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Laboratorio Colombia

Resistenze senza tempo e nuove guerre

A cura di Dario Ghilarducci e Filippo Nuzzi

Bolzano, marzo 2015

PREMESSA DOVEROSA

Manifestazione del 1 maggio 2015 a Bogotà, Colombia. Foto: Dario Ghilarducci. Manifestazione del 1 maggio 2015 a Bogotà, Colombia. Foto: Dario Ghilarducci.

Questo libro che avrebbe dovuto veder la luce circa 10 anni fa, fu letteralmente pensato e composto in movimento, nel senso più reale del termine che il lettore riesca ad immaginare e perciò, nella migliore tradizione dei movimenti sociali e politici reali, è un prodotto collettivo. La dimensione collettiva di questo testo va oltre la sua semplice stesura, redazione ed edizione, attraversando territori, corpi e menti in un esercizio di riaffermazione costante di tutta quell'umanità ribelle che continua ad esistere e resistere alla barbarie quotidiana che ci vorrebbe tutte e tutti disciplinati, obbedienti e schiavi.

La storia, le lotte, la memoria e la dignità delle comunità afrodiscendenti in resistenza e di molti altri movimenti sociali della Colombia, assume oggi ancor più valore che 10 anni fa. Da quelle parti si sa perfettamente che la democrazia ed i diritti non esistono se non vengono attivamente rivendicati, praticati e difesi senza tregua. Ogni messaggio di speranza che nasce dalla resistenza, è capace di viaggiare intatto nel tempo e nello spazio, propagandosi, ibridandosi e rinnovandosi costantemente assumendo nuove forme e dimensioni, senza perdere il proprio carattere libertario ed emancipatorio.

I messaggi di resistenza hanno prodotto, producono e continueranno a produrre movimenti di ribellione per una Vita degna di essere vissuta ed è per questo che anche a distanza di 10 anni, abbiamo pensato di riproporre questo testo, che per varie vicissitudini non è stato pubblicato al tempo della sua stesura. Oggi la Colombia attraversa una transizione senza precedenti, che per la prima volta dall'inizio del conflitto armato interno, negli anni '50 del secolo passato, potrebbe portare alla firma di un trattato di pace tra lo Stato e le più antiche formazioni guerrigliere del paese, le FARC e l'ELN.

Manifestazione del 1 maggio 2015 a Bogotà, Colombia. Foto: Dario Ghilarducci. Manifestazione del 1 maggio 2015 a Bogotà, Colombia. Foto: Dario Ghilarducci.

Ma la pace qua come in molti, troppi altri luoghi devastati dalla barbarie neoliberista, rischia di diventare poco più che uno slogan vuoto. Quando conoscemmo questo paese, tutte le organizzazioni politiche e sociali, dai movimenti alle associazioni, ai collettivi universitari, passando per i differenti gruppi etnici, avevano ben chiaro che in Colombia esiste un conflitto armato, sociale e politico, che va ben oltre la contrapposizione tra lo Stato con i suoi militari/paramilitari e le guerriglie.

Non saranno il governo ed i comandanti delle guerriglie a definire e costruire la pace in Colombia, ma saranno i movimenti, la società civile, le comunità in resistenza, i difensori dei diritti umani, le vittime organizzate e tutti quei soggetti che sanno benissimo che non basta siglare un trattato per metter fine a centinaia di anni di angherie e sfruttamento, ma che sono necessarie azioni concrete e reali, a partire da quella tanta agognata riforma agraria, che nei fatti appare sempre più distante dal tavolo ufficiale delle trattative.

La complessità del conflitto armato, sociale e politico colombiano, non può essere ridotta alla dimensione bellica, semplice conseguenza delle condizioni indegne in cui è stata costretta a vivere la maggior parte della popolazione di uno dei paesi più biodiversi e più ineguali del pianeta terra. Se non verrà data risposta alle giuste rivendicazioni delle miriadi di comunità contadine, indigene, afrodiscendenti che da sempre resistono degnamente per la difesa del territorio e della vita, vorrà dire che si sarà raggiunta una pace senza giustizia, fragile e tutt'altro che duratura.

E mentre i negoziati avanzano, avanzano anche le promesse di impunità contro tutta quella cupola poliziesca e militare, che eseguendo gli ordini dei governi di turno, a loro volta gestiti da antiche e rancide oligarchie nazionali alleate con il capitale transnazionale, si è macchiata di ogni tipo di sopruso e violazione nei confronti dei civili. Lo stato colombiano sta cercando di accomunare i crimini perpetrati dalla guerriglia, alle azioni sistematiche di attacco, sterminio sociale e politico e sradicamento forzato di intere comunità commesse dalle sue strutture legali e paramilitari nel corso dei decenni.

A fronte di tutto questo, una comunità internazionale inebetita dalla crisi e più interessata alle sterminate ricchezze naturali del paese, che alla difesa dei diritti umani e della biodiversità, accetta di buon grado la nuova facciata ufficialmente offerta alla comunità internazionale dal governo colombiano; perché se è pur vero che il paese sta vendendo un'immagine più pulita verso l'esterno, è altrettanto certo che non manca chi è pronto a comprarla, con i paesi dell'Unione Europea in prima fila.

Ed ecco che l'Italia, oltre ad aver prestato la propria polizia per fare spionaggio contro i difensori dei diritti umani colombiani, in appoggio all'ormai smantellato DAS, stipula accordi di cooperazione militare, secondo cui i militari del Bel Paese hanno già iniziato (dal 2012) a ricevere addestramento in "operazioni speciali e di selva" da parte dei loro colleghi colombiani. Al che il dubbio sorge spontaneo: che cosa sanno fare di tanto speciale i militari colombiani? Perché gli italiani hanno bisogno di essere addestrati a muoversi nelle selve?

La risposta alla prima domanda è scontata: i militari ed i poliziotti colombiani sono dei macellai riconosciuti e come tali assolutamente efficienti ed efficaci in tutte le operazioni controinsurgenti, ovvero tutta quell'amalgama di barbarie che ha teorizzato e praticato l'attacco sistematico contro la popolazione civile, dal Vietnam e dal Centro America, passando per ogni altro scenario di guerra e resistenza, dove qualcuno in qualche momento ha alzato la testa per dire: "ORA BASTA!".

Per quanto riguarda poi la seconda, possiamo solo fare congetture: forse l'Italia si sta preparando ad invadere il Madagascar, o piuttosto c'è bisogno di imparare qualche nuova tecnica di tortura dai colombiani da applicare a casa nostra - visto che come ci ricorda la Corte di Strasburgo, il nostro codice penale neppure contempla reato - magari contro i NO TAV della Val di Susa, piuttosto che i militanti dei Centri Sociali, gli operai, gli occupanti, i sindacalisti o i docenti.

Per tutto questo e per molte altre ragioni che eccederebbero le finalità di queste poche righe, abbiamo pensato di far circolare queste memorie di resistenza, perché raccontano di forme diverse di ripensare i territori e la vita, ricostruendo spazi comuni, dove abbia senso continuare a vivere e non solo ad esistere come schiavi.

La storia ci ha insegnato che in determinati periodi la resistenza non è solo una scelta di pochi, ma una necessità diffusa e tutte e tutti siamo chiamati a fare la nostra parte. Questo non è che un nostro piccolo contributo, né il primo, né l'unico, né l'ultimo, perché: LA UNICA LUCHA QUE SE PIERDE ES LA QUE SE ABANDONA.

Che ce ne frega della Colombia?

Manifestazione del 1 maggio 2015 a Bogotà, Colombia. Foto: Dario Ghilarducci. Manifestazione del 1 maggio 2015 a Bogotà, Colombia. Foto: Dario Ghilarducci.

Mentre il governo italiano viene ripetutamente ripreso dalle Nazioni Unite e dall'Unione Europea per le sue violazioni dei diritti umani in merito alle politiche contro i migranti e la maggior parte del popolo si domanda che cosa siano i diritti umani in una "democrazia avanzata" come la nostra e rimane instupidito ad osservare il carosello dei festini del premier e le processioni delle ronde, dall'altra parte dell'Atlantico in Colombia, una "democrazia sui generis", i difensori dei diritti umani, quelli veri, sono ancora una volta al centro del mirino. Ma dov'è la Colombia? Non è il paese di Pablo Escobar? Non è quel posto dove c'è un sacco di violenza e si sparano da decenni? Non sono tutti narcotrafficanti da quelle parti? Dopo tutto che cosa ce ne dovrebbe interessare? La Colombia è così lontana e poi è sempre la solita storia, violenza, narcotraffico e dopo tutto è una repubblica delle banane, dopo tutto sono dei barbari senza speranza e poi da quelle parti i corrotti, i criminali al potere e le dittature sono normali...

Certo però Escobar qua da noi riscuote ancora successo se non più di pochi anni fa un sacco di gente esibiva orgogliosa magliette che lo indicavano come il loro pusher personale e poi lo sapete come si chiamava la "hacienda" (il podere, si fa per dire...) di Pablo? Non ci crederete ma si chiamava Napoles, si vede che per lui non era Gomorra, ma la terra promessa. Poi, diciamoci la verità, la cocaina ci piace un sacco e ormai ci rende tutti un po' più simili, da Lapo Elkan agli operai dei cantieri, una nuova livella sociale insomma, tutti democraticamente avanzati e … intossicati. Che vuoi che sia poi se la cocaina incrementa i proventi delle organizzazioni criminali come la mafia, la camorra e la 'ndrangheta, d'altra parte non ci si può mica sempre preoccupare di tutto e poi se uno sta a vedere 'ste cose, non bisognerebbe neppure bere la Coca-Cola, consumare prodotti Nestlé o le banane Chiquita, dato che tutti questi signori da quelle parti hanno fatto un sacco di brutte cose.

Dopo tutto poi noi italiani dovremmo essere grati ai narcotrafficanti, perché come dice il responsabile, nostro compatriota, dell'Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine, Antonio Maria Costa, un sacco di banche sono state salvate dalla crisi proprio dai proventi illegali derivanti dal traffico di droga, che gode di ingenti somme di contanti da reinvestire e ripulire. Ovviamente il nostro si guarda bene dal dire che le banche italiane abbiano tratto beneficio da questi fondi, ma guarda caso tanto le nostre banche, quanto quelle colombiane, godono quasi tutte di buona salute, nonostante una crisi globale che scuote il capitalismo alle sue fondamenta, ma da noi si sa, non hanno comprato "titoli tossici"...

E allora perché no? Non avrà ragione il presidente Berlusconi, che di mafiosi e narcotrafficanti se ne intende, tanto che uno lo ha tenuto per anni come stalliere e lo ha definito pure "eroe", quando ci dice di non pensare alla crisi, che è tutta una questione psicologica e che presto si risolverà tutto? Ma si, un paio di righe e via, tiriamoci su e tutti a produrre, o meglio ancora a consumare, che altrimenti si inceppa il sistema.

Manifestazione del 1 maggio 2015 a Bogotà, Colombia. Foto: Dario Ghilarducci. Manifestazione del 1 maggio 2015 a Bogotà, Colombia. Foto: Dario Ghilarducci.

Sapete che vi dico, non siamo poi troppo diversi da questi colombiani, magari siamo meno eclatanti, un po' meno rumorosi e il sangue forse ci dà un po' più fastidio che a loro, ma a pensarci bene alla fin fine abbiamo un sacco di cose in comune. La criminalità che detta legge, infiltra e contamina tutti i livelli del potere sia locale che nazionale non è certo un'esclusiva sudamericana. Quanto poi a corruzione e corrotti non siamo secondi a nessuno, per non parlare poi di dittature e non solo perché il fascismo lo abbiamo inventato noi, ma perché come sempre siamo all'avanguardia e ci stiamo cimentando proprio adesso nella strutturazione di nuove architetture istituzionali al passo con i tempi, che nell'era di internet, della comunicazione e dei mass media possano dare nuova linfa vitale e una forma di esercizio del potere che dall'antica Grecia in avanti, aveva proprio bisogno di qualche ritocco, né più né meno che la faccia del nostro premier prima di presentarsi alla stampa.

Dai però bisogna dire le cose come stanno, da noi non ammazzano la gente come in Colombia, non facciamo mica sparire la gente nelle fosse comuni dopo averla fatta a pezzi con la motosega, anche in questo siamo più puliti, vuoi mettere sciogliere i bambini nell'acido? Il problema è risolto alla radice e non restano neppure le tracce. Ci sarà anche l'esercito che pattuglia le nostre città, però almeno da noi non si aggirano squadroni della morte paramilitari dando la caccia ai disperati che vivono in strada, noi che siamo persone civili organizziamo ronde di distinti cittadini che si offrono volontari per dare una mano a polizia e carabinieri e per il momento pensate un po', quei poverini sono addirittura disarmati...

Una cosa è certa siamo più belli dei colombiani. Questo sì non ce lo può togliere nessuno, loro sono bruttini, in particolare gli uomini, le donne invece gran belle figliole e poi calde, accoglienti, anche già da giovanissime. Deve essere proprio il nostro fascino "latino" (e loro che sono?!?) che fa cascare tra le braccia di turisti italiani così tante minorenni a Cartagena che la nostra ambasciata per la vergogna ha finanziato pure un progetto contro la prostituzione minorile. Comunque se è vero che la maggior parte degli italiani che visitano la Colombia non sono proprio stinchi di santo, anche certi colombiani che vengono dalle nostre parti non sono proprio personcine per bene. Non riesco a togliermi dalla testa, che durante il passato governo Berlusconi, proprio quando l'integerrimo Gianfranco Fini, convinto proibizionista e nemico di tutte le droghe, in particolare quelle leggere (vedi la legge Fini...) era Ministro degli esteri, l'ambasciatore colombiano a Roma - Luis Camilo Osorio - e il console generale a Milano - Jorgue Noguera Cotes - erano allora tra i personaggi più discussi ed oggi inquisiti entrambi ed in carcere (il secondo) per nessi con i paramilitari e narcotrafficanti...

Insomma se di barbarie vogliamo parlare, anche in questo caso non siamo secondi a nessuno al punto che ci si stupisce quando di fronte alle devastazioni di un terremoto annunciato come quello abruzzese, gli italiani si riscoprono solidali e "brava gente". Il minimo direi, oppure siamo davvero migliori dei colombiani? Comunque su di un punto sono proprio più bravi di noi, per quante lezioni possiamo prendere, per quanto ci possiamo sforzare, per quanta "bamba" possiamo consumare - e siamo già tra i primi al mondo - non riusciremo mai a ballare bene come loro. Eh si, questo lo sanno fare proprio bene, pare che ce l'abbiano nel sangue e c'è dell'altro. Molto di più.

C'è un senso profondo di dignità e perché no di ribellione contro l'ingiustizia che da quelle parti non si è mai spento e che da noi stenta ogni giorno di più a riaffiorare. C'è uno sforzo permanente per costruire quella democrazia che da noi credevano di aver raggiunto e che si sta sgretolando ogni giorno di più. C'è la lotta civile e instancabile di chi rischia tutto, la vita sua e dei suoi cari per uno stato di diritto, per una pace giusta, per un futuro degno per tutti. Ci sono i difensori dei diritti umani, cosa da noi sconosciuta, perché abbiamo dato ormai per acquisite tutta una serie di cose, che non ci rendiamo neanche più conto quando ce le sottraggono lentamente, in maniera sottile però costante, troppo persi ad assomigliare al palestrato o alla velina di turno, perché alla fine siamo ancora i più belli e l'importante è sorridere e far finta di nulla come ci insegnano i nostri vertici di governo. E da noi neppure ti ammazzano se reclami diritti, o per lo meno succede ancora di rado...

Ma che fanno 'sti benedetti difensori dei diritti umani e soprattutto a che servono? Riassumerei il loro lavoro con una frase: cercano di costruire una democrazia su basi di dignità a giustizia sociale. Si perché in Colombia, come dicevano prima la democrazia non è avanzata come la nostra dove addirittura si fanno proposte di legge per imporre l'oblio di stato su internet sulle vicende legali dei potenti, ma pensate un po', da quelle parti e in quelle democrazie sui generis, si lavora ancora per la memoria, la dignità e la giustizia sociale. Che schifo vero? Che te ne fai della memoria se ti puoi fare un paio di pezzi il sabato sera e magari ogni tanto ce la fai pure a mettere il culo su di un tavolo riservato in una discoteca "in" proprio come fanno i VIP dell'Isola o del Grande Fratello. E la giustizia sociale? Ma che roba è? Silvio ce lo ha dimostrato, se uno lavora sodo e si impegna ce la può fare da solo e magari sfonda in TV, oppure una botta di culo e vinci il superenalotto, il gratta e vinci o un paio di tornei di Texas Hold 'Em. La dignità? L'importante è l'orgoglio! Siamo italiani, viviamo nel "bel paese" e che vuoi che siano un po' di monnezza, 4 lager per migranti e qualche altra piccola magagna?

Da noi evidentemente non c'è molto da costruire, al contrario in Colombia sì e c'è pure chi cerca di farlo, ma la cosa non è tanto semplice e chi ci prova è sottoposto costantemente a minacce, aggressioni alla propria persona, ai propri cari, alla propria privacy. Si perché da noi l'unica privacy che conta è quella dei potenti, dal premier in giù passando per tutte le icone della TV attraverso il grande carrozzone della politica istituzionale nel suo complesso e allora diventa una questione di stato e un complotto della sinistra che controlla i media nazionali ed esteri. Invece nelle repubbliche delle banane come la Colombia, i complotti si fanno ancora contro la sinistra, quella vera che da quelle parti ancora esiste ed è sinonimo di democrazia, partecipazione, diritti, giustizia sociale. Mentre da noi si perde tempo a sviare l'attenzione dell'opinione pubblica sulle amichette del "papi" e sui "pompini" telefonici delle ministre/veline, in Colombia i servizi segreti attaccano le più rappresentative organizzazioni che difendono i diritti umani, oltre a giornalisti e oppositori in genere.

Cerchiamo di capirci, NON STIAMO PARLANDO DI GUERRIGLIERI, quelli direbbe qualcuno, sono stati più furbi e si sono organizzati per tempo per pararsi il culo, ma di civili, di organizzazioni legali, democratiche e internazionalmente riconosciute come il Colectivo de Abogados José Alvear Restrepo con sede a Bogotá. I suoi membri (e non solo loro) sono stati oggetto di una massiccia operazione di spionaggio offensivo e strategico da parte del DAS (i servizi colombiani), che non si è limitato a forme totali di controllo sui soggetti interessati, ma si è spinto ben oltre con azioni di boicottaggio diretto e minacce sia contro gli avvocati che contro i loro familiari, inclusi i figli minorenni.

Ma ancora una volta, a noi italiani che ce ne frega? Dopo tutto le violazioni in Colombia sono anche il prezzo da pagare per continuare ad avere fiumi di cocaina a prezzi sempre più bassi che inondano i nostri mercati e non è certo colpa di tutto il paese se uno dei massimi leader paramilitari era un italiano, Salvatore Mancuso adesso in carcere negli Stati Uniti. E alla fin fine meglio loro che noi, o mi sbaglio?

Ma siamo proprio sicuri che non stiamo già pagando il prezzo della scelta di non vedere, di girarsi altrove, di non preoccuparci troppo, semplicemente di rincoglionire così come ci viene chiesto dall'alto senza porre troppi problemi. Per quanto ancora potrà reggersi un paese come il nostro, che ogni giorno di più si fonda sulla demenza collettiva, sulle mafie che se ne alimentano e sul narcotraffico che qua come in Colombia fa da carburante? Se in Italia adesso pare non esserci molto da costruire, questa non potrà che essere una condizione passeggera, perché quando l'invasione barbarica sarà terminata, ci sarà parecchio da lavorare.

Una volta un grande avvocato cileno, uno dei primi difensori dei diritti umani della storia mi disse che lui era un esperto di diritto amministrativo e che fu il colpo di stato di Pinochet ad obbligarlo ad inventarsi difensore dei diritti umani e che tutto ciò aveva segnato e completamente cambiato la sua vita irrimediabilmente. Non so perché, ma questa affermazione tanto scontata allora mi colpì profondamente ed il significato riesco a comprenderlo solo oggi. L'importanza di creare un precedente, di costruire memoria viva e di gettare le basi di qualcosa che verrà raccolto solo in futuro.

Il lavoro di Roberto Garreton (questo il nome dell'avvocato) in Cile durante la dittatura di Pinochet ha inciso solo marginalmente sulla barbarie della dittatura, ma è servito a mantener viva la democrazia come resistenza civile alla violenza imposta del potere, è servito a costruire memoria, a creare un precedente e persino quella che in gergo tecnico si definisce "dottrina" nel campo del diritto internazionale dei diritti umani.

Oggi nell'epoca della globalizzazione, dove non esistono (o quasi) confini alla comunicazione, siamo chiamati a sentire come nostro ogni sforzo realmente democratico e ogni resistenza alla barbarie, ma soprattutto siamo chiamati ad apprendere fin da subito quegli strumenti che da qui a breve saranno necessari anche a noi, per imparare se non altro a comunicare con altri linguaggi che per pigrizia, leggerezza o cecità non abbiamo saputo approfondire. I difensori dei diritti umani in Colombia sono patrimonio collettivo dell'umanità e lo sono in particolare degli italiani che se non sono riusciti a comprendere dalla loro resistenza che la democrazia è un processo in costruzione e non un dato acquisito, saranno costretti in futuro ad andare ad imparare che cosa significa difendere i diritti umani.

Scarica il libro completo in formato PDF: www.gfbv.it/3dossier/colombia/lab_colombia.pdf.

Il libro completo può anche essere letto nei diversi formati ebook .epub, .mobi e .pdf a questo link www.dropbox.com/sh/z1ywl5cy06o29ll/AAAdqm3-wbIblstMCcfjXG9oa?dl=0