerra, avendo combattuto come soldato al fronte - e non solo come Croato, ma per tutta la Bosnia Erzegovina.
Zubak si preoccupa particolarmente dell'interesse nazionale e
dell'autonomia del suo popolo, impegnandosi a fondo per la loro
realizzazione e tutela. Possiede anche uno spiccato senso per la
creazione, lo sviluppo e la tutela degli interessi legati alla
convivenza dei popoli della Bosnia Erzegovina e dimostra un
grande senso di responsabilità nel cercare e mantenere il
consenso di quei popoli, che vivono sullo stesso territorio e che
condividono lo stesso destino.
Mirko Pejanovic: La questione bosniaca e i Serbi in Bosnia
Erzegovina, Sarajevo 1999.
Glossario .: su :.
Arkanovci: membri delle unità paramilitari
criminali "Tigri di Arkan", capitanate da Željko
Ražnjatovic, detto "Arkan" (quand'era ancora in vita,
ricercato dall'Interpol). "Arkan" è stato ucciso a
Belgrado il 15 gennaio 2000. Gli Arkanovici sono tristemente
famosi per il terrore particolarmente brutale che esercitavano
nel fare "pulizia etnica" in Bosnia Erzegovina.
Balija: epiteto offensivo rivolto ai Musulmani
Bosgnacchi (Musulmani bosniaci): Antica definizione storica per indicare tutti gli abitanti della Bosnia. Fu introdotta di nuovo ufficialmente durante la guerra per sostituire il termine "Musulmano", perché quest'ultimo, a differenza della denominazione delle due etnie bosniache "Serbi" e "Croati", si riferisce ad una religione. L'equiparazione fra "Musulmano" e "Musulmano bosniaco (Bosgnacco) indica che solo i Musulmani sono veri Bosniaci. I sostenitori della multietnicità preferiscono quindi definirsi "Bosniaci", vale a dire cittadini della Bosnia Erzegovina.
HDZ: Unione Democratica Croata, partito nazionalista croato guidato dal defunto Presidente croato Franjo Tudjman, e sue propaggini.
Herceg-Bosna: Stato bosniaco-croato fondato da Mate Boban nell'Erzegovina occidentale.
HOS: Partito Croato del Diritto, un partito croato ultranazionalista con una propaggine bosniaca (successivamente vietata).
HV: Esercito regolare croato, talvolta coinvolto nei combattimenti in Bosnia Erzegovina.
HVO: Consiglio di Difesa croato, organizzazione militare istituita dall'HDZ bosniaca.
JNA: Armata Popolare Jugoslava, Esercito ufficiale della Repubblica Popolare Jugoslava.
Kažnjenicka bojna: Unità paramilitare croata agli ordini di Mladen Naletelic - Tuta, che imperversò con incendi ed uccisioni nel territorio della Herceg-Bosna.
Krajina: territorio di confine
Croati / Serbi: Molti Bosniaci per designare i Croati ed i Bosniaci utilizzano i termini "Cattolici" e "Ortodossi"; ciò vale tuttavia solo per quelli che si sentono appartenenti ad una comunità religiosa e non indica l'appartenenza etnica.
Musulmani: La definizione "Musulmano" in senso etnico comparve per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale, in seguito ad una campagna antiislamica in Jugoslavia durante il censimento del 1961. Al censimento del 1971 si intendeva già "Musulmano nel senso dell'appartenenza ad una nazione".
Republika Srpska: Repubblica serba; entità serba della Bosnia Erzegovina, governata da Pale.
SDA: Partito d'Azione Democratica; partito ultranazionalista serbo della Bosnia, diretto da Radovan Karadžic.
Šešeljevci: Unità paramilitare della Serbia, al comando del politico radicale serbo Šešelj, che in Bosnia ha commesso molti crimini di guerra ai danni della popolazione civile.
TO: Difesa Territoriale; prima che iniziasse la guerra in Bosnia Erzegovina i civili nei singoli comuni si unirono in piccole truppe non ben armate, per impedire l'invasione nei singoli Comuni, città e villaggi da parte delle unità paramilitari e dell'JNA. Da questi piccoli nuclei di difesa si è sviluppato l'attuale Esercito della Bosnia Erzegovina.
Cetnico (Četnik): Tradizionale termine serbo per definire i ribelli antiturchi; usato durante la Seconda Guerra Mondiale per designare le unità fedeli alla corona comandate Draža Mihailovic; impiegato nella guerra in Croazia e Bosnia 1992-1993 generalmente con riferimento alle truppe serbe irregolari e in particolare ai paramilitari sotto Vojislav Šešelj.
ONU: Nazioni Unite
UNHCR: Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
UNPROFOR: Truppe di pace delle Nazioni Unite (Protection Force)
Ustascia (Ustaša): Movimento estremista e nazionalista croato, al potere nello Stato fascista "Croazia Indipendente" guidato da Ante Pavelic tra il 1941 ed il 1945.
Cronologia degli avvenimenti durante l'aggressione contro
la Bosnia Erzegovina .: su :.
1. All'inizio del 1992 l'Armata Popolare Jugoslava (JNA), in
collaborazione con le formazioni paramilitari serbe da lei stessa
armate, occupò pressoché tutto lo Stato di Bosnia
Erzegovina., prendendo il controllo su tutti i principali
collegamenti stradali e ferroviari, e sulle stazioni
radiotelevisive. All'inizio di aprile del 1992 cominciò
l'aperta aggressione della Bosnia Erzegovina da parte di Serbia e
Montenegro, con l'appoggio dell'Armata Popolare Jugoslava, allora
uno dei più forti eserciti europei.
2. Nel 1991 viene fondata, come Stato fantoccio della Croazia, la Comunità croata Herzeg-Bosna. Il suo scopo: rappresentare gli interessi nazionali della Croazia.
3. Aprile 1993. La Croazia aggredisce la Bosnia Erzegovina.
4. Sottoscrizione, all'inizio del 1993 del piano Vance-Owen, secondo il quale lo Stato di Bosnia Erzegovina dovrà essere suddiviso in dieci regioni autonome.
5. 1993 - È istituito all'Aia il Tribunale Internazionale per i crimini di guerra nell'ex-Jugoslavia (ICTY).
6. Sottoscrizione a Washington, il 21.03.1994, del trattato di pace che pone fine alla guerra tra Croazia e Bosnia Erzegovina
7. 21.12.1995 - Il trattato di pace di Dayton pone fine alla guerra in Bosnia Erzegovina, durata quattro anni.