Logo APMHOME | INFO | NEWS | DOSSIER | BACHECA / TERMINE | EDICOLA / KIOSK | LADIN
INTRO | CAP. 1 | CAP. 2 | CAP. 3 | CAP. 4 | CAP. 5

Lingue scritte, lingue parlate

Le chemin du S.A.V.T. (SYNDICAT AUTONOME VALDÔTAIN DES TRAVAILLEURS) 1952-2002

CAPITOLO 1 - FATTI E IDEE

Dicembre 2003

INDICE / INDEX

Il libro 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 200250 ANS APRÈS

>>> CAPITOLO 1 - FATTI E IDEE
Per una storia ... / Pour une histoire ... Sindacati e sindacalismo in Italia dall'inizio alla fine del 900 | La réalité valdôtaine au XX. siècle
L'impulso ideale / Les idéaux Il pensiero economico-sociale di Émile Chanoux

CAPITOLO 2 - IL SINDACALISMO VALDOSTANO
Per una storia della Valle d'Aosta / Pour une histoire de la Vallée d'Aoste I primi anni del dopoguerra in Valle d'Aosta (1945-1958)
Il cammino del S.A.V.T. / Le chemin du S.A.V.T. Nascita della Section des Travailleurs Valdôtains (1947) | La creazione del Syndicat Autonome Valdôtain des Travailleurs (1952) e i suoi primi passi (1952-1958) | Le Réveil Social
I testimoni / Les témoins Sylvain Bois, premier secrétaire du S.A.V.T. | Ernesto Breuvé
L'impulso ideale / Les idéaux Les Statuts du S.A.V.T.

CAPITOLO 3 - I DIRITTI E LE LOTTE DEL SINDACALISMO VALDOSTANO
Per una storia della Valle d'Aosta / Pour une histoire de la Vallée d'Aoste Dagli anni 60 ai giorni nostri
Il cammino del S.A.V.T. / Le chemin du S.A.V.T. L'Azione del S.A.V.T. dagli anni 60 ai giorni nostri | La rappresentatività ed i rapporti del S.A.V.T. con le altre OO. SS. | Gli obiettivi distintivi del S.A.V.T.
I testimoni / Les témoins Felice Roux | Da sempre nel S.A.V.T. - Rinaldo Zublena, Leonardo Tamone, Luigino Impérial | Battista Montrosset | Donne nel S.A.V.T. | Martino Borettaz
L'impulso ideale / Les idéaux Pour une école valdôtaine | Nous savons le chemin | La crisi in Europa | La Vallée d'Aoste e il problema del lavoro

CAPITOLO 4 - IL FUTURO DEL SINDACALISMO VALDOSTANO
Il cammino del S.A.V.T. / Le chemin du S.A.V.T. Le S.A.V.T. et les annés 2000
I testimoni / Les témoins Il S.A.V.T. oggi
L'impulso ideale / Les idéaux Lavoro, sviluppo, solidarietà, identità e globalizzazione

CAPITOLO 5 - Gli organi delle sezioni e del S.A.V.T. / Les organismes des sections et du S.A.V.T.
SECTIONS DES TRAVAILLEURS VALDÔTAINS | SECRÉTAIRES, SECRÉTARIATS, COMITÉS ET ORGANES DIRECTEURS DU S.A.V.T. (1952-2002) | Fotografie 1947-2002 Photographies

Sindacati e sindacalismo in Italia dall'inizio alla fine del 900 .: su / haut :.

Il libro 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Nel 1906 la F.I.O.M. (Federazione Italiana Operai Metallurgici), sull'esempio di quanto era avvenuto in Francia dove già da qualche anno funzionava una Confédération Générale des Travailleurs, pone le basi per la nascita di un'organizzazione unitaria dei lavoratori: la Confederazione Generale dei Lavoratori. Inizia, così, in Italia la storia del movimento sindacale inteso come struttura legata al lavoro ed ai problemi dei lavoratori, direttamente inserito nella vita dello Stato in quanto appositamente riconosciuto. Il Congresso costitutivo si svolge a Roma nel 1906: vi partecipano delegati di quasi settecento sindacati locali in rappresentanza di circa duecentocinquantamila iscritti. Ai riformistisocialisti si oppongono i sindacalisti rivoluzionari, affiancati da repubblicani ed anarchici; l'opposizione non raggiunge, però, più di un terzo dei voti e la Confederazione Generale del Lavoro è così fondata su linee riformiste: nasce la C.G.L. che si dichiara indipendente dal Partito Socialista e si propone di "organizzare e disciplinare la lotta della classe lavoratrice contro il regime capitalistico della produzione e del lavoro". I sindacati controllati dai repubblicani, rendendosi conto di essere troppo deboli a livello nazionale, abbandonano l'opposizione per entrare nella Confederazione; gli stessi rivoluzionari si dividono sulla disputa se l'opposizione debba essere condotta dentro o fuori la C.G.L.. Il Partito Socialista trova un pugnace antagonista nella sua azione di organizzazione sindacale della classe operaia, nel "partito rivoluzionario" il quale per la sua impostazione estremista, anzi anarchica e sovversiva, esercita una particolare suggestione su masse esasperate da condizioni molto dure di lavoro e, spesso, dalla repressione delle proprie manifestazioni di protesta. Nel periodo tra il 1906 ed il 1908 i sindacati rivoluzionari contestano la "burocratizzazione " della C.G.L. e nel 1907, a conclusione di un Congresso, costituiscono un Comitato Nazionale della Resistenza che si contrappone alla Confederazione, tacciata di un troppo forte coinvolgimento politico che le impedisce di perseguire efficacemente gli obiettivi del movimento operaio. A questo punto la rottura è netta: socialisti e Confederazione da una parte, rivoluzionari dall'altra.

Nell'aprile-maggio del 1908 la Camera del Lavoro di Parma, come risposta all'ennesima serrata degli agrari, proclama lo sciopero ad oltranza. La partecipazione dei lavoratori è massiccia: oltre 12.000 scioperanti affrontano in ripetuti scontri carabinieri, cavalleria e "lavoratori volontari" (i cosiddetti "crumiri"), reclutati dagli agrari e fatti affluire da altre zone. Lo schieramento di forze impiegate nella repressione è così massiccio che la Camera del Lavoro ritiene opportuno sospendere lo sciopero; la disfatta è totale: centinaia gli arrestati, altrettanti i latitanti; dal 1908 alla fine del 1910 gli attriti all'interno del sindacato aumentano, fino a determinare l'uscita definitiva degli anarco-rivoluzionari dal movimento socialista. Nel 1911 scoppia il conflitto libico: per l'Italia è un momento cruciale. Il 27 settembre 1911 è proclamato lo sciopero generale contro la guerra, ma i contrasti all'interno del movimento sono tali da condurre alla prima vera scissione organizzativa nel movimento sindacale con la fondazione dell'Unione Sindacale Italiana (U.S.I.), di ispirazione anarchico-sindacalista. La nuova organizzazione attacca duramente la C.G.L., la definisce verticistica e responsabile della mortificazione di ogni iniziativa spontanea dei lavoratori in omaggio ad un "socialismo inconcludente". La fine della campagna in Libia segna l'inizio di un rallentamento dell'attività economica. Infatti, nonostante il successo riportato dal Partito Socialista nelle prime elezioni a suffragio universale nel 1913, la situazione politico-economica del paese non muta in maniera sostanziale: l'emigrazione e la disoccupazione aumentano e i miglioramenti salariali degli anni 1912-14 non bastano a controbattere gli effetti psicologici dell'avventura nord-africana. Inoltre all'interno dello stesso Partito Socialista aumentano i contrasti che sfociano nell'espulsione dei socialisti di destra, capeggiati da Mussolini.

Questa spaccatura si riflette anche all'interno della Confederazione che perde sempre più il suo slancio riformista. Nel 1914 i suoi iscritti sono notevolmente scesi e scenderanno ancora di più con l'inizio della prima guerra mondiale. Nel giugno dello stesso anno scoppiano agitazioni molto violente ("La settimana rossa") che fanno divampare il già latente fuoco rivoluzionario; il quotidiano "L'Avanti", diretto da Mussolini, eccita ancor più le masse lavoratrici all'occupazione delle piazze ed alla lotta contro la borghesia; dal nord al sud l'Italia s'infiamma: i comitati d'azione, ormai presenti ovunque, in alcuni casi portano a forme di vera e propria lotta armata. La reazione della forza pubblica provoca morti e feriti; nel giugno del '14 i capi socialisti e confederali ordinano, quindi, la cessazione dello sciopero; estremisti e anarchici si sentono traditi. Intanto in Europa sta per divampare la prima guerra mondiale: l'Italia, dichiaratasi neutrale all'intervento austro-ungarico contro la Serbia, entra in guerra al fianco dell'Intesa nel 1915. L'entrata in guerra provoca, col tempo, notevoli problemi interni di tipo sociale ed economico. Il P.S.I. sostiene una neutralità italiana ambiguamente espressa nel 1916 con la formula "né aderire, né sabotare". Tale atteggiamento non è sufficiente a bloccare le iniziative di coloro che, invece, sono decisamente contrari al conflitto: nell'agosto del 1917 i lavoratori, sempre più esasperati dalle privazioni e dai disagi, scioperano contro la guerra ("l'insurrezione torinese").

A guerra conclusa, in un momento di forte instabilità sorgono i fasci d'azione rivoluzionari, antesignani dei fasci di combattimento. Il dopoguerra è un periodo di continue agitazioni che portano nell'estate del 1920 all'occupazione delle fabbriche. In questo periodo la C.G.L. e la C.I.L. (nata nel 1918 con tendenze cristiane) sono le Organizzazioni Sindacali più importanti. Già prima dello scoppio della prima guerra mondiale, però, aveva fatto breccia, in Italia anche una corrente nazionalista e su questa corrente s'innesta, con forza, il movimento fascista che vede nel Partito Nazionale Fascista l'espressione della solidarietà nazionale ed il mezzo di sviluppo unitario della produzione. In un'ottica nazionalista e autoritaria come quella del Partito Fascista, la potenza politica dei sindacati non può essere tollerata. Lo Stato fascista decide, di conseguenza, di far suoi gli scopi sociali dei sindacati e di sostituire ai sindacati privatistici della tradizione liberale europea, sindacati di diritto pubblico ai quali conferisce la rappresentanza di tutti i lavoratori e di tutti gli imprenditori di ogni singola categoria produttiva. A Bologna nel 1922, dopo l'ascesa al potere del fascismo, è fondata la Confederazione Nazionale delle Corporazioni sindacali, propiziata dal fascismo stesso e sollecitata da taluni gruppi padronali più retrivi. I principi ispiratori della nuova organizzazione sono la visione del capitale "non come elemento da sopprimersi, ma da liberare e sviluppare" e la proposta di raggruppare nei medesimi organismi sia le rappresentanze operaie, sia quelle padronali, subordinando gli interessi individuali a quelli "superiori della nazione".

A causa dei contrasti interni, i tentativi delle altre Confederazioni nazionali di fronteggiare il pericolo fascista si rivelano vani; l'obbligo di sottoporsi al controllo dello Stato per ottenere il riconoscimento giuridico, sia per i sindacati dei lavoratori, sia per le associazioni dei datori di lavoro, determina l'interrompersi in Italia della libertà sindacale. Nel 1926 la Cattolica C.I.L. (Confederazione Italiana dei Lavoratori) si scioglie in seguito al riconoscimento dato dalla stessa organizzazione al sindacato fascista. Il Gran Consiglio del Fascismo approva nel '27 la Carta del Lavoro (Statuto del sistema corporativo che nel 1941 entrerà a far parte integrante dei principi generali dell'ordinamento dello Stato). Sebbene si affermi che l'organizzazione sindacale è libera, tale libertà è solo apparente. Infine nel 1939 è istituita la Camera dei fasci e delle corporazioni, che porta a compimento la costruzione del sistema corporativo. Il fascismo domina incontrastato, tacitando con la violenza ogni opposizione e portando l'Italia al secondo conflitto mondiale, a fianco dell'alleato nazista. Nel 1942 riprendono gli scioperi nelle fabbriche. Grazie alla rete organizzativa clandestina creata dai comunisti, comincia a diffondersi il giornale "L'Unità". Nell'inverno del '42. La controffensiva sovietica determina una svolta decisiva nella guerra: l'avanzata sovietica esercita un peso propagandistico particolare sui ceti popolari - per le ovvie implicazioni ideologiche - accentuando rapidamente il distacco dell'opinione pubblica italiana dal regime fascista.

È il marzo del 1943 quando a Torino scoppiano scioperi che si estendono poi in tutta l'Italia. Le motivazioni sono salariali e politiche; Mussolini è costretto a soddisfarle in parte, ma le restrizioni provocate dalla guerra mettono a nudo le conseguenze catastrofiche della politica economica del fascismo. L'accordo Buozzi-Mazzini dell'anno stesso segna la rinascita in ciascuna fabbrica delle Commissioni Interne elette dai lavoratori, da tutti i lavoratori, non soltanto da quelli iscritti al sindacato. Il testo - poi ratificato nel 1944 dalla C.G.I.L. unitaria - costituisce la base per il più ampio accordo sulle Commissioni Interne, raggiunto nel 1947 e successivamente integrato. Tale accordo fornisce la prima struttura aziendale ai nuclei antifascisti, la cui azione si sviluppa nel Nord con gli scioperi unitari del 1944 e con l'attiva partecipazione alla Resistenza. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, nella Repubblica Sociale Italiana sarà stabilito, ma non realizzato, un ordinamento sindacale comprendente la Confederazione generale del lavoro, della tecnica e delle arti, nella quale devono essere inquadrate tutte le categorie dei lavoratori subordinati e degli imprenditori partecipanti direttamente alla gestione dell'impresa, come dirigenti e tecnici, mentre è esclusa qualsiasi rappresentanza sindacale per la proprietà, il capitale, le società e le imprese in quanto tali.

Il 3 giugno 1944, alla vigilia della liberazione della città da parte degli Alleati, gli ambienti sindacali antifascisti sottoscrivono l'accordo sull'unità sindacale, meglio noto come Patto di Roma. Al momento della firma dell'accordo interviene un fatto nuovo di notevole importanza per il futuro del movimento sindacale nel dopoguerra: Buozzi, arrestato dai tedeschi, è ucciso durante l'evacuazione di Roma; i socialisti perdono, così, il loro principale candidato alla guida del movimento sindacale e l'unico che ha una reputazione, una statura ed una competenza adeguata a ricoprire il ruolo di Segretario è Di Vittorio. Il Patto stabilisce la costituzione della Confederazione Generale Italiana del Lavoro come unica Confederazione cui partecipano tre correnti sindacali, con Federazioni nazionali, Camere del Lavoro e Sindacati provinciali o locali; l'unità sindacale è fondata sulla base di tre principi:
1 - la più ampia democrazia;
2 - la massima libertà d'espressione a tutti gli aderenti ed il rispetto reciproco di ogni opinione politica e fede religiosa;
3 - l'indipendenza da tutti i partiti politici. Man mano che il territorio italiano viene liberato, trova applicazione un'apposita ordinanza che abolisce il sistema corporativo fascista e ristabilisce la libertà sindacale, come libertà non solo di organizzazione, ma anche di negoziazione collettiva. Nel 1944 un decreto conferma definitivamente lo scioglimento di ogni organizzazione sindacale fascista.

L'inizio del 1945 è caratterizzato dalla formulazione, da parte della Confederazione di numerose rivendicazioni economiche e sociali, dalla richiesta di istituire il meccanismo della scala mobile e, soprattutto, dalla sollecitazione alla stipulazione di nuovi contratti di lavoro per rimpiazzare quelli del sindacato fascista. Con la Liberazione del 25 aprile 1945 nasce in Italia un Governo di solidarietà nazionale: il Governo Parri. La situazione italiana è, però, molto complicata: tra il sud ed il nord il divario è enorme. Il Governo Parri, debole e oberato da un compito difficilissimo, non riesce a gestire le tensioni di un'Italia combattuta tra il rinnovamento ed il conservatorismo, tanto che cade nel novembre del 1945. Anche l'unità sindacale inizia a cedere: nel 1946 la gerarchia ecclesiastica invoca l'unità dei cattolici e la loro uscita dal sindacato unitario. Anche in campo politico sussistono tensioni molto aspre: nello scontro tra cattolici e socialisti, ha la meglio la fazione democristiana di politica conservatrice e il 1° maggio 1947 nasce il primo governo centrista.

Le A.C.L.I. sono, tra il '46 ed il '48, il principale strumento operativo del movimento cattolico con funzioni non solo politiche, ma anche sindacali. Da parte sua la C.G.I.L. tenta in tutti i modi di evitare la rottura con i cattolici, ma l'unità sindacale, complice anche la pressione americana, si rompe definitivamente nel 1948: nasce la Libera Confederazione Generale Italiana dei Lavoratori, di evidente espressione "cristiana" e "democristiana". L'anno seguente i socialdemocratici ed i repubblicani fondano la F.I.L., lasciando la C.G.I.L. che - ormai - annovera tra le sue fila solo comunisti e socialisti. Alla fine del 1949 F.I.L. e Libera C.G.I.L. si fondono e il 1° maggio del 1950, con l'ulteriore adesione dei sindacati autonomi, si costituisce la C.I.S.L.. Nel frattempo i sindacalisti repubblicani e i socialisti dissidenti, espulsi dalla C.G.I.L., fondano la U.I.L.; nasce anche un sindacato di destra: la Confederazione Italiana Sindacati Nazionale dei Lavoratori (C.I.S.N.A.L.). Alla fine del 1950 la realtà sindacale in Italia è composta da C.G.I.L., C.I.S.L., U.I.L. e C.I.S.N.A.L.. Il discorso dell'unità si spegne per tutti gli anni '50, durante i quali le lotte sindacali sono portate avanti dai vari sindacati singolarmente e, spesso, in contrasto con gli altri. Favorita soprattutto da un atteggiamento favorevole delle A.C.L.I. e da un boom economico, negli anni '60 torna a farsi sentire con forza l'esigenza di una lotta unitaria. Questi anni sono caratterizzati dall'aumento vertiginoso del divario tra il settentrione ed il meridione, dalla lunga e tormentata vertenza dei metalmeccanici, terminata con il rinnovo del contratto, e dalle proteste studentesche ed operaie nell'"autunno caldo" del 1968. Iniziato nell'ottobre del 1970, il progetto unitario, superate le incomprensioni sul discorso dell'incompatibilità delle cariche e le discordanze sulle categorie dei lavoratori agricoli da introdurre nella futura organizzazione unitaria, prende corpo nel 1972 con il Patto Federativo che rende possibile la nascita della Federazione C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L.. Anche i metalmeccanici creano una federazione unitaria: la F.L.M.; altre esperienze si concretizzeranno successivamente come per la categoria degli Edili (F.L.C.) e la categoria dei chimici (F.U.L.C.).

La situazione italiana è, però, in costante evoluzione politica e sociale. Lo scontro tra partiti e sindacati mette a dura prova il patto federativo, ma i sindacati rimangono per tutti gli anni '70 impegnati in rivendicazioni e lotte all'insegna dell'unità. L'Italia è sconvolta dal terrorismo: l'omicidio di Aldo Moro e la strage di Bologna sono tra i fatti di sangue più eclatanti. Per quanto riguarda il discorso unitario, le divergenze causate nei primi mesi del 1980 dall'intransigente opposizione della C.G.I.L. al Governo Cossiga, non impediscono che sia siglato un accordo unitario. In questo periodo prende avvio, proposta dalla C.I.S.L., la discussione sul raffreddamento della scala mobile; la Confindustria disdetta la scala mobile e si offre di negoziarla separatamente dal contratto collettivo; questa proposta divide la Federazione; i contrasti interni si protraggono fino all'avvento del Governo Fanfani ed all'introduzione "dell'austerità". Tuttavia all'interno della C.G.I.L. è ormai grave lo scontro tra corrente socialista e corrente comunista che peggiora ancora più con l'ascesa al Governo di Bettino Craxi che, intervenendo sul problema della scala mobile attraverso un decreto, innesca reazioni e contestazioni che portano il sindacato a spaccarsi su di un'apposita iniziativa referendaria. La prima metà degli anni '80 segna, così, un'inversione di tendenza: non c'è più un'unità sindacale, ma movimento sindacale composto da organizzazioni con visioni diverse rispetto alla politica economica e con posizioni diverse rispetto alle scelte ed alle imposizioni governative.

Dall'86 in poi le cose cambiano ed emerge l'esigenza di una visione nuova del discorso unitario. Nel frattempo l'Unione Europea attua la graduale apertura dei mercati, mentre la Confindustria si prepara all'ingresso in Europa. Il passaggio dagli anni '80 ai '90 avviene in un clima di grandi tensioni (una tra tutte la guerra nel Golfo) e di grandi cambiamenti economici (l'ingresso della lira nello S.M.E.) e politici (scomparsa dello storico Partito Comunista, sostituito dal P.D.S.). In questo clima si riaprono le trattative per il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici, che sono gestite in modo unitario da C.G.I.L., C.I.S.L., U.I.L.. La parola d'ordine è, di nuovo, unità sindacale: si vuole un sindacato che non sia più solo tutore, ma anche promotore "dei diritti della cittadinanza e della solidarietà". Il 1993 vede l'inizio di un'intesa politica dei prezzi e dell'occupazione: è abolita la scala mobile ed il compito dell'adeguamento salariale al costo della vita è rimesso alla contrattazione collettiva. La C.I.S.L. si propone nel 1996 come l'organizzazione che, più di tutte, vuole realizzare in tempi brevi l'unità. Cofferati, per la C.G.I.L. e Larizza, per la U.I.L., dapprima prendono le distanze dalle scadenze invocate dalla C.I.S.L., ma nel febbraio dello 1997, a Rimini, le tre segreterie s'incontrano in un seminario sull'unità. Alla fine del 1998, è sottoscritto il "Patto sociale per lo sviluppo e per l'occupazione" che rappresenta la continuazione del lavoro intrapreso col Protocollo del 23 luglio 1993.

Gli ultimi anni del novecento e l'inizio del nuovo secolo sono caratterizzati dal dibattito, dal confronto e dagli scontri sulla globalizzazione e sulla mondializzazione; le sempre minori barriere economiche, l'attuazione di una moneta unica europea, la crescita tecnologica e la nascita di settori economici prima sconosciuti, pongono i movimenti sindacali di fronte a nuove e complesse tematiche da affrontare. In Italia dopo una legislatura guidata da un governo di centro-sinistra, sale al potere Berlusconi che, guidando un governo di centro-destra, porta avanti un progetto liberista rispetto al quale sussistono da parte dei lavoratori e delle Organizzazioni Sindacali non poche perplessità e paure: un programma fortemente liberista pare rimettere in forse alcune conquiste fondamentali del movimento sindacale.

1946 - Altoforno dello stabilimento Cogne di Aosta. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002È in questa "storia" del sindacalismo in Italia che si colloca la "storia" del S.A.V.T., le cui specificità non hanno mai rappresentato un momento di divisione, anche quando il movimento sindacale è stato diviso. Il S.A.V.T. è stato sempre portatore del progetto di una "unità nella diversità" che responsabilizza doppiamente tutti i lavoratori: le diversità non sono soltanto di ordine ideale, ma anche di riferimento identitario, legato all'esistenza ed ai diritti delle cosiddette "minoranze etniche e linguistiche". Come rispettare i diritti e le diversità, conservando e, anzi, potenziando l'unità? Il S.A.V.T. difende, a questo fine, i principi del Federalismo. Tutta la storia del S.A.V.T. è il segno dello sforzo dei lavoratori della Valle d'Aosta di essere coerenti testimoni non solo di un pensiero, ma di un'azione in questo senso. Le radici del sindacalismo in Italia sono state testé evidenziate e risultano radicate nel pensiero socialista, in quello cattolico ed in quello nazionalista; il sindacalismo valdostano ha, invece, le proprie radici nel Federalismo del pensiero di Émile Chanoux; prima che vicende storiche, politiche ed economiche impongano l'esigenza di dar vita ad un sindacato valdostano, la scelta federalisata porta Chanoux ad esplicitare il proprio pensiero oltre che nella prospettiva politica ed in quella istituzionale, anche in campo economico-sociale. È in questo pensiero che il S.A.V.T. trova le proprie radici.

La réalité valdôtaine au XX. siècle .: su / haut :.

La première guerre mondiale éclata et nombreux valdôtains partirent pour le front ... nombreux furent les morts ... on en compte 1557. Après la guerre bon nombre de Valdôtains retourna à son travail: l'usine ou la campagne. Certains, assez nombreux, ne pouvant s'établir convenablement, furent contraints à émigrer... tandis que l'immigration d'éléments venus de toutes les Régions d'Italie fut favorisée d'abord par le développement de l'industrie et, ensuite, par le nationalisme fasciste qui visait à italianiser la Vallée d'Aoste. L'industrialisation de la Vallée d'Aoste commença à Verrès par l'installation de la fabrique des cotonnades "Brambilla", vers la fin de 1914; à Aoste par la société Ansaldo qui produit l'acier, en 1917, et à Châtillon par la société du textile artificiel en 1920. D'autres industries moins importantes s'installèrent au cours des années 20: la Cravetto à Verrès, la Métallurgique à Pont-Saint-Martin, sans compter de nombreuses petites usines hydroélectriques. À partir de l'année 1920 et jusqu'au commencement du second conflit mondial, les immigrés en Vallée d'Aoste dépassèrent les 30000 unités. Dans la même période 25000 valdôtains quittèrent leur pays. Au cours des années 30 les noms des communes furent italianisés et on tenta même la traduction en italien des patronymes. Des groupes de contestation politique se formèrent et on arriva à la formation du Groupe clandestin "La Jeune Vallée d'Aoste", fondé par l'Abbé Trèves et par le notaire Chanoux.

1918 - Fase di allestimento dei laminatoi, stabilimento Ansaldo di Aosta. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002Un vaste mouvement en faveur des revendications régionalistes se développa. Le document fondamental de ces aspirations demeure la Déclaration de Chivasso (1943), signée, entre autres, par Émile Chanoux qui postulait pour les peuples des Alpes une ample autonomie politique, administrative, culturelle et économique dans le cadre du Fédéralisme. Émile Chanoux en 1944 devait sacrifier sa vie. Pendant la lutte armée (1944-1945) deux tendances se dessinèrent. L'une qu'on aime à définir séparatiste, l'autre qui envisageait l'autonomie. Le 7 septembre 1945, le Lieutenant Général du Roi, Humbert de Savoie, signait le décret qui reconnaissait à la Vallée d'Aoste une organisation autonome provisoire. Le Statut définitif fut approuvé par l'Assemblée constituante de la République italienne, le 26 février 1948.

La deuxième guerre mondiale coûta en vies humaines en Vallée d'Aoste un prix très élèves: les morts furent plus de 1000. Una sintetica cronologia delle vicende storiche della Valle d'Aosta in questo periodo è proposta dalla pubblicazione dell'Istituto Storico della Resistenza "I manifesti del potere - Il potere dei manifesti" dalla quale stralciamo i passaggi che interessano, in modo specifico, il mondo e le organizzazioni dei lavoratori.

1919 - Officina falegnami, stabilimento Ansaldo di Aosta. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 20021903 - Il Comune di Cogne vende le miniere di Liconi al belga Theiss.
1904 - Fondazione della Camera del Lavoro di Aosta.
1905 - Inizia le pubblicazioni "Le Travailleur" di intonazione socialista.
1911 - Manifestazione socialista in Valle contro la guerra di Libia.
1912 - La Società "Miniere di Cogne" ottiene un contributo dal Comune di Aosta per costruire un'acciaieria a sud della ferrovia.
1915 - Comincia a funzionare a Verrès la "Società Anonima Filatura Brambilla".
1917 - L'Ansaldo apre ad Aosta la prima acciaieria.
1919 - Manifestazione in Valle d'Aosta per le otto ore.
1919 - Occupazione delle terre in Valle d'Aosta.
1919 - È costruita a Châtillon la SOIE per la fabbricazione di fibre artificiali. La fabbrica assume tramite "l'italica gens" un ufficio di collocamento che recluta centinaia di operai fra i braccianti della Lombardia e del Veneto.
1919 - Scioperi contro il caro-vita ed assalto alla Cooperativa di consumo cattolica.
1919 - Sul giornale "L'ordine Nuovo" compare un articolo firmato da "un comunista valdostano"; quasi sicuramente l'articolo è di Gramsci e vi si appoggia il proposito di assicurare alla Valle d'Aosta un'Autonomia legando le rivendicazioni degli operai a quelle dei contadini.
1920 - L'Ansaldo viene occupata dagli operai.
1922 - Scioperano metallurgici della Valle.
1923 - È costituita l'Ansaldo-Cogne con capitale misto dell'Ansaldo e dello Stato.
1923 - A causa delle riduzioni salariali, un migliaio di operai è costretto a lasciare la SOIE.
1926 - A Covalou in Valtournenche entra in funzione la grande diga della Società Idroelettrica Piemontese.
1927 - Iniziano i lavori del tronco ferroviario Aosta-Pré-Saint-Didier.
1928 - È decretato il fallimento della Banca Réan.
1930 - Il Crédit Valdôtain è dichiarato fallito.
1931 - Gli occupati nell'industria valdostana che nel 1928 erano 33077, scendono a 18 mila.
1931 - È costituita l'Ilssa.
1935 - L'IRI chiede la soppressione della Cogne.
1944 - Si costituisce il Comitato Segreto di Agitazione nelle Fabbriche.
1945 - Sciopero alla Cogne per la Tragedia del Col du Mont.

Il pensiero economico-sociale di Émile Chanoux .: su / haut :.

Al centro Émile Chanoux. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002È indispensabile, nell'interrogarci sulle condizioni presenti e per guardare con cognizione di causa al futuro che ci attende, ripensare al passato, ripercorrere le tappe miliari, gli insegnamenti più significativi che l'esperienza trascorsa ci propone. E, quindi, il riferimento primo non può essere che Chanoux, anche perché una rilettura attenta dell'opera e del personaggio ci può restituire il mondo delle origini cui il martire rivolgeva la sua attenzione, quell'età dell'oro vagheggiata per comodità da alcuni ma, in realtà, già percorsa da contraddizioni e inquietanti dilemmi, da non facili scelte e dalle fosche incertezze del dopoguerra. A sua volta - e questo ci conforta nella fedeltà - la riflessione sui capisaldi del pensiero economico di Chanoux non può prescindere da quella premessa, ispirata ad alti principi libertari e di tolleranza, che egli pone fin dall'avvio come genio ispiratore: "formando dei piccoli organismi socialmente perfetti, le Valli potranno essere il terreno più adatto in cui esperimenti sociali, anche arditi, potranno avere luogo senza portare a dei cataclismi irrimediabili". Proponimento che si sposa con quell'altro, anch'esso tratto come il precedente da "Fédéralisme et Autonomies", ma relativo al confronto politico, in cui si ribadisce che sarà la volontà del popolo valdostano ad indirizzare le scelte dei suoi rappresentanti: "non quindi il criterio geografico-storico, né un criterio strettamente economico devono presiedere alla costituzione dei cantoni, ma bensì deve essere la volontà del popolo".

Nel momento stesso in cui indica le linee di fondo della profonda trasformazione strutturale che invoca - solo ammonendo, quasi marxianamente, che il cambiamento di struttura è, di gran lunga, più impegnativo ed in ogni caso prioritario rispetto a quello delle sovrastrutture (allora il contrasto repubblica-monarchia che oggi assumerebbe ovviamente connotazioni diverse) - Chanoux guarda, anche in economia, ad un progetto riformatore e riformista di netta impronta federalista, in ciò motivato dalla frequentazione con personaggi legati al Partito d'Azione e condizionato dalla ispirazione social-repubblicana dei congiurati di Chivasso che incontrò nel dicembre '43. Di un rigoroso realismo è portatore Chanoux quando rimette al futuro, al confronto politico di là da venire (che egli non vide, ma che profeticamente annunciò), una presa di posizione precisa in merito al cosiddetto "problema operaio": "ognuno rimane libero di auspicare le riforme che ritiene opportune". Comunque è già netta la sua opposizione al classismo perché alla lotta di classe egli contrappone il collegamento fra classi: "le Valli hanno il vantaggio di formare zone ove operai e contadini sono in parte fusi: possono, quindi, fornire l'elemento medio, il quale collegherà le due classi base, le due classi essenziali nella vita di un popolo: gli operai e i contadini". La realtà che Chanoux prende in esame e che in larghissima parte è tuttora di un'attualità sconcertante, è quella del doppio lavoro, scandita per lo più dall'esistenza di un ceto che non è proletario, costituito com'è da operai-agricoltori o da operai-proprietari, piccoli o piccolissimi. In sostanza Chanoux non ritiene praticabile la lotta di classe come unico rimedio, come nodo obbligatorio della dialettica storica, tanto meno come cardine dello sviluppo storico del suo popolo.

Cosi come ricorda che la presenza industriale mai potrà soppiantare, per lo meno qui da noi, "la vocazione alla terra". Insomma, la presenza industriale non può sostituirsi, quanto meno non integralmente, all'occupazione contadina che, nella sua visione, è il sedimento secolare di un bagaglio genetico dell'anima valdostana, quella che lui chiama "la parte più viva del popolo valdostano". L'indole dell'uomo economico vagheggiato da Chanoux è strettamente connessa alle sue idealità spirituali, alla sua identità storica ed etica, nel rifiuto di ogni manifestazione dell'imperialismo violento ed inconsulto di uno Stato portatore e portavoce di altre mentalità, di altre visioni della vita. La proposta è, quindi, di stampo federalista, perché nasce dal basso, è finalizzata al basso e al basso deve continuamente rispondere ottenendone l'avallo. Laddove nega esplicitamente qualunque indulgenza verso quella che chiama "sfrenata concorrenza", Chanoux rifiuta la spasmodica lotta ad oltranza, apparentemente ordinata, del capitalismo, un capitalismo ignoto - nelle sue forme oggi diffuse e allora incalzanti - al ritmo di vita più conforme alla natura della nostra gente; laddove bolla di estraneità alla sua ed alla nostra mentalità la reificazione dell'uomoproduttore, egli fissa un punto di non-ritorno nei confronti del socialismo reale, al quale, al massimo, concede la credibilità e l'opportunità dell'espropriazione dei fattori di produzione. Così la risposta alla più imbarazzante delle domande che si pone nella sezione dedicata all'economia della sua opera, rimanda di nuovo alle fondamenta del suo pensiero, in un lineare disegno di unità: la conciliazione dell'economia pianificata con il rispetto dei singoli. Con le sue parole: "ma le tendenze dell'economia moderna rendono più impellente il problema: come conciliare l'ormai ammessa socializzazione dei grandi mezzi di produzione, con la tutela delle libertà politiche ed amministrative?".

1948 - Operai Cogne, Aosta. 'Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002', 2002La risposta è, anche qui, empirica ed aperta, senza essere dilatoria: "la socializzazione non è necessariamente statizzazione. Anzi, lo Stato è cattivo amministratore". Nel connubio indissolubile fra momento sociale e momento economico che è alla base di tutto il suo pensiero, Chanoux - senza demonizzarle - coglie dello Stato tutte le potenzialità negative: di sopraffattore delle libertà decisionali dei singoli (intesi, questi ultimi, sia come entità individuali, sia come gruppi associati) e insieme monopolizzatore delle risorse e quindi di tutto l'aspetto economico. "Non vi è libertà" - egli dice - "o Autonomia politica e morale, senza libertà e Autonomia economica". Ricondurre, con intenti e metodi federalistici, l'ente pubblico a più esatti confini che ne costringano e debellino l'invadenza di cui sotto il regime aveva fornito cosi pervicace ed arrogante esibizione, e nel contempo fare crescere spiritualmente, secondo coordinate proprie della sua storia, il cittadino valdostano verso una sempre più espansa, ricca ed originale pienezza esistenziale: questo il tema della problematica più assillante che Chanoux si pone, come facilmente si può dire lo sarebbe stato della sua azione politica post-bellica. E ribadisce: "la vita politica e la vita economica sono intimamente connesse. Non si può accettare un principio federalistico in materia politica come la migliore garanzia delle libertà politiche, senza accettare il principio federalistico in materia economica, come la migliore garanzia della libertà economica, la quale non è che una faccia del problema della libertà in senso lato".

Cattolico per formazione, vicino per un certo tempo al mondo socialista riformista, federalista per vocazione, Chanoux sa che la presenza di un'organizzazione superiore - tanto in politica quanto in economia - è indispensabile; senonché, a contenerne le velleità espansionistiche nell'uno come nell'altro campo, è necessario infittire i diaframmi fra base e vertice della piramide istituzionale: "lo Stato non é un complesso di individui, di cittadini, ma bensì un complesso di organismi sociali minori i quali, a loro volta, raggruppano gli individui". E così: "or ecco che una suddivisione dei poteri nel campo economico, come in quello amministrativo, può portare questa tutela della libertà". Di qui i corpi intermedi, con competenza in materia sociale ed economica, da lui auspicati e sollecitati, anche forzando la tendenza isolazionistica e campanilistica che si riscontra presso i valdostani: "le popolazioni alpine, per il loro stesso genere di vita solitario sulle montagne, sono tendenzialmente individualistiche. Ma nel passato, là dove necessità impellenti di vita le obbligarono, esse seppero agire collettivamente". Prima ancora di proporre la sua soluzione, cioè la soluzione dell'autogestione cooperativistica, intesa come "richiesta rispecchiante i bisogni delle Valli", Chanoux passa in rassegna le risultanze - allora non suffragate da riscontri statistici e solo frutto della sua osservazione partecipata - emerse dall'analisi della realtà dei tempi di pace. Così deve constatare, nell'ambito di quelli che chiama "problemi di ordine finanziari o fiscale", come la rendita agricola - allora, all'opposto dell 'industria, povera di mezzi e ricca di uomini - si vada assottigliando e riducendo all'osso. Ciò nonostante: "la sua terra il montanaro non l'abbandona, ma, naturalmente, non ne trae grandi ricchezze. Eppure, nelle Valli l'onere fiscale grava quasi esclusivamente sulle classi agricole". La citazione ci serve per proseguire nel suo ragionamento, per cogliere il nodo più delicato rispetto al quale si mostra più sensibile, quello che tocca il tasto della giustizia distributiva, della distribuzione più equa dei redditi collettivi.

Il dato più allarmante, quello che ancor oggi possiamo evidenziare con tranquillità, è che "le industrie che sfruttano le ricchezze delle Valli, le maggiori ricchezze e bellezze delle Valli, hanno sede altrove, nelle città (ovviamente intendendo per città le grandi agglomerazioni metropolitane fuori Valle). Nelle città hanno il personale meglio retribuito e qualitativamente e socialmente più importante". Sono "le città" che nel suo distinguo - oggi concettualmente intatto nella sua sostanziale efficacia - godono i vasti proventi dei redditi di posizione naturale, in particolare nel settore dell'energia idroelettrica, con drastica e progressiva emarginazione delle Valli da cui quella ricchezza, di fatto, proviene; è nelle città che dà i suoi vistosi frutti la grossa speculazione di carattere turistico, ben poco rimanendone ai Comuni, sui quali tuttavia grava l'onere della manutenzione e del rimedio agli sfracelli ecologici indotti dall'altrui innata inciviltà. "Ora è giusto" - conclude Chanoux - "che la ricchezza naturale industriale delle Valli vada ad alleviare per i contadini della montagna il peso degli oneri pubblici e particolarmente degli oneri fiscali". È chiaro che una rilettura, in chiave attuale, di questi concetti programmatici, pur nel loro schematismo, deve portare ad alcune evidenze:
a) la necessità della suddivisione dei poteri, come principio democratico destinato ad una traduzione pratica immediata in seno alla vita economica organizzata, con la strutturazione della popolazione attiva in creative espressioni finalizzate alla crescita complessiva del paese;
b) un trattamento fiscale più equo che riconosca i diritti secolari delle popolazioni, soprattutto col "ritorno" dei canoni per le concessioni delle acque pubbliche, i quali canoni, benché esatti e percepiti dallo Stato, debbono essere restituiti ai legittimi titolari, cioè ai cantoni ed ai comuni, previo ragguaglio delle concessioni stesse al valore di mercato delle acque concesse;
c) un ampio utilizzo in sede delle forze energetiche realizzate;
d) l'utilizzo di manodopera locale nell'industria di trasformazione del materiale estratto in loco;
e) una perequazione meno astratta e disinvolta delle aliquote delle imposte fondiarie secondo criteri coerenti con la realtà e non elaborati da tecnici estranei alle Valli, criteri comunque la cui impostazione tenga conto delle differenti colture (secondo le varianti della produttività, dell'altitudine, dell'autoconsumo);
f) lo studio concertato e l'introduzione di una riforma agraria, secondo un processo graduale e non traumatico, condotto a prescindere dai disegni e dalle deliberazioni altrui, che tenga conto, rimediandovi, del cancro germinato e diffuso sin dal secolo scorso, quella polverizzazione fondiaria che ha portato alla frammentazione del patrimonio immobiliare rurale in particelle minutissime, come tali espulse logicamente da qualsiasi coltivazione razionale, vero sfracello per l'economia montana e i suoi fruitori, e insieme rimedi alla totale disapplicazione dell'istituto della "minima unità culturale", rimasto lettera morta a causa dell'interessata disattenzione delle autorità preposte. Operazione - ventila Chanoux - che non può andare disgiunta dalla completa rivisitazione della disciplina ereditaria, come concepita ed imposta dal codice civile fascista mantenuto in età costituzionale; peraltro la materia, cosi rilevante nei riflessi pratici della vita delle famiglie valdostane e della loro competitività sul mercato, non sarà affidata - non a caso - alla competenza regionale. Anche qui, comunque, Chanoux è risoluto: "in questa materia, anzi specialmente in questa materia, vale il principio federalistico, per cui ogni Regione o Cantone deve poter decidere in merito alle proprie leggi agrarie, senza attendere decisioni di poteri legislativi ed incompetenti".

Se questa è la diagnosi (evidentemente non a sufficienza recepita, se è vero che uno studioso della generazione immediatamente successiva, Bernard Janin, continuerà a definire l'agricoltura come "le parent pauvre de l'économie valdôtaine"), la terapia suggerita, fra le righe, da Chanoux transita e si materializza nella autogestione cooperativistica. Ideale terza via fra collettivismo e capitalismo, strumento organizzatorio ed operativo, inteso a mutuare le benefiche intuizioni di entrambi i sistemi, cercando al contempo di evitarne i guasti dell'esasperazione ideologica, l'autogestione cooperativistica conoscerà, inizialmente, un'applicazione saltuaria e limitata. Il sistema cooperativistico in se sarà una delle scoperte del dopoguerra, peraltro non completamente esplorata a causa dell'immediata ed interessata egemonizzazione partitica che subirà, secondo prassi manichee ed integraliste di cui ancora oggi scontiamo, pesantemente, le conseguenze. Nell'ottica di Chanoux, invece, intuitivi dovevano essere i vantaggi:
a) per via della partecipazione della base, del mondo del lavoro dove per partecipazione dobbiamo intendere tanto contributo sociale quanto maturazione individuale;
b) per via della distribuzione del rischio economico: un rischio organizzato, articolato, non casualmente indotto dalle circostanze, in modo che fosse necessariamente destinato a lievitare anche il senso di responsabilità dei partecipanti e degli utenti;
c) per il più meticoloso controllo esercitato sugli strumenti di lavoro, sulla loro conduzione e sulla loro manutenzione;
d) per l'espulsione, magari progressiva, ma infine totale, delle direttive altrui nell'ambito decisionale dei consoci;
e) per via della possibilità di riconversione secondo le necessità dettate dall'evolversi dell'economia. Il tutto nella sottintesa speranza che questo mondo della terra, finalmente smaliziato e reso conscio della propria dignità anche commerciale, dismettesse il pernicioso complesso di inferiorità che lo affliggeva - come lo affligge ancora nei riguardi dei centri di potere forestieri. Una sudditanza che non si può dire tuttora affatto cessata. Comunque, con le parole di Chanoux: "collettivamente, senza l'aiuto di alcun ente pubblico, furono costruiti, nei secoli, i canali irrigui, le strade, i forni, le latterie, le scuole. Sono vere organizzazioni cooperative che vivono e si tramandano di generazione in generazione, senza l'aiuto di nessuno, anzi, molte volte, malgrado le vessazioni delle autorità e gli egoismi dei singoli". Si trattava, cioè, per Chanoux di trovare "una formula che, senza penalizzare l'individualità, l'individualismo atavico di queste popolazioni, contemperi la loro natura con la necessità, ormai indifferibile, di una riconduzione al pubblico (al sociale) delle strutture organizzative".

Di tutto il programma sarebbe stata condizione ed allo stesso tempo garanzia, una rinnovata presa di coscienza etica e storica della propria identità umana e sociale, cui non sarebbe dovuta risultare estranea, ma anzi partecipe obbligata, la scuola valdostana e, con essa, da un lato la selezione e la preparazione del personale docente nonché, dall'altro, l'apprendimento delle materie di studio nella lingua materna, da recuperare essa stessa alla vita consociata. Sempre con le sue parole: "il raggruppamento fondiario ed il conseguente miglioramento nelle condizioni dell'agricoltura alpina non possono essere unicamente il risultato di disposizioni legislative, anche se emanate da autorità locali, ma dipenderanno anche da una trasformazione delle coscienze. E questa trasformazione si ha attraverso la scuola".

La veridicità e la puntualità degli enunciati di Chanoux appaiono in tanto maggiore evidenza alla controprova dei fatti, se pensiamo ciò che essi, per lo meno in materia economica, sono tuttora insuperati dalla dottrina che dichiara d'ispirarsi al Federalismo (che tanto cammino ha invece compiuto in sede di elaborazione politico-istituzionale). Solo recentemente, al Congresso di Verona del Partito Federalista Europeo, una relazione incentrata sull'argomento cosi sintetizzava i propositi del movimento: "noi vogliamo una politica volta al superamento delle classi, quindi non siamo neppure semplicemente un partito interclassista. Superare le classi significa, muovendo dal convincimento che la società come l'uomo è sempre migliorabile, operare, a seconda delle circostanze storiche e al di fuori di ogni dogmatismo, in funzione appunto della realizzazione di una società migliore e tale è una società in cui minori siano i conflitti e le differenze di classi.

Il Federalismo, perciò, è anche una concezione perenne... Il punto di partenza per giudicare della bontà di una società è, a nostro parere, la posizione che in essa ha il lavoro, atto umano per eccellenza. Il lavoro, unitamente all'attività imprenditrice, è il protagonista, il vero soggetto dell'economia. Il rapporto di lavoro è quindi un rapporto di collaborazione (non di dipendenza) ed implica partecipazione ai risultati e alle decisioni dell'impresa, la creazione cioè di una democrazia economica a cominciare dall'azienda". L'approccio, possibilista ed antidogmatico, di Chanoux è tanto più attuale se si pensa che il referente, l'unico imperativo da lui autorizzato, cioè l'uomo, come parametro incoercibile dell''esistente e del possibile, è ancora oggi l'unico metro di confronto obbligato, senza aprioristici preconcetti ideologici. Scrive Georges Neuray: "l'attività economica dipende strettamente dal progresso tecnico che la ricerca scientifica rende sempre più rapido. E allora, se si tiene conto di tale evoluzione, manifestamente destinata a continuare, come stabilire la dimensione ottimale di una regione? Tale dimensione è puramente transitoria, giacché le economie di scala rendono necessario un continuo aumento delle dimensioni di molte aziende. È dunque assolutamente impossibile fondare istituzioni politiche o amministrative su basi che dovrebbero essere rimesse in discussione ogni dieci anni. Solo le caratteristiche culturali, data la loro relativa stabilità nel tempo, possono essere utilizzate per tracciare delimitazioni politiche". Perché, nella concezione di Chanoux, l'uomo economico non doveva risultare, in definitiva, scisso, e per ciò stesso alienato, dall'uomo tout court, nella completezza dei suoi bisogni e delle sue prerogative; la cornice economica non doveva prevaricare né tanto meno soffocare la sua crescita globale, finendo cosi per confermarsi fine a se stessa ma al contrario esserne strumentale e propedeutica.

Come bene hanno messo in rilievo Robert Aron ed Alexandre Marc nel loro fondamentale "Principes du Fédéralisme": "Ainsi serait atteint le but essentiel d'une démocratie économique: mettre l'économie au service des besoins d'un humanisme nouveau, instaurer de telle façon la solidarité entre les membres du corps social que chacun soit garanti contre l'injustice et contre la misère. Le second but d'une démocratie économique pratiquant le Fédéralisme, serait de transformer véritablement la condition des participants à l'entreprise et de remédier ainsi à la prolétarisation qui pèse sur la plus grande partie des actionnaires d'une part, des employés ou des ouvriers d'autre part. Ici encore, il ne servirait à rien d'étatiser les entreprises si l'on n'en changeait pas la structure; une direction nommée par l'Etat ne modifierait en rien la condition des épargnants ni celle des travailleurs". Perché, tornando alle concezioni di Chanoux, è del tutto indifferente stabilire chi - trust finanziario, oligopolio familiare, ceto funzionario, organismo pubblico - detiene le leve del potere se le amministra per sabotare lo sforzo collettivo verso il duplice progresso e individuale e sociale.

Ezio Donzel, (Estratti dalle tesi del 9. Congresso Confederale del S.A.V.T. - Villeneuve 14-15 dicembre 1985)


Il libro 'AKARA-OGUN E LA RAGAZZA DI BENIN CITY', 2002Vedi anche di Claudio Magnabosco:
"Sono nessuno o sono una nazione", su evolutionbook.com, versione .rtf zip 55KB
Akara-Ogun e la ragazza di Benin City
La ragazza di Benin City
Decine di africane sono state assassinate in Italia. Le altre Amina: ogni giorno le africane sono "lapidate" in Italia
Identità nazionale e minoranze nello Stato italiano
Indipendentismo sostenibile, Nazione inclusiva, moltiplicatore. Tre teorie tra storia del federalismo e attualità del dibattito sul micronazionalismo
Celtismo, New Age, Sindacalismo: Tre problematiche a confronto con l'idea di nazione e con il rischio di fascistizzazione delle nazionalità
Nazioni senza Stato e diritti collettivi
Per una storia della Valle d'Aosta dal 1945 al 2000

Ultimo agg.: 7.1.2004 | Copyright | Motore di ricerca | URL: www.gfbv.it/3dossier/vda/savt/savt1.html | XHTML 1.0 / CSS | WEBdesign, Info: M. di Vieste
HOME | INDEX >>> INTRO | CAP. 1 | CAP. 2 | CAP. 3 | CAP. 4 | CAP. 5