INDICE GENERALE |
Prefazione (Tilman Zülch) | Introduzione (Fadila Memiševic) | Impressum |
PARTE I - Risultati delle indagini
in Erzegovina Cartine |
PARTE II - Tavola rotonda:
"Cerchiamo giustizia" |
Davanti a noi abbiamo un rapporto sui crimini di guerra
commessi in Erzegovina contro la popolazione civile, prima da
truppe serbe e poi da truppe croate. Questo rapporto è
stato presentato da un gruppo di collaboratori della sezione
bosniaca dell'Associazione per i Popoli Minacciati
(Društvo za ugrožene narode za Bosnu i Hercegovinu)
diretto da Fadila Memiševic. Sono stati intervistati quasi
1.000 testimoni oculari sopravissuti, la maggior parte dei quali
oggi sono profughi o deportati, che finora non sono potuti
ritornare in patria.
Già nella primavera del 1992, l'Associazione per i Popoli
Minacciati aveva raccolto sul posto informazioni sui crimini di
guerra nella Bosnia del Nord e le aveva pubblicate in un primo
rapporto. Nell'autunno del 1992 furono poi intervistati degli
ex-prigionieri dei campi di concentramento serbi della
circoscrizione di Prijedor nel campo di smistamento di Karlovac.
Dall'aprile del 1993 l'Associazione per i Popoli Minacciati aveva
collaborato con la Commissione d'Inchiesta delle Nazioni Unite
presieduta da Cherif Bassiouni e in seguito, dal 1993 al 1995,
aveva ripetutamente consegnato al Tribunale dell'Aia materiale
relativo a interviste di testimoni. Alcune segnalazioni fornite
al Bundeskriminalamt tedesco dall'Associazione per i Popoli
Minacciati, hanno portato all'arresto e alla condanna di diversi
criminali di guerra serbi.
Oggi non vi è più alcun dubbio che
nell'ex-Jugoslavia sia stato commesso un genocidio. Nei confronti
di alcuni fra i principali responsabili, quali Slobodan
Miloševic, Radovan Karadžic e Ratko Mladic, sono
state promosse accuse presso il Tribunale dell'Aia. Tuttavia gran
parte della comunità occidentale non ha a tutt'oggi
intrapreso alcun'azione seria per arrestare i principali
responsabili serbo-bosniaci, i quali sin dall'inizio erano
diretti da Miloševic. E non serve a cambiare di molto le
cose nemmeno il fatto che, all'inizio di marzo del 2000, le
autorità degli Stati Uniti abbiano pubblicato dei
manifesti in lingua inglese che indicavano come ricercati i tre
suddetti principali responsabili.
Appare utile delineare nuovamente nel suo insieme il genocidio
perpetrato in Bosnia, dal momento che il presente rapporto
documenta alcuni aspetti di questo crimine di guerra, pianificato
ed attuato in modo sistematico. Dal 1992 al 1995 diverse
Istituzioni europee e vari portavoce di Governi europei hanno
tentato di negare il genocidio, parlando di "crimini commessi da
tutte tre le parti in guerra" e di mascherarlo usando il termine
"guerra civile". In questo modo veniva anche sottaciuta
l'aggressione compiuta da Belgrado. Oggi, sulla base di
approfondite indagini, risulta che dal 1992 al 1995 il Governo di
Miloševic ha condotto una guerra di aggressione mirata
contro la Repubblica della Bosnia Erzegovina. Gli Stati Maggiori
unificati progettavano le azioni e dirigevano le truppe serbe in
Bosnia. Dall'aprile del 1993 al marzo del 1994 anche le truppe
croate hanno partecipato alla distruzione della Bosnia
Erzegovina.
Nella primavera, nell'estate e nell'autunno del 1992 l'Esercito
Popolare Jugoslavo aveva compiuto azioni militari contro
città e villaggi per lo più disarmati nell'Est, nel
Nord e nell'Ovest della Bosnia, in coordinazione con unità
paramilitari serbe. Allo stesso tempo vennero armati dei
nazionalisti serbi del luogo, i quali furono a loro volta
impiegati in azioni contro la popolazione non-serba.
Precedentemente erano stati uniformati i mass-media locali e
regionali e l'amministrazione era stata epurata dei collaboratori
non-serbi. Paesi e quartieri di città indifesi erano
spesso bersagliati dall'artiglieria. I Musulmani, i Croati, i Rom
e gli altri non-serbi venivano selezionati in base a diversi
criteri. I civili di sesso maschile tra i 16 ed i 60 anni
venivano trasferiti in campi di internamento e di concentramento,
e in parte eliminati già sul posto o durante le marce
forzate verso i lager, nei quali furono poi uccise decine di
migliaia di persone, molte delle quali appartenenti alle
élites. Della strategia della "pulizia etnica" faceva
parte anche lo stupro sistematico delle donne, soprattutto
musulmane. Secondo le stime della Commissione di esperti delle
Nazioni Unite presieduta dal Professor Cherif Bassiouni, sono
state vittime di dette violenze almeno 20.000 donne. In varie
zone dei territori occupati dai Serbi esistevano veri e propri
lager di stupro, dove le violenze venivano perpetrate anche per
mesi.
I bambini, le donne e gli anziani rimasti venivano trasportati in
Croazia o in Bosnia centrale dentro vagoni merci, in convogli di
autobus o di autocarri. Durante questi trasferimenti forzati e il
trasporto nell'altra parte della Bosnia dei prigionieri
sopravissuti ai campi di concentramento, venivano compiuti
continui massacri. Prima delle deportazioni, le vittime dovevano
cedere i propri averi alle autorità serbe. Gli abitanti
delle enclavi nella zona tra Bihac e Goražde, che si erano
opposti con successo e in alcuni casi anche per quattro anni alla
cacciata, furono bersagliati per anni dai carri armati e
dall'artiglieria, nonostante le loro città fossero state
dichiarate territori protetti dalle Nazioni Unite. A Sarajevo
l'elenco dei morti della città comprende attualmente circa
10.000 nomi di persone vittime dei quattro anni di attacchi
armati.
In tutti i territori occupati dai Serbi furono distrutti i
monumenti culturali, soprattutto dei Musulmani, ma anche dei
Cattolici. Ben 1.183 moschee furono rase al suolo. Il genocidio
compiuto dai Serbi in Bosnia terminò nel luglio del 1995
con le esecuzioni in massa di circa 8.000 tra uomini e ragazzi
della città di Srebrenica ad opera delle truppe d'azione
serbe al comando del Generale Ratko Mladic. La caduta della
città, la selezione e lo sterminio di 10.000 dei suoi
abitanti furono favoriti dal comportamento increscioso delle
truppe NATO olandesi e dalla collaborazione dei Governi
occidentali con Miloševic.
Secondo l'inviato speciale delle Nazioni Unite, Tadeusz
Mazowiecki, l'80% di tutti i crimini di guerra avvenuti in Bosnia
Erzegovina sarebbe stato commesso da truppe serbe. La CIA in un
rapporto, pubblicato dal New York Times nonostante fosse segreto,
sostiene che il 90% delle uccisioni sia stato commesso dalla
parte serba. Non vi sono statistiche certe riguardo al numero
delle vittime civili. Generalmente i mass-media internazionali
parlano di 200.000 morti.
Molti sostenitori della Croazia non hanno mai voluto prendere
atto del fatto che la Croazia fosse divenuta, dopo la Slovenia,
la seconda vittima dell'aggressione serba e che essa stessa abbia
poi a sua volta aggredito la Bosnia. Truppe serbe erano penetrate
profondamente in Croazia, occupando un terzo del Paese, e
minacciavano di dividere in quattro parti il restante territorio
non occupato a nord di Lipik, presso il ponte di Moslenica e nei
pressi di Karlovac. Oltre 10.000 croati e appartenenti ad altre
nazionalità minori della Croazia furono uccisi. La
magnifica città barocca di Vukovar fu completamente rasa
al suolo. Gli abitanti che erano stati assassinati furono
sotterrati in fosse comuni intorno alla città. Per mesi la
città di Dubrovnik (Ragusa) fu assediata e bombardata.
Centinaia di paesi furono distrutti, e ovunque nei territori
occupati furono incendiate le chiese cattoliche e profanati i
cimiteri.
In questa situazione l'allora Ministro degli Esteri tedesco Hans
Dietrich Genscher si pose a capo di quegli Stati che volevano
appoggiare la Croazia e diede inizio ad una catena di atti di
riconoscimento da parte degli Stati dell'Unione Europea. Tre mesi
dopo contingenti delle Nazioni Unite divisero le forze armate
serbe e croate. Quest'iniziativa di pace tedesca venne poi
strumentalizzata da parte dei partiti della sinistra tedesca, ma
anche da parte di singoli uomini politici europei e americani,
che la trasformarono nell'assurda "leggenda della pugnalata": il
Governo tedesco in questo modo avrebbe dato inizio allo
sgretolamento della Jugoslavia. Ma la "colpa" della Germania non
consisteva tanto nell'aver prestato il suo aiuto nel corso della
più grave crisi in Croazia, quanto nel rifiuto da parte
del Governo Kohl-Genscher di ritirare l'appoggio a Tudjman quando
questi nel maggio del 1993 attaccò con le sue truppe la
Bosnia Erzegovina al fine di distruggerla assieme a
Miloševic. Invano nel corso di conferenze stampa, di
interviste radiofoniche o televisive avevamo rinfacciato al
Ministro degli Esteri Klaus Kinkel, di tollerare i metodi di
governo autoritari del Presidente Tudjman e i crimini da lui
commessi in Bosnia e in Krajina. Nel corso di un colloquio durato
un'ora, svoltosi il 27 aprile 1994 presso il Ministero degli
Esteri, cercai di convincere il Ministro degli Esteri Klaus
Kinkel ad emanare delle sanzioni contro la Croazia, spiegando che
la Croazia da vittima era diventata autrice di crimini.
Quest'appello risultò però vano, così come
vane furono le sollecitazioni provenienti da altre
personalità e istituzioni.
Evidentemente il Presidente Tudjman aveva concordato sin
dall'inizio con il Governo di Miloševic la spartizione
della Bosnia Erzegovina. Ai colloqui serbo-croati svoltisi a
Karadordevo nel marzo del 1991 tra i Presidenti Miloševic
e Tudjman fecero seguito a Graz, nel febbraio del 1992, i colloqui
sulla spartizione tra Radovan Karadžic e Mate Boban. Quanto
fossero radicali gli obiettivi di dette contrattazioni emerge da
una conversazione avvenuta fra Bogdan Vucurovic, il sindaco di
Trebinje, e il luogotenente di Tudjman, Mate Boban, nello Stato
vassallo di quest'ultimo, la Herceg-Bosna. Il sindaco chiede dove
debba correre la linea di confine tra la Croazia e la Serbia.
Attraverso Mostar, in mezzo alla Neretva, pare abbia risposto
Boban. Alla domanda su dove sarebbero rimasti i Musulmani, Boban
si sarebbe limitato ad indicare il fiume. Così le truppe
croate hanno diviso la popolazione multietnica di Mostar: la
maggior parte dei Musulmani, i Rom e gli ultimi Serbi furono
cacciati attraverso il ponte nella piccola città vecchia,
dove per otto mesi subirono uno spietato fuoco incrociato, mentre
nella parte Ovest della città, divenuta croata, si
sorseggiava tranquillamente il caffè per strada.
Il leader del "partito liberal-democratico", Paddy Ashdown,
riferisce di un colloquio avuto il 6 maggio 1995 con il
Presidente croato durante un banchetto ufficiale offerto dal Lord
Major of London nella Guildhall a Londra. In quell'occasione,
Tudjman aveva fatto su un foglio del menù uno schizzo della
spartizione della Bosnia Erzegovina tra la Serbia e la Croazia.
Evidentemente Tudjman non si rendeva conto di aver rivelato i suoi
obiettivi di spartizione proprio ad un politico britannico che,
contrariamente al Governo Major, cercava in tutti i modi di
evitare la divisione della Bosnia Erzegovina e la "pulizia
etnica" ad essa collegata.
Le conseguenze dell'intervento croato in Bosnia Erzegovina sono
note. Gli alleati divennero nemici. Tudjman diede inizio nel sud
del Paese a quello che le truppe serbe avevano già attuato
a Nord, a Ovest e ad Est: la "pulizia etnica". Il presente
rapporto sui diritti umani documenta episodi locali di questi
crimini di guerra. Decine di migliaia di Musulmani si ritrovarono
nei campi di internamento, i quali, come nella Bosnia
occidentale, rischiavano di diventare dei veri e propri campi di
concentramento. Tra questi spicca il lager Heliodrom. Anche nel
sud della Bosnia Erzegovina la cacciata in massa avvenne con il
ricorso a minacce e a veri e propri crimini di guerra. Anche per
questo si verificarono sollevazioni in città e paesi come
Ahmici, in cui morirono più di cento abitanti. Solo chi ha
conosciuto queste persone è in grado di comprendere
pienamente cosa esse abbiano passato e cosa forse devono
sopportare ancor oggi. Ricordo il ritorno nel paese completamente
distrutto di Ahmici. Ricordo le cantine e delle case con i segni
delle granate a mano, che a partire dall'inizio di agosto del
1998 dovrebbero essere ricostruite; mi ricordo di quel padre che
teneva per mano la figlia di otto anni, la cui moglie ed il cui
figlio erano morti lì. Di fronte a tutto ciò, la
condanna di alcuni dei responsabili (Generale Tihomir
Blaškic, comandante Kupreškic) è solo una
magra consolazione. Già nell'autunno e nell'inverno
1992/93 in Erzegovina l'amministrazione e le truppe croate
cominciarono a bloccare le principali e vitali linee di
rifornimento verso la Bosnia, confiscando gli aiuti umanitari e
le armi, minacciando le persone ed eliminando i conducenti dei
convogli. Agli inizi di febbraio del 1993 ebbi la
possibilità di accompagnare l'allora Presidente del
Bundestag, prof.ssa Rita Süssmuth, in una visita ufficiale a
Zagabria.
In una cerchia ristretta di sei persone riuscii a parlare al
Presidente del Parlamento croato Stipe Mesic dell'incombente
aggressione croata della Bosnia. Mesic negò tutto,
sfuggendo come un'anguilla: evidentemente la cosa lo imbarazzava.
A distanza di un anno, dopo l'aggressione ed il genocidio nella
"Herceg-Bosna", Mesic ammise tutto e abbandonò il partito
di Tudjman. Oggi, in qualità di Presidente della Croazia,
ha annunciato di voler porre rimedio a quanto accaduto. Ai
separatisti croati della "Herceg-Bosna" verrà negato
qualsiasi finanziamento da parte della Croazia.
Le cose non si mettono in modo molto diverso il giorno seguente
con Mate Granic, l'allora vicepresidente dell'HDZ. Questi
allontana l'interprete e il suo segretario personale dalla
stanza, stende sul tavolo alcune mappe dettagliate del fronte
della Bosnia Erzegovina e comincia a decantare la fratellanza tra
Bosniaci e Croati. Ma già poche settimane dopo inizia il
secondo atto della tragedia bosniaca: truppe croate occupano
varie città della Bosnia, in alcune delle quali, come
Mostar, Žepce, Capljina, si pratica la "pulizia etnica".
Ovunque, fino alla regione intorno a Tuzla, Tudjman cerca di
strumentalizzare i croati di Bosnia ai fini della sua politica
separatista. Le forze armate bosniache rispondono agli attacchi.
Ne consegue una fuga di massa, anche di Croati, verso il Sud, che
si tramuta in parte in una vera e propria espulsione.
Nel giugno del 1993, a Vienna, durante la Conferenza mondiale
dell'ONU sui diritti umani, ci imbattiamo in Mate Granic, nel
frattempo diventato Ministro degli Esteri, seguito dalla
delegazione croata. "Adesso è lei il responsabile dei
crimini di guerra commessi dalle sue truppe in Bosnia Erzegovina"
gli dico. Granic appare visibilmente turbato e spaventato, si
schermisce e prosegue. In seguito, nel settembre del 1993
occupiamo per due giorni l'ambasciata croata a Bonn. Un gesto
estremo, compiuto perché nel campo di internamento
Heliodrom si trovavano 10.000 prigionieri. Vogliamo che Omarska
non si ripeta più. L'ambasciatore non ci denuncia per
violazione di domicilio. Al contrario, per due giorni siamo
trattati con ospitalità. Ma la notizia fa il giro
dell'Europa, grazie alle troupes televisive che ci avevano
accompagnati. Gli stessi prigionieri di Heliodrom, apprendo tre
anni dopo da persone che erano state in quel campo, erano al
corrente dell'occupazione dell'ambasciata, ma consideravano
questo gesto solo come un piccolo segno di speranza.
"Ieri vittime, oggi criminali", così intitolammo alcune
lettere aperte in lingua croata, indirizzate al Presidente Franjo
Tudjman e al Cardinale croato Franjo Kuharic. Nel luglio del 1993
distribuimmo queste lettere in forma di volantini in Piazza
Jelacic a Zagabria. La nostra manifestazione fu interrotta con la
violenza, gli striscioni vennero strappati e noi fummo condotti
alla centrale di Polizia, quindi scortati fuori del Paese. Forse
il fatto che le televisioni internazionali abbiano fatto
conoscere al mondo quest'atto di protesta ha contribuito a far
sì che i crimini di guerra commessi dai Croati non
giungessero ad assumere le stesse terribili proporzioni
dell'aggressione compiuta da Miloševic. Soltanto dopo che
il 22 marzo del 2000 il neoeletto Presidente croato Stipe Mesic
ebbe assunto il suo incarico, fu reso noto il rinvenimento di
13.000 fra documenti e registrazioni di colloqui di Franjo Tudjman
in una stanza chiusa a chiave. Tra questi vi erano anche dei
nastri registrati riguardanti i numerosi colloqui segreti
svoltisi tra Tudjman e Miloševic a partire dal 1991.
Ma dopo la riconquista della Krajina, nel luglio del 1995 le
truppe croate, su ordine di Franjo Tudjman, imperversarono anche
nella stessa Croazia. Agli inizi d'agosto del 1995, pochi giorni
dopo che i Croati ebbero ultimato l'"Operazione Tempesta",
effettuammo delle ricerche in sette villaggi tra Knin e
Drniš. 200.000 Croati di Serbia, tra i quali gli abitanti
di tutti questi paesi, erano fuggiti o erano stati scacciati.
Tutto quello che possedevano era stato saccheggiato e distrutto
sistematicamente. Si voleva così rendere impossibile un
loro eventuale ritorno. Questo lo capii subito chiaramente dai
colloqui che avemmo in seguito con il Ministro per i profughi
Adalbert Rebic e con il Ministro degli Esteri supplente Ivan
Simonovic. Dei crimini di guerra commessi contro civili croati di
etnia serba non si voleva sentir parlare. E dire che centinaia di
vittime civili erano state sotterrate in fosse comuni! La Krajina
è ancora oggi una provincia in gran parte abbandonata. In
numerose zone i paesi e i campi sono deserti.
Il deciso cambio di Governo e di Presidente in Croazia ha dato
nuova speranza a molte persone. I profughi serbi e musulmani
bosniaci adesso sperano in un rapido ritorno in Krajina e nei
territori di Bosnia attualmente controllati dai Croati. La nuova
classe politica di Zagabria non intende continuare a finanziare,
né ad appoggiare le strutture antidemocratiche in
Herceg-Bosna. I primi passi verso la neutralizzazione del
distretto di Brcko sono già stati compiuti. Anche in
questa zona dovrà aver luogo un graduale reinsediamento
della popolazione non serba scacciata. Così il compito
della comunità internazionale rimane quello di attuare dei
cambiamenti nella zona serba della Bosnia Erzegovina, per
permettere un ritorno in massa della popolazione non-serba che
era dovuta fuggire: Musulmani bosniaci, Croati, "Misti" e
Bosniaci Rom. Solo allora in Bosnia Erzegovina potrà
ritornare la pace.
Questo rapporto dell'Associazione per i Popoli Minacciati si
basa su materiale che documenta le violazioni di tutti i tipi di
diritti umani commesse dal 1992 al 1995, nel corso
dell'aggressione contro la Bosnia Erzegovina. Abbiamo raccolto
detto materiale nell'arco di un anno nel territorio
dell'Erzegovina. Purtroppo, anche dopo la firma dell'accordo di
pace di Dayton, si verificarono in quella zona continue
violazioni di diritti umani.
Siamo stati in grado di completare la nostra raccolta di
materiale relativamente alle seguenti città, compresi i
paesi circostanti: Mostar, Capljina, Prozor, Livno, Stolac nella
cosiddetta Herceg-Bosna, Trebinje, Nevesinje e Gacko nella
Republika Srpska.
Le nostre osservazioni portano a concludere inequivocabilmente
che nel territorio della Herceg-Bosna viene attuato una vera e
propria apartheid nei confronti della popolazione non-croata. La
Herceg-Bosna, questa struttura fantoccio che non è
riconosciuta da nessuno, esiste ancora oggi come parte della
realtà politica. I profughi ritornano solo molto
lentamente o, come nel caso della zona occidentale di Mostar, non
ritornano affatto. A Stolac sono stati registrati 70 attacchi
contro Musulmani che stavano ritornando.
Nel 1993 circa 2.000 tra Musulmani e Serbi furono licenziati
dalla fabbrica di alluminio di Mostar. A Livno ai Musulmani
bosniaci è addirittura vietato lavorare. Essi non possono
nemmeno far registrare un'associazione di ex-prigionieri dei
lager. Nelle città di Trebinje, Nevesinje e Gacko nella
Republika Srpska, la situazione è particolarmente
difficile. Ormai in quelle città vivono praticamente quasi
solo Serbi.
Le nostre osservazioni e le nostre esperienze a contatto con i
profughi e le vittime dei campi di concentramento, degli stupri,
delle deportazioni e delle esecuzioni di massa hanno evidenziato
che queste persone sono ancora in preda al panico. Solo
pochissimi sono disposti a testimoniare davanti al Tribunale
dell'Aia. La loro paura è del tutto comprensibile, se si
considera che la maggior parte dei loro aguzzini è tuttora
al potere.
Anche per questo motivo abbiamo organizzato la tavola rotonda
"Cerchiamo giustizia - sostenere lo sviluppo del processo
democratico come base per la rappacificazione e la ricostruzione
di una società multietnica in Erzegovina". Crediamo che la
pace non possa essere instaurata senza giustizia. Senza
l'ammissione della colpa non vi può essere alcuna
guarigione e senza guarigione non può esserci la
pace.
Al centro di questo processo non c'è solo il
riconoscimento delle sofferenze delle vittime, ma anche la presa
di coscienza del fatto che la colpa non è di tutto un
popolo o di una nazione, ma che invece, di norma, ogni singola
persona ha la propria responsabilità. In tutte le
comunità vi sono persone buone che hanno combattuto
coraggiosamente per il rispetto dei diritti umani, rischiando
anche la propria vita. Queste persone facevano però anche
parte allo stesso tempo della comunità che ha commesso i
crimini più atroci. È necessario che anche
ciò venga riconosciuto, affinché per noi vi sia la
possibilità di ottenere la pace e la giustizia.
Che cos'è per noi la pace? Significa arrestare e punire
tutti i criminali di guerra. C'è qualcuno che crede
seriamente che la pace senza giustizia sia una vera pace?
C'è qualcuno disposto a credere che centinaia di migliaia
di vittime potranno accettare tutto questo? Che non cercheranno
giustizia? E che, se giustizia non sarà fatta, non
prenderanno il diritto nelle proprie mani e si vendicheranno da
sé? Proprio quando si tratta di crimini contro la persona,
come l'assassinio, lo stupro o altre forme di violenza fisica, la
vittima solitamente conosce il colpevole. Ma la vittima non va
alla Polizia per sapere lì quello che è successo,
non sporge denuncia per portare il suo caso davanti ad un
Tribunale, perché conosce già la verità. Il
suo scopo è di solito far sì che la società
riconosca ufficialmente ciò che essa ha subito. Solo
questo è veramente importante per la vittima, solo questo
è l'oggetto del diritto e della giustizia. Ciò che
importa è che vi sia il riconoscimento di quanto
accaduto.
Per questo motivo abbiamo svolto le nostre indagini proprio nel
territorio dell'Erzegovina. L'Erzegovina, infatti, subì
una duplice aggressione: quella serba nel maggio del 1992 e
quella croata nell'aprile del 1993. Contro la piccola Erzegovina
s'infransero i sogni di coloro che volevano creare la Grande
Serbia e la Grande Croazia. Nel periodo tra l'aprile ed il luglio
del 1992, nel corso della guerra d'aggressione serba,
nell'Erzegovina occidentale fu fatta "pulizia etnica" degli
appartenenti alla popolazione non-serba (Gacko, Nevesinje, Bileca
e Trebinje). I Musulmani e i Croati, assieme alle forze unite
dell'HVO e della difesa territoriale tentarono di mantenere il
territorio. Poi, il 19 aprile 1993, fu reso noto che i Musulmani
di Mostar, Stolac, Capljina, Prozor, Jablanica, Konjic, Livno e
Tomislavgrad sarebbero stati posti agli ordini dell'HVO. Ma essi
si rifiutarono.
Contemporaneamente, nell'ambito della Bosnia Erzegovina, Stato
internazionalmente riconosciuto, fu alacremente avviata la
creazione del parastato Herceg-Bosna. Questo Stato satellite
comprende le comunità che sono prevalentemente abitate da
Croati, ma si estende anche a territori nei quali la popolazione
è mista croato-musulmana. Le unità di combattimento
di questa "comunità" separata dal resto del territorio
rifiutarono qualsiasi subordinazione al Governo bosniaco e si
fecero strada da sé commettendo uccisioni e
assassini.
Nella Herceg-Bosna, in aperta violazione della Costituzione
bosniaca, furono introdotti il diritto croato, la moneta croata,
i francobolli croati e libri scolastici croati. Ciò
avvenne in modo simile a quanto attuato dai Serbi nei territori
croati occupati, quali Krajina, Baranja, Lika. Attraverso i mezzi
di comunicazione croati, soprattutto la televisione e la radio di
Stato, il Presidente croato Tudjman, in conformità al
modello totalitario serbo, iniziò una campagna di
sobillazione contro i Musulmani ed il Governo bosniaco che
proseguì per diversi mesi.
A Zagabria già nel febbraio del 1993 furono vietate le
manifestazioni dei Bosniaci e nel giugno del 1993 furono vietati
anche i giornali bosniaci. In luglio la Polizia militare croata
cominciò ad irrompere nottetempo nei campi-profughi
dell'organizzazione umanitaria tedesca Cap Amur a Capljina, e a
rapire intenzionalmente profughi bosniaci. Nel corso di uno di
questi assalti, due collaboratori tedeschi dell'Organizzazione
furono tenuti prigionieri per 20 ore. Il loro principale disse
che il comportamento della Polizia militare gli ricordava la
prassi dei regimi totalitari di cui lui stesso aveva fatto
esperienza. Nei pressi del Mare Adriatico, l'équipe
tedesca di medici d'urgenza fu testimone della cacciata di
profughi bosniaci dai campeggi e dagli alberghi di Spalato.
Queste persone, che erano state cacciate dalla Republika Srpska,
furono costrette dalla Polizia croata a trasferirsi in
campi-profughi pakistani situati al confine con
l'Afghanistan.
Nel frattempo il Governo croato minacciava di espellere tutti i
profughi musulmani bosniaci dalla Croazia. Secondo quanto
riportato dai mass-media internazionali, agli inizi di luglio del
1993 Tudjman lanciò un appello affinché in Bosnia
Erzegovina fossero create delle province "etnicamente pulite",
sollecitando la popolazione a "trasferirsi volontariamente". Tali
operazioni di trasferimento furono poi messe in atto in
collaborazione con la parte serba. Il Presidente croato mostrava
così di accettare anche pubblicamente la politica serba
della "pulizia etnica".
Editore: Associazione per i Popoli Minacciati, sezione di
Bosnia Erzegovina (Društvo za ugrožene narode, Bosna
i Hercegovina)
Responsabili: Fadila Memiševic, Mustafa
Kapidžic
Redazione: Mauro di Vieste, Stefano Barbacetto
Titolo originale: Potraga za pravdom
Edizione in lingua tedesca: "Suche nach Gerechtigkeit",
traduzione di Belma Delic
Traduzione dal tedesco all'italiano: Elena Breda
Carte geografiche: Asim Abdurahmanović
Stampa: Laserprint - Sarajevo, Settembre 2000