Dicembre 2003
Nel 1906 la F.I.O.M. (Federazione Italiana Operai
Metallurgici), sull'esempio di quanto era avvenuto in Francia
dove già da qualche anno funzionava una
Confédération Générale des
Travailleurs, pone le basi per la nascita di un'organizzazione
unitaria dei lavoratori: la Confederazione Generale dei
Lavoratori. Inizia, così, in Italia la storia del
movimento sindacale inteso come struttura legata al lavoro ed ai
problemi dei lavoratori, direttamente inserito nella vita dello
Stato in quanto appositamente riconosciuto. Il Congresso
costitutivo si svolge a Roma nel 1906: vi partecipano delegati di
quasi settecento sindacati locali in rappresentanza di circa
duecentocinquantamila iscritti. Ai riformistisocialisti si
oppongono i sindacalisti rivoluzionari, affiancati da
repubblicani ed anarchici; l'opposizione non raggiunge,
però, più di un terzo dei voti e la Confederazione
Generale del Lavoro è così fondata su linee
riformiste: nasce la C.G.L. che si dichiara indipendente dal
Partito Socialista e si propone di "organizzare e disciplinare la
lotta della classe lavoratrice contro il regime capitalistico
della produzione e del lavoro". I sindacati controllati dai
repubblicani, rendendosi conto di essere troppo deboli a livello
nazionale, abbandonano l'opposizione per entrare nella
Confederazione; gli stessi rivoluzionari si dividono sulla
disputa se l'opposizione debba essere condotta dentro o fuori la
C.G.L.. Il Partito Socialista trova un pugnace antagonista nella
sua azione di organizzazione sindacale della classe operaia, nel
"partito rivoluzionario" il quale per la sua impostazione
estremista, anzi anarchica e sovversiva, esercita una particolare
suggestione su masse esasperate da condizioni molto dure di
lavoro e, spesso, dalla repressione delle proprie manifestazioni
di protesta. Nel periodo tra il 1906 ed il 1908 i sindacati
rivoluzionari contestano la "burocratizzazione " della C.G.L. e
nel 1907, a conclusione di un Congresso, costituiscono un
Comitato Nazionale della Resistenza che si contrappone alla
Confederazione, tacciata di un troppo forte coinvolgimento
politico che le impedisce di perseguire efficacemente gli
obiettivi del movimento operaio. A questo punto la rottura
è netta: socialisti e Confederazione da una parte,
rivoluzionari dall'altra.
Nell'aprile-maggio del 1908 la Camera del Lavoro di Parma, come
risposta all'ennesima serrata degli agrari, proclama lo sciopero
ad oltranza. La partecipazione dei lavoratori è massiccia:
oltre 12.000 scioperanti affrontano in ripetuti scontri
carabinieri, cavalleria e "lavoratori volontari" (i cosiddetti
"crumiri"), reclutati dagli agrari e fatti affluire da altre
zone. Lo schieramento di forze impiegate nella repressione
è così massiccio che la Camera del Lavoro ritiene
opportuno sospendere lo sciopero; la disfatta è totale:
centinaia gli arrestati, altrettanti i latitanti; dal 1908 alla
fine del 1910 gli attriti all'interno del sindacato aumentano,
fino a determinare l'uscita definitiva degli anarco-rivoluzionari
dal movimento socialista. Nel 1911 scoppia il conflitto libico:
per l'Italia è un momento cruciale. Il 27 settembre 1911
è proclamato lo sciopero generale contro la guerra, ma i
contrasti all'interno del movimento sono tali da condurre alla
prima vera scissione organizzativa nel movimento sindacale con la
fondazione dell'Unione Sindacale Italiana (U.S.I.), di
ispirazione anarchico-sindacalista. La nuova organizzazione
attacca duramente la C.G.L., la definisce verticistica e
responsabile della mortificazione di ogni iniziativa spontanea
dei lavoratori in omaggio ad un "socialismo inconcludente". La
fine della campagna in Libia segna l'inizio di un rallentamento
dell'attività economica. Infatti, nonostante il successo
riportato dal Partito Socialista nelle prime elezioni a suffragio
universale nel 1913, la situazione politico-economica del paese
non muta in maniera sostanziale: l'emigrazione e la
disoccupazione aumentano e i miglioramenti salariali degli anni
1912-14 non bastano a controbattere gli effetti psicologici
dell'avventura nord-africana. Inoltre all'interno dello stesso
Partito Socialista aumentano i contrasti che sfociano
nell'espulsione dei socialisti di destra, capeggiati da
Mussolini.
Questa spaccatura si riflette anche all'interno della
Confederazione che perde sempre più il suo slancio
riformista. Nel 1914 i suoi iscritti sono notevolmente scesi e
scenderanno ancora di più con l'inizio della prima guerra
mondiale. Nel giugno dello stesso anno scoppiano agitazioni molto
violente ("La settimana rossa") che fanno divampare il già
latente fuoco rivoluzionario; il quotidiano "L'Avanti", diretto
da Mussolini, eccita ancor più le masse lavoratrici
all'occupazione delle piazze ed alla lotta contro la borghesia;
dal nord al sud l'Italia s'infiamma: i comitati d'azione, ormai
presenti ovunque, in alcuni casi portano a forme di vera e
propria lotta armata. La reazione della forza pubblica provoca
morti e feriti; nel giugno del '14 i capi socialisti e
confederali ordinano, quindi, la cessazione dello sciopero;
estremisti e anarchici si sentono traditi. Intanto in Europa sta
per divampare la prima guerra mondiale: l'Italia, dichiaratasi
neutrale all'intervento austro-ungarico contro la Serbia, entra
in guerra al fianco dell'Intesa nel 1915. L'entrata in guerra
provoca, col tempo, notevoli problemi interni di tipo sociale ed
economico. Il P.S.I. sostiene una neutralità italiana
ambiguamente espressa nel 1916 con la formula "né aderire,
né sabotare". Tale atteggiamento non è sufficiente
a bloccare le iniziative di coloro che, invece, sono decisamente
contrari al conflitto: nell'agosto del 1917 i lavoratori, sempre
più esasperati dalle privazioni e dai disagi, scioperano
contro la guerra ("l'insurrezione torinese").
A guerra conclusa, in un momento di forte instabilità
sorgono i fasci d'azione rivoluzionari, antesignani dei fasci di
combattimento. Il dopoguerra è un periodo di continue
agitazioni che portano nell'estate del 1920 all'occupazione delle
fabbriche. In questo periodo la C.G.L. e la C.I.L. (nata nel 1918
con tendenze cristiane) sono le Organizzazioni Sindacali
più importanti. Già prima dello scoppio della prima
guerra mondiale, però, aveva fatto breccia, in Italia
anche una corrente nazionalista e su questa corrente s'innesta,
con forza, il movimento fascista che vede nel Partito Nazionale
Fascista l'espressione della solidarietà nazionale ed il
mezzo di sviluppo unitario della produzione. In un'ottica
nazionalista e autoritaria come quella del Partito Fascista, la
potenza politica dei sindacati non può essere tollerata.
Lo Stato fascista decide, di conseguenza, di far suoi gli scopi
sociali dei sindacati e di sostituire ai sindacati privatistici
della tradizione liberale europea, sindacati di diritto pubblico
ai quali conferisce la rappresentanza di tutti i lavoratori e di
tutti gli imprenditori di ogni singola categoria produttiva. A
Bologna nel 1922, dopo l'ascesa al potere del fascismo, è
fondata la Confederazione Nazionale delle Corporazioni sindacali,
propiziata dal fascismo stesso e sollecitata da taluni gruppi
padronali più retrivi. I principi ispiratori della nuova
organizzazione sono la visione del capitale "non come elemento da
sopprimersi, ma da liberare e sviluppare" e la proposta di
raggruppare nei medesimi organismi sia le rappresentanze operaie,
sia quelle padronali, subordinando gli interessi individuali a
quelli "superiori della nazione".
A causa dei contrasti interni, i tentativi delle altre
Confederazioni nazionali di fronteggiare il pericolo fascista si
rivelano vani; l'obbligo di sottoporsi al controllo dello Stato
per ottenere il riconoscimento giuridico, sia per i sindacati dei
lavoratori, sia per le associazioni dei datori di lavoro,
determina l'interrompersi in Italia della libertà
sindacale. Nel 1926 la Cattolica C.I.L. (Confederazione Italiana
dei Lavoratori) si scioglie in seguito al riconoscimento dato
dalla stessa organizzazione al sindacato fascista. Il Gran
Consiglio del Fascismo approva nel '27 la Carta del Lavoro
(Statuto del sistema corporativo che nel 1941 entrerà a
far parte integrante dei principi generali dell'ordinamento dello
Stato). Sebbene si affermi che l'organizzazione sindacale
è libera, tale libertà è solo apparente.
Infine nel 1939 è istituita la Camera dei fasci e delle
corporazioni, che porta a compimento la costruzione del sistema
corporativo. Il fascismo domina incontrastato, tacitando con la
violenza ogni opposizione e portando l'Italia al secondo
conflitto mondiale, a fianco dell'alleato nazista. Nel 1942
riprendono gli scioperi nelle fabbriche. Grazie alla rete
organizzativa clandestina creata dai comunisti, comincia a
diffondersi il giornale "L'Unità". Nell'inverno del '42.
La controffensiva sovietica determina una svolta decisiva nella
guerra: l'avanzata sovietica esercita un peso propagandistico
particolare sui ceti popolari - per le ovvie implicazioni
ideologiche - accentuando rapidamente il distacco dell'opinione
pubblica italiana dal regime fascista.
È il marzo del 1943 quando a Torino scoppiano scioperi
che si estendono poi in tutta l'Italia. Le motivazioni sono
salariali e politiche; Mussolini è costretto a soddisfarle
in parte, ma le restrizioni provocate dalla guerra mettono a nudo
le conseguenze catastrofiche della politica economica del
fascismo. L'accordo Buozzi-Mazzini dell'anno stesso segna la
rinascita in ciascuna fabbrica delle Commissioni Interne elette
dai lavoratori, da tutti i lavoratori, non soltanto da quelli
iscritti al sindacato. Il testo - poi ratificato nel 1944 dalla
C.G.I.L. unitaria - costituisce la base per il più ampio
accordo sulle Commissioni Interne, raggiunto nel 1947 e
successivamente integrato. Tale accordo fornisce la prima
struttura aziendale ai nuclei antifascisti, la cui azione si
sviluppa nel Nord con gli scioperi unitari del 1944 e con
l'attiva partecipazione alla Resistenza. Dopo l'armistizio dell'8
settembre 1943, nella Repubblica Sociale Italiana sarà
stabilito, ma non realizzato, un ordinamento sindacale
comprendente la Confederazione generale del lavoro, della tecnica
e delle arti, nella quale devono essere inquadrate tutte le
categorie dei lavoratori subordinati e degli imprenditori
partecipanti direttamente alla gestione dell'impresa, come
dirigenti e tecnici, mentre è esclusa qualsiasi
rappresentanza sindacale per la proprietà, il capitale, le
società e le imprese in quanto tali.
Il 3 giugno 1944, alla vigilia della liberazione della
città da parte degli Alleati, gli ambienti sindacali
antifascisti sottoscrivono l'accordo sull'unità sindacale,
meglio noto come Patto di Roma. Al momento della firma
dell'accordo interviene un fatto nuovo di notevole importanza per
il futuro del movimento sindacale nel dopoguerra: Buozzi,
arrestato dai tedeschi, è ucciso durante l'evacuazione di
Roma; i socialisti perdono, così, il loro principale
candidato alla guida del movimento sindacale e l'unico che ha una
reputazione, una statura ed una competenza adeguata a ricoprire
il ruolo di Segretario è Di Vittorio. Il Patto stabilisce
la costituzione della Confederazione Generale Italiana del Lavoro
come unica Confederazione cui partecipano tre correnti sindacali,
con Federazioni nazionali, Camere del Lavoro e Sindacati
provinciali o locali; l'unità sindacale è fondata
sulla base di tre principi:
1 - la più ampia democrazia;
2 - la massima libertà d'espressione a tutti gli aderenti
ed il rispetto reciproco di ogni opinione politica e fede
religiosa;
3 - l'indipendenza da tutti i partiti politici. Man mano che il
territorio italiano viene liberato, trova applicazione
un'apposita ordinanza che abolisce il sistema corporativo
fascista e ristabilisce la libertà sindacale, come
libertà non solo di organizzazione, ma anche di
negoziazione collettiva. Nel 1944 un decreto conferma
definitivamente lo scioglimento di ogni organizzazione sindacale
fascista.
L'inizio del 1945 è caratterizzato dalla formulazione, da
parte della Confederazione di numerose rivendicazioni economiche
e sociali, dalla richiesta di istituire il meccanismo della scala
mobile e, soprattutto, dalla sollecitazione alla stipulazione di
nuovi contratti di lavoro per rimpiazzare quelli del sindacato
fascista. Con la Liberazione del 25 aprile 1945 nasce in Italia
un Governo di solidarietà nazionale: il Governo Parri. La
situazione italiana è, però, molto complicata: tra
il sud ed il nord il divario è enorme. Il Governo Parri,
debole e oberato da un compito difficilissimo, non riesce a
gestire le tensioni di un'Italia combattuta tra il rinnovamento
ed il conservatorismo, tanto che cade nel novembre del 1945.
Anche l'unità sindacale inizia a cedere: nel 1946 la
gerarchia ecclesiastica invoca l'unità dei cattolici e la
loro uscita dal sindacato unitario. Anche in campo politico
sussistono tensioni molto aspre: nello scontro tra cattolici e
socialisti, ha la meglio la fazione democristiana di politica
conservatrice e il 1° maggio 1947 nasce il primo governo
centrista.
Le A.C.L.I. sono, tra il '46 ed il '48, il principale strumento
operativo del movimento cattolico con funzioni non solo
politiche, ma anche sindacali. Da parte sua la C.G.I.L. tenta in
tutti i modi di evitare la rottura con i cattolici, ma
l'unità sindacale, complice anche la pressione americana,
si rompe definitivamente nel 1948: nasce la Libera Confederazione
Generale Italiana dei Lavoratori, di evidente espressione
"cristiana" e "democristiana". L'anno seguente i
socialdemocratici ed i repubblicani fondano la F.I.L., lasciando
la C.G.I.L. che - ormai - annovera tra le sue fila solo comunisti
e socialisti. Alla fine del 1949 F.I.L. e Libera C.G.I.L. si
fondono e il 1° maggio del 1950, con l'ulteriore adesione dei
sindacati autonomi, si costituisce la C.I.S.L.. Nel frattempo i
sindacalisti repubblicani e i socialisti dissidenti, espulsi
dalla C.G.I.L., fondano la U.I.L.; nasce anche un sindacato di
destra: la Confederazione Italiana Sindacati Nazionale dei
Lavoratori (C.I.S.N.A.L.). Alla fine del 1950 la realtà
sindacale in Italia è composta da C.G.I.L., C.I.S.L.,
U.I.L. e C.I.S.N.A.L.. Il discorso dell'unità si spegne
per tutti gli anni '50, durante i quali le lotte sindacali sono
portate avanti dai vari sindacati singolarmente e, spesso, in
contrasto con gli altri. Favorita soprattutto da un atteggiamento
favorevole delle A.C.L.I. e da un boom economico, negli anni '60
torna a farsi sentire con forza l'esigenza di una lotta unitaria.
Questi anni sono caratterizzati dall'aumento vertiginoso del
divario tra il settentrione ed il meridione, dalla lunga e
tormentata vertenza dei metalmeccanici, terminata con il rinnovo
del contratto, e dalle proteste studentesche ed operaie
nell'"autunno caldo" del 1968. Iniziato nell'ottobre del 1970, il
progetto unitario, superate le incomprensioni sul discorso
dell'incompatibilità delle cariche e le discordanze sulle
categorie dei lavoratori agricoli da introdurre nella futura
organizzazione unitaria, prende corpo nel 1972 con il Patto
Federativo che rende possibile la nascita della Federazione
C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L.. Anche i metalmeccanici creano una
federazione unitaria: la F.L.M.; altre esperienze si
concretizzeranno successivamente come per la categoria degli
Edili (F.L.C.) e la categoria dei chimici (F.U.L.C.).
La situazione italiana è, però, in costante
evoluzione politica e sociale. Lo scontro tra partiti e sindacati
mette a dura prova il patto federativo, ma i sindacati rimangono
per tutti gli anni '70 impegnati in rivendicazioni e lotte
all'insegna dell'unità. L'Italia è sconvolta dal
terrorismo: l'omicidio di Aldo Moro e la strage di Bologna sono
tra i fatti di sangue più eclatanti. Per quanto riguarda
il discorso unitario, le divergenze causate nei primi mesi del
1980 dall'intransigente opposizione della C.G.I.L. al Governo
Cossiga, non impediscono che sia siglato un accordo unitario. In
questo periodo prende avvio, proposta dalla C.I.S.L., la
discussione sul raffreddamento della scala mobile; la
Confindustria disdetta la scala mobile e si offre di negoziarla
separatamente dal contratto collettivo; questa proposta divide la
Federazione; i contrasti interni si protraggono fino all'avvento
del Governo Fanfani ed all'introduzione "dell'austerità".
Tuttavia all'interno della C.G.I.L. è ormai grave lo
scontro tra corrente socialista e corrente comunista che peggiora
ancora più con l'ascesa al Governo di Bettino Craxi che,
intervenendo sul problema della scala mobile attraverso un
decreto, innesca reazioni e contestazioni che portano il
sindacato a spaccarsi su di un'apposita iniziativa referendaria.
La prima metà degli anni '80 segna, così,
un'inversione di tendenza: non c'è più
un'unità sindacale, ma movimento sindacale composto da
organizzazioni con visioni diverse rispetto alla politica
economica e con posizioni diverse rispetto alle scelte ed alle
imposizioni governative.
Dall'86 in poi le cose cambiano ed emerge l'esigenza di una
visione nuova del discorso unitario. Nel frattempo l'Unione
Europea attua la graduale apertura dei mercati, mentre la
Confindustria si prepara all'ingresso in Europa. Il passaggio
dagli anni '80 ai '90 avviene in un clima di grandi tensioni (una
tra tutte la guerra nel Golfo) e di grandi cambiamenti economici
(l'ingresso della lira nello S.M.E.) e politici (scomparsa dello
storico Partito Comunista, sostituito dal P.D.S.). In questo
clima si riaprono le trattative per il rinnovo contrattuale dei
metalmeccanici, che sono gestite in modo unitario da C.G.I.L.,
C.I.S.L., U.I.L.. La parola d'ordine è, di nuovo,
unità sindacale: si vuole un sindacato che non sia
più solo tutore, ma anche promotore "dei diritti della
cittadinanza e della solidarietà". Il 1993 vede l'inizio
di un'intesa politica dei prezzi e dell'occupazione: è
abolita la scala mobile ed il compito dell'adeguamento salariale
al costo della vita è rimesso alla contrattazione
collettiva. La C.I.S.L. si propone nel 1996 come l'organizzazione
che, più di tutte, vuole realizzare in tempi brevi
l'unità. Cofferati, per la C.G.I.L. e Larizza, per la
U.I.L., dapprima prendono le distanze dalle scadenze invocate
dalla C.I.S.L., ma nel febbraio dello 1997, a Rimini, le tre
segreterie s'incontrano in un seminario sull'unità. Alla
fine del 1998, è sottoscritto il "Patto sociale per lo
sviluppo e per l'occupazione" che rappresenta la continuazione
del lavoro intrapreso col Protocollo del 23 luglio 1993.
Gli ultimi anni del novecento e l'inizio del nuovo secolo sono
caratterizzati dal dibattito, dal confronto e dagli scontri sulla
globalizzazione e sulla mondializzazione; le sempre minori
barriere economiche, l'attuazione di una moneta unica europea, la
crescita tecnologica e la nascita di settori economici prima
sconosciuti, pongono i movimenti sindacali di fronte a nuove e
complesse tematiche da affrontare. In Italia dopo una legislatura
guidata da un governo di centro-sinistra, sale al potere
Berlusconi che, guidando un governo di centro-destra, porta
avanti un progetto liberista rispetto al quale sussistono da
parte dei lavoratori e delle Organizzazioni Sindacali non poche
perplessità e paure: un programma fortemente liberista
pare rimettere in forse alcune conquiste fondamentali del
movimento sindacale.
È in questa "storia" del
sindacalismo in Italia che si colloca la "storia" del S.A.V.T.,
le cui specificità non hanno mai rappresentato un momento
di divisione, anche quando il movimento sindacale è stato
diviso. Il S.A.V.T. è stato sempre portatore del progetto
di una "unità nella diversità" che responsabilizza
doppiamente tutti i lavoratori: le diversità non sono
soltanto di ordine ideale, ma anche di riferimento identitario,
legato all'esistenza ed ai diritti delle cosiddette "minoranze
etniche e linguistiche". Come rispettare i diritti e le
diversità, conservando e, anzi, potenziando
l'unità? Il S.A.V.T. difende, a questo fine, i principi
del Federalismo. Tutta la storia del S.A.V.T. è il segno
dello sforzo dei lavoratori della Valle d'Aosta di essere
coerenti testimoni non solo di un pensiero, ma di un'azione in
questo senso. Le radici del sindacalismo in Italia sono state
testé evidenziate e risultano radicate nel pensiero
socialista, in quello cattolico ed in quello nazionalista; il
sindacalismo valdostano ha, invece, le proprie radici nel
Federalismo del pensiero di Émile Chanoux; prima che
vicende storiche, politiche ed economiche impongano l'esigenza di
dar vita ad un sindacato valdostano, la scelta federalisata porta
Chanoux ad esplicitare il proprio pensiero oltre che nella
prospettiva politica ed in quella istituzionale, anche in campo
economico-sociale. È in questo pensiero che il S.A.V.T.
trova le proprie radici.
La première guerre mondiale éclata et nombreux
valdôtains partirent pour le front ... nombreux furent les
morts ... on en compte 1557. Après la guerre bon nombre de
Valdôtains retourna à son travail: l'usine ou la
campagne. Certains, assez nombreux, ne pouvant s'établir
convenablement, furent contraints à émigrer...
tandis que l'immigration d'éléments venus de toutes
les Régions d'Italie fut favorisée d'abord par le
développement de l'industrie et, ensuite, par le
nationalisme fasciste qui visait à italianiser la
Vallée d'Aoste. L'industrialisation de la Vallée
d'Aoste commença à Verrès par l'installation
de la fabrique des cotonnades "Brambilla", vers la fin de 1914;
à Aoste par la société Ansaldo qui produit
l'acier, en 1917, et à Châtillon par la
société du textile artificiel en 1920. D'autres
industries moins importantes s'installèrent au cours des
années 20: la Cravetto à Verrès, la
Métallurgique à Pont-Saint-Martin, sans compter de
nombreuses petites usines hydroélectriques. À
partir de l'année 1920 et jusqu'au commencement du second
conflit mondial, les immigrés en Vallée d'Aoste
dépassèrent les 30000 unités. Dans la
même période 25000 valdôtains
quittèrent leur pays. Au cours des années 30 les
noms des communes furent italianisés et on tenta
même la traduction en italien des patronymes. Des groupes
de contestation politique se formèrent et on arriva
à la formation du Groupe clandestin "La Jeune
Vallée d'Aoste", fondé par l'Abbé
Trèves et par le notaire Chanoux.
Un vaste mouvement en faveur des
revendications régionalistes se développa. Le
document fondamental de ces aspirations demeure la
Déclaration de Chivasso (1943), signée, entre
autres, par Émile Chanoux qui postulait pour les peuples
des Alpes une ample autonomie politique, administrative,
culturelle et économique dans le cadre du
Fédéralisme. Émile Chanoux en 1944 devait
sacrifier sa vie. Pendant la lutte armée (1944-1945) deux
tendances se dessinèrent. L'une qu'on aime à
définir séparatiste, l'autre qui envisageait
l'autonomie. Le 7 septembre 1945, le Lieutenant
Général du Roi, Humbert de Savoie, signait le
décret qui reconnaissait à la Vallée d'Aoste
une organisation autonome provisoire. Le Statut définitif
fut approuvé par l'Assemblée constituante de la
République italienne, le 26 février 1948.
La deuxième guerre mondiale coûta en vies humaines
en Vallée d'Aoste un prix très
élèves: les morts furent plus de 1000. Una
sintetica cronologia delle vicende storiche della Valle d'Aosta
in questo periodo è proposta dalla pubblicazione
dell'Istituto Storico della Resistenza "I manifesti del potere -
Il potere dei manifesti" dalla quale stralciamo i passaggi che
interessano, in modo specifico, il mondo e le organizzazioni dei
lavoratori.
1903 - Il Comune di Cogne vende le
miniere di Liconi al belga Theiss.
1904 - Fondazione della Camera del Lavoro di Aosta.
1905 - Inizia le pubblicazioni "Le Travailleur" di intonazione
socialista.
1911 - Manifestazione socialista in Valle contro la guerra di
Libia.
1912 - La Società "Miniere di Cogne" ottiene un contributo
dal Comune di Aosta per costruire un'acciaieria a sud della
ferrovia.
1915 - Comincia a funzionare a Verrès la "Società
Anonima Filatura Brambilla".
1917 - L'Ansaldo apre ad Aosta la prima acciaieria.
1919 - Manifestazione in Valle d'Aosta per le otto ore.
1919 - Occupazione delle terre in Valle d'Aosta.
1919 - È costruita a Châtillon la SOIE per la
fabbricazione di fibre artificiali. La fabbrica assume tramite
"l'italica gens" un ufficio di collocamento che recluta centinaia
di operai fra i braccianti della Lombardia e del Veneto.
1919 - Scioperi contro il caro-vita ed assalto alla Cooperativa
di consumo cattolica.
1919 - Sul giornale "L'ordine Nuovo" compare un articolo firmato
da "un comunista valdostano"; quasi sicuramente l'articolo
è di Gramsci e vi si appoggia il proposito di assicurare
alla Valle d'Aosta un'Autonomia legando le rivendicazioni degli
operai a quelle dei contadini.
1920 - L'Ansaldo viene occupata dagli operai.
1922 - Scioperano metallurgici della Valle.
1923 - È costituita l'Ansaldo-Cogne con capitale misto
dell'Ansaldo e dello Stato.
1923 - A causa delle riduzioni salariali, un migliaio di operai
è costretto a lasciare la SOIE.
1926 - A Covalou in Valtournenche entra in funzione la grande
diga della Società Idroelettrica Piemontese.
1927 - Iniziano i lavori del tronco ferroviario
Aosta-Pré-Saint-Didier.
1928 - È decretato il fallimento della Banca
Réan.
1930 - Il Crédit Valdôtain è dichiarato
fallito.
1931 - Gli occupati nell'industria valdostana che nel 1928 erano
33077, scendono a 18 mila.
1931 - È costituita l'Ilssa.
1935 - L'IRI chiede la soppressione della Cogne.
1944 - Si costituisce il Comitato Segreto di Agitazione nelle
Fabbriche.
1945 - Sciopero alla Cogne per la Tragedia del Col du Mont.
È indispensabile,
nell'interrogarci sulle condizioni presenti e per guardare con
cognizione di causa al futuro che ci attende, ripensare al
passato, ripercorrere le tappe miliari, gli insegnamenti
più significativi che l'esperienza trascorsa ci propone.
E, quindi, il riferimento primo non può essere che
Chanoux, anche perché una rilettura attenta dell'opera e
del personaggio ci può restituire il mondo delle origini
cui il martire rivolgeva la sua attenzione, quell'età
dell'oro vagheggiata per comodità da alcuni ma, in
realtà, già percorsa da contraddizioni e
inquietanti dilemmi, da non facili scelte e dalle fosche
incertezze del dopoguerra. A sua volta - e questo ci conforta
nella fedeltà - la riflessione sui capisaldi del pensiero
economico di Chanoux non può prescindere da quella
premessa, ispirata ad alti principi libertari e di tolleranza,
che egli pone fin dall'avvio come genio ispiratore: "formando dei
piccoli organismi socialmente perfetti, le Valli potranno essere
il terreno più adatto in cui esperimenti sociali, anche
arditi, potranno avere luogo senza portare a dei cataclismi
irrimediabili". Proponimento che si sposa con quell'altro,
anch'esso tratto come il precedente da "Fédéralisme
et Autonomies", ma relativo al confronto politico, in cui si
ribadisce che sarà la volontà del popolo valdostano
ad indirizzare le scelte dei suoi rappresentanti: "non quindi il
criterio geografico-storico, né un criterio strettamente
economico devono presiedere alla costituzione dei cantoni, ma
bensì deve essere la volontà del popolo".
Nel momento stesso in cui indica le linee di fondo della
profonda trasformazione strutturale che invoca - solo ammonendo,
quasi marxianamente, che il cambiamento di struttura è, di
gran lunga, più impegnativo ed in ogni caso prioritario
rispetto a quello delle sovrastrutture (allora il contrasto
repubblica-monarchia che oggi assumerebbe ovviamente connotazioni
diverse) - Chanoux guarda, anche in economia, ad un progetto
riformatore e riformista di netta impronta federalista, in
ciò motivato dalla frequentazione con personaggi legati al
Partito d'Azione e condizionato dalla ispirazione
social-repubblicana dei congiurati di Chivasso che
incontrò nel dicembre '43. Di un rigoroso realismo
è portatore Chanoux quando rimette al futuro, al confronto
politico di là da venire (che egli non vide, ma che
profeticamente annunciò), una presa di posizione precisa
in merito al cosiddetto "problema operaio": "ognuno rimane libero
di auspicare le riforme che ritiene opportune". Comunque è
già netta la sua opposizione al classismo perché
alla lotta di classe egli contrappone il collegamento fra classi:
"le Valli hanno il vantaggio di formare zone ove operai e
contadini sono in parte fusi: possono, quindi, fornire l'elemento
medio, il quale collegherà le due classi base, le due
classi essenziali nella vita di un popolo: gli operai e i
contadini". La realtà che Chanoux prende in esame e che in
larghissima parte è tuttora di un'attualità
sconcertante, è quella del doppio lavoro, scandita per lo
più dall'esistenza di un ceto che non è proletario,
costituito com'è da operai-agricoltori o da
operai-proprietari, piccoli o piccolissimi. In sostanza Chanoux
non ritiene praticabile la lotta di classe come unico rimedio,
come nodo obbligatorio della dialettica storica, tanto meno come
cardine dello sviluppo storico del suo popolo.
Cosi come ricorda che la presenza industriale mai potrà
soppiantare, per lo meno qui da noi, "la vocazione alla terra".
Insomma, la presenza industriale non può sostituirsi,
quanto meno non integralmente, all'occupazione contadina che,
nella sua visione, è il sedimento secolare di un bagaglio
genetico dell'anima valdostana, quella che lui chiama "la parte
più viva del popolo valdostano". L'indole dell'uomo
economico vagheggiato da Chanoux è strettamente connessa
alle sue idealità spirituali, alla sua identità
storica ed etica, nel rifiuto di ogni manifestazione
dell'imperialismo violento ed inconsulto di uno Stato portatore e
portavoce di altre mentalità, di altre visioni della vita.
La proposta è, quindi, di stampo federalista,
perché nasce dal basso, è finalizzata al basso e al
basso deve continuamente rispondere ottenendone l'avallo. Laddove
nega esplicitamente qualunque indulgenza verso quella che chiama
"sfrenata concorrenza", Chanoux rifiuta la spasmodica lotta ad
oltranza, apparentemente ordinata, del capitalismo, un
capitalismo ignoto - nelle sue forme oggi diffuse e allora
incalzanti - al ritmo di vita più conforme alla natura
della nostra gente; laddove bolla di estraneità alla sua
ed alla nostra mentalità la reificazione
dell'uomoproduttore, egli fissa un punto di non-ritorno nei
confronti del socialismo reale, al quale, al massimo, concede la
credibilità e l'opportunità dell'espropriazione dei
fattori di produzione. Così la risposta alla più
imbarazzante delle domande che si pone nella sezione dedicata
all'economia della sua opera, rimanda di nuovo alle fondamenta
del suo pensiero, in un lineare disegno di unità: la
conciliazione dell'economia pianificata con il rispetto dei
singoli. Con le sue parole: "ma le tendenze dell'economia moderna
rendono più impellente il problema: come conciliare
l'ormai ammessa socializzazione dei grandi mezzi di produzione,
con la tutela delle libertà politiche ed
amministrative?".
La risposta è, anche qui,
empirica ed aperta, senza essere dilatoria: "la socializzazione
non è necessariamente statizzazione. Anzi, lo Stato
è cattivo amministratore". Nel connubio indissolubile fra
momento sociale e momento economico che è alla base di
tutto il suo pensiero, Chanoux - senza demonizzarle - coglie
dello Stato tutte le potenzialità negative: di
sopraffattore delle libertà decisionali dei singoli
(intesi, questi ultimi, sia come entità individuali, sia
come gruppi associati) e insieme monopolizzatore delle risorse e
quindi di tutto l'aspetto economico. "Non vi è
libertà" - egli dice - "o Autonomia politica e morale,
senza libertà e Autonomia economica". Ricondurre, con
intenti e metodi federalistici, l'ente pubblico a più
esatti confini che ne costringano e debellino l'invadenza di cui
sotto il regime aveva fornito cosi pervicace ed arrogante
esibizione, e nel contempo fare crescere spiritualmente, secondo
coordinate proprie della sua storia, il cittadino valdostano
verso una sempre più espansa, ricca ed originale pienezza
esistenziale: questo il tema della problematica più
assillante che Chanoux si pone, come facilmente si può
dire lo sarebbe stato della sua azione politica post-bellica. E
ribadisce: "la vita politica e la vita economica sono intimamente
connesse. Non si può accettare un principio federalistico
in materia politica come la migliore garanzia delle
libertà politiche, senza accettare il principio
federalistico in materia economica, come la migliore garanzia
della libertà economica, la quale non è che una
faccia del problema della libertà in senso lato".
Cattolico per formazione, vicino per un certo tempo al mondo
socialista riformista, federalista per vocazione, Chanoux sa che
la presenza di un'organizzazione superiore - tanto in politica
quanto in economia - è indispensabile; senonché, a
contenerne le velleità espansionistiche nell'uno come
nell'altro campo, è necessario infittire i diaframmi fra
base e vertice della piramide istituzionale: "lo Stato non
é un complesso di individui, di cittadini, ma bensì
un complesso di organismi sociali minori i quali, a loro volta,
raggruppano gli individui". E così: "or ecco che una
suddivisione dei poteri nel campo economico, come in quello
amministrativo, può portare questa tutela della
libertà". Di qui i corpi intermedi, con competenza in
materia sociale ed economica, da lui auspicati e sollecitati,
anche forzando la tendenza isolazionistica e campanilistica che
si riscontra presso i valdostani: "le popolazioni alpine, per il
loro stesso genere di vita solitario sulle montagne, sono
tendenzialmente individualistiche. Ma nel passato, là dove
necessità impellenti di vita le obbligarono, esse seppero
agire collettivamente". Prima ancora di proporre la sua
soluzione, cioè la soluzione dell'autogestione
cooperativistica, intesa come "richiesta rispecchiante i bisogni
delle Valli", Chanoux passa in rassegna le risultanze - allora
non suffragate da riscontri statistici e solo frutto della sua
osservazione partecipata - emerse dall'analisi della
realtà dei tempi di pace. Così deve constatare,
nell'ambito di quelli che chiama "problemi di ordine finanziari o
fiscale", come la rendita agricola - allora, all'opposto dell
'industria, povera di mezzi e ricca di uomini - si vada
assottigliando e riducendo all'osso. Ciò nonostante: "la
sua terra il montanaro non l'abbandona, ma, naturalmente, non ne
trae grandi ricchezze. Eppure, nelle Valli l'onere fiscale grava
quasi esclusivamente sulle classi agricole". La citazione ci
serve per proseguire nel suo ragionamento, per cogliere il nodo
più delicato rispetto al quale si mostra più
sensibile, quello che tocca il tasto della giustizia
distributiva, della distribuzione più equa dei redditi
collettivi.
Il dato più allarmante, quello che ancor oggi possiamo
evidenziare con tranquillità, è che "le industrie
che sfruttano le ricchezze delle Valli, le maggiori ricchezze e
bellezze delle Valli, hanno sede altrove, nelle città
(ovviamente intendendo per città le grandi agglomerazioni
metropolitane fuori Valle). Nelle città hanno il personale
meglio retribuito e qualitativamente e socialmente più
importante". Sono "le città" che nel suo distinguo - oggi
concettualmente intatto nella sua sostanziale efficacia - godono
i vasti proventi dei redditi di posizione naturale, in
particolare nel settore dell'energia idroelettrica, con drastica
e progressiva emarginazione delle Valli da cui quella ricchezza,
di fatto, proviene; è nelle città che dà i
suoi vistosi frutti la grossa speculazione di carattere
turistico, ben poco rimanendone ai Comuni, sui quali tuttavia
grava l'onere della manutenzione e del rimedio agli sfracelli
ecologici indotti dall'altrui innata inciviltà. "Ora
è giusto" - conclude Chanoux - "che la ricchezza naturale
industriale delle Valli vada ad alleviare per i contadini della
montagna il peso degli oneri pubblici e particolarmente degli
oneri fiscali". È chiaro che una rilettura, in chiave
attuale, di questi concetti programmatici, pur nel loro
schematismo, deve portare ad alcune evidenze:
a) la necessità della suddivisione dei poteri, come
principio democratico destinato ad una traduzione pratica
immediata in seno alla vita economica organizzata, con la
strutturazione della popolazione attiva in creative espressioni
finalizzate alla crescita complessiva del paese;
b) un trattamento fiscale più equo che riconosca i diritti
secolari delle popolazioni, soprattutto col "ritorno" dei canoni
per le concessioni delle acque pubbliche, i quali canoni,
benché esatti e percepiti dallo Stato, debbono essere
restituiti ai legittimi titolari, cioè ai cantoni ed ai
comuni, previo ragguaglio delle concessioni stesse al valore di
mercato delle acque concesse;
c) un ampio utilizzo in sede delle forze energetiche
realizzate;
d) l'utilizzo di manodopera locale nell'industria di
trasformazione del materiale estratto in loco;
e) una perequazione meno astratta e disinvolta delle aliquote
delle imposte fondiarie secondo criteri coerenti con la
realtà e non elaborati da tecnici estranei alle Valli,
criteri comunque la cui impostazione tenga conto delle differenti
colture (secondo le varianti della produttività,
dell'altitudine, dell'autoconsumo);
f) lo studio concertato e l'introduzione di una riforma agraria,
secondo un processo graduale e non traumatico, condotto a
prescindere dai disegni e dalle deliberazioni altrui, che tenga
conto, rimediandovi, del cancro germinato e diffuso sin dal
secolo scorso, quella polverizzazione fondiaria che ha portato
alla frammentazione del patrimonio immobiliare rurale in
particelle minutissime, come tali espulse logicamente da
qualsiasi coltivazione razionale, vero sfracello per l'economia
montana e i suoi fruitori, e insieme rimedi alla totale
disapplicazione dell'istituto della "minima unità
culturale", rimasto lettera morta a causa dell'interessata
disattenzione delle autorità preposte. Operazione -
ventila Chanoux - che non può andare disgiunta dalla
completa rivisitazione della disciplina ereditaria, come
concepita ed imposta dal codice civile fascista mantenuto in
età costituzionale; peraltro la materia, cosi rilevante
nei riflessi pratici della vita delle famiglie valdostane e della
loro competitività sul mercato, non sarà affidata -
non a caso - alla competenza regionale. Anche qui, comunque,
Chanoux è risoluto: "in questa materia, anzi specialmente
in questa materia, vale il principio federalistico, per cui ogni
Regione o Cantone deve poter decidere in merito alle proprie
leggi agrarie, senza attendere decisioni di poteri legislativi ed
incompetenti".
Se questa è la diagnosi (evidentemente non a sufficienza
recepita, se è vero che uno studioso della generazione
immediatamente successiva, Bernard Janin, continuerà a
definire l'agricoltura come "le parent pauvre de
l'économie valdôtaine"), la terapia suggerita, fra
le righe, da Chanoux transita e si materializza nella
autogestione cooperativistica. Ideale terza via fra collettivismo
e capitalismo, strumento organizzatorio ed operativo, inteso a
mutuare le benefiche intuizioni di entrambi i sistemi, cercando
al contempo di evitarne i guasti dell'esasperazione ideologica,
l'autogestione cooperativistica conoscerà, inizialmente,
un'applicazione saltuaria e limitata. Il sistema cooperativistico
in se sarà una delle scoperte del dopoguerra, peraltro non
completamente esplorata a causa dell'immediata ed interessata
egemonizzazione partitica che subirà, secondo prassi
manichee ed integraliste di cui ancora oggi scontiamo,
pesantemente, le conseguenze. Nell'ottica di Chanoux, invece,
intuitivi dovevano essere i vantaggi:
a) per via della partecipazione della base, del mondo del lavoro
dove per partecipazione dobbiamo intendere tanto contributo
sociale quanto maturazione individuale;
b) per via della distribuzione del rischio economico: un rischio
organizzato, articolato, non casualmente indotto dalle
circostanze, in modo che fosse necessariamente destinato a
lievitare anche il senso di responsabilità dei
partecipanti e degli utenti;
c) per il più meticoloso controllo esercitato sugli
strumenti di lavoro, sulla loro conduzione e sulla loro
manutenzione;
d) per l'espulsione, magari progressiva, ma infine totale, delle
direttive altrui nell'ambito decisionale dei consoci;
e) per via della possibilità di riconversione secondo le
necessità dettate dall'evolversi dell'economia. Il tutto
nella sottintesa speranza che questo mondo della terra,
finalmente smaliziato e reso conscio della propria dignità
anche commerciale, dismettesse il pernicioso complesso di
inferiorità che lo affliggeva - come lo affligge ancora
nei riguardi dei centri di potere forestieri. Una sudditanza che
non si può dire tuttora affatto cessata. Comunque, con le
parole di Chanoux: "collettivamente, senza l'aiuto di alcun ente
pubblico, furono costruiti, nei secoli, i canali irrigui, le
strade, i forni, le latterie, le scuole. Sono vere organizzazioni
cooperative che vivono e si tramandano di generazione in
generazione, senza l'aiuto di nessuno, anzi, molte volte,
malgrado le vessazioni delle autorità e gli egoismi dei
singoli". Si trattava, cioè, per Chanoux di trovare "una
formula che, senza penalizzare l'individualità,
l'individualismo atavico di queste popolazioni, contemperi la
loro natura con la necessità, ormai indifferibile, di una
riconduzione al pubblico (al sociale) delle strutture
organizzative".
Di tutto il programma sarebbe stata condizione ed allo stesso
tempo garanzia, una rinnovata presa di coscienza etica e storica
della propria identità umana e sociale, cui non sarebbe
dovuta risultare estranea, ma anzi partecipe obbligata, la scuola
valdostana e, con essa, da un lato la selezione e la preparazione
del personale docente nonché, dall'altro, l'apprendimento
delle materie di studio nella lingua materna, da recuperare essa
stessa alla vita consociata. Sempre con le sue parole: "il
raggruppamento fondiario ed il conseguente miglioramento nelle
condizioni dell'agricoltura alpina non possono essere unicamente
il risultato di disposizioni legislative, anche se emanate da
autorità locali, ma dipenderanno anche da una
trasformazione delle coscienze. E questa trasformazione si ha
attraverso la scuola".
La veridicità e la puntualità degli enunciati di
Chanoux appaiono in tanto maggiore evidenza alla controprova dei
fatti, se pensiamo ciò che essi, per lo meno in materia
economica, sono tuttora insuperati dalla dottrina che dichiara
d'ispirarsi al Federalismo (che tanto cammino ha invece compiuto
in sede di elaborazione politico-istituzionale). Solo
recentemente, al Congresso di Verona del Partito Federalista
Europeo, una relazione incentrata sull'argomento cosi
sintetizzava i propositi del movimento: "noi vogliamo una
politica volta al superamento delle classi, quindi non siamo
neppure semplicemente un partito interclassista. Superare le
classi significa, muovendo dal convincimento che la
società come l'uomo è sempre migliorabile, operare,
a seconda delle circostanze storiche e al di fuori di ogni
dogmatismo, in funzione appunto della realizzazione di una
società migliore e tale è una società in cui
minori siano i conflitti e le differenze di classi.
Il Federalismo, perciò, è anche una concezione
perenne... Il punto di partenza per giudicare della bontà
di una società è, a nostro parere, la posizione che
in essa ha il lavoro, atto umano per eccellenza. Il lavoro,
unitamente all'attività imprenditrice, è il
protagonista, il vero soggetto dell'economia. Il rapporto di
lavoro è quindi un rapporto di collaborazione (non di
dipendenza) ed implica partecipazione ai risultati e alle
decisioni dell'impresa, la creazione cioè di una
democrazia economica a cominciare dall'azienda". L'approccio,
possibilista ed antidogmatico, di Chanoux è tanto
più attuale se si pensa che il referente, l'unico
imperativo da lui autorizzato, cioè l'uomo, come parametro
incoercibile dell''esistente e del possibile, è ancora
oggi l'unico metro di confronto obbligato, senza aprioristici
preconcetti ideologici. Scrive Georges Neuray: "l'attività
economica dipende strettamente dal progresso tecnico che la
ricerca scientifica rende sempre più rapido. E allora, se
si tiene conto di tale evoluzione, manifestamente destinata a
continuare, come stabilire la dimensione ottimale di una regione?
Tale dimensione è puramente transitoria, giacché le
economie di scala rendono necessario un continuo aumento delle
dimensioni di molte aziende. È dunque assolutamente
impossibile fondare istituzioni politiche o amministrative su
basi che dovrebbero essere rimesse in discussione ogni dieci
anni. Solo le caratteristiche culturali, data la loro relativa
stabilità nel tempo, possono essere utilizzate per
tracciare delimitazioni politiche". Perché, nella
concezione di Chanoux, l'uomo economico non doveva risultare, in
definitiva, scisso, e per ciò stesso alienato, dall'uomo
tout court, nella completezza dei suoi bisogni e delle sue
prerogative; la cornice economica non doveva prevaricare
né tanto meno soffocare la sua crescita globale, finendo
cosi per confermarsi fine a se stessa ma al contrario esserne
strumentale e propedeutica.
Come bene hanno messo in rilievo Robert Aron ed Alexandre Marc
nel loro fondamentale "Principes du Fédéralisme":
"Ainsi serait atteint le but essentiel d'une démocratie
économique: mettre l'économie au service des
besoins d'un humanisme nouveau, instaurer de telle façon
la solidarité entre les membres du corps social que chacun
soit garanti contre l'injustice et contre la misère. Le
second but d'une démocratie économique pratiquant
le Fédéralisme, serait de transformer
véritablement la condition des participants à
l'entreprise et de remédier ainsi à la
prolétarisation qui pèse sur la plus grande partie
des actionnaires d'une part, des employés ou des ouvriers
d'autre part. Ici encore, il ne servirait à rien
d'étatiser les entreprises si l'on n'en changeait pas la
structure; une direction nommée par l'Etat ne modifierait
en rien la condition des épargnants ni celle des
travailleurs". Perché, tornando alle concezioni di
Chanoux, è del tutto indifferente stabilire chi - trust
finanziario, oligopolio familiare, ceto funzionario, organismo
pubblico - detiene le leve del potere se le amministra per
sabotare lo sforzo collettivo verso il duplice progresso e
individuale e sociale.
Ezio Donzel, (Estratti dalle tesi del 9. Congresso Confederale del S.A.V.T. - Villeneuve 14-15 dicembre 1985)