Questo libro è dedicato alla memoria di Helge Kleivan (1924-1983), fondatore dell'IWGIA, difensore serio ed appassionato di tutti i popoli indigeni
Gli indigeni dell'Australia, conosciuti con il termine quanto
mai generico di "aborigeni", sono originari dell'Asia
sudorientale, dalla quale migrano attorno al 25.000 a.C. Come gli
Indiani del Nordamerica, non sono un popolo unico ma diverse
centinaia. Alcuni di questi sono i più antichi del nostro
pianeta.
Dispersi su un territorio vastissimo ed in larga parte desertico,
per migliaia di anni vivono di caccia e di raccolta: una vita
molto primitiva che non conosce la ruota nè animali per il
trasporto.
Alla fine del 1700, il re Giorgio III d'Inghilterra decide di
installare in Australia, da poco scoperta, una colonia penale.
All'inizio il contatto con i 300.000 abitanti dell'isola non
è violento: gli Inglesi non vogliono sterminarli, ma si
contentavano di tenerli a distanza. Nel corso del secolo
successivo, però, la situazione cambia radicalmente:
nascono le città sulla costa mentre il paese viene invaso
dai cercatori d'oro e d'argento. Cominciano così i decenni
della persecuzione: gli indigeni della Tasmania, per esempio,
vengono quasi completamente sterminati. Quelli dell'Australia,
che dispongono di un territorio assai più vasto, sfuggono
a questa sorte ma il loro numero viene largamente ridotto.
Nello stesso periodo si sta facendo strada il concetto di terra
nullius: il diritto australiano afferma che prima dell'arrivo dei
Britannici il paese non apparteneva a nessuno, mettendosi
così al riparo da eventuali contestazioni future. Il
concetto di terra nullius non trova comunque l'adesione di tutti
i bianchi: nel 1838 George Gipps, governatore del Nuovo Galles
del Sud, cerca di promuovere una politica che riconosca i diritti
territoriali degli Aborigeni. Il suo coraggio, che ovviamente gli
aliena la simpatia degli altri governanti locali, naufraga nel
massacro di Waterloo Creek, che riafferma la supremazia dei
coloni.
Nel 1901 le colonie inglesi ormai indipendenti danno vita alla
federazione australiana, che si compone di sei stati: Australia
Occidentale, Territorio del Nord, Australia del Sud, Queensland,
Victoria e Nuovo Galles del Sud. I bianchi sono oltre 3.000.000,
mentre gli Aborigeni sono ridotti a poche decine di migliaia e
vivono nelle riserve istituite alla fine del 1800. Sottoposti ad
un controllo poliziesco, vedono svilupparsi quelle piaghe sociali
- alcoolismo, delinquenza, perdita d'identità - che li
accompagneranno fino ai nostri giorni. Nel frattempo il rapporto
col governo, sia questo statale o federale, rimane privo di
qualsiasi regolamentazione.
Negli anni Cinquanta si verifica la seconda ondata della
colonizzazione mineraria che porterà l'Australia ai primi
posti per l'estrazione e l'esportazione di stagno, argento,
uranio, bauxite, ferro e nickel. Alla compagnia mineraria Comalco
vengono assegnati 5.000 kmq di terra già adibita a riserva
aborigena. Nessuna legge può difendere gli Aborigeni dai
danni ambientali derivanti dall'estrazione.
Gli indigeni iniziano perciò ad organizzarsi. Nel 1959
nasce il Consiglio Federale per la Difesa degli Aborigeni, che si
concentra sul problema delle terre: Land Rights Now (diritti
territoriali subito) è uno slogan ricorrente nelle
manifestazioni che iniziano ad ottenere l'appoggio dei sindacati
e delle Chiese, smuovendo un'opinione pubblica finora apatica.
Nel 1967 viene indetto un referendum che conferisce agli
autoctoni la cittadinanza australiana (il 90% dei votanti
risponde positivamente).
Ma un vero cambiamento sembra farsi strada solo nel 1972, quando
le elezioni politiche vedono la vittoria del Partito Laburista,
che presenta un programma attento alla minoranza indigena, senza
dimenticare il diritto di voto.
Il nuovo primo ministro Whitlam istituisce il Dipartimento degli
Affari Aborigeni ed un'apposita commissione legislativa. Ma le
promesse si concretizzano solo nel 1976, e per giunta solo nel
Territorio del Nord, con l'Atto dei Diritti Territoriali
Aborigeni. Le aspettative suscitate dal governo laburista vengono
così deluse. Gli interessi delle compagnie minerarie,
inoltre, non vengono minimamente compromessi. Il governo Whitlam
migliora comunque le condizioni sociali e sanitarie degli
imdigeni, ma soprattutto è il primo che si sforza di
riconoscere la centralità dei diritti territoriali.
Inoltre, è necessario sottolineare che a questi è
strettamente legata la difesa dei luoghi sacri, che sono parte
integrante della cultura aborigena. Il più famoso è
Uluru, meglio noto come Ayers Rock, il gigantesco monolito che
sorge nel centro del deserto australiano. Le tipiche pitture
rupestri che adornano questo ed altri luoghi sacri rappresentano
l'espressione più tipica dell'arte aborigena.
Nei primi anni Ottanta varie organizzazione si fondono per dare
vita al Servizio Legale Aborigeno (NAAILS), che si avvale di
autorevoli consulenze tecniche. La nuova organizzazione, diretta
da Paul Coe, aderisce al Consiglio Mondiale dei Popoli Indigeni
(WCIP) e svolge un'intensa attività internazionale. I
problemi sono ancora tanti: l'emarginazione, l'alcoolismo, la
violenza della polizia che non risparmia neanche i bambini.
Il 26 gennaio 1988 si celebra il bicentenario della "scoperta"
dell'Australia. Nel suo discorso il Primo Ministro, il laburista
Hawke, non fa alcun riferimento agli Aborigeni, che dal canto
loro organizzano contro-manifestazioni in varie città.
Ancora una volta richiedono un trattato che regoli in modo equo i
rapporti fra i bianchi e la minoranza di colore.
Due anni più tardi le comunità aborigene che fanno
capo ai Land Councils (Consigli territoriali) vengono
riorganizzate in seguito alla creazione del Comitato per gli
Aborigeni (ATSIC), la nuova struttura governativa nata dalla
fusione dei due organismi già esistenti. Alcuni leaders
indigeni mettono in dubbio la validità dell'ATSIC, che
secondo loro non esprime cambiamenti sostanziali.
Il 3 giugno 1992, con una sentenza storica, l'Alta Corte federale
scardina il bicentenario principio della terra nullius: il
successo dell'azione legale iniziata dieci anni prima da Eddie
Mabo, che rivendicava i diritti del popolo meriam sull'isola Mer
(nota come Murray), apre una nuova stagione nei rapporti fra
bianchi ed Aborigeni. Ma le manifestazioni ed i convegni
organizzati dagli Aborigeni negli ultimi anni dimostrano che la
sentenza dell'Alta Corte sul caso Mabo stenta a tradursi in
pratica.
Su questa situazione già precaria si inserisce poi la
dolorosa questione delle stolen generations (generazioni rubate).
Nel maggio del 1997 viene infatti pubblicato il rapporto della
Commissione federale che era stata incaricata di svolgere
un'inchiesta sul trasferimento coatto di bambini aborigeni
operato in modo sistematico fra gli anni Dieci e gli anni
Settanta. Durante questi decenni, infatti, migliaia di piccoli
aborigeni sono stati forzatamente sottratti alle rispettive
famiglie e rinchiusi negli orfanotrofi, con il proposito di
"farne dei bianchi". Praticamente nessuna famiglia è
scampata a quella tragedia, alla quale hanno dato un contributo
notevole anche molti religiosi. Il rapporto, che accusa il
governo federale di genocidio, chiede un adeguato risarcimento
per le vittime. Nessuno, comunque, vuol assumersi la pesante
responsabilità che deriva da misure così
ripugnanti. Anzi, c'è addirittura chi afferma che tutto
questo è stato fatto "nell'interesse dei bambini".
Alessandro Michelucci
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
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Australia, IWGIA, Copenhagen 1985 (Document n. 54).
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T. Ferrero, "Australia aborigena: il sogno infranto",
A/Rivista anarchica, n. 5, giugno-luglio 1992, pp.
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Aboriginal Australia, CIMRA-War on want, London 1978.
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INDIRIZZI UTILI
ABORIGINAL AND TORRES STRAIT ISLANDER COMMISSION (ATSIC)
P.O. Box 17
Woden ACT 2606, Australia
tel. +61-6-289-1222
E-mail: atsicopa@ozemail.com.au
Web: www.atsic.gov.au
ABORIGINAL LAW BULLETIN [rivista]
University of New South Wales
P.O. Box 1
Kensington, 2033 NSW, Australia
NATIONAL ORGANIZATION OF ABORIGINAL AND ISLANDER LEGAL SERVICE
SECRETARIAT
P.O. Box 366, Roma Street
Brisbane 4003, Australia
tel. +61-7-2113522, fax +61-7-2113234
L'arcipelago hawaiiano, che sorge nella parte nord-orientale
del Pacifico, si compone di otto isole principali e numerosi
atolli. Fra i 50 stati che formano la federazione statunitense,
le isole Hawai'i occupano un posto decisamente singolare. Non
solo sono l'unico stato insulare, ma appartengono geograficamente
e culturalmente ad un altro continente (l'Oceania). Inoltre, ed
è il punto principale, le Hawai'i sono l'unico stato che
ha aderito alla federazione contro la volontà della
popolazione autoctona.
Gli indigeni hawaiiani (Kanaka Maoli) sono di ceppo polinesiano.
Sono originari delle isole Marchesi, dalle quali migrarono via
mare attorno al 100 a.C.
La loro lingua, che oggi non ha alcun riconoscimento ufficiale,
appartiene alla famiglia austronesiana e si apparenta quindi a
quelle degli altri popoli polinesiani, come i Tahitiani od i
Maori della Nuova Zelanda.
Per molti secoli la società hawaiiana si sviluppa
nell'isolamento più totale. La società, divisa in
tre classi ben distinte, è retta dall'istituto monarchico.
L'universo religioso, particolarmente ricco e variegato, é
strettamente connesso alle manifestazioni della vita politica e
sociale.
All'inizio del 1700 l'arcipelago é abitato da quasi
1.000.000 di persone. Il primo europeo a raggiungere le isole
è il capitano James Cook (1778), e l'impatto si rivela
devastante: allo sradicamento culturale si accompagnano, come
è già accaduto in America tre secoli prima, la
diffusione di malattie infettive -lebbra, vaiolo, sifilide,
tubercolosi- alle quali gli indigeni non possono opporre difese
immunitarie. Nell'arco di un secolo la popolazione viene
decimata: nel 1890 gli hawaiiani sono rimasti soltanto
40.000.
Nel frattempo l'imperialismo religioso veicolato dai missionari
calvinisti del New England (arrivati nel 1820) sta schiacciando
il politeismo locale per sostituirlo col cristianesimo. L'etica
puritana dei missionari si scontra duramente con la
società indigena, caratterizata da un erotismo che venne
interpretato come pura depravazione e di conseguenza
represso.
Sempre nel corso del diciottesimo secolo, la Russia e la Gran
Bretagna tentano senza successo di colonizzare l'arcipelago, che
é stato unificato dal re Kamehameha. E' quindi il
presidente americano John Tyler che dichiara apertamente
l'intenzione di attrarre le isole nell'orbita degli Stati Uniti.
Nel 1848 il re Kamehameha III cede alle pressioni dei coloni
statunitensi che reclamano la privatizzazione delle terre, dove
hanno già diffuso le piantagioni di canna da zucchero. Nel
1866, col pretesto di salvaguardare gli interessi americani, una
nave della marina federale viene dislocata nelle acque
dell'arcipelago.
Intanto viene promossa una massiccia immigrazione di asiatici e
nordamericani. La situazione sta ormai precipitando: nel 1877 il
ministro Pierce dichiara che le isole sono "una colonia americana
dal punto di vista politico ed economico". Cresce il malcontento
fra gli indigeni, che vedono morire lentamente la propria
indipendenza.
Nel 1891 sale al trono Lydia Lili'uokalani. La nuova regina,
volendo restituire al suo popolo i diritti che sta perdendo,
emana una nuova costituzione che istituisce la monarchia
costituzionale e nega il voto agli stranieri. I latifondisti
americani formano un sedicente "governo provvisorio" sostenuto
dagli Stati Uniti. Il 17 gennaio 1893 il palazzo reale viene
circondato dagli esponenti del "governo provvisorio" e
dall'esercito federale. La regina si vede costretta alla
resa.
Pochi mesi dopo, però, il nuovo presidente Cleveland
condanna senza mezzi termini il colpo di stato e cerca di
restaurare la monarchia hawaiiana. Il suo mandato termina
però senza che sia riuscito a vincere la resistenza delle
lobbies finanziarie che propugnano l'espansione americana nel
Pacifico (a quel tempo gli Stati Uniti hanno già diverse
colonie in quell'oceano, fra le quali Guam, Samoa, le isole
Midway e le Filippine).
Nel 1898 le Hawaii vengono ufficialmente annesse agli Stati
Uniti. Due anni dopo viene istituito il primo governo americano
ed inizia la militarizzazione delle isole: il 7 settembre 1941,
l'attacco giapponese alla base navale di Pearl Harbor, a pochi
chilometri da Honolulu, segna l'inizio della guerra fra Giappone
e Stati Uniti.
L'immediato dopoguerra è caratterizzato
dall'americanizzazione e dall'espansione turistica, entrambi
fenomeni devastanti nei confronti della cultura indigena. Il 27
giugno 1959, quando la popolazione indigena è ormai in
netta minoranza, un referendum dall'esito scontato trasforma
l'arcipelago nel cinquantesimo stato della federazione.
Sotto il profilo formale, quindi, la definitiva incorporazione
negli Stati Uniti non avviene per annessione, ma per volontaria
adesione. In questo modo le Hawai'i vengono cancellate dalla
lista dell'ONU che raccoglie i territori in attesa di
decolonizzazione.
L'arcipelago è quindi l'unico territorio coloniale a
sparire da quella lista senza aver conseguito l'indipendenza.
L'ironia della sorte vuole che lo status coloniale delle Hawai'i
si consolidi proprio mentre molte colonie del Terzo Mondo
conquistano invece l'indipendenza.
Oggi l'arcipelago conta 1.150.000 abitanti, ma gli indigeni sono
appena il 20%. La mancanza di trattati derivante dall'annessione
fa sì che alla popolazione
autoctona sia negata anche la scarsa autonomia rionosciuta alle
altre nazioni indigene degli Stati Uniti (Indiani, Inuit ed
Aleuti): sovvenzioni federali, esenzioni fiscali, autogoverno
locale.
La risposta indigena arriva nel 1987, quando le sorelle Mililani
ed Haunani-Kay Trask fondano l'organizzazione Ka Lahui Hawai'i
(Assemblea hawaiiana).
Il resto è storia recente, con la battaglia per la
sovranità che viene portata avanti presso l'ONU ed altri
consessi internazionali: ancora una volta il nodo centrale
è costituito dai diritti territoriali.
Il 17 gennaio 1993 oltre 12.000 persone sfilano nel centro di
Honolulu per commemorare il centenario dell'invasione americana.
Nell'estate dello scorso anno, il Kanaka Maoli Peoples'
International Tribunal pone le basi giuridiche delle future
rivendicazioni indigene.
Pochi mesi dopo il Presidente Clinton firma l'importante Apology
Bill (Documento di scuse), dove ammette esplicitamente il
coinvolgimento degli Stati Uniti nel colpo di stato del 1893 e
constata che a quel tempo le Hawai'i erano uno stato
internazionalmente riconosciuto.
All'atto pratico, però, questo non produce alcun
cambiamento, ma in ogni caso rafforza le rivendicazioni dei
movimenti indigeni.
Alcuni di questi aspirano all'autonomia e ad uno status di
"nazione nella nazione" analogo a quello degli Indiani. Altri,
invece, si battono per la restaurazione dello stato monarchico
indipendente. Nel 1997 inizia a farsi strada anche l'idea di
costituire un partito indipendentista, ma vista la scarsa
percentuale degli indigeni le prospettive di questo nuovo
soggetto politico appaiono alquanto incerte.
Alessandro Michelucci
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
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INDIRIZZI UTILI
KA LAHUI HAWAI'I
P.O. Box 4964
Hilo, Hawai'i 96720, USA
tel. +1-808-9612888, fax +1-9358854
E-mail: kealoha@ilhawaii.net
Web: kalahui.org
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3333 Ka'ohinani Drive, Honolulu, Hawai'i 96817, USA
tel. +1-808-5956691, fax +1-808-5950303
A due secoli dalla Rivoluzione, l'ordinamento francese ha
mantenuto l'istituto coloniale, all'interno del quale si
distinguono i DOM (dipartimenti d'oltre mare) ed i TOM (territori
d'oltre mare). I primi sono territori che vengono considerati a
pieno titolo parte integrante del territorio statale: le colonie
attuali - Guadalupa, Martinica, Guyana e Réunion - sono in
tutto equiparate alla Bretagna od alla Normandia. Diversa la
situazione dei territori d'oltre mare, ai quali è
già stata riconosciuta una certa autonomia. Le colonie
attuali sono Mayotte, situata nell'Oceano Indiano,
Saint-Pierre-et-Miquelon, che sorge nell'Atlantico, ed un gruppo
più numeroso nel Pacifico: Wallis e Futuna, Polinesia
francese, Nuova Caledonia.
Quest'ultimo TOM sorge nel Pacifico meridionale, ad est
dell'Australia ed a nordovest della Nuova Zelanda. E'
un'arcipelago di ridotte dimensioni (è grande come la
Puglia), che diviene ufficialmente francese nel 1853. La
popolazione indigena, i Kanak, è di ceppo melanesiano ma
presenta anche influenze polinesiane.
Le isole vengono scoperte nel 1774 da James Cook, che battezza
l'arcipelago Isole della Lealtà e dà all'isola
principale il nome di Nuova Caledonia (Caledonia è il nome
poetico della Scozia). Dal 1792 al 1840, seppure visitato da
varie spedizioni europee, l'arcipelago rimane sostanzialmente
ignoto, e la fiera resistenza indigena scoraggia la
colonizzazione. Successivamente la Francia passa però
all'offensiva: nel 1853 una spedizione militare vince la
resistenza delle tribù, e nel 1864 le isole vengono
formalmente annesse da Parigi. Negli stessi anni vengono scoperti
il rame ed il nickel, ed il governo francese dà inizio a
ll'estrazione su vasta scala. Nouméa, la capitale, diventa
un'importante base navale, mentre l'arcipelago viene trasformato
in una colonia penale che viene però chiusa alla fine del
secolo. La popolazione indigena, costretta in riserva, insorge a
più riprese, ed ogni volta che la ribellione viene
soffocata i coloni si appropriano di nuove terre. All'inizio del
nostro secolo, il governo francese controlla ormai due terzi di
Grande Terre, l'isola principale, e buona parte delle
tribù è stata costretta a lasciare i propri
villaggi per trasferirsi in zone dove possono essere facilmente
controllati dai militari. A questo si sovrappone l'incessante
immigrazione, francese ma anche asiatica, che serve per il lavoro
nelle miniere. Questo favorisce il diffondersi di alcune malattie
alle quali i Kanak non possono opporre difese immunitarie:
è la triste storia che si è già verificata
altrove, come in Australia o nelle Americhe. Inevitabilmente
l'immigrazione procede di pari passo con la spoliazione delle
terre, con l'introduzione di nuove tecniche e di nuove colture
come riso e caffè.
Durante la Seconda Guerra Mondiale la Nuova Caledonia si rivela
un'importante base strategica per le Forze Alleate.
Nel 1946 inizia la produzione su vasta scala del nickel. Al tempo
l'ONU pone l'arcipelago sulla lista dei territori da
decolonizzare, ma con un'abile mossa diplomatica la Francia fa
sì che ne venga rimosso e lo dichiara "territorio
d'oltremare", dando al contempo la cittadinanza francese agli
abitanti. E' solo nel 1951, però, ch viene riconosciuto
agli indigeni il diritto di voto. Maurice Lenormand, leader
dell'Union Caledonienne, il principale partito kanak, viene
eletto all'assemblea nazionale di Parigi.
Nel 1957 viene creata un'assemblea territoriale con poteri
legislativi: questo induce gli indigeni ad un certo ottimismo. Ma
l'anno successivo i coloni organizzano una rivolta armata per
protestare contro i primi spiragli di autonomia, ed il generale
de Gaulle, che è stato appena eletto presidente, scioglie
l'assemblea territoriale e nomina un nuovo governatore. Lenormand
viene incarcerato. Per un paio di decenni viene negata qualsiasi
forma di autonomia. Le cose sembrano cambiare quando viene eletto
presidente il socialista François Mitterrand (maggio
1981), che durante la campagna elettorale ha promesso di
riconoscere ai Kanak il diritto all'autodeterminazione.
Proprio per questo gli anni Ottanta si rivelano i più
burrascosi per i rapporti fra indigeni, coloni e governo
francese. Emerge la figura di Jean-Marie Tjibaou, un ex-prete
cattolico che in breve tempo si impone come leader del movimento
indipendentista, ormai più cosciente e meglio organizzato.
Nel 1984 nasce così il FLNKS (Fronte di Liberazione
Nazionale Kanak e Socialista), nel quale confluiscono tutti i
partiti. Nello stesso anno, dopo aver boicottato le elezioni
della nuova assemblea territoriale, il FLNKS proclama la
formazione di un governo provvisorio ed organizza una serie di
proteste. Da Parigi, Mitterrand invia un suo rappresentante che
deve risolvere una situazione che sta ormai precipitando: nelle
settimane successive i coloni uccidono diversi kanak, fra cui
Eloi Machoro, uomo di punta del FLNKS e Ministro degli Interni
nell'autoproclamato governo provvisorio.
Mitterrand annuncia quindi un nuovo piano di autonomia, ma la
vittoria elettorale dei gollisti ne impedisce l'attuazione. Il
Primo ministro Chirac ristabilisce il controllo centralizzato
sulla colonia. Spariscono anche i piani di riforma fondiaria che
dovevano restituire ai Kanak una piccola parte delle terre, e la
presenza delle truppe francesi viene rinforzata. Questo spinge il
Forum del Sud-Pacifico a fare pressione sull'ONU affinché
la Nuova Caledonia venga reiscritta nella lista dei territori da
decolonizzare. Alla fine del 1986, con una votazione largamente
favorevole, l'Assemblea Generale dell'ONU accetta: una vittoria
di non poco conto per i Kanak.
Ma i disordini non accennano a calmarsi. Quando Mitterrand viene
rieletto presidente, comunque, torna a riaprirsi il dialogo, che
culmina nell'Accordo di Matignon, che viene concluso il 20 agosto
1988 a Parigi. I firmatari sono Tjibaou, il Primo Ministro Michel
Rocard e Jacques Lafleur leader del RPCR, il più
importante partito espresso dai coloni. In Francia viene tenuto
un referendum dove l'80% dei votanti approva l'accordo: questo ne
garantisce la validità indipendentemente dall'orientamento
dei governi futuri. L'intesa prevede fra l'altro che dieci anni
dopo, nel 1998, dovrà tenersi in Nuova Caledonia un
referendum sull'indipendenza.
Nell'arcipelago, però, non tutti sono entusiasti
dell'accordo siglato dal leader del FLNKS, che a quanto pare ha
agito di propria iniziativa. Lo scontento di alcuni kanak si
esprime nel modo più tragico: nel maggio 1989 Tjibaou ed
un suo collaboratore vengono uccisi.
Negli anni successivi prosegue il dialogo fra le tre parti -
Kanak, coloni e Francia - ma molti indigeni sono tutt'altro che
interessati ad un referendum, dato che gli Accordi di Matignon
prevedono che questo debba coinvolgere anche i coloni. E siccome
i Kanak costituiscono appena il 45% della popolazione, un
risultato favorevole all'indipendenza appare molto
improbabile.
Negli ultimi anni una certa disaffezione per il FLNKS ha favorito
la nascita di altri movimenti, alcuni dei quali guardano alla
Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni elaborata dall'ONU
come una piattaforma per le loro rivendicazioni.
Il FLNKS, dal canto suo, non è più compatto
sull'obiettivo dell'indipendenza, dato che la sua dirigenza sta
valutando anche l'ipotesi dell'autonomia. Per contro,
l'obbiettivo dell'indipendenza trova crescente spazio nelle
minoranze immigrate dalle isole Wallis e Futuna. La Chiesa
evangelica, che fin dal 1979 è apertamente schierata con
gli indigeni, continua a fornire un sostegno importante sia a
livello locale che internazionale.
Alessandro Michelucci
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
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PUBBLICAZIONI
KANAKY-SOLIDARITÉ
3 passage Charolais, F-75012 Paris, France
Pubblicazioni: Le banian
Attorno al 700 i Maori sono il primo popolo che raggiunge la
futura Nuova Zelanda: la battezzano Aotearoa, "la terra della
grande nuvola bianca". Gente di ceppo polinesiano proveniente da
varie parti del Pacifico meridionale, popolano l'arcipelago a
più riprese nell'arco dei secoli successivi. Fra il 1350
ed il 1650 la cultura maori si sviluppa e si consolida,
conservando contatti regolari con gli altri popoli della vasta
regione polinesiana, come gli Hawaiiani e gli indigeni di Rapa
Nui (poi meglio nota come isola di Pasqua). Caccia, pesca,
agricoltura e tessitura sono le basi della loro economia.
La società è divisa in cinque caste: capi,
sacerdoti, nobili, guerrieri e schiavi.
Nel 1642 l'esploratore olandese Abel Tasman approda
nell'arcipelago: questo segna l'inizio della colonizzazione
europea. L'immigrazione dei pakeha (bianchi) si fa massiccia nel
secolo successivo, generando duri conflitti che hanno come
oggetto la proprietà delle terre.
Il Trattato di Waitangi, firmato nel 1840 da cinquanta capi
tribali e dal governatore britannico William Hobson, si propone
appunto l'obiettivo di regolare i rapporti fra le due parti. Il
documento, che segna al tempo stesso la nascita della Nuova
Zelanda, viene redatto nelle due lingue, ma l'abisso che separa
l'inglese dal maori dà vita a due versioni suscettibili di
interpretazioni assai diverse. Il testo inglese, tanto per fare
un esempio, garantisce ai Maori "il pieno, esclusivo ed
incondizionato possesso delle proprie terre", mentre l'altro
parla di "piena sovranità" sulle terre stesse. Comunque il
problema essenziale sta nel fatto che il trattato non viene
incorporato nella Costituzione.
Negli anni successivi aumenta velocemente il numero degli
immigrati europei, in larga parte provenienti dalla Gran
Bretagna. Fin dall'inizio il Trattato di Waitangi si dimostra
lettera morta, e le contese territoriali danno luogo a varie
guerre. In varie occasioni i soldati britannici devono soccombere
ai Maori, tanto che i primi arrivano a sospettare che le
strutture difensive degli indigeni siano state costruite da
ingegneri europei.
La guerra e le malattie di origine europea decimano i Maori, che
passano dai 256.000 del 1871 ai 45.000 del 1874. Unico sprazzo di
luce in questo periodo di declino, nel 1867 quattro maori sono
ammessi in Parlamento.
All'inizio del Novecento i Maori danno vita a diverse formazioni
politiche, come il Partito dei Giovani Maori ed il Ratana.
Quest'ultimo, di ispirazione cristiana, chiede che il Trattato di
Waitangi venga incorporato nella legislazione vigente.
Fino all'inizio degli anni Trenta i Maori vivono quasi
esclusivamente nelle zone rurali, ma è solo dopo la
Seconda Guerra Mondiale che l'inurbazione diventa un fenomeno
visibile. Poco più tardi inizia il loro incremento
demografico, accompagnato però da quello della
mortalità infantile: nel 1960, un bambino maori muore
entro il primo anno molto più facilmente di uno bianco. La
discriminazione è diffusa, ma nelle città meno che
nei piccoli centri; trovare un alloggio è più
difficile che trovare un lavoro.
Nel 1975 il governo laburista istituisce il Tribunale di
Waitangi, un organismo tecnico-giuridico che in teoria dovrebbe
garantire una corretta attuazione del trattato stipulato nel
1840. Si tratta comunque di un notevole progresso, perché
finora il governo ha lasciato che il Trattato di Waitangi
restasse lettera morta.
Nel settembre 1984 una grande manifestazione pubblica organizzata
dai movimenti maori, il Te Kotahitanga, riafferma con forza
l'attaccamento degli indigeni ai propri valori culturali, sociali
ed economici. Il raduno si chiude con una dichiarazione che fa
riferimento al Trattato di Waitangi, del quale viene reclamata la
piena attuazione.
Nel 1990 viene fondato il Congresso nazionale maori, che copre
l'intera area neozelandese. Il suo obiettivo principale è
quello di costituire un forum nazionale che porti avanti le
istanze politiche, sociali ed economiche degli indigeni, e di
elaborare una piattaforma comune delle varie tribù. Il
Congresso nazionale maori si propone di fare tutto questo a
livello locale e internazionale.
Il censimento del 1991 conferma l'alto tasso demografico dei
Maori, che ormai sono 431.000 e rappresentano quindi il 15%
dell'intera popolazione. Negli ultimi anni questa percentuale
trova un adeguato riscontro politico: dal 1993 al 1996 i
parlamentari indigeni salgono da 6 a 15. Oggi sono presenti in
tutte le forze politiche, ed esiste anche un partito maori, Mana
Motuhake.
Gli indigeni non sono attivi solo a livello politico, ma anche
culturale ed accademico: pubblicano varie riviste, da Mana alla
Maori Law Review, e la lingua viene insegnata in varie
università. Alcuni, come l'avvocato Moana Jackson,
forniscono un valido sostegno giuridico alle lotte
indigene.
Ma la storia odierna dei Maori è anche un'altra, segnata
dall'alcoolismo, dall'abbrutimento e dalla violenza, come
documenta il bel film "Una volta erano guerrieri". Diversamente
da molti altri popoli indigeni, che abitano solo certe regioni
del paese in cui si trovano, i Maori abitano in tutte le parti
della Nuova Zelanda, e le terre che reclamano sono sparse un po'
ovunque. Questo rende molto difficile una piena attuazione del
Trattato di Waitangi.
Alessandro Michelucci
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
D. Awatere, Maori Sovereignty, Broadsheet, Auckland
1984.
A. Buchanan, "150 Years of White Domination in New Zealand",
Race & Class, XXXI, n. 4, April-June 1990, pp.
73-79.
L. Cox, Kotahitanga: The Search for Maori Political Unity,
Oxford University Press, Auckland 1993.
A. Duff, Erano guerrieri (romanzo), Frassinelli, Milano
1995.
G. Englaro (a cura di), Leggende dei Mari del Sud, Arcana,
Milano 1994.
G.-G. Le Cam, Mythe et stratégie identitaire chez les
Maoris de Nouvelle Zélande, L'Harmattan, Paris
1992.
D. Lewis - W. Forman, I Maori, un popolo di guerrieri,
Istituto Geografico De Agostini, Novara 1983.
D. Pearson, "From Communality to Ethnicity: Some Theoretical
Considerations on the Maori Ethnic Revival", Ethnic and Racial
Studies, XI, n. 2, April 1988, pp. 168-191.
INDIRIZZI UTILI
ACTION FOR AN INDEPENDENT AOTEAROA
PO Box 1905, Otautahi (Christchurch), Aotearoa/New Zealand
tel. +64-3-3662803, fax +64-3-3668035
E-mail: afia@corso.ch.planet.gen.nz
MANA [rivista]
P.O. Box 1101
Rotorua, Aotearoa/New Zealand
tel. +64-7-3490260, fax +64-7-3490258
NATIONAL MAORI CONGRESS
PO Box 5079, Lambton Quay, Wellington, Aotearoa/New Zealand
tel. +64-4-4884602, fax +64-4-4994608
La conferenza che si tiene a Whakatana (Nuova Zelanda) dal 12
al 18 agosto 1993, promossa dalle nove tribù maori di
Mataatua, riunisce oltre 150 delegati indigeni provenienti dal
Giappone, dalle Americhe, dall'India e da varie parti del
Pacifico.
La conferenza esamina temi quali la biodiversità, le nuove
tecnologie, la gestione ambientale, le arti, la cultura e la
difesa delle lingue. Il documento finale, noto come Dichiarazione
di Mataatua, rappresenta un importante salto di qualità
nella difesa dei diritti indigeni a livello internazionale.
I punti principali del documento sono quelli che seguono:
- E' necessario sviluppare un codice etico relativo all'uso di
materiale indigeno (scritto, registrato o
videoregistrato).
- Devono essere istituiti centri di educazione, di ricerca e
di formazione professionale.
- Si deve tornare in possesso di alcune terre per potervi
praticare la produzione agricola secondo le nozioni
tradizionali.
- Si deve esaminare la legislazione relativa alla protezione
dei beni archeologici.
- Si deve dare vita ad un organismo dotato di meccanismi
per:
a) sostenere i popoli indigeni nella difesa del loro
patrimonio culturale;
b) controllare ogni nuova legge che riguardi i diritti di
proprietà culturale ed intellettuale dei popoli
indigeni.
- Il Progetto Genoma deve essere interrotto, e le sue
implicazioni morali, fisiche, politiche ed economiche devono
essere discusse ed approvate dai popoli indigeni.
Relativamente a quest'ultimo punto, è bene sottolineare
che la ricerca genetica in corso rappresenta un grave pericolo
per l'integrità fisica e culturale dei popoli indigeni.
Molti di questi, infatti, vengono già studiati come cavie
con l'evidente finalità di aprire nuove frontiere alla
medicina.
Giovanna Marconi
Da molto tempo l'Oceano Pacifico, che copre quasi un terzo
della superficie terrestre, non è più quel "mare
della pace" a cui farebbe pensare il suo nome. Per molti popoli
del Pacifico, infatti, la guerra non è mai finita:
è dal 1945 che le potenze atomiche sperimentano armi
nucleari sulle loro isole. Fra il 1946 ed il 1958, gli Stati
Uniti fecero esplodere 66 bombe atomiche sulle isole Marshall
(Micronesia). Almeno diciotto isole furono contaminate a tal
punto dalla radioattività che divennero inabitabili per
sempre. Quando i 166 abitanti dell'atollo di Bikini dovettero
abbandonare la loro isola per gli esperimenti, non sospettavano
che nei decenni successivi sarebbero stati trasferiti altre
quattro volte. "La nostra isola ha perso le ossa" dissero nel
1969 quando vennero riportati al loro atollo devastato, che
dovettero lasciare nuovamente nel 1978 per l'eccessivo grado di
radioattività. La maggior parte degli indigeni di Bikini
(un nome che significa "palme al vento") e di altre isole ed
atolli contaminati soffre di malattie derivate dalle radiazioni.
Ormai anche da parte ufficiale si è ammesso che gli
indigeni sono stati esposti anche deliberatamente alle
radiazioni, con lo scopo di studiare le conseguenze di una guerra
atomica.
Oggi molte vittime delle radiazioni vivono di forniture militari
americane in insediamenti simili agli slums urbani, lontano dalla
loro terra. Nelle isole è difficile trovare lavoro. Le
famiglie numerose sono ai limiti della sopravvivenza. E' vero che
alcuni hanno ricevuto un risarcimento dal governo americano, ma
la maggior parte è rimasta a mani vuote. Questi soldi sono
confluiti in un fondo d'amministrazione fiduciaria: a Bikini, per
esempio, ognuno riceve 37 dollari al mese (66.000 lire).
Alle vittime degli esperimenti vengono concessi voli gratuiti,
sussidi scolastici ed altre agevolazioni. Da questi dollari,
però, traggono profitto soprattutto poche famiglie
influenti. Amata Kabua, il presidente che dal 1979 governa Bikini
con metodi dittatoriali, trova sempre il modo di arricchirsi a
spese della popolazione. I Kabua, che sono fra i più
grandi proprietari terrieri della repubblica, incassano quasi la
metà del canone d'affitto che gli Stati Uniti pagano per
la base missilistica di Kwajalein. Per riempire le casse vuote
dello stato, cronicamente dipendente da aiuti esteri, Kabua
vorrebbe fare delle isole Marshall un deposito per le scorie
radioattive di tutto il mondo. Le conseguenze, come dicono gli
ecologisti, sarebbero incalcolabili:nei prossimi decenni molte
isole potrebbero affondare (grazie anche all'aumentata
temperatura del pianeta), e le scorie immagazzinate resterebbero
radioattive per oltre 20.000 anni.
Anche gli esperimenti atomici condotti dalla Francia nel Pacifico
meridionale causano radicali cambiamenti socioculturali ed hanno
conseguenze assai negative sulla salute degli isolani. Dal 1966
la Francia ha fatto esplodere oltre 200 bombe atomiche negli
atolli di Fangataufa e Moruroa (Mururoa è l'errata grafia
francese, che purtroppo viene usata in prevalenza). ll tahitiano
Myron Mataaoa ha denunciato questi crimini al seminario
internazionale organizzato dal World Uranium Hearing a Salisburgo
(14-18 settembre 1992): "Viviamo sull'acqua e dell'acqua... Con
gli esperimenti la radioattività entra nel mare e nelle
barriere coralline. I pesci si nutrono dei coralli. Noi mangiamo
pesce, veniamo avvelenati e moriamo. E' una forma di
genocidio".
La Francia ha sempre negato recisamente che esistesse un rapporto
fra gli esperimenti nucleari e l'incremento di cancro alla
tiroide, leucemia, bambini malformati e nati morti, ma al tempo
stesso non ha mai autorizzato studi dettagliati in merito.
All'inizio del settembre 1995, dopo una moratoria di tre anni, la
Francia ha ripreso gli esperimenti a Moruroa. Questo nonostante
l'atollo sembrasse ormai sul punto di spezzarsi.
Il governo francese cerca di rintuzzare ogni critica con generosi
stanziamenti a Papeete. Questo flusso di danaro ha già
prodotto profondi cambiamenti negli arcipelaghi che formano la
colonia. L'agricoltura sta scomparendo, perché esistono
altri lavori più redditizi.
Tanti maohi - così si chiamano gli indigeni della
Polinesia francese - non vogliono più rinunciare alle
sovvenzioni francesi e ne sono ormai dipendenti.
Ma esistono anche dei movimenti che cercano di reagire a questo
torpore sociale, come Hiti Tau, che raccoglie una quarantina di
ONG indigene. Queste organizzazioni lavorano a piccoli progetti
autonomi con un obiettivo ben preciso: l'indipendenza.
Così Hiti Tau ha istituito con successo cooperative
agricole, dove giovani disoccupati producono frutta, verdura e
vaniglia per il proprio consumo e per la vendita.
Anche il Nuclear-Free and Independent Pacific Movement (Movimento
per un Pacifico denuclearizzato e indipendente),
un'organizzazione indigena fondata nel 1975, si muove in
quest'ottica. La denuclearizzazione presuppone l'indipendenza:
solo allora ai popoli del Pacifico sarà risparmiata la
convivenza quotidiana con il terrore nucleare e con i suoi
mostruosi effetti.
Ulrich Delius
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
J. Chesneaux - N. Maclellan, La France dans le Pacifique. De
Bougainville à Moruroa, La Découverte, Paris
1992.
B. e M. -T. Danielsson, Moruroa, notre bombe coloniale.
Histoire de la colonisation nucléaire de la
Polynésie française, L'Harmattan, Paris
1993.
M. -T. Danielsson, "Polinesia francese, colonia nucleare",
Pogrom (Firenze), n. 2-3, maggio-dicembre 1995, pp.
35-42.
"David gegen Goliath: Die Völker des Pazifik zwischen
Selbstbestimmung und Nuklearkolonialismus", numero monografico di
Pogrom (Göttingen), n. 137, Juli 1987.
U. Delius, SOS Moruroa. Französische Atomtests im
Pazifik, Pazifik Informationsstelle, Neuendettelsau
1990.
D. Robie, Blood on Their Banner. Nationalism in the South
Pacific, Zed Books, London 1989.
R. Smith, The Nuclear-Free and Independent Pacific Movement.
After Moruroa, Tauris, London 1996.
E. Weingartner, Il Pacifico avvelenato, Macro/edizioni,
Sarsina (Forlì) 1992.
INDIRIZZI UTILI
EUROPE-PACIFIC SOLIDARITY NETWORK
P.O. Box 151, 3700 AD Zeist, The Netherlands
tel. +31-3069-27827, fax +31-3069-25614
E-mail: ecsiep@gn.apc.org
Pubblicazioni: Europe-Pacific Solidarity Bulletin
HITI TAU
B.P. 4611, Papeete, Tahiti
tel. +689- 521371, fax +689- 572880
E-mail: hititau@mail.pf
Web: www.hookele.com/hititau
NUCLEAR-FREE INDIPENDENT PACIFIC
Pacific Concerns Resource Centre
83 Amy Street, Toorak, Suva, Fiji
tel. +679-304649, fax +679-304755
E-mail: pcrc@is.com.fj
Pubblicazioni: Pacific News Bulletin
PAZIFIK INFORMATIONSSTELLE
Postfach 68
D-91561 Neuendettelsau, Deutschland
tel. +49-9874-9299, fax +49-9874-9330
Pubblicazioni: Pazifik Aktuell
Le imponenti manifestazioni antinucleari del 1995, nate in
seguito alla decisione francese di realizzare nuovi esperimenti
nel Sud Pacifico, hanno finalmente fornito un'occasione per
denunciare una realtà a lungo ignorata: il fatto che la
maggioranza degli esperimenti nucleari sia sempre stata
realizzata in territori abitati da popoli indigeni.
Naturalmente la scelta non è casuale, ma deriva da vari
fattori facilmente individuabili: si tratta in genere di
territori desertici, come in Australia e negli Stati Uniti; di
regioni abitate da popoli che non hanno accesso alle grandi fonti
d'informazione, e che quindi sono generalmente ignorati. A questo
silenzio che si traduce in complicità involontaria cerca
di opporsi un'associazione tedesca, il World Uranium Hearing,
fondata negli anni Ottanta da Claus Biegert, autore di alcuni
libri sugli Indiani d'America.
Ma un fattore più rilevante, che purtroppo sfugge spesso,
è un altro: la maggior parte dei territori in questione
sono colonie di fatto (le Hawai'i o il deserto siberiano) o di
diritto (la Polinesia francese o il Tibet). Non è
difficile vedere il legame fra colonialismo ed esperimenti
nucleari: ciascuno legittima l'altro, se così si
può dire, e garantiscono la sopravvivenza di quel
colonialismo europeo che conta ancor oggi una trentina di
possedimenti, per un totale di 9.000.000 di abitanti. E stiamo
parlando di sei paesi (Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Olanda,
Portogallo e Spagna) che fanno parte dell'Unione Europea e che
non perdono occasione per salire in cattedra a dar lezioni di
democrazia e diritti umani al mondo intero.
Non è quindi un caso se a Papeete la lotta contro gli
esperimenti francesi e quella per l'indipendenza sono
tutt'uno.
In Italia, a differenza di quello che accade in altri paesi
europei, c'è ancora un'attenzione molto scarsa per il
colonialismo nucleare: nelle stesse manifestazioni contro i nuovi
esperimenti francesi questo importante aspetto della questione
è spesso rimasto in ombra. Con ogni probabilità
questo disinteresse deriva da una distorta percezione dei popoli
indigeni, ora visti come dei "primitivi" da civilizzare, ora come
dei graziosi oggetti colorati - ma in sostanza dei ruderi
viventi.
Grazie a questi diffusi stereotipi risulta facile non vedere gli
esperimenti che negli ultimi 50 anni hanno devastato le terre dei
Western Shoshone, nel deserto del Nevada; quelle dei Ciukci e
degli Evenki, in Siberia; quelle dei Tuareg, nel Sahara algerino;
quelle dei Maohi, nella remota Polinesia francese; quelle degli
Uiguri, la minoranza turcomanna che vive nello Xinjang, la
regione autonoma della Cina occidentale dove Pechino ha
realizzato vari esperimenti fra il 1995 ed il 1996.
Terre e popoli contro i quali, nel nome del "progresso" e dello
"sviluppo", viene portata avanti da troppo tempo un'aggressione
silenziosa e devastante.
Alessandro Michelucci
Naturalmente un panorama della questione indigena non
può essere fornito soltanto da giornalisti ed esperti che
restano sostanziamente estranei al problema: i veri attori sono i
popoli autoctoni, quindi la loro voce non deve mancare.
A questo proposito riportiamo due testi. Il primo è il
documento finale della conferenza Native Resource Control and the
Multinational Corporate Challenge: Aboriginal Rights in
International Perspective (Washington, 12-15 ottobre 1982). Da
allora sono passati 15 anni ma il documento rimane attualissimo,
perché evidenzia i pericoli del "progresso" e dello
"sviluppo"e ci ricorda, se ancora ce ne fosse bisogno, che gli
indigeni non sono curiosi resti del passato, ma uomini e donne
che lottano per avere un futuro.
Siamo qui per parlare del progresso e per cercare di trovare
una risposta alla domanda che spesso ci viene rivolta dalla
nostra gente: cosa significa "progresso" per i popoli indigeni?
Consideriamo per esempio il caso dei Maya del Guatemala, che vive
un momento tragico, un momento al quale la stampa occidentale non
ha ancora dato il risalto dovuto. Era dai tempi dell'Olocausto
che il mondo non si verificava uno sterminio come quello che si
sta consumando in quel paese centramericano. La gente muore o
scompare, l'esercito governativo massacra la popolazione civile.
Insieme ai nostri fratelli e sorelle maya noi chiediamo ai
giornalisti che sono qui: perché gli indigeni del
Guatemala sono i bersagli dell'aggressione militare?
Perché le famiglie potenti del paese centramericano
vogliono la loro morte?
Perché il governo statunitense, il cosidetto guardiano del
"mondo libero" sostiene un governo che compie un genocidio? Per
noi indigeni il "progresso" si traduce in questo?
Questa settimana abbiamo sentito di quello che sta succedendo ai
popoli indigeni del Sudamerica, dell'Australia, del Nordamerica,
del Pacifico. In Brasile il problema principale riguarda la
mancata definizione delle proprietà terriere. Noi
sollecitiamo il governo brasiliano a prendere le misure
più adeguate per demarcare le terre indigene, base della
sopravvivenza di questi popoli. Al tempo stesso incitiamo le
autorità brasiliane a proteggere concretamente quelle
terre che vengono continuamente minacciate dai garimpeiros,
spesso grazie alla complicità degli uomini politici e dei
latifondisti.
Anche altri popoli soffrono. Pensiamo a quelli di Timor est, dove
almeno un terzo della popolazione è già stata
sterminata, come riferiscono i familiari. Si vive nel terrore,
per la stampa la situazione è quasi inaccessibile.
Da tutti questi esempi si può ben capire cosa significhi
il "progresso" per i popoli indigeni.
Per noi progresso significa:
- faraonici progetti idro-elettrici che arginano interi corsi
d'acqua, grazie ai quali molti territori indigeni atti alla
caccia, alla pesca ed alla coltivazione vengono sommersi;
- monocolture che sfruttano vaste parti di terre indigene per
farci crescere frutta da esportazione, come banane ed ananas, che
sarà poi vendute nei paesi industrializzati. In questo
modo la terra dei popoli autoctoni viene continuamente ridotta,
la popolazione si accalca in spazi sempre più piccoli, e
la miseria che ne deriva viene perfino imputata alla
sovrappopolazione;
Noi afferrmiamo che tutto questo è genocidio. Abbiamo
detto genocidio: una parola pesante, che dovrebbe indurre alla
riflessione.
Questa settimana, inoltre, molte delle testimonianze che abbiamo
sentito si sono concentrate sul ruolo che in questo processo
viene giocato dalle compagnie multinazionali. In particolare, ci
preme sottolineare che in Guatemala un gruppo di multinazionali,
che sono in buona parte statunitensi e che rappresentano un
investimento totale di oltre 300.000.000 di dollari, controllano
una grossa parte delle zone rurali.
Queste compagnie, fra cui la United Brands Corporation (derivata
dalla United Fruit Company), già negli anni Cinquanta
possedevano due terzi di tutta la terra coltivabile in Guatemala.
Oggi sono strettamente legate al governo militare di quel paese,
come succede in tante altre parti del mondo. Quando il
Dipartimento di Stato parla di proteggere gli interessi degli
Stati Uniti nell'America centrale, si riferisce agli interessi di
queste compagnie. Se si studiasse attentamente il comportamento
di queste multinazionali, si vedrebbe che operano quasi sempre in
terre indigene, e che oggi, per molte comunità aborigene,
il "progresso" sono loro.
In conclusione:
Noi, popoli indigeni, vogliamo dare il nostro contributo per un
mondo migliore. Siamo offesi dal comportamento degli stati
nazionali, che ignorano i più elementari diritti dei
popoli, che molto spesso sono popoli indigeni.
A tutti i popoli dovrebbe essere garantito il diritto a vivere
senza lo spettro del genocidio. I governi della Terra non ci
riconoscono come popoli, e questo porta ai più spaventosi
crimini ed alle peggiori violazioni dei diritti umani. Parliamo
di torture, assassinii, arresti arbitrari, carestie programmate,
spoliazione delle terre.
E' proprio questo il nostro destino? I popoli indigeni della
Terra devono davvero essere spazzati via? Per noi quello che
viene chiamato progresso significa necessariamente genocidio?
Per le nostre culture il concetto di diritto individuale
esiste solo all'interno della collettività. E' dagli
obiettivi comuni, dalle relazioni interpersonali e da quelle con
la Madre Terra che derivano i diritti e le responsabilità
dei singoli. Negarci il riconoscimento dei nostri diritti
collettivi significa negare al singolo i vantaggi della nostra
identità collettiva e quindi separare due cose che per noi
sono tutt'uno.
Tutti i popoli hanno diritto all'autodeterminazione. Gli stati
che si oppongono all'esercizio di questo diritto cercano di
evitare l'applicazione del diritto internazionale ai popoli
indigeni per evitare le evidenti implicazioni che derivano dai
criteri internazionalmente accettati. Per non cadere nell'ambito
di applicazione del diritto internazionale, hanno escogitato un
sistema molto semplice: hanno deciso che i nostri diritti di
popoli non esistono se solo evitano di considerarci tali.
Ci hanno chiamato popolazioni, comunità, gruppi,
società, persone, minoranze etniche; ora hanno deciso di
chiamarci people (gente), al singolare.
In pratica, qualunque termine andrà bene per definirci,
purché non sia peoples (popoli). Vogliono ridurre
un concetto plurale ad un anonimo termine singolare per evitare
di dover riconoscere il nostro diritto all'autodeterminazione. Ci
daranno tutti i nomi possibili ma mai l'unico vero -
peoples (popoli).
Ted Moses
I termini people e peoples sono stati lasciati in inglese dato che i loro corrispondenti in italiano (gente e popoli) non avrebbero reso il senso della polemica esposta da Moses.
Berberi | 12.000.000 | Algeria, Marocco |
Quechua | 12.000.000 | Bolivia, Cile, Ecuador, Perù |
Uiguri | 6.000.000 | Cina, Kazakistan, Uzbekistan |
Hmong | 6.000.000 | Cina, Laos, Thailandia, Vietnam |
Maya | 5.000.000 | Belize, Guatemala, Honduras, Messico, El Salvador |
Tibetani | 4.000.000 | Cina, Tibet |
Kashmiri | 4.000.000 | India, Pakistan |
Karen | 3.500.000 | Birmania, Thailandia |
Santal | 3.200.000 | Bangladesh, India |
Pellerossa (1) | 2.500.000 | Canada, Stati Uniti |
Aymara | 2.000.000 | Bolivia, Cile, Ecuador, Perù |
Tuareg | 1.500.000 | Algeria, Burkina Faso, Libia, Mali, Niger |
Mapuche | 1.400.000 | Argentina, Cile |
Naga | 1.000.000 | Birmania, India |
(1) In realtà, com'è noto, si tratta di molti popoli. Fra i più numerosi, i Cherokee (308.000), i Navajo (219.000) ed i Lakota, meglio noti col nome di Sioux (103.000).
Ormai tramite Internet è possibile reperire una vasta
scelta di materiale informativo sulla realtà odierna dei
popoli indigeni. Naturalmente lo spazio a nostra disposizione ci
consente di riportare solo un piccolo elenco delle pagine web
dedicate all'argomento, che può essere comunque integrato
dai riferimenti riportati nelle pagine precedenti.
Chi desiderasse riferimenti più ampi li troverà sul
bollettino bimestrale La causa dei popoli, diffuso via E-mail od
anche in versione stampata dall'Associazione per i Popoli
Minacciati.
Aboriginal Resources [http://www.io.org/~gcom/aborl.htm]
Un'ampia scelta di fonti informative sui popoli indigeni di tutto
il mondo.
Aboriginal Studies WWW Virtual Library [
http://www.coombs.anu.edu.au/ResFacilities/AboriginalPage.html]
Una raccolta di fonti ideale per conoscere gli aborigeni
australiani: la storia, la cultura, le rivendicazioni di
oggi.
Assyria On-line [http://www.cs.toronto.edu/~jatou]
Per molti gli Assiri sono un popolo del passato: con questo sito
scopriranno invece che esistono ancora oggi, e che cercano
attivamente di conservare la propria identità culturale e
religiosa.
The Body Shop Ogoni Page [http://the
bodyshop.com/kenalert.html]
La tragedia degli Ogoni e la lotta di Ken Saro-Wiwa contro la
Shell.
Café Pacific [http://138.25.138.94/acij/cafepacific]
La più completa fonte di informazione sulle lotte indigene
del Pacifico, curata da David Robie.
Center for World Indigenous Studies [http://www.halcyon.com/FWDP/cwisinfo]
Un interessante centro di studi indigeni fondato e diretto da
attivisti indiani del Nordamerica. Un sito fondamentale, che fra
l'altro mette a disposizione un'ampia scelta di documenti
dell'ONU e dei popoli indigeni di tutto il mondo.
Centre Internacional Escarrè per a le Minories
Etniques i les Nacions [http://www.partal.com/ciemen]
Quello del CIEMEN è un sito fondamentale. La sottopagina
intitolata Ethnic World Survey fornisce un panorama completo
delle questioni etniche dei cinque continenti.
doCip [http://www.docip.org]
Il più importante centro di documentazione europeo sui
popoli indigeni, che lavora in stretto contatto con l'ONU ed
assicura la segreteria organizzativa dell'incontro annuale che si
tiene in luglio presso la sede ginevrina delle Nazioni Unite.
Ejercito Zapatista de Liberación Nacional [http://www.ezln.org]
Un nome che non ha bisogno di presentazioni.
Free Tibet Home Page [http://www.manymedia.com/tibet/index.html]
La tragedia del Tibet, una lotta contro lo sradicamento culturale
che dura ormai da mezzo secolo.
Hmong Home Page [http://www.stolaf.edu/people/cdr/hmong]
Una minoranza del Sud-est asiatico e la sua tragedia
dimenticata.
Index of Native American Resources on the Internet [
http://www.hanksville.phast.umass.edu/misc/NAresources.html]
Gli Indiani del Nordamerica in rete.
Indigenous Education around the World [http://zorba.uafadm.alaska.edu/ankn.IEAW.html]
L'educazione indigena in varie parti del mondo.
Indigenous Environmental Network [Gopher:
gopher.econet.apc.org]
Un sito per ricordare il legame indissolubile che unisce la
questione ambientale e la questione indigena.
Information Centre of Finno-Ugric Peoples [http://www.suri.ee]
L'interessante associazione che promuove gli interessi politici e
culturali dei popoli ugrofinnici (Lapponi, Samoiedi, Mordvini,
etc.).
Maori Links [http://www.manuka.lincoln.ac.nz/libri/nz/maori.htm]
Per conoscere i Maori, la loro storia e le loro rivendicazioni
odierne.
Nation of Hawai'i [http://www.hawaii-nation.org]
Una questione indigena spesso oscurata dai luoghi comuni
più falsi.
Native Links [
http://www2.ncsu.edu/ncsu/stud_orgs/aises/nativelinks.html]
Una ventina di links dedicati in prevalenza agli Indiani del
Nordamerica (ma non mancano Hawaiiani e zapatisti).
Native Net [http://www.fdl.cc.mn.us/natnet]
Le ottime mailing lists sui popoli indigeni, curate da Gary
Trujillo, con notizie in tempo reale da tutto il mondo.
Native Web [http://www.maxwell.syr.edu/nativewb]
Uno dei siti più esaurienti.
Oromia Support Group [http://www.
bogo.co.uk/delerium/osg]
Gli Oromo dell'Etiopia, una maggioranza discriminata e
sostanzialmente ignota in Italia.
Peuples et cultures du monde [http://www.nomade.com/arts_culture/peoples]
Una raccolta di links francofoni sui popoli indigeni di tutto il
mondo.
Polisario [http://heiwww.unige.ch/arso]
Sahara occidentale, l'ultima colonia africana: 20 anni di lotta
contro il colonialismo marocchino.
Popoli in lotta [http://www.romagna.com/argenzano/Popoli.html]
Questo sito che offre una decina di links, dedicati in prevalenza
a popoli americani, è uno dei più interessanti fra
i pochi reperibili in Italia.
Samefolket [http://www.samefolket.se/index.htm]
Un'interessante rivista lappone in rete.
South and Meso American Indian Rights Center [http://www.igc.apc.org/saiic/saiic.html]
Un riferimento essenziale per essere aggiornati sulle lotte dei
popoli amerindiani.
Tamazight [http://www.physics.mcgill.ca/~karim/tamazight]
La più completa raccolta di siti sui Berberi.
TimorNet [http://www.uc.pt/Timor/TimorNet]
La tragedia timorese, vent'anni di genocidio e di
oppressione.
Tuareg [http://
www.imaginet.fr/yusuf]
Uno dei più interessanti siti fra quelli dedicati ai
nomadi del Sahara.
World Uyghur Network News [
http://www.ccs.uky.edu/~rakhim/doc_files/etic_files/wunn.html]
Fondamentale per conoscere gli Uiguri, minoranza musulmana della
Cina nord-occidentale.
E' quasi impossibile parlare di popoli senza accennare ad un'espressione fondamentale di ogni cultura: la musica. In questa sede, ovviamente, vogliamo limitarci a fornire qualche orientamento per facilitare la ricerca di materiale discografico ed informativo.
DISCHI (VENDITA PER CORRISPONDENZA)
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MULTICULTURAL MEDIA
RR3, Box 6655, Granger Road, Barre, VT 05641, USA
tel. +1-802-2231294, fax +1-802-2291834
E-mail: mcm@multiculturalmedia.com
Web: http://www.multiculturalmedia.com
RIVISTE DI MUSICA ETNICA
FOLK ROOTS
P.O. Box 337, London N4 1TW, Great Britain
tel. +44-181-3409651, fax +44-181-3485626
E-mail: froots@cityscape.co.uk
Web: http://www.cityscape.co.uk/froots
TRAD' MAGAZINE
B.P. 27, F-62350 Saint-Venant, France
tel. +33-21-025252, fax +33-21-271670
WORLD MUSIC
Via Pereira 66, 00136 Roma, Italia
tel. +39-06-35491998, fax +39-06-35346137
E-mail: world-music@pantheon.it
La Biblioteca dei Popoli è un centro di documentazione
che raccoglie riviste e pubblicazioni sulle minoranze ed i popoli
indigeni di tutto il mondo. E' stato fondato nel 1994
dall'Associazione per i Popoli Minacciati, ONG operante in 7
paesi europei (Austria, Bosnia, Germania, Italia, Lussemburgo,
Svizzera e Francia) e riconosciuta dall'ONU.
Grazie a questa iniziativa studiosi, ricercatori, attivisti del
volontariato e semplici curiosi possono disporre di una vasta
scelta di pubblicazioni sempre aggiornate, fra cui quelle di
AIDLCM, ASEN, Big Mountain Aktionsgruppe, Centro Studi Zingari,
CIEMEN, Circolo Amerindiano, Cultural Survival, Danish Centre for
Human Rights, doCip, ECSIEP, European Alliance with Indigenous
Peoples , European Bureau for Lesser Used Languages, FUEV,
Gesellschaft für bedrohte Völker, ICRA, Incomindios,
Institut Kurde, ICRA, IWGIA, Minority Rights Group, Netherlands
Centre for Indigenous Peoples, ONU, SAIIC, Survival
International, UNPO.
A queste si aggiungono le pubblicazioni edite dalle minoranze
stesse - dai Tuareg ai Bretoni, dagli Indiani d'America agli
aborigeni australiani.
Dal 1994 all'inizio del 1997 la Biblioteca dei Popoli ha avuto
sede a Villa Fabbricotti (Via Vittorio Emanuele 64, Firenze), ma
ora sta cercando una nuova sede. Per altre informazioni
rivolgersi al seguente indirizzo:
Centro di documentazione popoli minacciati, e-mail: popoli-minacciati@ines.gn.apc.org
Fondata ad Amburgo nel 1970 da Tilman Zülch e da Klaus
Gurcke, già animatori dell'associazione Aktion
Biafrahilfe, l'Associazione per i Popoli Minacciati (Gesellschaft
für bedrohte Völker, GfbV) è nata con un
obiettivo elementare ma anche ambizioso: sviluppare
un'attività in difesa delle minoranze - etniche,
linguistiche e religiose - senza limiti geografici né
ideologici. Erano gli anni del Biafra, del Bangladesh e
dell'Eritrea; in Europa la minoranza basca veniva repressa con
spietata durezza dalla dittatura franchista, mentre i lager
sovietici erano pieni di oppositori estoni, armeni, lituani,
ucraini, tartari.
Oggi, dopo oltre un quarto di secolo, la GfbV è una delle
più importanti organizzazioni per la difesa dei diritti
umani/diritti dei popoli, con sedi in sei paesi europei (Austria,
Bosnia, Germania, Italia, Lussemburgo e Svizzera) e status
consultivo presso l'ONU.
Vedi la homepage della sezione italiana, con sede a Bolzano.
NOTIZIE SUGLI AUTORI
SILVIO CALZOLARI - Yamatologo, docente presso l'Istituto
Superiore di Scienze Religiose, co-fondatore dell'Associazione
per i Popoli Minacciati.
ULRICH DELIUS - Responsabile della Gesellschaft für
bedrohte Völker per le questioni asiatiche ed
africane.
GIOVANNA FUGGETTA - Studiosa di storia e cultura indiana,
promotrice della India-Italy Association.
GESELLSCHAFT FÜR BEDROHTE VÖLKER - ÖSTERREICH
- Sezione austriaca della Associazione per i popoli
minacciati. Pubblica il periodico informativo Bedrohte
Völker.
ELISABETH KUMI - Giornalista, collaboratrice di varie
associazioni indigeniste europee.
GIOVANNA MARCONI - Collaboratrice dell'Associazione per i
Popoli Minacciati.
GEORGE MAYER - Etnologo.
WOLFGANG MAYR - Giornalista della RAI di Bolzano,
co-fondatore dell'Associazione per i popoli minacciati -
Sudtirolo.
ALBERTO MELANDRI - Responsabile del Coordinamento italiano
dei gruppi di solidarietà col popolo timorese.
ALESSANDRO MICHELUCCI - Co-fondatore dell'Associazione per
i Popoli Minacciati.
TED MOSES - Capo del Grand Council of the Crees, segue con
particolare attenzione gli sviluppi internazionali della
questione indigena.