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Dossier > Conferenza "La Turchia verso l'entrata nell'UE - E i
Kurdi?"
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Conferenza "La Turchia verso l'entrata nell'UE - E i
Kurdi?"
GfbV e Fondazione F. Naumann, Francoforte - 6 marzo 2010
Possibili scenari per una soluzione della questione
kurda
Prof. Ronald Mönch - Università di
Brema
Indice
1. Esiste una "questione kurda"? | 2. C'è una soluzione per la "questione turca"? |
3. Scenari | 4. La
necessità di una strategia | 5. Dove
siamo? Qual'è il punto di partenza della situazione dei
Kurdi in Turchia? | 6. Definizione degli
obiettivi | 7. Strategie senza opzioni di
obiettivi?
1. Esiste una "questione curda"? [ su
]
Prof. Ronald Mönch -
Università di Brema.
Per i governi turchi dal 1925 all'inizio del XXI secolo non
c'era bisogno di confrontarsi con una tale questione: i Kurdi non
esistevano, perciò non si poneva nessuna "questione
kurda". Era questa la posizione ufficiale che determinava la
politica turca per decenni nella sua politica interna ed esterna.
Più tardi non si poteva più negare l'esistenza
dell'etnia kurda, ma presto si riusciva a piazzare l'argomento
scomodo nella rubrica "terrorismo". Dai cittadini normali in
Turchia ci si aspettava che andassero fieri di poter considerare
la Turchia la loro patria.
In realtà l'esistenza dei Kurdi, il popolo più
grande senza un proprio stato, è una questione bruciante
che porta nel cuore del concetto di stato della Turchia moderna.
La dottrina kemalista non lasciava spazio ad altre nazioni o
popoli: i Kurdi, l'ultima nazione non-turca rimasta nell'ambito
geografico della Turchia moderna dopo la cacciata dei greci e
degli armeni, erano semplicemente ignorati. Fu questa una delle
menzogne costituzionali centrali della Turchia kemalista, tenuta
in piedi per quasi 90 anni. Oggi la Turchia non può
più permettersi questo gioco, e quindi non si nega
più l'esistenza dei Kurdi come popolo. D'altro canto i
Kurdi non si presentano come "una questione" da risolvere,
piuttosto la loro situazione configura una sfida specifica per lo
stato di fatto di una Turchia plurinazionale. Quindi è il
popolo maggioritario dei turchi a doversi chiedere come
rapportarsi al carattere plurinazionale del suo stato. In altre
parole: ci troviamo davanti ad una "questione turca".
2. C'è una soluzione per la "questione turca"? [
su ]
Sarebbe ingenuo credere che il mondo scientifico o
organizzazioni internazionali, partiti all'interno della Turchia
o, non per ultimi i Kurdi stessi, possano inventarsi una
soluzione bell'e pronta. La complessità del problema
richiede la massima cautela nell'offrire soluzioni. Non si tratta
di risolvere un compito matematico, ma di affrontare un intreccio
di processi storici, con ferite profonde soprattutto da parte del
popolo da tanto tempo dominato. Si tratta di processi in continua
evoluzione e quindi non possono essere "risolti" con un taglio
del nodo gordiano. La parola "soluzione" suona troppo promettente
e risveglia aspettative non realizzabili da nessuno. La scienza
può delineare percorsi, descrivere opzioni verso un
miglioramento. Spetta alle parti in conflitto scegliere il
percorso più convincente, che comunque sarà
continuamente corretto. Le parti in causa, comunque, devono
potersi organizzare, informare, incontrare per aprire una
prospettiva di trattativa.
3. Scenari [ su ]
Uno scenario è paragonabile ad un copione. C'è
l'inizio, lo svolgimento della trama, la fine del film, tutto
quanto descrivibile in dettaglio. Ma è difficile indicare
un percorso politico unico per un problema così complesso,
quindi occorre sviluppare vari scenari. Un copione può
essere adattato, modificato, riscritto; non deve essere uno
schema fatto di cemento armato. La descrizione e valutazione
accurata dei processi in atto secondo lo scienziato sono una
condizione per il successo del film, cioè di ogni
operazione politica. Oggi non esiste né uno scenario
sviluppato dai Kurdi dal titolo "Libertà per i Kurdi",
né uno scenario proposto dai Turchi del titolo "Convivenza
con i Kurdi all'interno della Turchia". Questo è
senz'altro deplorevole, ma comunque chiama in causa le parti in
conflitto a riconoscere gli spazi esistenti di dialogo e di
trattativa.
4. La necessità di una strategia [ su ]
Quando si elabora un copione politico, destinato a consentire
progressi a tutte le parti, si tratta di pianificazione
strategica. Un ammiraglio tedesco, responsabile delle forze
marine della Bundeswehr nell'Adriatico durante il conflitto
dell'ex-Jugoslavia, una volta definì il concetto della
pianificazione con una triplice domanda, cioè
dove, verso dove e come:
- "Siamo nella nebbia. Dove siamo?" Definire il posto, la
situazione in cui ci si trova nei conflitti politici consuma
tantissimo tempo ed energia, giacché nessuno conosce tutte
le circostanze delle decisioni politiche. Le parti in conflitto
non condividono la stessa analisi e valutano le loro risorse e
possibilità in maniera completamente diversa.
- "Dobbiamo definire la nostra meta. Dove vogliamo arrivare?"
Questo è il compito centrale nella stesura di una
strategia: la scelta delle opzioni, la scelta degli obiettivi.
Sembra facile, ma già in presenza di interessi omogenei o
allineati sui modi di arrivare alla meta ci si divide. Nel nostro
caso specifico: le parti in conflitto vogliono arrivare allo
stesso punto? Perché muoversi se una parte già
controlla tutto? La questione del "verso dove?" già
contiene la valutazione dello status quo. Se va per una delle
parti va bene così, non bisogna muoversi. Se non va bene,
in che direzione bisognerebbe muoversi?
- "Dobbiamo mettere dei paletti: come arriviamo dal nostro
punto di partenza alla meta? Ci sono campi minati? Quali giri
alternativi bisogna scegliere? Abbiamo bisogno di aiuti? Quando e
da chi?" Questi interrogativi sono da chiarire all'interno di una
strategia e questo racchiude la tattica come sequenza di singoli
passi.
Uno scenario di pace e emancipazione del Kurdistan turco (di
seguito chiamato "province kurde") non è altro che una
pianificazione strategica. A differenza dei compiti strategici
complessi che i militari stendono per vincere un conflitto, la
pianificazione strategica volta a consentire ai Kurdi una vita in
dignità e autodeterminazione richiede una pianificazione
sui generis. Un tale piano deve necessariamente coinvolgere la
controparte a pari livello ed escludere una "soluzione
unilaterale", cioè l'illusione di una soluzione militare o
di totale assimilazione dell'avversario.
5. Dove siamo? Qual'è il punto di partenza della
situazione dei Kurdi in Turchia? [ su
]
5.1 I fatti recenti dello sviluppo politico della
Turchia non sono molto incoraggianti.
Alcuni esempi:
- Non esiste ancora nessun tipo di riconoscimento dei Kurdi e
del loro status a livello costituzionale o in termini di legge
ordinaria turca. Considerando gli stati multinazionali europei
(Belgio, Svizzera, Spagna, Bosnia-Erzegovina) oppure gli stati
con minoranze nazionali, ci rendiamo conto che tutti questi stati
attribuiscono per legge alle nazioni minoritarie oppure alle
minoranze nazionali uno status ufficiale. Ciò passa dal
riconoscimento di autonomia al territorio della minoranza, e la
costituzione di strutture federali per tali gruppi equiparati
alla nazione titolare dello stato che diventa stato comune per
tutti, al riconoscimento di diritti collettivi ad un gruppo
minoritario. La costituzione e l'ordinamento giuridico turco
nonché la prassi quotidiana del diritto turco, sotto la
sigla della nazione turca e della "turchità", pongono
tutti i cittadini sullo stesso livello, negano ogni differenza
culturale e linguistica e costringono i non-turchi a rinunciare
ad ogni rivendicazione di riconoscimento della propria
identità. La diversità è negata. In tre
parole: la costituzione turca è autoritaria, nazionalista
e centralista. In concomitanza con gli accordi di pace stipulati
alla fine della 1a guerra mondiale solo ai pochi cristiani
rimasti è stato concesso uno status di minoranza, ormai
fortemente eroso nella prassi. Fra i 4 stati con popolazioni
kurde il solo Iraq ora riconosce ai Kurdi uno status
ufficiale.
- Il dibattito appena sospeso sulla costituzione turca ha
confermato che la Turchia intende conservare la centralità
della sua costituzione che implica la negazione di uno status
ufficiale per i curdi. La bozza di costituzione riformata non
conteneva né approcci per la decentralizzazione o
federalizzazione, né un pur minimo passo verso il
riconoscimento ufficiale dei Kurdi (o degli Arabi).
- Lo sbarramento del 10% nella legge elettorale, insieme allo
sfollamento forzato dei civili l'arma più importante
contro il peso dei voti kurdi, finora non è stato toccato,
nonostante la critica (piuttosto fiacca) dell'UE. Questa soglia
ha costretto tutti i deputati del DTP a lasciare il proprio
partito prima delle elezioni anticipate del 2007 e di candidarsi
come "indipendenti".
- Nelle trattative fra l'UE e la Turchia, l'UE non esige di
poter intervenire sulla struttura interna dello stato turco.
Quindi non si parla neanche del riconoscimento ufficiale del
popolo kurdo e di decentralizzazione dei poteri governativi a
titolo di "condizione per l'adesione all'UE".
- La trasmissione di un programma musicale e di danza in lingua
kurda come pura mossa di campagna elettorale non ha cambiato
niente rispetto alla mancanza di status ufficiale della cultura
kurda. Lo Stato turco continua a controllare strettamente tutti i
programmi Radio e TV pubblici in Turchia, ma ha già perso
il suo monopolio dopo l'affermazione della RojTV satellitare e
tante altre emittenti kurde. Può stupire che perfino
giornali tedeschi di primo rango quali la Süddeutsche, la
Welt, la FAZ e canali TV pubblici non riescano a capire che tante
mosse di Tayyip Erdogan sono nient'altro che una messa in scena
di stampo pre-elettorale, mentre all'estero sono qualificate come
"conquiste positive nel percorso della Turchia verso l'entrata
nell'UE."
- L'autorizzazione di alcune trasmissioni radiofoniche in
lingua kurda non ha cambiato la circostanza generale che la
lingua curda tuttora è perseguitata a colpi di diritto
penale. Nella campagna per le elezioni comunali del 1999 il primo
ministro Erdogan a Diyarbakir pronunciò alcune parole di
saluto in kurdo. Ma il deputato kurdo Ahmet Türk per lo
stesso comportamento rischiò di essere immediatamente
denunciato e processato. Dopo la fine della sua immunità
come deputato, infatti, gli toccherà questa sorte,
tant'è vero che dopo le sue poche parole pronunciate in
kurdo nel Parlamento nella primavera del 2009 sono già
iniziati i preparativi giudiziari per la sua incriminazione
ufficiale.
- Per molti mesi nel centro del dibattito politico ed anche
dell'attenzione dei media internazionali si trovò il piano
di riforma del governo per il Sudest della Turchia, un piano di
grande significato. Finalmente uscirono i primi dettagli, ma
ahimè, "Pariunt montes, nascitur ridiculus mus" (la
montagna ha dato vita ad un topolino). Tutta la grandiosa
retorica attorno a detto piano dopo poche settimane semplicemente
evaporò.
- Occorre ricordare però le particolari circostanze
della nascita di questo piano: un dialogo con la parte kurda
(come forze in campo ci sarebbero stati in primo luogo il DTP ed
il PKK) non c'era. Il piano fu impostato in modo tipicamente
turco: centralista e calato dall'alto. Gli interventi previsti,
secondo gli autori del piano, non richiedevano nessun
coinvolgimento attivo dei soggetti interessati delle province
beneficiarie. Il dialogo con i kurdi non ci fu, ma neanche i
commenti critici da parte dei media esteri.
- Quasi simultaneamente, il 11 dicembre 2009, venne concluso il
procedimento penale contro il DTP (Demokratik Poplum Partisi) per
decretare la messa al bando del partito. In questo processo la
Corte Costituzionale semplicemente liquidò il più
importante partner di dialogo parlamentare. Il maggior partito
kurdo fuori legge, un piano di sviluppo per il Sudest che non
decolla - honi soit qui mal y pense. Il siluramento del DTP fu
già il terzo caso di divieto di un partito impegnato a
rompere il tabù della "questione kurda". Questo divieto fu
comunque solo l'ultima tappa di una campagna violenta della
giustizia e delle forze di sicurezza turche contro questo
partito, di cui i media occidentali non parlavano. Circa 1.000
collaboratori di questo partito vennero incarcerati, soprattutto
prima delle ultime elezioni per il parlamento, numerose sedi del
partito vennero distrutte e saccheggiate. Gli attivisti del
partito vennero presi di mira con centinaia di procedure penali.
All'interno della giurisdizione turca e dell'apparato di
sicurezza questa prassi è già ampiamente
collaudata, dato che fu impiegata sin dalla costituzione del
partito Halkin Emek Partisi (HEP) il 7 giugno 1990. Sembra
funzionare perfettamente, indipendentemente dai governi in
carica.
- Con il divieto del partito DTP vennero decretati anche
divieti di attività politica, per es. contro lo stesso
presidente del DTP Ahmet Türk. Anche i 99 sindaci kurdi
eletti direttamente si vedono esposti a crescenti rappresaglie da
parte dello stato.
- Infine nelle province kurde c'è una violenza
quotidiana da parte delle forze di sicurezza. Ne valga come
esempio le manganellate nelle città kurde contro giovani e
bambini. Giovani vengono poi sentenziati a 10 anni di galera solo
per aver pronunciato slogan a favore di Öcalan. I servizi di
RojTV ogni giorno riportano atti di tale violenza nelle province
kurde, ma invano si aspetta qualche reazione dei governi europei
in trattativa con Ankara.
5.2 Lo sviluppo sociale nelle province
kurde
L'arretratezza della politica kurda, ingessata ideologicamente
nel Kemalismo che continua a puntare sulla repressione, si trova
in contrasto stridente con lo sviluppo dinamico della
società kurda.
- Una rivoluzione demografica della popolazione curda in
Turchia ha fatto crescere il suo numero ad almeno 25 milioni di
persone. Uno scienziato americano 20 anni fa calcolò che
fra il 2015 ed il 2020 perfino più della metà della
popolazione totale della Turchia potrà essere kurda. Ma
resta da capire in quale misura incidono i processi di
assimilazione dei Kurdi che vivono all'esterno delle province
tradizionalmente o storicamente kurde.
- La generale tendenza di urbanizzazione, il degrado
socioeconomico delle province kurde da parte del governo turco a
partire dal 1923, la distruzione sistematica di più di
4.000 villaggi kurdi negli anni 1980 e 1990, lo sfollamento
sistematico della popolazione kurda delle campagne verso le
città del Sudest e della Turchia occidentale hanno sparso
la popolazione kurda un po' ovunque in Turchia. I Kurdi della
Turchia, di conseguenza, sono presenti dappertutto e quindi sono
più esposti all'assimilazione. La "questione kurda" ha
risvolti nella vita quotidiana in quasi ogni provincia
turca.
- Migranti kurdi sono esposti anche alle angherie che
colpiscono i migranti in generale. In Turchia spesso si riportano
casi di "razzismo" o violenze nei confronti di tali
migranti.
- La realtà kurda oggi è multidimensionale, non
meno diversificata di quella turca. Una volta era diffusa negli
ambiti governativi distinguere fra terroristi kurdi "cattivi"
contrapposti ai Kurdi "buoni", collaborazionisti di ogni tipo e
rango.
- Il processo di emancipazione dei Kurdi, iniziato nel 1938
dopo i primi anni di piombo e durato fino agli anni 1950,
è irreversibile. Non c'è ritorno ad un
atteggiamento di generale "servilismo" kurdo. Negli ultimi tre
decenni i Kurdi si sono abituati a camminare a testa alta, non
soltanto nella ristretta elite politica, ma in tutti i ceti della
popolazione.
- I Kurdi hanno capito che il tabú kemalista è
stato definitivamente rotto, e sanno che questo è dovuto
grazie alle loro battaglie ed ai loro sacrifici.
- Le forme di resistenza e di emancipazione si sono poi
diversificate. Spaziano da sparute operazioni militari da parte
della guerriglia fino a diversi tipi di manifestazioni in piazza
e a partire dal 1990 anche vari tentativi di portare le loro
istanze dentro al parlamento. Lo scenario principale
dell'attività kurda è rappresentato comunque dai
comuni delle province kurde. Il DTP oppure i candidati vicini al
DTP tra il 2005 ed il 2009 sono riusciti ad aumentare sia in
termini di voti (2,5 milioni nel 2009, 1,9 mio, nel 2005) sia in
termini di sindaci eletti (99 invece di 55). Un fenomeno
significativo benché i comuni in Turchia non dispongono di
effettiva autonomia.
- Tutto sommato, la direzione ed il percorso dello sviluppo
restano aperti. Questo è in primo luogo dovuto alla
repressione da parte dello stato che copre tutto il territorio e
che non concede uno spazio politico libero dal controllo totale.
Ma anche nella diaspora kurda i grandi lanci e progetti per
l'emancipazione kurda sono ancora assenti e neanche sono stati
chiesti da una terza istanza. Anche all'estero, come anche in
Europa i Kurdi non si sentono accettati e compresi nella loro
difficile situazione. Obiettivi politici durante gli anni di
lotta armata sono stati propagati in forma generale (uno stato
kurdo, federalismo, autonomia, fratellanza, democrazia ecc.), ma
mai riempiti di una progettualità concreta elaborata nel
dettaglio o nei modi per una graduale realizzazione. La mancanza
di precisione, l'apparente assenza di una chiara strategia e
l'arbitrarietà degli approcci politici ha deluso tanti.
Quindi l'emancipazione kurda è soprattutto un affare
quotidiano, piuttosto che un confronto politico su programmi e
strategie fra varie forze politiche. Questa assenza di un chiaro
progetto politico può avere un effetto negativo, ma
all'interno di un dialogo potrebbe anche essere
un'opportunità.
5.3 Anche la società turca negli ultimi decenni
si è decisamente trasformata
Di fronte ad una società kurda, stravolta e cambiata, si
trova anche una società turca in continua evoluzione.
Anche questo sviluppo è caratterizzato da un aumento
demografico (meno accentuato), dall'urbanizzazione, da
un'industrializzazione rapida e dalla diversificazione delle
situazioni sociali e dei valori, ad es. rispetto agli
atteggiamenti religiosi. La borghesia liberale e di sinistra
nella Turchia occidentale è da sempre in difensiva e
questa situazione ultimamente non è migliorata.
L'economia, i consumi ed il commercio nella società turca
ora occupano un ruolo sempre più forte. Con il Kurdistan
meridionale (iracheno) i rapporti commerciali sono eccellenti.
Centinaia di imprese turche fanno affari d'oro e non solo nel
settore edile. L'intensificazione della guerra permanente
dell'esercito turco contro le formazioni del PKK in questa
regione disturbano gli affari. Per l'imprenditoria turca
già da tanti anni i Kurdi ed il Kurdistan sono una
realtà, e potrebbero benissimo arrangiarsi con un assetto
statale diverso.
Ugualmente per la parte turca vale che i programmi politici che
riguardano i Kurdi sono piuttosto confusi. Non c'è una
linea politica chiara nei confronti dei Kurdi. Il ritmo delle
elezioni parlamentari e comunali si muove non tanto in una
costellazione di partiti ideologicamente divisi e con
schieramenti chiaramente distinti, ma sulla scia di una
tradizione politica specificamente turca. Le affiliazioni
politiche personali seguono una logica di qualunquismo, quelle
delle coalizioni fra le forze politiche seguono una logica di
opportunismo tattico.
In quest'ottica non stupisce che l'AKP, partito più
fortemente ispirato dall'etica musulmana, è comunque
legato alle tradizioni anti-kurde. Anche le forze armate si
trovano un una fase di trasformazione. È già
trapelato che i vertici militari ritengono la guerra contro il
PKK nel Kurdistan iracheno "una guerra non vincibile". Con
ciò non è detto che l'esercito effettivamente
spinga per una soluzione trattata, perché la guerriglia
del PKK per due decenni ha contribuito a gonfiare l'apparato
militare turco con tutti i suoi privilegi. Infine nel dibattito
pubblico in Turchia è assente la rielaborazione della
storia turca del XX secolo, impregnata dalla violenza prima del
tardo impero ottomano (vittime: gli Armeni), della guerra di
liberazione (vittime: i Greci) e del Kemalismo (vittime: i
Kurdi). Piuttosto si provoca una crisi diplomatica con la Francia
e gli USA, invece di affrontare seriamente queste
responsabilità.
Perciò la Turchia resta quello stato i cui atti in maggior
misura finiscono sull'agenda della Corte europea dei diritti
umani. La Corte continua a condannare la Turchia per un ventaglio
di discriminazioni nei confronti dei Kurdi oppure lo stato turco
cerca di evitare un verdetto pagando risarcimenti per chiudere un
procedimento penale. Non si osserva, non dico una rottura con
l'impostazione ideologica di fondo, ma almeno dibattiti e
riflessioni critiche su questo passato violento nel mondo della
politica, della giustizia e delle forze di sicurezza. Quindi
questi atteggiamenti possono trascinarsi avanti in piena
continuità. Più critico invece il ragionamento fra
le ONG per i diritti umani, nel mondo della letteratura, fra
alcuni media, pubblicisti liberi ed università
private.
Tutto sommato non esiste un consenso sociale-politico all'interno
della società sulla necessità di congedarsi dalla
menzogna costituzionale della "turchità" dello stato per
poter intraprendere passi coraggiosi verso il riordinamento della
struttura dello stato. Dall'altra parte non è detto che
nella società turca ci sia una chiusura categorica verso
ogni nuovo discorso.
La società turca, analogamente a quella kurda, è
molto più differenziata rispetto i tempi paralizzanti di
Atatürk, è più avanti della politica. Sono
caduti alcuni tabù, si discute più liberamente di
prima, ma si continua ad ammazzare, torturare, arrestare,
perseguitare e vietare. Non si percepisce un bisogno marcato o
addirittura una voglia di voltare pagina nei confronti dei Kurdi.
A prescindere dalla dottrina del kemalismo, superata e
screditata, e della politica quotidiana della conquista e del
consolidamento del potere, non si riesce a riconoscere una
filosofia di stato visionaria volta a raggiungere pace e
riconciliazione interna. Nonostante tutte queste contraddizioni
la Turchia resta un partner rispettato sul palcoscenico
internazionale, un mercato molto importante, una destinazione
privilegiata di investimenti esteri, un paese di grande rilievo
per il transito di beni e risorse energetiche.
5.4 Valutazione
La politica turca riguardo ai Kurdi è caratterizzata dalla
continuità della repressione e dalla discontinuità
dei passaggi di riforma con numerosi contraddizioni. Le riforme
negli ultimi anni regolarmente vengono annunciate, in qualche
caso anche realizzate a malincuore, altre invece si arenano
subito. Ma soprattutto non raggiungono la prassi politica
quotidiana delle province kurde. La reazione del mondo politico
estero a questa strana continuità può stupire: non
si vuole né sentire né vedere niente di negativo
dalla Turchia. È come se assistessimo ad uno spettacolo
sportivo: entrano nello stadio gli atleti e si producono una
serie di esercizi preliminari e piccoli show. Il pubblico
applaude e parla di passi essenziali verso il raggiungimento
degli standard internazionali. Poi lascia lo stadio, in cui si
passa alle discipline più preferite dal pubblico locale,
quelle di carattere "hard" della lotta turca fatta di
repressione, divieti, violenza. Solo gli ottimisti di ferro in
questa situazione continuano a dire che la situazione negli
ultimi anni non sia peggiorata.
L'UE e gli USA nell'ambito della loro politica contro il
terrorismo, fra il quale figura anche il PKK, ha contribuito
fortemente a tener chiuse le porte a ogni dialogo. Più che
palpabile sono le contraddizioni della politica occidentale
confrontando la sua impostazione e le sue scelte strategiche nel
caso del Kosovo e dell'Afghanistan. Sicuramente questo non
è utile per creare più fiducia fra i Kurdi per
affidarsi ai poteri occidentali. Quindi le circostanze generali
all'interno della Turchia e a livello internazionale sono
tutt'altro che incoraggianti. Una pianificazione strategica
basata su un posizionamento chiaro non sembra possibile. Tuttavia
sono riconoscibili alcuni profili di un possibile cambiamento che
vorrei tracciare in conclusione.
6. Definizione degli obiettivi [ su
]
6.1 Obiettivi ed opzioni del movimento nazionale
curdo
Per il movimento nazionale kurdo, orientato verso l'emancipazione
del popolo kurdo, si offrono varie opzioni, che di seguito vorrei
elencare secondo le priorità espresse dal PKK degli ultimi
30 anni, giacché nessun altra forza politica kurda
è uscita con una definizione chiara dei suoi
obiettivi.
Opzioni negative: basta con lo status quo.
C'è un consenso generale nel movimento nazionale kurdo che
le cose non possono restare come sono. È chiaro per tutti
che lo status quo va superato.
Opzioni positive: qual'è quindi lo
"status ad quem", cioè gli obiettivi positivi che si
intende raggiungere?
- Un proprio stato (statualità distinta), che è
stato indicato come meta da parte del PKK all'inizio della sua
rivolta: la forma di statualità non è sinonima di
indipendenza, ma può spaziare da un'entità
federalista all'interno di un sistema federale come quello
tedesco (con competenze proprie, ma anche un forte peso sulla
politica dello stato intero), passando per uno stato incorporato
in un sistema sovranazionale (per esempio l'UE oppure la via
all'indipendenza del Kosovo). Fino al modello di stato orientale
dispotico (l'Iran, la Siria, l'Iraq di una volta, la stessa
Turchia). Un dibattito costituzionale per precisare l'idea ed il
profilo di stato a cui si ambiva non si è mai svolto
pubblicamente.
- La trasformazione federale della Turchia, lasciando quindi le
province kurde all'interno della Turchia, ma attrezzandole di
competenze legislative, garantite dalla Costituzione, per qualche
periodo è stata indicata come opzione, ma mai elaborata
come progetto politico concreto. Sullo sfondo del dibattito
costituzionale turco ciò sarebbe stato un compito
interessantissimo, ma non affrontato finora. In effetti, la
trasformazione di uno stato per secoli strutturato e gestito in
modo centralista, verso una federazione è una sfida
secolare, come si può capire studiando la storia
dell'India, della Spagna, del Belgio e della Germania. Strutture
federali comportano uno stress enorme, non tanto per le parti del
paese promosse ad un ruolo paritario, ma soprattutto per le elite
statali finora privilegiate dallo stato centralista. Convivere
con altri popoli con uguali diritti e dignità per un
popolo abituato a dominare tutto è tutt'altro che
facile.
- La separazione (secessione) per costituire un proprio stato
rispetto a una federazione è la scelta più
semplice, non necessariamente accompagnata da violenza. Il
processo di separazione fra la Repubblica ceca e la Slovacchia
può servire come esempio, due stati che si sono ritrovati
come partner all'interno dell'UE. Ma già l'idea stessa in
un dibattito dominato dall'atteggiamento di accarezzare la
Turchia già la sola espressione di quest'idea è uno
scandalo, un affare del diavolo. Non solo in Turchia
quest'opzione è un tabù assoluto, ma anche nei
dibattiti esterni sulla Turchia.
- L'attribuzione di autonomia politica, quindi la garanzia di
diritti di autodeterminazione interna senza modificare i confini
di stato e senza trasformare la struttura del resto dello stato.
Anche questa idea non è mai stata riempita di un contenuto
o profilo preciso, benché i Kurdi da vent'anni nell'Iraq
abbiano raccolto esperienze con questo status.
Raffrontando queste tre opzioni di obiettivi positivi, ci si
accorge che sono nettamente distinte, ma pure immaginabili come
singole tappe lungo un'evoluzione storica. Nello stesso tempo
occorre rimarcare che né strutture federative né la
secessione potrebbero coprire i bisogni, i destini di milioni di
Kurdi che vivono nella Turchia occidentale. Quindi occorre
pensare anche a nuove forme di "autonomia culturale", a fianco di
una nuova struttura territoriale dello stato.
Queste tre opzioni sono comunque tre forme astratte di
inquadramento di un popolo in uno stato che deve avere tutta una
serie di qualità per poter effettivamente garantire una
vita migliore a milioni di Kurdi. Si tratta di opzioni complesse
e parziali quali:
- a) democrazia, spesso rivendicata dai movimenti
kurdi: democrazia significa però dominanza di una
maggioranza a tempo limitato. Quando in uno stato una tale
"maggioranza" non si definisce politicamente, ma in chiave etnica
e culturale (in questo caso in chiave "turca") e se questa
maggioranza formerà comunque un dato di fondo stabile nel
tempo, una minoranza strutturale non può accontentarsi
della sola richiesta di democrazia. Democrazia in questo caso non
funziona se non almeno contemperata da strutture federative o di
autonomia territoriale. "Democrazia" per i Kurdi presuppone
almeno forme di autonomia territoriale per le province kurde ed
autonomia culturale per milioni di migranti interni kurdi.
"Democrazia" nel gergo politico quotidiano dei Kurdi della
Turchia viene usata come formula sinonima per ogni miglioramento
che si possa immaginare. Da ciò emerge la mancanza di una
riflessione critica su tutto il concetto. Ci si riferisce spesso
al miglioramento delle condizioni generali e dei diritti di
rappresentanza democratica (abolizione dello sbarramento del 10%,
fine del divieto di partiti kurdi, libertà di stampa ed
associazione ecc.). Ma volendo riempire democrazia di contenuto
bisogna andare oltre.
- b) Uno stato di diritto per garantire una vita in
libertà e dignità. Anche questo in Turchia
in presenza di uno stato assolutamente centralista, frutto della
costituzione kemalista, non può bastare. Ci vorrebbe un
catalogo di diritti fondamentali che deve includere diritti
specifici dei Kurdi e delle minoranze etniche e che dev'essere
pienamente rispettato. Questo oggi non c'è nonostante la
Turchia abbia ratificato la Convenzione dei diritti umani
europea. Va notato che, a parte i processi per i casi singoli di
violazione di questi diritti dinanzi alla Corte Europea di
Strasburgo, non si solleva la richiesta che la Turchia debba
applicare pienamente tutti gli standard vincolanti del diritto
internazionale e che anche nel suo caso vada applicato il sistema
di sanzioni previsto in caso di violazione.
- c) La fine del regime di occupazione militare delle
province kurde, una realtà che i Kurdi non si
stancano di denunciare.
- d) Sviluppo sociale ed economico delle province
kurde, coinvolgendo le popolazioni locali.
- e) "Fratellanza" (con il
popolo turco): per un certo periodo questa fu una
formula popolare anche fra i simpatizzanti del PKK. Non si sa
bene cosa esattamente doveva significare, ma in qualche modo
questo slogan stava a riflettere un vena di fondo socialista del
PKK. Comunque non si tratta di un concetto già tradotto in
un programma per affrontare la "questione turca" in tutte le sue
dimensioni.
- f) "Libertà per
Öcalan": un altro slogan che spesso riecheggia
nelle manifestazioni del PKK, ma il tempo storico dell'ex-leader
del PKK sembra tramontato.
Ci sarebbero altre opzioni positive, accomunate dal fatto che
messe insieme non compongono ancora un disegno integrale di
emancipazione dei Kurdi. L'osservatore esterno non può
sentirsi legittimato a sviluppare una graduatoria di obiettivi,
al posto degli stessi soggetti interessati. Le opzioni ci sono e
ogni tanto vengono anche nominate, ma tuttora manca un confronto
serio fra tutti gli interessati sul piano sia teorico sia di
contenuti pratici con tutti i suoi pro e contro.
6.2 L'assenza di opzioni turche per la fine della
repressione e l'emancipazione dei Kurdi
Il governo turco finora non si è profilato con lo sviluppo
di scenari interessanti per cambiare politica nei confronti dei
Kurdi. Le elite del paese sono tuttora convinte che il
centralismo ed il kemalismo siano l'opzione appropriata per
mantenere l'unità del paese e per garantire il suo
sviluppo. Non si entra neanche nel merito delle rivendicazioni
delle forze politiche kurde. Perciò, la parte kurda fatica
moltissimo a trovare un proprio approccio programmatico e ad
entrare in un dialogo costruttivo. Tutti i tentativi di alcuni
segmenti del movimento nazionale kurdo per avviare un dibattito
sono passati in sordina o comunque finiti in un cassetto senza la
minima attenzione ufficiale per non parlare di attenzione
internazionale. Già non si conta il numero di tregue
unilaterali proclamate dal PKK con l'invito alla
trattativa.
Questo atteggiamento del governo turco, in fondo, contraddice lo
stesso kemalismo: quest'ideologia rivendica un certo dirigismo
dell'economia ai fini dello sviluppo integrale di tutte le
regioni ereditate dall'impero ottomano. Il totale abbandono del
Sudest del paese, la rinuncia sistematica a sviluppare circa un
terzo del territorio statale - a prescindere dalle risorse
energetiche di cui la parte occidentale ha bisogno - non è
mai stato compatibile con l'ambizione kemalista di assumersi la
responsabilità per tutto il paese. Perfino laddove la
costruzione di grandi dighe consente l'irrigazione su vasta
scala, non si presenta un'iniziativa statale sistematica per
sviluppare l'agricoltura delle province kurde.
6.3 L'assenza di opzioni all'estero
Le posizioni europee ed americane, gli autoproclamati "amici
della Turchia", sono analoghe a quelle turche. L'unica opzione
chiaramente riconoscibile è l'appoggio per contrastare
militarmente il PKK. Le cause e gli effetti del conflitto restano
semplicemente fuori dal discorso. Per non inimicarsi l'alleato
NATO e garantire le basi aeree e gli investimenti il PKK è
messo fuorilegge, nell'elenco delle organizzazioni terroriste.
L'estero ha perso le simpatie e la fiducia fra la popolazione
kurda e lo stesso movimento nazionale kurdo non si trova
impegnato in un dialogo positivo con il mondo esterno. Anche
l'ONU e altre grandi istituzioni internazionali non si sono
ancora fatte avanti. Il Kurdistan per il mondo esterno resta una
terra incognita.
7. Strategie senza opzioni di obiettivi? [ su ]
Se non ci si confronta seriamente con i possibili obiettivi,
neanche si può pensare a delle strategie. Tuttavia mi
azzardo ad indicare dei momenti essenziali per le strategie
future.
- Da una parte non può esserci un'intesa senza dialogo.
L'apertura di un dialogo con tutte le controparti interessate
è una condizione essenziale per qualsiasi successo. Per
natura stessa delle cose questi devono abbracciare anche il
segmnto più significativo del movimento nazionale kurdo,
il PKK. Il divieto del DTP sta a confermare la mancanza di
volontà della parte turca al dialogo. O la Corte
costituzionale ha interpretato correttamente la Costituzione per
cui questa andrebbe rapidamente modificata. Oppure la Corte ha
interpretato male la Costituzione: quindi andrebbe cambiata la
composizione della stessa Corte. Questa questione si pone in
tutti i casi di divieto a partire dal 1990 e nessuno può
più affermare che queste sentenze sono la semplice riprova
dell'indipendenza della Corte.
- Dall'altra parte sono chiamati in causa "gli amici della
Turchia". La Turchia kemalista sembra prigioniera del suo passato
kemalista, incapace di sostenere il dialogo e l'intesa.
Perciò un cambiamento deve essere innescato dall'esterno.
A questo scopo potrebbe essere individuato un mediatore politico
di alto rango, come per esempio Marti Ahtisaari, l'ex presidente
della Finlandia.
Una cosa va puntualizzata: non esiste un vero e proprio
"scenario" per l'emancipazione kurda. Mancano obiettivi chiari e
condivisi e perciò anche le strategie corrispondenti. In
un approccio classico al problema nessuna parte sta offrendo
copioni utili. I motivi per questa carenza sono vari. Nonostante
questa assenza di concetti, di strategie, di indicazioni di
regia, possiamo osservare un affascinante movimento dei Kurdi sia
nelle loro province, sia da quelle parti della Turchia in cui
sono emigrati, non da ultimo nella città in cui vive il
maggior numero di Kurdi in un posto, cioè Istanbul. Questo
movimento ha migliaia di teste e di cuori, viene continuamente
represso e ostacolato, in una forma così massiccia che in
Europa neanche ci immaginiamo. Oppure è possibile
immaginarci un paese membro dell'UE le cui carceri siano piene di
attivisti di uno dei maggiori partiti democratici?
Ma il movimento nazionale kurdo della Turchia finora da ogni
battaglia persa è uscito rafforzato, nonostante enormi
ostacoli i Kurdi sono entrati a giocare un ruolo molto attivo
anche a livello parlamentare. La loro entrata in scena è
inarrestabile. Perciò uno scenario kurdo comunque sta
emergendo. Si nutre della volontà con tutti i sacrifici
che ciò impone, di emanciparsi dall'oppressione turca, di
affrancarsi dalla subalternità di classe inferiore (il
ministro degli interni di Atatürk ha attribuito ai Kurdi il
ruolo di "servi dei Turchi", una posizione mai ufficialmente
smentita dai governi turchi), la liberazione dall'arretratezza
economica-sociale e culturale.
Questo scenario "materiale" in forma embrionale ha preso forma
già negli anni '50. Oggi il movimento nazionale kurdo
può fare tesoro dell'esperienza e dell'emozionalità
di due generazioni. Un periodo sufficiente per costruire eroi che
ispirano forza e capacità di resistenza. Il governo turco
non potrà più ignorare e ribaltare questa
volontà fra i Kurdi. Lo scenario kurdo è quindi un
copione di azione, non legato a teorie, flessibile, alimentato da
esigenze pratiche, fantasioso e spontaneo, sempre in fase di
ricostruzione. Questo copione riflette un movimento di
liberazione profondamente radicato nella popolazione kurda. Chi
se ne occupa da vicino, rimarrà fortemente
impressionato.
Vedi anche in gfbv.it:
www.gfbv.it/3dossier/kurdi/indexkur.html |
www.gfbv.it/3dossier/kurdi/kurtur-it.html |
www.gfbv.it/3dossier/kurdi/zana-it.html |
www.gfbv.it/3dossier/kurdi/kursido-it.html
| www.gfbv.it/3dossier/armeni/armeni.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2009/090403it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2009/090325it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2009/090320ait.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2009/090220it.html
in www: http://it.wikipedia.org/wiki/Kurdistan
| www.komkar.org | www.ihd.org.tr/eindex.html
| www.azadiyawelat.com