Dicembre 2003
Gli anni del laboratorio politico
(1958-1965)
Il governo regionale retto dall'U.V. e dalle sinistre, con
Severino Caveri alla Presidenza della Giunta, si fa portatore di
un progetto di modernizzazione; tuttavia la Regione fatica a
governare l'economia che è in mano ai capitali esterni sia
nell'industria, sia nel turismo; il governo centrale completa il
sistema di condizionamento esterno della Valle d'Aosta (E.N.E.L.,
industrie, banche, diffusione della TV...) e, constatato che la
Cogne non serve più come strumento di ricatto
occupazionale, ne affida la gestione a strutture politiche,
determinandone la progressiva entrata in crisi. La Giunta
regionale risponde a queste difficoltà finanziando la
costruzione di strade per contrastare l'abbandono delle montagne,
sostenendo l'architettura tipica, assicurando contributi alle
famiglie meno abbienti per la casa e lo studio.
Gli anni del filo di ferro (1966-1969)
In Italia nasce il governo di centro-sinistra ed una specifica
direttiva centralista porta ad attuarlo anche in Valle d'Aosta.
Questo non avviene con una "normale" crisi politica: Severino
Caveri e il P.C.I. iniziano un braccio di ferro: il Governo Moro
dispone il Commissariamento della Regione, ma quando il Consiglio
regionale deve riunirsi e sancire il rovesciamento della
maggioranza, la seduta non può tenersi perché
Caveri fa chiudere a chiave le porte d'ingresso del Palazzo
regionale e le fa trovare bloccate con il fil di ferro per
"ragioni di ordine pubblico". La svolta politica si attua
ugualmente, ma il governo romano lascia pochi spazi operativi
alla nuova giunta che può dare, comunque, il via alla
"valorizzazione del turismo" nel cui nome iniziano i lavori di
Pila: negli anni seguenti, si rivelerà una operazione
speculativa.
Gli anni del nuovo autonomismo
(1970-1973)
L'Italia vive un momento delicato: alle difficoltà
economiche si aggiungono gli effetti devastanti della strategia
della tensione; in Valle d'Aosta la sinistra D.C. impone una
svolta politica dando vita ai Democratici portando Cesare Dujany
alla Presidenza della Giunta e, di nuovo, coinvolgendo
direttamente le sinistre nella maggioranza. Alla voglia di
modernità degli anni 50 e 60 si sovrappone il bisogno di
servizi sociali; nel 70 ad Aosta arriva la Standa; il giornale
"il Mondo" afferma che i valdostani sono i più ricchi
d'Italia. Il riparto fiscale viene finalmente acquisito come
diritto (anche se la sua effettiva applicazione scatterà
solo negli anni 80) e consente di triplicare il bilancio
regionale: la politica economica regionale si basa sulla
programmazione e sulla attribuzione di fondi di rotazione come
incentivo economico all'imprenditorialità. Difficile ma
importante la battaglia della Giunta contro lo sperpero
dell'industria degli acciai speciali, posizione che inaugura una
politica di salvaguardia dei livelli occupazionali: si vuole
evitare che, aprendo o chiudendo il "rubinetto" del sostegno o
dell'abbandono del settore da parte del governo centrale, la
Valle d'Aosta subisca i ricatti della politica centralista e
l'imposizione della trasposizione automatica in Valle d'Aosta
degli schemi politici di governo romani.
Gli anni della stabilità (1974-1984)
La Giunta Andrione mira a caratterizzare la propria politica:
contro il turismo di massa, a favore di un sistema di piccole e
medie imprese non inquinanti, in difesa della agricoltura, a
sostegno di una scuola che sia più valdostana. L'obiettivo
amministrativo è la salvaguardia della dimensione alpina
della Valle d'Aosta e la caratteristica principale del periodo
è la stabilità amministrativa; la Regione studia il
proprio potenziale energetico e si scopre autonoma, ma - intanto
- passano in Valle le linee del Superphoénix (con le
polemiche legate alla Centrale Atomica francese che produce
l'energia che queste devono distribuire). Prendono il via i
lavori per l'autostrada verso Courmayeur. Mutano talune
impostazioni di politica economica regionale (la pianificazione
al posto della programmazione, la Finaosta al posto dei fondi di
rotazione; ecc.), il riparto fiscale viene effettivamente fissato
ai 9/10 di tutte le tasse pagate in Valle d'Aosta; ciò
consente alla Regione di avere un bilancio molto ricco e di poter
intervenire positivamente in tutti i settori.
Gli anni del cambiamento
(1984-1992)
Rollandin succede ad Andrione nella carica di Presidente della
Giunta. I problemi occupazionali, soprattutto nel settore
industriale e degli acciai speciali, sono gravissimi: alcuni
provvedimenti del governo regionale ne limitano la
drammaticità. L'ipotesi di un taglio del riparto fiscale
da parte del governo centrale mobilita i valdostani che
raccolgono 23 mila firme di protesta. Il riparto assegna alla
Valle una grande ricchezza; la Regione diventa il primo
imprenditore ed entra da azionista nelle amministrazioni di
molteplici attività economiche. Industria, agricoltura ed
edilizia sono sostenute; si completa l'autostrada (con un grande
intervento finanziario regionale), si mette mano al riassetto
idrogeologico; le strade raggiungono - ormai - i più
lontani villaggi, opere antivalanghe proteggono il territorio. La
Valle d'Aosta pone la sua candidatura per le olimpiadi invernali
di sci del '98. Una nuova Giunta ("tutti contro l'U.V." )
sostiene i Giochi olimpici e l'insediamento in Valle di un centro
di sdoganamento della Mercedes; la Commissione Europea avvia una
procedura per distorsione della concorrenza sull'affare Mercedes;
sulle olimpiadi viene proposto un referendum (che ne
respingerà l'attuazione). La Giunta del ribaltone cade. E,
intanto, la Cogne rischia di chiudere davvero anche per effetto
dei "tagli" europei.
Gli anni della transizione e del bilancio storico
(1993-2000)
Dopo un breve periodo che vede alla Presidenza della Giunta
Ilario Lanivi, con le elezioni del 1993 Dino Viérin
diventa il nuovo Presidente della Giunta e guida una difficile
transizione: gli scenari futuri sono incerti, nasce l'Unione
Europea, si fanno sentire gli effetti della globalizzazione; la
struttura burocratica regionale appare inadeguata; la mappa
politica interna è instabile (sono spariti o si sono
trasformati i partiti politici tradizionali sostituiti da nuovi
schieramenti); una grave crisi economica interessa l'Italia
intera che, dopo le vicende di tangentopoli, deve metter mano al
risanamento dell'economia ed alla ricostruzione istituzionale. La
politica della Giunta Viérin è caratterizzata
dall'individuazione di un "sistema Valle d'Aosta", il tentativo -
cioè - di armonizzare lo sviluppo, di gestire le aree di
crisi sminuendone gli effetti negativi, di partecipare
attivamente ai processi di trasformazione delle istituzioni in
Italia evitando che la "seconda repubblica" e la nascita
dell'Unione Europea sminuiscano i contenuti dell'Autonomia. Con
il mondo del lavoro la Giunta firma un Patto per lo sviluppo,
dando sostanza a quella "concertazione" che, nel resto d'Italia,
viene contrastata dalle logiche liberiste del nuovo governo di
centro-destra retto da Berlusconi. Alle difficoltà di una
crisi economica incombente si aggiungono gravissime vicende di
storia locale: la tragedia del Tunnel del Monte Bianco ed una
devastante alluvione, seminano morti, disastri e crisi economica.
Lo Statuto di Autonomia compie 50 anni; se ne propone la
revisione in chiave europea. Anche il S.A.V.T. compie 50 anni
...
1952-1968
I primi anni di attività del S.A.V.T., come abbiamo visto,
non sono affatto facili: Sylvain Bois (primo Segretario del
S.A.V.T., nominato nel 1952 quando il S.A.V.T. aveva ancora un
Presidente, Pierre Fosson) e Giancarlo Ravet (nominato Segretario
nel 1959 e, poi, confermato, nel 1962) devono affrontare non solo
le normali difficoltà organizzative di ogni nuovo
organismo, ma anche quelle dovute al fatto che il S.A.V.T.
rappresenta, in qualche modo, una "anomalia" nel panorama
sindacale; nei primi anni di attività il S.A.V.T. è
composto soprattutto da operai della Cogne, delle miniere, delle
Cave, degli impianti elettrici e delle industrie della Bassa
Valle, mentre la rappresentanza di altre categorie è
ristretta (per i dipendenti regionali c'è già, ad
esempio, Pierre Vietti, già Presidente della
Société Ouvrière d'Aoste, storica
associazione di mutuo soccorso dei lavoratori). Fin dall'inizio
degli anni 60, però, nel Direttivo del S.A.V.T. entrano
nuove categorie che nel futuro del S.A.V.T. occuperanno spazi e
ruoli importanti: gli insegnanti,i pensionati (Vittorio Perron),
i lavoratori dello spettacolo-SITAV, ecc. Nel 1960 si
costituisce, all'interno del S.A.V.T., l'associazione "Union des
Paysans Valdotains"; l'associazione degli agricoli valdostani
rappresenta una delle organizzazioni che più intensamente
combatte, al fine di migliorare la produttività del
settore, per veder crescere l'importanza di tale attività
nell'economia della regione. A tal fine si pone come obiettivi la
ricomposizione delle proprietà fondiarie, la
razionalizzazione e l'assestamento delle colture, la
valorizzazione del territorio con opere di bonifica e di
miglioramento fondiario.
Nello stesso anno, a febbraio,
è fondato il S.A.V.M.E., Syndicat Autonome Valdôtain
Maîtres d'École che diventerà in seguito
S.A.V.T.-École, impegnato a lavorare per "la solution du
problème de l'école valdôtaine ... de plus en
plus urgente et délicate". Nel documento di costituzione
si legge un appello significativo: "Nous faisons appel à
tous les instituteurs soucieux de l'avenir du Pays, qui au dessus
de toutes les questions politiques, s'unissent pour
défendre l'intérêt de la catégorie et,
en même temps, du Pays". Fino al Congresso del 1968 il
S.A.V.T. vive un periodo di difficoltà: per affrontarla
alla sua segreteria è designata una triade formata da
Ovando Vallet (Segretario organizzativo), Attilio
Désandré (Segretario tecnico) e Albert Vuillermoz
(Segretario amministrativo). Al momento delle loro dimissioni
viene designato un commissario nella persona di Mario Andrione,
che resta al S.A.V.T. alcuni mesi, sino al momento in cui alla
carica di Segretario viene designato Pierre Fosson, coadiuvato da
Albert Vuillermoz come Segretario amministrativo Quando,
però, si riunisce il 4. Congresso, il S.A.V.T. ancora si
trova in difficoltà e in un momento di crisi, aggravata
dal fatto che i diritti del S.A.V.T. non sono ancora pienamente
riconosciuti. Il Congresso del '68 elegge, quindi, tre persone,
Pierre Fosson, Albert Vuillermoz e François
Stévenin in Segreteria, con il compito di rilanciare
l'organizzazione del S.A.V.T. e la sua presenza nel mondo del
lavoro.
Tra i protagonisti della storia del S.A.V.T. Pierre Fosson ha
sicuramente un ruolo determinante. Così lo ricorda
François Stévenin: "Pierre Fosson fut sans aucun
doute avec Albert Vuillermoz l'une des chevilles ouvrières
du Syndicat valdôtain et en quelque sorte un des hommes les
plus représentatif du monde du travail à
l'intérieur de la vie politique et administrative de la
Vallée d'Aoste. Il fut Président des sections des
travailleurs valdotains, membre fondateur du S.A.V.T et pendant
plusieurs année Secrétaire politique. Ses discours,
ses prises de position, ses articles ont contribué
à promouvoir le monde du travail et tout
particulièrement l'action du Syndicat valdotain. Son
engagement lui a coûté cher. Dans les années
50 il a été marginalisé à
l'intérieur de la Cogne où il était
employé, à tel point qu'il a été
transféré à Imola pour le tenir à
l'écart de l'activité syndicale et politique qu'il
menait à l'intérieur de la Cogne et de la
Vallée d'Aoste. Conseiller régional, assesseur et
enfin sénateur il a toujours été
fidèle à ses principes et à l'esprit
valdôtain".
Gli anni 70
È François
Stévenin a traghettare il S.A.V.T. verso un nuovo periodo
storico: dalla fine degli anni 60 alla prima metà degli
anni 80 sarà lui il Segretario del S.A.V.T.: raccoglie
l'eredità dei primi difficili anni di lavoro e ne
ammoderna la struttura e l'organizzazione; il S.A.V.T. passa dai
270 iscritti del momento di crisi in cui Stévenin vi si
avvicina, ai 4000 iscritti dell'anno in cui passa il testimone al
suo successore. François Stévenin ricorda di essere
arrivato al S.A.V.T. per aiutare un giovane funzionario
incaricato di riorganizzarne la struttura e le attività:
Bruno Salvadori; e ricorda che "in quel periodo all'interno di
tutti i sindacati c'era una fortissima politicizzazione; anche
nel S.A.V.T. si viveva questo clima, dovuto più al fatto
che il S.A.V.T. designava tre rappresentanti nel Comité
Central dell'U.V. (e, quindi, poteva incidere sugli equilibri
interni del movimento) che al fatto che U.V. e S.A.V.T.
condividevano gli ideali di Émile Chanoux". Non va
dimenticato che il quel periodo tutti i sindacati risultavano
essere strutture direttamente ed organicamente collegate alle
diverse forze politiche. Stévenin ricorda che "Salvadori
era guardato con sospetto, quale uomo proposto, in qualche modo,
da Caveri; erano gli anni in cui la Regione era governata dalla
cosiddetta Giunta del Leone, la Giunta dell'U.V. e delle
sinistre, una Giunta contestata dai giovani autonomisti
perché all'U.V. mancava una solida organizzazione e in
quella maggioranza prevalevano due elementi: la
personalità di Caveri e l'organizzazione del P.C.I.; ecco
perché un uomo di Caveri era guardato con sospetto da una
parte del S.A.V.T. che viveva un momento di politicizzazione
sì, ma in senso opposto: vi si annidavano, infatti, come
qualcuno affermava, gli oppositori interni dell'U.V.".
"Quando Salvadori lasciò il S.A.V.T., io lo rimpiazzai e,
senza meriti particolari, venni considerato con minori
pregiudizi". I primi anni di lavoro di Stévenin nel
S.A.V.T. sono molto difficili: "in conseguenza delle
problematiche e delle tensioni politiche - ricorda - i tre
segretari in carica, Vallet, Désandré e Vuillermoz
dettero le dimissioni, una parte dei militanti lasciò il
S.A.V.T. e concorse a formare la U.I.L. che in Valle d'Aosta non
esisteva (facendo saltare l'accordo che il S.A.V.T. aveva
sottoscritto con la segreteria nazionale della U.I.L. per quanto
concerne il patronato e, complessivamente la rappresentanza a
livello nazionale). La U.I.L. era sicura che mettendo in
difficoltà il S.A.V.T. ne avrebbero potuto occupare lo
spazio); era fortemente caratterizzata politicamente". Per
sottolineare quanto la situazione fosse grave, Stévenin
ricorda che "in quegli anni il S.A.V.T. aveva solo 270 iscritti,
70 dei quali raccolti nell'Union des Paysans di Thérivel;
quando Thérivel andò in pensione l'U.D.P.
cessò, di fatto, la sua attività". Momento di crisi
che non fu superato neppure quando, alla caduta della Giunta del
Leone, salì al potere il centro-sinistra. "Il S.A.V.T. -
dice Stévenin - privo di un'organizzazione consolidata e
delle strutture gestionali previste dallo Statuto fu
commissariato a seguito delle dimissioni dei tre segretari, per
alcuni mesi: Mario Andrione restò Commissario del S.A.V.T.
fino al nuovo Congresso che elesse in segreteria la triade
Fosson, Vuillermoz e Stévenin". Iniziò così
il rilancio del S.A.V.T.: "una nuova dirigenza, l'entusiasmo del
tentare di risalire la china recuperando iscritti, anzitutto fra
i lavoratori politicamente vicini all'U.V., la designazione di un
funzionario deciso e capace come Valentino Lexert e poi
l'apertura verso tutti gli altri lavoratori, quali che fossero i
loro orientamenti politici ... questi furono gli strumenti del
rilancio".
"La svolta positiva - ricorda ancora
Stévenin - venne quando un sindacalista della C.G.I.L.,
Martino Borettaz, in urto con il P.C.I. e con il suo sindacato
per ragioni politiche, fu licenziato dalla C.G.I.L., divenne
funzionario del S.A.V.T. e ne consentì il rilancio in
Bassa Valle d'Aosta; il S.A.V.T. dilagò in tutte le
fabbriche; ad ogni elezione delle Commissioni Interne, la sua
forza cresceva". Così mentre l'U.V. si spaccava a destra e
a sinistra, il S.A.V.T. se ne affrancava, diventando il
riferimento di tutti i lavoratori regionalisti e non solo questo;
ricorda, infatti, Stévenin, che "fu Vuillermoz (il mio
vero e proprio maestro, un uomo unico, sulla cui tomba si legge
un epitaffio semplice e significativo "géomètre et
syndacaliste") a rilanciare un discorso di accordo sindacale
attuato, prima che in ogni altra regione, proprio in Valle
d'Aosta: la costituzione della Federazione C.G.I.L.- C.I.S.L.-
S.A.V.T. - U.I.L., tutti i sindacati uniti nella loro
diversità, con un vertice di cui fecero parte tre
sindacalisti della C.G.I.L. (Polliotti. Giuliani e Fiou), tre
sindacalisti della C.I.S.L. (Beneforti, Dondeynaz e Santoro), tre
sindacalisti della U.I.L. (Serra, Celestino e Mazzocchi) e tre
sindacalisti del S.A.V.T. (Tamone, Lexert e Stévenin)".
"Avevamo ormai superato i mille iscritti quando decidemmo di
allargare l'attività del S.A.V.T. all'E.N.E.L. e - in modo
più organico - al mondo della Scuola; e scegliemmo una
linea di serietà: il S.A.V.T. non era ancora pienamente
riconosciuto e non poteva operare in tutti i settori; scelse,
così, di non fare iscritti nello Stato e nel Parastato
dove erano molto numerosi i lavoratori che avrebbero voluto
aderire; non potendo rappresentarli appieno, il S.A.V.T.
posticipò il proprio impegno in questi settori":
Stévenin racconta, così, che "con uomini come
Léonard Tamone (figlio di uno dei primi militanti della
Section della Cogne) ed Aldo Cottino, il S.A.V.T. poté
operare in primo piano fra i metalmeccanici e nelle dinamiche
dell'unità sindacale costituì sempre l'elemento di
mediazione, soprattutto fra le posizioni della C.G.I.L. e della
C.I.S.L. In questo S.A.V.T, così, entrarono senza remore,
anche lavoratori che votavano P.C.I. e lavoratori vicini al nuovo
movimento politico che aveva determinato l'elezione a Presidente
della Giunta di Cesare Dujany, i D.P., Democratici
Popolari".
"Al momento in cui lasciai il testimone, il S.A.V.T. aveva circa
4000 iscritti" dice Stévenin con una punta di orgoglio.
Stévenin ricorda alcuni dei momenti più esaltanti
della vita sindacale: le prime assemblee sui posti di lavoro
grazie allo Statuto dei Lavoratori; i grandi congressi sindacali
unitari a Roma ("Eur 1", "Eur 2"), tappe fondamentali
dell'unità d'azione del sindacato; le grandi
manifestazioni per la difesa dell'occupazione in Valle (Cogne,
Montefibre, Brambilla,...). "Ricordo battaglie sindacali
difficili e conquiste inaspettate, ma ancora mi rammarico per
quello che ritengo sia stato un errore del sindacato: la
Brambilla poteva essere riconvertita, se pur con una riduzione di
personale, ma il sindacato respinse il piano di riconversione che
proponeva dei tagli occupazionali; il sindacato era convinto di
poter vincere il braccio di ferro e salvare il posto di lavoro a
tutti, anche ai lavoratori più anziani che rischiavano di
perderlo per primi ... e invece lo persero tutti...". "Ricordo 40
giorni di lotta alla Montefibre che, poi, chiuse e si
spostò nel terzo mondo". "Il mio S.A.V.T. - conclude
Stévenin con un tono da cui traspaiono affetto e nostalgia
- è stato un sindacato molto partecipativo, impegnato
nella formazione dei suoi operatori, forte dell'apporto
propositivo dei suoi organismi direttivi e del profondo rispetto
per le persone che ne ha costituito sempre l'aspetto più
positivo".
"Quando entrai nel S.A.V.T. trovai una persona speciale, un
personaggio, in verità: quel Perron con il quale parlavo
solo in francese perché con il mio patois di Gaby non
riuscivo a comunicare con nessuno; gli altri lavoratori parlavano
ciascuno il proprio patois e si capivano, ma chi parlava il
dialetto di Gaby o quello di Fénis trovava non poche
difficoltà. Così parlavo in francese con Fosson,
Vuillermoz e tanti altri anche nelle riunioni del Comité
Directif". Stévenin ha vissuto direttamente tutto il
periodo del cosiddetto "autunno caldo", il periodo che vide il
mondo del lavoro italiano in subbuglio e lo scoppio del '68, la
contestazione degli studenti che - in Valle d'Aosta - cercarono
momenti di saldatura con le rivendicazioni dei lavoratori,
andando a picchettare - come si diceva allora - la portineria
Cogne. Alla fine degli anni 60 alla Cogne riprende una dura
lotta; alla Morgex-Carbo si sciopera per i premi di produzione,
alla Sirca-David e alla Quinzio Rossi si sciopera per gli aumenti
salariali; sono in lotta anche i lavoratori della SIB, quelli che
stanno lavorando alla costruzione dell'autostrada e gli operai
della SOIE di Châtillon che scioperano per il premio di
produzione. Momenti di grande mobilitazione dei lavoratori in
Valle d'Aosta e in tutta Italia. Poi venne la strage di Piazza
Fontana e la triste epoca di quella che venne definita la
"strategia della tenzione", con violenze e attentati che -
secondo alcuni - erano vere e proprie "stragi di Stato".
"È successo troppe volte - afferma Stévenin - che
in momenti di particolare tensione sociale e, soprattutto, quando
si fa più forte la spinta riformista dei lavoratori, il
terrorismo si faccia sentire, minaccioso". Al Congresso del 1981,
nelle tesi che illustrò al Congresso affermò, per
questo, che "face au problème du terrorisme et à
son effrayante recrudescence, le syndicat s'interroge afin de
pouvoir le combattre par des moyens appropriés et
surmonter ce sentiment diffus d'impuissance ".
Stévenin ha sempre ritenuto che la risposta migliore che
può essere data al terrorismo è la chiarezza
dell'azione sindacale: così, a fronte della crisi che
investiva l'Italia alla fine degli anni 70 osservò: "gli
obiettivi della lotta all'inflazione ed alla disoccupazione e
l'incremento del reddito pro-capite che comportano un
miglioramento della qualità della vita dei lavoratori,
vengono compressi da alcuni fattori interni ed esterni. Occorrre
perciò capovolgere questa tendenza partendo dalle
politiche regionali differenziate che, da sole, possono
illuminare la strategia di una politica nazionale. Ma al momento
le regioni non partecipano come dovrebbero al processo di
formazione di una programmazione, di quella che dovrebbe essere
la ripartizione delle risorse finanziarie tra i vari settori
economici nazionali. Per uscire dalla crisi è
indispensabile una seria conoscenza delle nostre capacità
di sviluppo. Il disavanzo della bilancia dei pagamenti non
è che una delle cause della crisi ... (alla quale) bisogna
aggiungere la debolezza crescente del sistema produttivo e
distributivo, l'uso distorto della spesa pubblica e degli
interventi assistenziali, la crisi istituzionale caratterizzata
da scandali, corruzione e instabilità politica". Tutti
ricordano che fecero scalpore alcune provocazioni che
Stévenin lanciò ad un Congresso quando, nel
rivendicare il ruolo delle regioni e, quindi, della Valle
d'Aosta, riaf- fermando i valori e l'importanza dell'Autonomia,
chiese: "qui sont les patrons au Val d'Aoste? Les industriels de
l'A.V.I.? La FIAT? Le Casino? Les Participation de l'Etat? Le
Président du Gouvernement régional? Peut-être
devons-nous les chercher à Rome? Ou parmi ceux qui
s'activent pour liquider la Cogne? Ou parmi ceux qui ont
tenté de faire échouer la répartition
financière? ".
Ricorda anche di essersi posto in modo critico "il problema
dell'avvenire industriale della Valle d'Aosta, il problema degli
strumenti di agevolazione creditizia destinati all'impianto, alla
ristrutturazione ed all'ammodernamento delle aziende, rispetto al
quale si ritardava a scegliere tra i fondi di rotazione e
l'attivazione di una Finanziaria regionale che, venne, infine
realizzata". "Il S.A.V.T. - osserva - seppe dire chiaramente in
quegli anni che la Valle d'Aosta non poteva continuare ad essere
terra di rapina per le materie prime, per l'energia elettrica, il
ferro, il carbone, il rame e il denaro sonante". "Una
considerazione espressa in quegli anni dal S.A.V.T. - conclude -
mi pare particolarmente significativa; gli appelli
all'unità sindacale non venivano proposti solo
perché è idealmente positivo che i lavoratori siano
uniti e che nessuna questione ideologica o di parte possa
dividerli: il S.A.V.T. affermò, infatti che
'l'unitè syndicale aujourd'hui ne peut pas être
uniquement un amplificateur des protestations contre la crise,
mais un instrument de planification de l'avenir'. Verità
indiscutibile". Il richiamo alla responsabilità diretta
del sindacato nel progettare e programmare il futuro fu, per
certi versi, anticipatorio di un sindacalismo che si evolve
paradigmaticamente passando da una fase nella quale i lavoratori
vanno difesi contro il padronato ad una fase nuova, nella quale -
quasi nell'ottica di una sorta di autogestione o di cogestione -
essi assumono dirette responsabilità nelle fasi di
superamento della crisi e nel progetto di rilancio di politiche
dello sviluppo. Stévenin ricorda anche che nel periodo in
cui ricoprì la carica di Segretario del S.A.V.T. si
impegnò in una difficile azione di collegamento delle
organizzazioni sindacali delle minoranze etniche e delle
nazionalità; sottolinea inoltre che "quelli furono anni di
grande tensione ed impegno culturale nei quali il S.A.V.T. fece
sentire la sua voce soprattutto grazie al lavoro di Pierre
Grosjacques e di Aléxis Bétemps".
Gli anni 80
Dalla metà degli anni 80 ai
primi anni 90, alla carica di Segretario del S.A.V.T. è
designato Ezio Donzel il quale ricorda, anzitutto, che il
paradigma testè accennato da Stévenin, evidenzia le
fasi che hanno caratterizzano il diverso modo di porsi e di
essere del sindacato nei vari momenti storici che ha
attraversato. "C'è stato - ricorda - il periodo nel quale
il sindacato era il 'sindacato rivendicativo', quello che si
batte per le libertà sindacali (ivi comprese quelle di
potersi liberamente riunire), che mirava unitariamente a
perequare il trattamento riservato ai lavoratori ed agli
impiegati (malattia, ferie, contingenza, ecc.) che era fortemente
discriminante". "Non posso dimenticare - dice Donzel in proposito
- la sorpresa e lo sbalordimento che colse i lavoratori quando fu
possibile tenere in fabbrica la prima assemblea, sul posto di
lavoro e in orario di lavoro .... Eravamo abituati a riunirci il
sabato e la domenica perché non esistevano permessi
sindacali e assemblee autorizzate".
Ezio ricorda, poi, l'altro sindacato, il "sindacato riformista"
quello che, esaurita la fase rivendicativa, "si impegnò
sulla problematica delle riforme (della sanità, delle
pensioni, della scuola, delle aziende pubbliche, ecc.)". Donzel
ricorda che "in questa fase entrarono in gioco le diverse
concezioni ideologiche, con l'alternativa comunista che mirava
non a riformare il sistema, ma a superarlo, nella convinzione che
il mondo fosse diviso in due blocchi in uno dei quali stavano i
capitalisti, mentre nell'altro stava la classe operaia; con il
moderato progresso delle aree laiche e cattoliche; con la
riaffermazione chiara ed antesignana, da parte del S.A.V.T.,
della proposta federalista". In questo periodo il S.A.V.T.
rilegge, così, il pensiero di Chanoux; non a caso, in una
relazione congressuale di Ezio Donzel (da cui sono estrapolati
alcuni passaggi riproposti in questo libro), la propugnazione del
Federalismo è presentata come una concezione economica ed
istituzionale diversa da tutte le altre. "La difesa
dell'Autonomia - ricorda Donzel - viene vissuta non come la
rivendicazione e l'affermazione di un privilegio, ma come una
positiva proposta di autogoverno, rovesciando tutte le logiche
dominanti in politica ed in economia per affermare la
possibilità della piccola dimensione di incidere sulle
scelte e, ad esempio, sulle scelte sindacali". Quello che Donzel
evidenzia come un problema importante del periodo in cui egli
resse la segreteria del S.A.V.T., è quello della
"democrazia" che "non è più concepita come il
diritto del singolo individuo di partecipare, ad esempio, con il
voto, ma come opportunità e diritto di un insieme di
individui che compongono una collettività, di decidere e
di governarsi da se". Per Donzel "il Federalismo è una
delle forme della democrazia e, nel caso specifico, è la
forma della democrazia economica che presuppone, da parte della
comunità una maggior assunzione diretta di
responsabilizzazione e la conquista dell'autogoverno".
Ciò significa, per Donzel, che
"il sindacato deve prendere coscienza dell'evoluzione del mondo
del lavoro, dove il capitale non è più costituito
solo ed esclusivamente dai mezzi di produzione, ma anche dalle
risorse intellettuali, professionali ed umane". "Si presuppone,
pertanto, - precisa - non il superamento o l'emulazione del
sistema capitalista, bensì l'individuazione di forme di
partecipazione e di gestione che consentano ad ognuno
l'espressione delle proprie competenze e professionalità e
l'assunzione di nuove forme di responsabilità nella vita
dell'impresa e nella gestione dell'economia. Questi aspetti non
vanno confusi con l'infausto consociativismo che, a volte, ha
fatto degenerare i ruoli tra economia, politica e sindacato".
"Certo non è semplice - precisa Donzel - spiegare che
contrapporre alla logica della compartecipazione quella della
cogestione, non è una semplice operazione filosofica o
ideologica, ma una scelta di campo forte, con forti conseguenze
sociali ed economiche". Nel dar corpo ai ricordi Donzel passa,
quindi, a parlare del "sindacato della programmazione " quello
che dovette prendere atto che, poco a poco, grandi industrie come
la Cogne, le Centrali, l'Egam, la Finsider e poi, a seguire, la
Montefibre, la Sadea, stavano uscendo dal mercato e mettevano in
atto piani nei quali i termini ristrutturazione e programmazione
significavano soltanto tagli occupazionali". "La
necessità, di contro, di ricollocare al lavoro mano
d'opera che ne era stata espulsa, fece maturare nel sindacato la
coscienza che, se un tempo aveva rappresentato preminentemente i
lavoratori occupati, ora doveva occuparsi del problema del lavoro
nel suo complesso, relativamente - cioè - a chi il lavoro
ce l'ha, a chi non ce l'ha ancora ed a chi lo ha perduto". Donzel
ricorda che nei primi anni '80 "le forze sociali, i sindacati e
le istituzioni stipularono un accordo che risultò essere
di avanguardia per l'Italia, teso da un lato a predisporre
interventi d'ordine strutturale (in questo modo s'intendeva
ovviare a carenze quali la mancanza di aree industriali, di
servizi alle imprese, di servizi finanziari, ecc.) e, dall'altro,
ad individuare strumenti e provvedimenti di accompagnamento e di
governo del problema degli esuberi di mano d'opera prodotti dalla
ristrutturazione.
Questi interventi si rivelano necessari anche ad affrontare le
problematiche di disoccupazione presenti sul mercato del lavoro
valdostano, superando una vecchia concezione di passività
di fronte a questi fenomeni, proponendo - invece - quelle che
vengono oggi definite le politiche attive del lavoro". È
questo il momento in cui avanzano anche i processi di
integrazione europea ed i relativi finanziamenti messi in campo
per la coesione sociale. Questo innesca nuove dinamiche e nuovi
problemi; il S.A.V.T. risponde a questa nuova situazione
collegandosi con le Organizzazioni Sindacali di altre
realtà italiane ed europee, nella logica e nella
prospettiva di affrontare tutte le nuove problematiche attraverso
l'organizzazione ed il coordinamento dell'azione di sindacati di
ispirazione federalista; già allora, infatti, era chiaro
che il nascente sistema europeo risultava molto centralizzato sia
nelle politiche economiche, sia in quelle sociali. "Oggi - dice
Donzel - tutti immaginano in Valle d'Aosta che la FINAOSTA sia
scaturita da chissà quali premesse e da chissà
quale volontà, mentre è scaturita dalle battaglie
del sindacato per affrontare in modo nuovo le complesse
problematiche che ho appena ricordato; prima di allora tutta la
gestione degli incentivi finanziari al mondo dell'impresa e della
economia era di competenza dell'Assessorato all'Industria, mentre
la creazione della FINAOSTA ha innescato meccanismi del tutto
nuovi. È stata frutto di una battaglia sindacale ... il
Consiglio regionale non la voleva .... Ed è scaturita dal
sindacato anche l'idea di creare uno strumento per la gestione
delle politiche attive del lavoro che ha portato alla creazione
di una Agenzia del Lavoro". S'infervora nel ricordare tutto
ciò, evidenziando quanto sia importante riconoscere al
sindacato la capacità di essere propositivo.
Di singoli fatti che si produssero nel
periodo in cui egli fu Segretario del S.A.V.T., Ezio Donzel
preferisce non parlare; afferma soltanto: "sono fatti troppo
recenti, fanno ancora parte più della attualità che
della storia; infatti anche quando sembrano aver esaurito il loro
effetto e poter essere, quindi, analizzati oggettivamente in
prospettiva storica, in realtà sono ancora presenti nelle
dinamiche odierne di cui costituiscono un riconoscibile
sustrato". Tiene a ricordare, però almeno tre vicende che
evidenziano il meritorio impegno del sindacato nel periodo in cui
egli ricoprì la carica di Segretario del S.A.V.T.:
"1 - il riconoscimento del S.A.V.T. raggiunto attraverso un
apposito Decreto legislativo (e Donzel sorride alle ironie della
storia ricordando che, per dargli applicazione, venne firmato un
Decreto del Presidente della Giunta regionale; Presidente in
carica, all'epoca, era Gianni Bondaz, figlio di quel Bondaz che
aveva avuto rapporti molto duri con il sindacato;
2 - il confronto con la Regione che vide il sindacato schierato
"contro" l'aumento indiscriminato degli organici regionali,
proponendo in alternativa un sistema che prevedesse l'analisi
delle funzioni della organizzazione del lavoro per individuare
correttamente i reali fabbisogni;
3 - il dibattito sull'indennità di bilinguismo che vide il
S.A.V.T. schierato a difesa della lingua francese, ma offeso
della possibilità che l'attribuzione indiscriminata
dell'indennità corrispondesse ad una monetizzazione della
lingua francese, al punto che il S.A.V.T. ne approvò
l'attribuzione a condizione che questa fosse accompagnata da
percorsi di formazione e perfezionamento che trasformassero le
conoscenze linguistica in una effettiva competenza
professionale".
Donzel ricorda in un'ampia relazione congressuale di quel
periodo, "la fase complessa di grandi processi di
ristrutturazione che ha visto momenti di riduzione occupazione e
di investimenti nella grande industria, di definizione di grandi
accordi commerciali, azionari e produttivi, un periodo che si
annuncia di preparazione di altri cambiamenti che si renderanno
necessari in vista dell'apertura del mercato europeo. Non posso
dimenticare inoltre che il sindacato si propone di realizzare, in
quegli anni, insieme alla parità di orario tra pubblico e
privato anche il passaggio dell'orario legale dalle 48 alle 40
ore settimanali". Ricordando ancora che nel 1985 il Sindacato
raggiunge un accordo con l'Amministrazione regionale per
governare propositivamente le fasi della transizione, osserva: "i
risultati non sono mancati, ad esempio sul piano occupazionale e
sul piano della strategia a medio periodo e della
ristrutturazione aziendale".
Donzel mostra particolare attenzione in quegli anni al problema
dei rapporti con le altre Organizzazioni Sindacali: oggi rilegge,
quasi sorpreso, alcuni passaggi di una sua relazione nella quale
affermava: "se lo Stato non è più il garante di
diritti, ma l'elargitore di diritti che sono solo presunti e che
sarebbe meglio definire con il vero loro nome, 'favori' ed
'interessi particolari', nella società si affermeranno
sempre di più nuovi centri di potere, trasversali ai
partiti, ai sindacati, alle istituzioni. Poteri semiocculti, ben
più complessi di quelli della strategia del terrore, della
P2, della stessa mafia, poiché insediati non con una
contrapposizione di ingiustizia alla giustizia, di fascismo sulla
democrazia, (ai quali sarebbe facile opporsi proprio in difesa
della giustizia e della democrazia), ma con lo stravolgimento dei
valori. Questi poteri occulti diventano addirittura l'espressione
dei nuovi egoistici valori, acquisiscono - cioè -
addirittura forme di legalità. Non è quindi un caso
che queste "lobbies" trovino nel sindacato un nemico. Il
sindacato con la sua pratica della democrazia, con il metro di
raffronto dato dal rapporto con gli iscritti e con i lavoratori,
rappresenta valori e cultura democratici. Il sindacato che
rifiuta lo slogan "non disturbate il manovratore" e le richieste
di delega piena, totalizzante, formulate da certa partitocrazia
ai cittadini, si fa garante dei valori della democrazia". Sono
affermazioni forti, queste di Ezio Donzel, che spiegano, oltre a
valori e principi che il sindacato vuole difendere, tutta la
preoccupazione del sindacato di essere delegittimato, in una fase
che vede i COBAS, i sindacati autonomi, prendere forza e
rappresentare un sindacalismo corporativo, negatore di quegli
altri principi fondamentali dell'azione sindacale che Donzel
considera "la forza stessa del sindacato: la solidarietà e
la confederalità".
Gli anni 90
Firmino Curtaz è designato Segretario del S.A.V.T. nel
1993 e resta in carica fino al 2000, quando decide di lasciare
l'incarico con un anno di anticipo sulla scadenza del suo
mandato. La sua è una lunga dichiarazione, una riflessione
complessiva sulle problematiche che hanno caratterizzato il
periodo nel quale ha ricoperto la carica di Segretario del
S.A.V.T.. Tutto il periodo degli anni 90 è caratterizzato
da profondi mutamenti che cominciano a prodursi, in particolare,
negli anni '92 -'93, con un'accelerazione ed una velocità
fino ad allora sconosciute: si tratta di mutamenti storici,
politici ed economici, intrinsecamente legati anche ad una
profonda rivoluzione tecnologica.
Il S.A.V.T. si è trovato ad agire e ad operare in questo
particolare momento con la consapevolezza che si stavano
producendo fenomeni di dimensione mondiale che interessavano una
parte sempre più ampia dell'umanità ed avevano una
ricaduta sulla comunità valdostana e sul nostro modo di
vivere e di operare quotidiano. Ha così dovuto adeguare in
continuazione la propria azione per poter fronteggiare una
realtà in continua evoluzione e per poter rispondere ai
nuovi bisogni ed alle nuove esigenze delle persone. L'ampiezza di
questi fenomeni è evidenziata dai termini che li
definiscono sinteticamente e che, proprio in quegli anni,
cominciano a farsi strada nel linguaggio di uso quotidiano:
"mondializzazione", "globalizzazione". La loro natura ed il loro
carattere "internazionale" pongono problemi di carattere
economico, sociale, occupazionale che il S.A.V.T. si è
proposto responsabilmente di affrontare. Oltre alle problematiche
di dimensione mondiale, in questi anni si evidenzia con
particolare rilevanza anche la necessità di creare un
più forte sistema socio-economico europeo. Prende concreto
avvio, dopo la firma del Trattato di Maastricht che fissa le
regole economiche che gli Stati devono rispettare per poter
partecipare al processo di integrazione, la costruzione
dell'Unione Europea, processo che, se pur in modo problematico e
non sempre coerente con gli interessi dei lavoratori, continua
fino ai giorni nostri che hanno visto l'introduzione in tutta
Europa di una moneta unica. Il S.A.V.T. ha sempre espresso,
storicamente, fiducia e speranza nella costruzione dell'Europa ed
in questa fase, si pone in modo critico ed insieme costruttivo
rispetto a queste nuove dinamiche; lavora affinché
l'Europa non sia soltanto una espressione economica, una grande
area di mercato, ma sia una parte del mondo nella quale la
democrazia, la pace, la libertà, la giustizia siano certe.
Una parte del mondo dove trovino soluzione i grandi problemi del
lavoro, del sociale, dell'ambiente, questioni purtroppo irrisolte
o mal risolte all'interno dei singoli Stati che la costituiscono.
Un'Europa nella quale siano riconosciute le specificità ed
i diritti delle comunità particolari, come la Valle
d'Aosta. Un'Europa che, forte di queste sue caratteristiche,
assuma un ruolo significativo di garante dei diritti dell'uomo e
dei popoli nello scacchiere mondiale.
Anche l'Italia degli 90 è in pieno fermento: la
situazione interna è difficile e, per molti versi, anomala
rispetto al resto d'Europa. Si vive una realtà di crisi
politica, finanziaria ed economica. I problemi più gravi
sono la crescita del debito pubblico, un sistema produttivo in
difficoltà, l'aumento della disoccupazione e le manovre
finanziare dei vari governi, manovre che si rivelano pesanti e
spesso inique, vere e proprie sfide con le quali il sindacato ha
dovuto fare i conti! Come se la crisi economica e finanziaria non
bastasse, si aggiungono gli effetti negativi di una certa
degradazione politica che rende la situazione ancor più
contraddittoria e difficile da fronteggiare. Sono gli anni di
"mani pulite" e di "tangentopoli" se vogliamo ricordarli con due
parole che ne hanno diffusamente riassunto le problematiche.
È in questo contesto che nasce il Governo Ciampi ed
è in questa situazione che è sottoscritto tra il
Governo e le forze sociali "l'accordo del 23 luglio 1993". Si
tratta di un'intesa basata su alcuni principi chiari e di grande
respiro, un accordo che rende possibile il raggiungimento di
ottimi risultati ed il cui spirito ancora oggi è attuale
ed indispensabile. L'accordo riguarda la politica dei redditi,
del lavoro e dell'occupazione, il sostegno alle dinamiche del
sistema produttivo e la definizione di nuovi assetti
contrattuali. Vengono anche fissati gli obiettivi generali comuni
perseguibili ed i soggetti firmatari si assumono la
responsabilità di realizzarli. L'impostazione di una nuova
politica dei redditi diventa una scelta indispensabile della
politica economica per assicurare una maggiore equità
nelle distribuzioni dei redditi, per favorire lo sviluppo
economico con l'ampliamento della base produttiva ed una
complessivamente maggiore competitività del sistema.
L'accordo mira a contenere l'inflazione ed a ridurre il deficit
pubblico dello Stato, garantendo la stabilità valutaria ed
impegnando il Governo a perseguire una politica tariffaria
coerente con questi obiettivi. È l'avvio di quel lungo e
pesante cammino che consente all'Italia di entrare nell'Unione
Europea rispettando, entro i tempi prefissati, i parametri
richiesti dal Trattato di Maastricht.
Scompare in questo periodo la scala
mobile e viene introdotto un nuovo modello contrattuale
caratterizzato su due livelli: un contratto collettivo nazionale,
con la finalità di garantire il potere di acquisto del
salario (contratto di durata quadriennale per la parte normativa
e biennale per la parte economica), un livello di contrattazione
aziendale o territoriale capace di cogliere i risultati positivi
delle imprese, soprattutto sotto il profilo della
produttività e della qualità. Il pubblico impiego
è coinvolto in una fase di grandi riforme. Vengono
definiti principi e criteri di riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche ed i rapporti di lavoro e di impiego
vengono disciplinati secondo le norme del diritto civile. Si
distinguono e si dividono le funzioni, i poteri e le
responsabilità degli organi di direzione politica rispetto
a quelli di direzione amministrativa. L'obiettivo della riforma
è contenere, razionalizzare e controllare la spesa nel
settore pubblico, accrescendo l'efficacia e l'efficienza della
macchina amministrativa, anche attraverso processi di
semplificazione burocratica. Si vuole con ciò accrescere
la capacità delle Pubbliche Amministrazioni di rispondere
ai bisogni ed alle esigenze dei cittadini e delle
comunità, migliorando l'utilizzo delle risorse umane,
puntando sulla formazione e sullo sviluppo professionale dei
dipendenti. Al perfezionamento di questo processo contribuisce
una modificazione introdotta nella contrattazione: i contratti
non sono più discussi direttamente con i rappresentanti
dei governi (centrale o locale), ma la contrattazione viene
affidata ad apposite agenzie. In Valle d'Aosta nasce, ad esempio,
l'ARRS e nella contrattazione viene introdotto il nuovo concetto
di salario accessorio, istituendo i premi di risultato e di
produttività. Varie riforme del sistema pensionistico sono
introdotte e toccano sia il settore pubblico sia quello privato,
modificando pesantemente i sistemi precedentemente in vigore ed
incidendo profondamente sulle aspettative dei lavoratori.
Questi aspetti nuovi hanno messo a dura prova il rapporto tra
sindacato e lavoratori con momenti conflittuali forti; tuttavia i
lavoratori ed il sindacato hanno dimostrato - in questa lunga e
complessa fase - un alto senso di responsabilità
nell'interesse comune. Il S.A.V.T. ha condiviso e vissuto,
insieme alle altre Organizzazioni Sindacali della Valle d'Aosta,
queste nuove situazioni emerse a livello italiano ed ha agito in
Valle d'Aosta per far comprendere la necessità del
cambiamento e delle riforme. In quel periodo, nasce direttamente
nei luoghi di lavoro una maggiore richiesta di democrazia del
sindacato. Nascono ad esempio le Rappresentanze Sindacali
Unitarie, che danno ulteriore spazio e voce ai lavoratori, in un
momento in cui le "vertenze sindacali" cambiano modo di prodursi,
modificando anche il metodo del confronto tra lavoratori e datori
di lavoro. Nascono anche nuovi bisogni. Si afferma la
necessità di porre in una prospettiva rivendicativa nuova
e diversa temi come: gli ambienti e la salute nei luoghi di
lavoro, l'organizzazione e la dignità del lavoro. Il tema
dei 'diritti' diventa centrali. Queste domande impongono una
nuova e più marcata partecipazione e l'esercizio da parte
del sindacato di un ruolo più complesso e attivo. Per
questo c'è bisogno di rafforzare e ampliare i momenti di
unità sindacale. Purtroppo questo processo si è
interrotto e ai giorni nostri le difficoltà sono
evidenti.
En Vallée d'Aoste aussi, la
situation s'avère particulièrement complexe, mais
un certain nombre de problèmes sont ici moins
compliqués par rapport au reste de l'Italie, grâce
entre autres aux prérogatives d'autonomie prévues
par le Statut. La conjoncture engendre toutefois un climat
défavorable qui n'est pas seulement le fait des
phénomènes économiques internationaux, mais
également de la faiblesse du système de production
intérieur, voire d'une fragilité
généralisée du système
économique. Du point de vue syndical, l'exigence se
manifeste d'actualiser les contenus du protocole signé en
1985 par les syndicats et l'Administration régionale, un
accord capital dans la mesure où il sanctionnait le
recours à la concertation préalable et à une
procédure d'examen et de solution des problèmes
tout à fait innovante.
Quelles sont donc les priorités à aborder?
Face à la crise qui sévit dans des secteurs entiers
(chimie, textile, métallurgie et mécanique) et qui
n'a d'ailleurs pas épargné la Cogne - de nombreux
travailleurs sont mis au chômage technique ou perdent
carrément leur emploi -, le Pacte signé par les
institutions et par les partenaires sociaux permet d'adopter des
plans de politique de l'emploi triennaux, d'amorcer la
reconversion de l'industrie et d'investir dans la formation et la
requalification professionnelle. Les signataires sont toujours
plus conscients de l'importance des valeurs dont s'inspire ce
pacte: car le dialogue et la concertation ont désormais
fait leurs preuves et les différents acteurs, loin de se
considérer comme des parties s'opposant les unes aux
autres, agissent en véritables interlocuteurs et
œuvrent pour permettre au "système Vallée
d'Aoste" de sortir de l'impasse. En 2000, le champ d'action de
cet accord s'élargit et un nouveau "Pacte pour l'essor de
la Vallée d'Aoste " engage désormais les
employeurs, aux côtés de l'administration et des
syndicats, à atteindre l'objectif principal: contribuer au
renforcement global et durable de l'économie
valdôtaine et, par là, garantir un taux d'emploi
élevé et une meilleure qualité de la vie
à l'ensemble de la communauté. Dans cette optique,
la valorisation des ressources humaines acquiert une importance
particulière, comme le prouve le projet qui aboutit
à l'institution de l'Université de la Vallée
d'Aoste. Par ailleurs, une réforme de l'appareil
bureaucratique s'impose afin que celui-ci puisse effectivement
jouer un rôle social, ce qui conduit à la mise en
œuvre du statut unique de la fonction publique
régionale.
Le syndicat aussi accorde une attention accrue à
l'individu et à ses exigences, qui se traduit à la
fois dans le renforcement des services existants et dans la
création de nouveaux services à l'intention des
travailleurs et des retraités. C'est ainsi que le S.A.V.T.
s'organise pour ajouter aux prestations de caractère
social normalement fournies par son Service d'assistance d'autres
prestations - l'aide à l'établissement des
déclarations des revenus, par exemple - et, partant, pour
développer son rôle d'acteur social et politique. En
sus du capital humain, le nouveau concept d'économie mise
sur la qualité et, par là, sur la valorisation de
l'ensemble des ressources locales: matières,
équipement et main d'œuvre. Dans ce contexte, le
développement économique de la Vallée
d'Aoste est facilité par les mesures entreprises par la
Région dans le secteur de l'énergie, ainsi que par
les efforts que tous les acteurs déploient en vue de la
reconversion et du réaménagement des sites
industriels, où viennent s'installer de nouvelles
activités de production, qui créent de nouveaux
emplois. C'est précisément à cette fin, et
aux fins de l'utilisation rationnelle de toutes les ressources
disponibles, que l'Administration régionale demande
à bénéficier des financements de l'Union
européenne. Grâce notamment aux Fonds structuraux,
la Région réalise plusieurs projets de soutien qui
ne manquent pas de profiter à l'ensemble des acteurs
socio-économiques valdôtains. L'usine Cogne, dernier
complexe sidérurgique du Nord de l'Italie, est un exemple
significatif du rôle que la concertation et l'apport
technique et économique de la Région (qui a, entre
autres, acheté certains sites) jouent dans le maintien en
Vallée d'Aoste d'un établissement toujours aussi
important, malgré la réduction des effectifs
provoquée par les logiques du marché.
Pour en revenir à l'Italie, la situation empire en 1994,
lorsque les rênes du gouvernement sont prises par une
majorité du centre-droite qui, de par sa nature, n'accorde
aucune valeur à la concertation, ni au dialogue avec les
acteurs sociaux qu'elle a du mal à considérer comme
des interlocuteurs; une majorité qui entend lancer des
réformes qu'elle ne se préoccupe pas trop de
discuter avec les partenaires sociaux, mais qu'elle veut imposer
au détriment des classes les plus démunies et au
profit des classes privilégiées. Cette
réalité renforce inévitablement
l'unité des syndicats, et ce, sans préjudice de
l'identité du S.A.V.T.. C'est ainsi que le mouvement
syndical organise de grandes manifestations populaires contre le
gouvernement et contre ses actes offensifs vis-à-vis de
ces travailleurs qui, au cours des années
précédentes, ont fait d'énormes sacrifices,
persuadés comme ils l'étaient de participer
à un processus auquel contribuaient également les
institutions et les employeurs. Les vicissitudes de la politique
italienne provoquent la chute du gouvernement de centre-droite
qui reconquiert cependant la majorité en 2001. La logique
libériste refait surface, et force les travailleurs et les
syndicats à se rallier et à s'organiser pour
réaffirmer l'importance des valeurs et des droits de tous
les travailleurs.
En résumé, quelles conclusions peut-on tirer de cet
exposé?
Tout d'abord, il y a lieu de constater que le débat sur le
Fédéralisme s'est sensiblement élargi, bien
que les interprétations utilitaires - voire fausses - de
cette pensée et les conversions tardives en
réduisent la portée réelle. Tout le monde
parle désormais de Fédéralisme, avec quelque
50 ans de retard par rapport au S.A.V.T. qui s'en inspire depuis
toujours, au point d'en avoir fait le fondement de son existence.
Il y a dix ans seulement, parler de principes
fédéralistes tels que la subsidiarité et la
décentralisation ou affirmer la valeur et l'importance de
la dimension locale n'était pas courant et risquait
même d'être considéré comme un attentat
à l'unité de l'État. Aujourd'hui, ces sujets
sont débattus au Parlement et des réformes -
hélas, insuffisantes - ont été
adoptées en ce sens. Et s'il est vrai que depuis
l'effondrement du mur de Berlin, bien des choses ont
changé et qu'il ne reste plus tellement de place pour les
batailles idéologiques, il n'en est pas moins vrai qu'il
faut encore lutter pour la pleine reconnaissance d'un syndicat
comme le S.A.V.T., qui revendique son caractère ethnique
et autonome. Voilà deux idées sur lesquelles il
convient d'apporter quelques précisions pour éviter
toute ambiguïté. Le S.A.V.T. œuvre depuis
toujours selon le principe de " l'unité dans la
diversité " et n'a jamais voulu défendre des
positions privilégiées, ni des
intérêts corporatistes: il a simplement et
tenacement défendu son particularisme, contre toutes les
tentatives d'assimilation menées à l'échelle
nationale. Ainsi, le syndicat entend lutter pour contribuer aux
dynamiques qui s'amorcent sur la scène tant
européenne que mondiale, sans pour autant renoncer
à sa diversité. Car les principes qui inspirent
l'action du S.A.V.T. - et notamment l'exigence de
représenter les attentes et les intérêts des
travailleurs valdôtains, mais également de la
communauté tout entière - n'ont jamais perdu de
leur valeur, ni de leur actualité. La conscience
d'appartenir à une seule communauté, unie et
solidaire, fait douloureusement surface lors des deux
tragédies qui frappent notre région ces
dernières années: l'incendie du tunnel du
Mont-Blanc et l'inondation du mois d'octobre 2000. Autant de
drames qui endeuillent la Vallée d'Aoste et engendrent de
lourdes conséquences pour l'économie
régionale, déjà sérieusement
touchée. Autant de moments où le peuple
valdôtain fait preuve de sa volonté de regarder en
avant.
Nel fluire del racconto Firmino Curtaz dimentica di citare un
"particolare"; nel periodo in cui è Segretario, il
S.A.V.T. raggiunge quasi gli 8 mila iscritti!
Gli anni 2000
Dopo il Congresso Confederale del 2001, alla Segreteria del
S.A.V.T. è designato Guido Corniolo, ma di questa fase non
è ancora il momento di tracciare una nota storica: siamo
ancora alla attualità, una attualità resa difficile
dai mutamenti in atto nella società italiana (va al
governo Silvio Berlusconi che imposta una politica liberista cui
il sindacato si contrappone), nell'Europa (L'Unione Europea si
rafforza con la nascita della moneta unica, l'Euro), nel mondo
(si affermano le logiche di un liberismo sfrenato sintetizzato
dal termine "globalizzazione").
Fin dai primi mesi del 1954 il
S.A.V.T. si propone di stabilire dei contatti con una
organizzazione dei lavoratori che gli consenta di fornire servizi
assistenziali. La scelta cade sulla U.I.L. in considerazione del
fatto che questa non è presente in Valle d'Aosta ed ha un
programma sociale per molti versi affine a quello che il S.A.V.T.
stesso si propone di svolgere. Pierre Fosson, a nome del S.A.V.T.
prende, così, i contatti necessari con i vertici della
U.I.L. e, in particolare, con il signor Viglianesi e con il
senatore Carmagnola, ponendo le basi di un accordo che è
stipulato il 13 dicembre 1955 a Torino e nel quale si afferma:
"Il S.A.V.T. affida all'Unione Italiana del Lavoro mandato di
rappresentanza per tutte le vertenze ed i problemi a carattere
nazionale ed internazionale, ferma restando la più
completa Autonomia sindacale ed organizzativa del S.A.V.T.
medesimo. La Unione Italiana del Lavoro s'impegna a fornire
assistenza tecnica e sindacale al S.A.V.T., per tutto quanto
concerne la sfera della propria attività e competenza e a
non interferire nelle decisioni di qualsiasi ordine e grado degli
organi dirigenti ed esecutivi del S.A.V.T." Questa intesa
riavvicina il S.A.V.T. anche alla C.I.S.L., che in quegli anni
è alleata della U.I.L. La struttura sindacale valdostana
si definisce compiutamente: C.G.I.L., S.A.V.T. e C.I.S.L. sono le
organizzazioni presenti a livello locale.
I primi anni di attività per il S.A.V.T. sono difficili e
culminano con il secondo congresso nel 1959. Nelle parole del
direttivo uscente le motivazioni di tali difficoltà sono
spiegate in questo modo: "Questo nostro involontario ritardo nel
preparare il Congresso è dovuto a molteplici motivi e
qualcuno di questi è di portata sostanziale. La grave
crisi finanziaria nella quale si dibatteva il Sindacato,
può già per se stessa giustificare questo nostro
ritardo; la carenza di uomini pronti ed esperti nella vita
sindacale è un altro motivo da non sottovalutare..." Viene
inoltre evidenziato che "grave è la carenza in campo
assistenziale, carenza che ha trovato soluzione nel 1954 grazie
all'accordo raggiunto coll'Istituto I.T.A.L. Centrale; l'ufficio
di patronato ed assistenza sociale inizia la sua opera facendosi
nel tempo, largamente conoscere tra i lavoratori: soprattutto da
quelli della categoria agricola spesso abbandonata a se stessa".
Il direttivo del S.A.V.T. analizza, inoltre, i rapporti
intercorsi in questi primi sette anni di vita con le altre
Organizzazioni Sindacali, iniziando ad evidenziare le
caratteristiche del rapporto con la U.I.L., un accordo di mutua
rappresentanza. Lo scopo che il S.A.V.T. si pone con tale
esperimento di collaborazione è mantenere in campo
nazionale rapporti tali da assicurarsi la possibilità di
sensibilizzare queste organizzazioni sui problemi e le
aspirazioni dei lavoratori della Valle d'Aosta in occasione della
discussioni dei contratti di lavoro, degli accordi
interconfederali e delle norme legislative a carattere
sociale.
Diverso invece è il rapporto
con la C.G.I.L. che, fin dalla nascita del S.A.V.T., è
estremamente difficile e polemico. Con il famoso sciopero di 47
giorni alla Cogne la situazione si inasprisce maggiormente a
causa delle divergenze di veduta. La situazione sindacale
determinatasi in Italia dopo l'offensiva padronale, negli anni
sessanta si fa, però, sentire in modo particolarmente
pesante, obbligando a rivedere e modificare certi atteggiamenti
permettendo così un riavvicinamento delle due
organizzazioni. Anche con la C.I.S.L. inizialmente i rapporti
sono freddi ed ispirati a reciproca diffidenza, a causa di quella
che il S.A.V.T: definisce "la mancata comprensione delle nostre
posizioni da parte dei loro direttivi, composti di uomini che, in
taluni casi, avevano militato nella ... Séction
Travailleurs, e che per questioni prettamente politiche si
allontanarono da noi e divennero ... i nostri più grandi
oppositori in seno alla C.I.S.L.". Con il tempo la situazione
mutò fino a consentire momenti di positiva collaborazione:
ne sono un esempio gli accordi relativi alla "Banca delle ore" e
quelli riguardanti i miglioramenti delle condizioni lavorative
all'interno della Cogne. La C.I.S.NA.L. ed altre sigle sindacali
rimangono, invece, completamente escluse da qualsiasi rapporto
con il S.A.V.T. Facendo un passo indietro è bene tornare
ai rapporti intercorsi con la U.I.L.. L'accordo venne meno nel
1966 quando la U.I.L., convinta di poter occupare lo spazio che
il S.A.V.T. si era costruito, decide di entrare direttamente
nella vita sindacale valdostana troncando i rapporti di mutua
rappresentanza con il S.A.V.T.. Giorgio Benvenuto, Segretario
U.I.L., afferma l'impossibilità della coesistenza di
quattro Organizzazioni Sindacali in Valle d'Aosta, sostenendo la
necessità per il S.A.V.T. di operare una scelta confluendo
all'interno della C.G.I.L., della C.I.S.L. o della U.I.L.. Il
S.A.V.T. rifiuta tale idea e continua sulla sua strada con la
solidarietà di altre Organizzazioni Sindacali. Ne è
la prova la dichiarazione di Bruno Trentin, prestigioso dirigente
della C.G.I.L. (di cui diviene in anni successivi Segretario
generale), il quale in occasione del Convegno di Trieste tenutosi
il 17 e18 giugno 1972 sostiene che "il S.A.V.T. non solo ha
ragione, ma avrebbe torto se sostenesse una strada diversa per la
sua organizzazione".
Purtroppo a causa del mancato
avanzamento del processo unitario, si assiste ad una divisione
all'interno del sindacato. Le cause sono da ricercare nel
problema della rappresentatività: la legislazione corrente
sovente delega la rappresentanza di Enti, Commissioni, Comitati a
Organizzazioni Sindacali nazionali e talvolta a Organizzazioni
presenti all'interno del C.N.E.L. e in questo modo il S.A.V.T.
rischia di essere escluso. Attraverso riunioni a livello
regionale con le altre Organizzazioni Sindacali, quasi sempre
intervengono degli accordi, adottando il metodo della rotazione
degli incarichi, ma il problema più grave risulta essere
quello del collegamento con le categorie "Nazionali". Infatti,
mentre per i metalmeccanici non esistono problemi di sorta, per
altre categorie, come ad esempio la scuola, si pone il problema
dell'informazione e della partecipazione alle diverse riunioni di
categoria. Il problema si presenta anche in occasione dei vari
Convegni indetti dalla Federazione C.G.I.L. - C.I.S.L. e U.I.L.,
per partecipare ai quali il S.A.V.T. è costretto a
richiedere la "concessione" di un posto alle altre Organizzazioni
Sindacali. Malgrado ciò, le Organizzazioni Sindacali in
Valle d'Aosta operano quasi sempre di comune accordo, soprattutto
nei posti di lavoro.
L'8 novembre 1972 è raggiunto
un grande traguardo nel mondo sindacale valdostano: si
costituisce in Valle d'Aosta la "Federazione
C.I.S.L.-C.G.I.L.-U.I.L.-S.A.V.T.". "I Consigli Generali della
C.I.S.L., C.G.I.L., U.I.L. e del S.A.V.T. riuniti in Aosta l'8
Novembre 1972 - si legge nel documento - decidono di costituire
la 'Federazione C.I.S.L.- C.G.I.L.-U.I.L.-S.A.V.T.' della Valle
d'Aosta. I Consigli Generali ... ribadiscono, inoltre, la loro
volontà di realizzare l'unità sindacale ... e
considerano il Patto Federativo come un momento importante e
significativo, ma non alternativo, ai fini del raggiungimento
dell'obiettivo prioritario e inscindibile della 'unità
organica' di tutti i lavoratori". Scopo essenziale della
"Federazione" è realizzare politiche comuni volte
all'affermazione di un nuovo modello di sviluppo economico e
sociale; la Federazione, consapevole che dall'attuale situazione
si esce solo con una nuova politica economica e sociale,
impegnano la Federazione a mobilitare i lavoratori ed a lottare
per il raggiungimento dei seguenti obiettivi: realizzare la piena
attuazione dello Statuto speciale; salvaguardare ed estendere la
democrazia minacciata dalle forze di destra e fasciste; difendere
il diritto di sciopero; salvaguardare l'occupazione; conquistare
una nuova organizzazione del lavoro e il rinnovo dei contratti;
dare attuazione alle riforme per espandere l'occupazione, dare a
tutti i cittadini i servizi sociali necessari; combattere la
speculazione eliminando le cause dell'aumento del costo della
vita.
Inoltre la "Federazione" promuove,
attua direttamente e coordina, a tutti i livelli programmi di
attività e di formazione unitaria dei quadri e dei
militanti sindacali, peraltro non sostitutivi delle iniziative
delle singole Confederazioni. Il S.A.V.T. riconosciuto, ormai di
fatto, quale movimento sindacale di grande peso all'interno della
vita socio-economica valdostana raggiunge il suo più
grande traguardo nel 1989 con il riconoscimento ufficiale di
sindacato maggiormente rappresentativo su base regionale, sancita
dal Decreto Legislativo 28 dicembre 1989, n. 430 che riguarda
"Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Valle
d'Aosta in materia di previdenza e di assicurazioni sociali", in
virtù del quale al S.A.V.T. sono estesi gli stessi diritti
riconosciuti alle altre Organizzazioni Sindacali. Questo
importante risultato è acquisito grazie all'impegno
profuso dai parlamentari valdostani e, in particolare,
all'attività svolta dall'on. Luciano Caveri. Il Consiglio
regionale, accertato il requisito di maggior
rappresentatività di cui all'art 5. D.Lg 430, tenuto conto
dei principi statutari del S.A.V.T. e del fatto che esso
rappresenta, con oltre 4300 iscritti in tutti i settori
dell'attività produttiva valdostana, l'unica associazione
sindacale di minoranza linguistica operante nella regione, visti
l'art. 6 della Costituzione e gli artt. 3 e 4 dello Statuto
speciale per la Valle d'Aosta, dichiara - in data 27 dicembre
1990 - che l'Associazione "Syndicat Autonome Valdôtain des
Travailleurs - S.A.V.T. "possiede il requisito della maggior
rappresentatività in sede locale. Il S.A.V.T. può
ora operare ufficialmente anche negli ambiti statali, parastatali
e in quelli delle ferrovie dello Stato. La sua
rappresentatività è soggetta negli anni '90 ad
altri interventi legislativi, che integrano, modificano e
rafforzano la posizione delle Organizzazioni Sindacali delle
minoranze linguistiche nell'ambito della provincia di Bolzano e
della Regione Valle d'Aosta. Nel 1998 un nuovo Decreto
Legislativo, quello del 31 marzo, recante il numero 80, rafforza
i contenuti del Decreto 430, riconoscendo al S.A.V.T., che conta
ormai quasi otto mila iscritti, pieno diritto nella funzione
pubblica. Il percorso di pieno riconoscimento non è ancora
compiuto, ma importanti passi in avanti sono stati fatti.
Gli obiettivi che hanno caratterizzato
e che caratterizzano il S.A.V.T. sono i seguenti:
1 - difesa e promozione degli interessi economici, professionali,
morali e culturali dei lavoratori della Valle d'Aosta e
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro;
2 - superamento e trasformazione radicale delle strutture
economiche e politiche in previsione della realizzazione del
Federalismo integrale;
3 - collaborazione con le Organizzazioni Sindacali delle
cosiddette minoranze etniche e con quelle europee.
Per quanto riguarda il primo obiettivo, dando per acquisita la
ricostruzione di tutta l'azione che il S.A.V.T. ha svolto nei
suoi 50 anni di vita, è il momento di soffermarsi
sull'aspetto culturale, ribadendo l'importanza della lingua come
elemento caratterizzante dell'identità dei valdostani che
si aggiunge agli altri elementi propri di ogni sindacato. Durante
il periodo fascista la Valle è stata sottoposta ad un
processo di italianizzazione che ha comportato, all'epoca, la
trasformazione della denominazione delle località dal
francese all'italiano. Bandita la lingua francese in quasi tutti
gli ambiti, poco è mancato che anche cognomi delle
famiglie valdostane scomparissero anch'essi. Per la Valle d'Aosta
il bilinguismo, sancito nello Statuto di Autonomia quasi come una
riparazione storica, non rappresenta solo un fatto culturale
radicato nella storia della Valle d'Aosta, ma anche il
presupposto su cui si basa l'Autonomia stessa.
È importante sottolineare che il S.A.V.T. ha preso una
posizione netta nei riguardi del bilinguismo, approvando
più volte, documenti ed affermazioni di principio che
analizzano il problema da un punto di vista storico, culturale e
sociale. La lingua francese è il segno distintivo di un
popolo che vuole mantenere vive le sue tradizioni e non vuole
rinnegare le sue radici. Secondo obiettivo caratteristico del
S.A.V.T. è il Federalismo. Più volte nel corso
delle occasioni congressuali il S.A.V.T. ha ribadito questa
scelta, considerata come l'unica strada percorribile per la pace
ed il rispetto dei diritti dei popoli. In tale ottica il S.A.V.T.
è parte di un sindacalismo che si organizza e si
costituisce in tutte quelle zone d'Europa dove una parte dei
problemi rimane irrisolta perché non sussistono
sufficienti strumenti di autogoverno, di libertà sindacale
e di autodecisione a livello locale e quindi, si subiscono
maggiormente gli effetti di una crisi determinata e voluta per
indebolire il movimento dei lavoratori e, al tempo stesso, per
frenare le alternative economiche e politiche con atti di
imposizione sociali, economici e istituzionali che poggiano la
loro forza sul centralismo". L'analisi economica di Chanoux vede
nelle valli, piccoli organismi socialmente perfetti, il terreno
più adatto in cui esperimenti sociali, anche arditi,
possono aver luogo senza portare a sconvolgimenti
irreversibili.
Nelle valli operai e contadini si
identificano nei medesimi soggetti: qui esiste il fenomeno del
doppio lavoro e la presenza di un ceto che non è
proletario, ma è costituito da operai-agricoltori o da
operai-proprietari, piccoli o piccolissimi. La proposta di
Chanoux è quindi finalizzata a queste categorie dalle
quali deve continuamente ottenere l'avallo. In questa
realtà, libertà e Autonomia, non solo politica, ma
anche economica, rappresentano il mezzo per la vera realizzazione
del Federalismo inteso quale movimento dei lavoratori e dei
popoli. Il Federalismo, quindi, è basato sull'impegno di
costruire una società pacifica e democratica che consenta
ad ogni popolo di affermarsi e svilupparsi pienamente,
organizzandosi istituzionalmente secondo le proprie esigenze, in
un contesto nel quale ogni individuo possa anch'esso svilupparsi
in solidarietà con gli altri individui, in uno spirito di
tolleranza: una società democratica caratterizzata da
un'omogeneità storica, culturale, geografica ed economica.
Il Federalismo diventa, in questo contesto, la strategia per
armonizzare situazioni tanto diverse in una società nuova
che concepisca i rapporti fra i popoli e l'equilibrio dei loro
interessi e della loro identità sulla base della
cooperazione; anche in questo il Federalismo si conferma come
strumento per il superamento delle rigide divisioni in stati e
per la costruzione di un'Europa dei popoli.
Il Federalismo può essere in conclusione definito quale
metodologia generale dell'organizzazione sociale, e come tale si
fonda su specifici "principi fondamentali": Il principio di
Autonomia: si concretizza nel riconoscimento del diritto
all'esistenza organizzata di ogni gruppo umano, cioè del
diritto dei popoli di disporre di se stessi in tutte le forme di
organizzazione sociale all'uopo necessarie. Tale principio
corrisponde al diritto alla autodeterminazione, che si articola
in quattro forme:
1) l'autoaffermazione, quale legittimazione di ogni progetto di
associazione. Popoli, nazioni, comunità di lingua, di
cultura, di fede, di interessi sono riconosciuti nell'istante
stesso in cui prendono coscienza della loro identità e
decidono di organizzarsi;
2) l'autodefinizione, intesa come diritto riconosciuto ad ogni
collettività di porsi propri parametri territoriali;
3) l'auto/organizzazione che si concretizza nel potere di porsi
propri parametri isitutuzionali al fine di organizzarsi come
meglio si intende e non sulla base di un modello imposto da un
potere esterno. Questo, però, sempre nel rispetto delle
altre collettività;
4) l'autogestione, concepita come potere di un popolo di
governarsi, di amministrarsi e di gestire liberamente i propri
interessi nel contesto del suo Statuto.
Il principio di esatta adeguazione o
di sussidiarietà. Il sistema federale è costituito
da una pluralità di comunità che si integrano in un
sistema più vasto e organizzato. Dal comune alla
federazione mondiale, è necessario un principio di
ripartizione, di distribuzione di competenze ai diversi livelli.
Saranno demandate ad organizzazioni superiori solo quelle
competenze che, per la loro soluzione, per la loro natura e per
la loro dimensione non sono risolvibili dalla sola
comunità. Il principio di partecipazione. Il principio di
partecipazione è l'elemento basilare del sistema
federalista. In base ad esso la collettività deve
contribuire, attraverso tecniche appropriate, attivamente e
formalmente alle decisioni assunte ai livelli più alti. Il
principio di cooperazione. Il principio di cooperazione mette in
evidenza il carattere contrattuale del Federalismo, implicando
per ogni problema la possibilità di trovare una specifica
soluzione in un quadro o in procedure liberamente elaborate dalle
collettività interessate: ciò può riguardare
sia la cooperazione tra regioni e stati federati per la gestione
di risorse sia la realizzazione d'investimenti comuni diventando
così cooperazione a livelli diversi ma con finalità
identiche. Il principio di cooperazione è fondamentale nel
Federalismo armonizzando e coordinando i diversi livelli ed
introducendo un elemento di efficacia garantito dalla
flessibilità e dalla elasticità dei rapporti
interni alla struttura federale stessa. Il principio delle
garanzie. Secondo il principio delle garanzie il più
piccolo deve potersi tutelare nei confronti del più
grande. A tal fine il Federalismo pone da una parte garanzie
normative e dall'altra parte garanzie giurisdizionali che devono
assicurare la possibilità di un ricorso sistematico
all'arbitrato ed alla messa a punto di un sistema giudiziario
indipendente dalle influenze esterne.
Il terzo obiettivo, la collaborazione con le Organizzazioni
Sindacali europee, si è concretizzato in diverse
occasioni. Nei giorni 1, 2 e 3 Maggio 1982, in occasione del
trentesimo anniversario del S.A.V.T., si è tenuta
l'assemblea delle Organizzazioni Sindacali e dei militanti per un
sindacalismo delle comunità etniche e nazionali dello
Stato italiano. Questa assemblea ha avuto lo scopo di verificare
l'analogia dei problemi che si presentano nelle diverse
realtà e di migliorare la collaborazione tra le
Organizzazioni Sindacali delle varie minoranze etniche e
linguistiche. Al termine dell'assemblea è stata creata la
Consulta Sindacale delle Comunità Etniche e Nazionali
dello Stato italiano la quale deve operare per mantenere ed
ampliare i rapporti già esistenti tra organismi sindacali
espressi dalle comunità etniche e nazionali e per
collegare gli sforzi ed il lavoro di quanti operano nelle
realtà etniche e nazionali attualmente prive di una
struttura sindacale. Obiettivo primario della Consulta è
stato chiarire una linea corretta per quanto riguarda il problema
delle minoranze linguistiche cui si riferisce l'art. 6 della
Costituzione. In un apposito documento la Consulta ha così
affermato:
"1) la tutela dei singoli individui deve avvenire attraverso la
comunità cui essi appartengono: il che significa che
è necessario prevedere norme di diritto collettivo e non
semplicemente personale; infatti l'individuo parla una lingua in
quanto appartiene ad una comunità di parlanti quella
lingua, e questa è non solo un mezzo di comunicazione ma
anche di autoidentificazione del gruppo;
2) un diritto collettivo applicato a delle "minoranze
linguistiche" le riguarda per ciò che le rende tali;
così che risulta fondamentale per la loro individuazione e
per la tutela l'aspetto territoriale; le comunità in
questione si sono formate storicamente su un dato territorio
(friulani, ladini, occitani, e...) oppure hanno stabilito da
secoli col territorio rapporti di stabilità (albanesi,
croati); per i rom, nomadi per eccellenza, il territorio è
la comunità stessa;
3) ai fini della individuazione dei referenti dell'articolo 6
della Costituzione:
a - tratto fondamentale è la lingua (sottinteso:
differente da quella italiana), e a questo proposito è
necessario considerare come lingua l'insieme delle varianti
geografiche e sociolinguistiche che nel loro complesso formano il
codice ed il sistema differente dall'italiano, indipendentemente
che per esse ci sia o non ci sia al momento una lingua comune o
Koinè istituzionalizzata e riconosciuta;
b - le comunità con lingua diversa dall'italiano sono
minoritarie, e cioè per la loro consistenza numerica sono
gruppi relativamente più piccoli rispetto ad una
maggioranza all'interno dello Stato.
Sono identificate quali comunità minoritarie, con lingua
differente dall'italiano e minoritarie, quelle: slovene,
friulane, tedesche, ladine, franco provenzali, occitane,
catalane, sarde, greche, albanesi, croate, rom, francesi".
Contestualmente è creato anche il CPSN (Coordinamento
Permanente dei Sindacati Nazionalitari) che afferma l'intento di
stringere i rapporti tra le organizzazioni del sindacalismo
nazionalitario, le cui organizzazioni sono impegnate nel duplice
fronte della difesa dei diritti e degli interessi dei lavoratori
ed in quello della costruzione di una Europa dei Popoli nella
quale tali diritti siano ancor maggiormente tutelati, grazie al
rispetto ed alla valorizzazione delle diverse identità:
baschi, catalani, corsi, galleghi, bretoni, scozzesi, ecc., hanno
partecipato direttamente alla fase costitutiva del Coordinamento,
mentre altri vi hanno aderito successivamente. Nella seconda
metà degli anni 90 il S.A.V.T., inoltre, ha iniziato a
collaborare con le Organizzazioni Sindacali transfrontaliere
collegate nei Consigli Sindacali Interregionali, all'interno dei
quali il S.A.V.T. gode dello statuto di osservatore; i Consigli
raggruppano le Organizzazioni Sindacali regionali, le
confederazioni nazionali affiliate alla C.E.S. e quelle delle
regioni frontaliere. Non sarebbe possibile comprendere la
qualità dell'approfondimento di cui il S.A.V.T. si
è mostrato capace, senza riportare l'analisi che
François Stévenin illustrò nel Congresso
Confederale del 1981 quando, affrontando i problemi della
integrazione europea, ebbe modo di anticipare molte delle
problematiche con le quali ancor oggi facciamo i conti:
l'integrazione europea, gli squilibri "regionali" in Europa e in
Italia, i diritti dei popoli, gli interessi del capitale, i primi
passi della globalizzazione (il documento è riportato nei
capitoli dedicati all'impulso ideale).
Attorno al tavolo ci sono alcuni
dirigenti delle OO.SS. della Valle d'Aosta; due esperti sono
arrivati appositamente da Roma per una di quelle iniziative di
formazione rivolte ai cosiddetti "quadri" sindacali che
rappresentano un indispensabile momento di crescita del
sindacato. La materia è complessa, ma i due tecnici sono
davvero in gamba trovano gli esempi giusti per spiegare in modo
facilmente comprensibile i complessi meccanismi di un calcolo
fiscale. Quando sembra che tutto sia stato chiarito, Felice
chiede la parola, dice che non è convinto, afferma di aver
letto "da qualche parte" che c'è stato un provvedimento
successivo a quelli citati dai due esperti e che questo
modificherebbe ciò che questi hanno affermato. I due sono
affabili e gentili, tentano di replicare, ma Felice è
impietoso: tira fuori di tasca il portafogli, estrae un foglietto
spiegazzato, lo apre e lo riapre più volte e, finalmente,
può leggerne il contenuto: è la notizia del
provvedimento di cui aveva parlato. I due tecnici si guardano
sorpresi e si chiedono chi sia quell'uomo dall'aspetto burbero ed
i baffi prominenti che tiene ripiegati nel portafogli fogli e
foglietti con chissà quali notizie; si accertano con una
telefonata a Roma di come stiano effettivamente le cose e poi si
scusano: "quel signore con i baffi ha ragione; a proposito, come
si chiama?" "Roux, Felice Roux" risponde il nostro. Felice
è entrato nel S.A.V.T. nei primi anni 70 quando era
giovane; in quegli anni operava come sindacalista in fabbrica ed
aveva modo di confrontarsi giornalmente, sulle tematiche
sindacali, con François Stévenin, Valentino Lexert
e Aldo Cottino. Felice è l'uomo dalle molte risorse, il
personaggio che più di ogni altro incarna l'impegno, la
solidarietà e la serietà del lavoro che il S.A.V.T.
si propone di rappresentare. Non c'è vecchia foto,
documento, contratto, legge e norma di cui quasi nessuno si
ricorda più che Felice non sia in grado di reperire e di
mettere a disposizione rapidamente. E senza ausili informatici,
tutto alla vecchia maniera.
Non c'è dettaglio che gli sfugga nelle questioni
amministrative del S.A.V.T. di cui egli è responsabile;
non c'è vecchio iscritto o dirigente di cui Felice non
ricordi un aneddoto o un particolare. Questo ed altro
perché "i miei ricordi - dice Felice - non sono legati
solo al S.A.V.T., ma - almeno per quanto concerne la fabbrica, la
Cogne - a tantissimi compagni di lavoro, alcuni dei quali non
più in vita, indipendentemente dal sindacato di cui
facevano parte. Voglio ricordare un nome per tutti: Sergio
Graziola". Per questo mentre di altri esponenti del S.A.V.T.
questo libro ricorda l'apporto operativo e l'elaborazione
intellettuale in occasione di Congressi o pubblicazioni,
rinviando ad altra occasione la sottolineatura delle date e delle
qualità umane, per Felice doti umane e lavoro sono
assolutamente inscindibili. Come quando racconta ai più
giovani funzionari del S.A.V.T. di oggi, o ricorda agli altri,
gli anni nei quali la lotta del sindacato rese possibile
l'approvazione dello Statuto dei Lavoratori, lasciando trasparire
nel racconto più che il senso pratico della conquista,
quello morale: "i lavoratori - dice - recuperarono la loro
dignità in fabbrica".
"Per capire perché oggi è così importante
difendere lo Statuto dei Lavoratori ed i suoi principi - dice
spesso - bisogna ricordare in che clima i lavoratori si trovavano
a svolgere le loro faticose otto ore di lavoro in Cogne; non
c'era il tempo di una pausa per mangiare; era sconsigliato non
solo leggere, ma perfino anche solo portare in tasca un giornale
sindacale o politico". "Allora - e si infervora - non c'erano i
portieri, ma i guardiani ... il nome la dice lunga; dovevano
cioè avere certe ... caratteristiche ed erano incaricati,
tra l'altro, di perquisire i lavoratori perché il padrone
sospettava gli venissero sottratti attrezzi da lavoro; dovevano
dar la caccia ai lavoratori di cui il padrone sospettava qualche
eccesso di riposo sul posto di lavoro; dovevano visitare a casa
(loro, non i medici...) i lavoratori che restavano in
malattia...". Quando racconta queste cose Felice si emoziona
ancora nell'affermare che "il lavoratore fuori dalla fabbrica era
un cittadino con dei diritti e dei doveri, ma dentro alla
fabbrica era solo un numero, una macchina dentro ad una tuta, uno
dei tanti meccanismi e degli strumenti del lavoro, privo di
libertà, di diritti e di dignità". Oggi che
è in pensione, Felice ricorda ancora che "certi lavori
erano massacranti e il lavoratore, quando era avanti con gli anni
non riusciva più ad eseguirli e veniva declassato, ci
rimetteva soldi in busta paga e dignità". Felice non
è mai stato un "nemico" degli impiegati, ma certo non ha
dimenticato quando in fabbrica "sussistevano ingiustizie e
disparità di trattamento tra operai ed impiegati,
ingiustizie espresse da vecchi concetti padronali".
Mentre racconta queste cose Felice ripensa alle interminabili
chiacchierate con Pietro Bioley, Albert Vuillermoz, Victor Perron
ed altri che sono stati la sua scuola: "Non c'erano permessi
sindacali per riunirsi e discutere; non c'erano diritti;
però c'era tanta voglia di cambiare e c'era tanta vera
solidarietà tra i lavoratori". Per questa ragione afferma
spesso: "non posso accettare la messa in discussione dello
Statuto dei Lavoratori che restituì ai lavoratori non
migliorie economiche, ma dignità e diritti". "Oggi -
osserva ancora - ci sono le 150 ore per l'istruzione e la cultura
dei lavoratori; c'è il diritto alla salute; c'è il
tempo per andare in mensa ...tutte cose che sembrano normali, ma
che è stato necessario conquistare". Felice ricorda i
tempi in cui "i lavoratori eleggevano direttamente i loro
rappresentanti scegliendoli nei singoli reparti,
indipendentemente dal Sindacato di cui facevano parte ... ecc.".
Il foglio degli appunti su cui trascriviamo il fiume di
informazioni che Felice ci propone è fitto: "dovremmo
ancora ricordare che ... " incalza, ma lo interrompiamo,
perché su ogni vicenda ci farebbe riempire un notes e
dovremmo probabilmente scrivere un altro libro. "Fatemi spendere
almeno alcune parole sulla Cogne - insiste - perché
è impensabile parlare del S.A.V.T. senza fare un continuo
collegamento con questa fabbrica". Al di là del fatto
storico (il primo nucleo della Section des Travailleurs si
costituì proprio all'interno della Cogne), l'intera storia
dell'azienda si intreccia, infatti, con quella del S.A.V.T.. "Le
prime iscrizioni, i primi militanti, i primi quadri dirigenti del
S.A.V.T. - ricorda Felice - sono nati in fabbrica. E il ricordo
delle innumerevoli lotte, portate avanti dal S.A.V.T. con gli
altri sindacati, in fabbrica e fuori, sono ancora vivi. Lotte per
la difesa dei posti di lavoro, contro la chiusura indiscriminata
degli impianti, contro la messa in liquidazione, a sostegno delle
giuste rivendicazioni salariali e normative degli operai e degli
impiegati; lotte per il risanamento ambiente dell'azienda e per
la tutela della salute dei lavoratori".
"In particolare - ricorda ancora Felice - sono state dure e
continue le lotte sindacali portate avanti negli anni 80 e 90 per
evitare lo smantellamento della Cogne e la sua svendita alla
FIAT/Teksid.; la mobilitazione dei lavoratori ha creato le
condizioni per evitare il degrado dell'azienda e per mantenere in
efficienza gli impianti, garantendo l'occupazione e la produzione
di acciai speciali di qualità". Felice Roux è
convinto che "il continuo confronto a tre, condotto da Sindacati,
IRI e Regione Autonoma Valle d'Aosta (oggi questo tipo di
confronto viene chiamato "concertazione") è stato
determinante e attraverso di esso si sono poste le basi per
rendere competitivo lo stabilimento Cogne mediante un piano
concreto di investimenti per la sua ristrutturazione e
razionalizzazione". "Nel 1994 - afferma ancora - questa
situazione ha contribuito a far sì che la Cogne fosse
acquisita da un gruppo privato, mantenendo oltre all'occupazione
ed alla produzione, anche la qualità del prodotto; ora,
quasi otto anni dopo che questo assetto societario si è
stabilizzato, lo stabilimento ha oltre 1100 dipendenti, è
uno dei pochi stabilimenti di questo genere e di queste
dimensioni rimasti in Italia e produce acciai speciali di alta
qualità; ha un buon mercato, anche estero; la tutela della
salute dei lavoratori ed il miglioramento delle condizioni
ambientali sono soddisfacenti; l'azienda ha, inoltre, un ritorno
economico di non poco conto. Possiamo dire che è stata la
responsabile azione sindacale, sostenuta da un impegno concreto
delle istituzioni, a rendere possibile il raggiungimento di
questi positivi risultati".
Non sono più molte le persone che possono vantare 50
anni di iscrizione al S.A.V.T.; tra i fondatori ed i primi
dirigenti abbiamo potuto ascoltare la testimonianza diretta di
Sylvain Bois e di Ernesto Breuvé; tra quanti ancora oggi
sono impegnati negli vari organismi direttivi del S.A.V.T.,
restano anche alcuni militanti della prima ora., tra i quali
abbiamo potuto ascoltare - senza voler far torto ad altri -
Rinaldo Zublena, oggi Segretario del S.A.V.T.- Retraités.
Rinaldo Zublena ricorda che "fare il sindacalista all'inizio
degli anni 50 non era una scelta facile; significava, in
particolar modo, mettersi sicuramente in cattiva luce agli occhi
dei datori di lavoro e le conseguenze potevano anche essere
gravi. Quando lavoravo alla Quinzio e Rossi di Verrès
operavo nella C.G.I.L., ma in quegli anni la battaglia sindacale
mi sembrava troppo legata a scelte partitiche e ad estremismi che
non condividevo e non condivido. Ricordo che alla nascita del
S.A.V.T. mi toccò fare qualche discussione animata con
colleghi di lavoro che, pur essendo valdostani e pur facendosi
passare addirittura per unionisti, non credevano nel S.A.V.T.. Io
ci ho creduto subito, proprio per l'Autonomia che il S.A.V.T. ha
sempre avuto dai partiti, anche dall'U.V., per la sua
equidistanza dai sindacati che non vedevano, secondo me, in modo
chiaro gli interessi dei lavoratori valdostani e della Valle
d'Aosta.
Di quegli anni ricordo, in particolare, alcuni personaggi di cui
forse la storia ufficiale non farà mai il nome, ma che
sono ugualmente importanti: ricordo l'amico Bertschy di
Hône-Bard, con i suoi lunghi ed accorati interventi in
francese. Ricordo che contro il S.A.V.T. ci furono molte
polemiche, come se mirasse a mandare via dalla Valle d'Aosta i
lavoratori che non erano di origine valdostana; quante volte ho
sentito dire stupidaggini di questo genere e, quante volte, non
le hanno dette solo gli avversari per criticare il nostro
sindacato, ma anche gli stessi compagni di lavoro iscritti al
S.A.V.T. ... tutti amici miei; per questo né io, né
tanti altri lavoratori valdostani di adozione ci abbiamo mai
creduto, e non ci credevano neppure quelli che quelle cose le
dicevano. C'è stato un momento particolare di lotta
sindacale che qui voglio ricordare e che non posso dimenticare:
la nascita della F.L.M., Federazione dei Lavoratori
Metalmeccanici". Altri personaggi possono vantare di essere "da
sempre nel S.A.V.T." trovandosi, ancora oggi, a far parte dei
suoi organismi dirigenti, anche se - essendo più giovani
di coloro che vissero da vicino gli anni della fondazione - non
possono vantare 50 anni di iscrizione.
Leonardo Tamone racconta: "travailleur de la Cogne, à la
moitié des années 60 je décide
d'adhérer à un syndicat et je choisis le S.A.V.T..
Je participe activement à la vie du syndicat et je me
porte candidat aux dernières élections de la
Commissione Interna: l'ami Pierre Bioley est le premier des
élus, je suis le deuxième, sur la liste du S.A.V.T.
bien entendu. À ce moment-là l'Occident est en
plein dans la période des révoltes estudiantines et
à la Cogne, comme un peu partout en Italie dans le monde
du travail, il se passe un grand nombre de choses: de la
réglementation des assemblées du personnel aux
élections du Consiglio di Fabbrica, à
l'élimination du cottimo, les batailles avec l'Intersind
sont multiples et virulentes. En dépit des
problèmes d'ordre économique et financier qui
freinent en partie notre action, nous travaillons d'une
manière intense au sein de notre syndicat. Les rapports
avec les syndicats italiens sont plutôt compliqués,
surtout parce que l'unification syndicale qui était alors
à la mode, avait pour but d'effacer toutes les sigles.
Nous nous sommes toujours opposés à cette
idée et constatons avec satisfaction que si l'unité
d'action existe toujours, l'unification, elle, semble bien
être tombée dans l'oubli. J'évoque le
souvenir de ces années-là avec tendresse et
émotion, surtout parce que nous croyions - et quand je dis
nous je pense en particulier à Albert, à
François, à Valentino, à M. Perron et
à tous les autres que je ne cite pas de peur d'en oublier
trop - nous croyions, disais-je, oeuvrer non seulement pour
l'épanouissement des travailleurs de la Vallée
d'Aoste, mais aussi pour l'épanouissement du peuple
valdôtain tout entier".
Luigino Impérial è iscritto al S.A.V.T. dal 1963,
anno in cui dopo aver frequentato la scuola di fabbrica
entrò a lavorare alla Cogne. Dal 1970 al 1994, anno in cui
lasciò il lavoro, è stato sempre eletto membro del
Consiglio di Fabbrica e in tutti questi anni, a brevi periodi
alterni, è stato distaccato al S.A.V.T., dove è
ancora attivissimo. Ricorda, in particolare, "la battaglia dura
per l'abolizione dei cottimi, portata avanti dai lavoratori negli
anni 70 e le lotte contro la chiusura delle miniere e degli
altiforni che trasformarono il modo di produrre in fabbrica e
lasciarono a casa circa 200 lavoratori". Ricorda, anche quanto
fossero rigidi ed inaccettabili le condizioni cui erano costretti
i lavoratori prima della approvazione dello Statuto dei
Lavoratori: "i guardiani erano dei veri e propri sorveglianti
che, tra l'altro, effettuavano controlli rigorosi; in portineria,
all'uscita dal turno potevamo essere perquisiti; e se - per caso
- timbravamo il cartellino prima di esserci cambiati ed aver
indossato gli abiti da lavoro, potevamo essere multati. Il lavoro
era duro e in certi reparti lo era sicuramente più di
quanto io stesso abbia potuto sperimentare personalmente; so,
però, che ai lavoratori pesava, più di tutto, non
la fatica, ma la mancanza di rispetto per la loro dignità.
Per questo quando oggi, anno 2002, ci ritroviamo a discutere
sull'articolo 18 e sullo Statuto dei Lavoratori, io dico che
dobbiamo difendere quelle conquiste a tutti i costi,
perché furono conquiste che restituirono non solo
giustizia, garanzie o migliori condizioni di lavoro, ma
dignità ai lavoratori".
Luigino ricorda inoltre "le manifestazioni che i lavoratori
fecero nel decennio 1975-1985, quando fu necessario lottare per
evitare che la Cogne venisse smobilitata, fallisse e venisse
svenduta alla FIAT: ci furono manifestazioni di ogni genere,
scioperi, assemblee davanti alla portineria Cogne, blocchi
pacifici del traffico stradale; l'intero esecutivo del Consiglio
di Fabbrica di cui facevo parte insieme a Bruno Albertinelli, ad
Alessandro Bortot, a Bortolo Busa, a Romolo Cavallini, a Paolino
Cottino, a Giorgio Migliorini, a Secondo Petrocco, a Zanon
Gianfranco, a Félix Roux e a Piero Ferraris - oggi
assessore regionale - fu denunciato per blocco stradale e per i
danni che la fabbrica lamentò di aver subito
perché, bloccando l'uscita delle merci, sembra che non
poté partire addirittura una nave che a Genova aspettava
un carico dalla Cogne per portarlo oltremare". "Nel corso di una
di queste manifestazioni - ricorda ancora Luigino - avvenne un
fatto emblematico: ci furono dei tafferugli con dei camionisti
che cercarono di forzare il blocco della strada nei pressi dei
cavalcavia di Aosta; alcuni manifestanti furono identificati e
denunciati all'autorità giudiziaria e - allora - la
stragrande maggioranza dei lavoratori della Cogne si
autodenunciò per solidarietà e per condividere le
stesse difficoltà dei compagni di lavoro. Sono vicende,
queste, che non si possono dimenticare...".
I ricordi di Battista Montrosset sono i ricordi di una
ragazzino che, figlio di operai-contadini, entra in fabbrica,
alla Cogne quando il perdurare del secondo conflitto mondiale
rischiava di determinarne la chiusura: "se fosse successo
chissà se mai avrebbe potuto riprendere ...". È una
storia dura, la sua, perché "con la paga di una quindicina
mio padre" - ricorda Battista - "riuscì a comprare solo un
chilo di sale al mercato nero". Uno storia dura perché
quel ragazzino visse le costrizioni della vita in fabbrica con
"un magone, ma un magone..." che può ben essere capito,
pensando al fatto che la sua vita vissuta nei campi era
tutt'altra cosa:... "la fabbrica era proprio una angoscia"
precisa. Battista ricorda che dopo la guerra si diede da fare nel
sindacato C.I.S.L. perché "bisognava fare qualcosa per
migliorare le condizioni di lavoro" e perché "all'interno
della C.G.I.L. c'era un clima troppo duro"; "quelli pensavano
alla rivoluzione" - dice - sorridendo al pensiero che molti suoi
amici si ritrovavano su quelle posizioni e, comunque, l'amicizia
non venne meno, né venne meno la solidarietà che
sempre esiste tra lavoratori che condividono pene e fatiche.
"Alla nascita del S.A.V.T., io che avevo già fatto parte
delle Sections, vi aderii immediatamente" dice ancora.
Ci fermiamo di fronte alla vecchia fotografia che ritrae i
fondatori del S.A.V.T. e me li indica, cercando nella memoria
nomi e cognomi e muovendo appena la testa nel dirmi che "pochi di
questi sono ancora vivi"; e così parla di Albino Duclos,
di Amos Dagnes, di Provino Montrosset e poi racconta di scioperi,
di Congressi, e di quelle battaglie che soprattutto la C.G.I.L.
voleva portare avanti ogni volta che in fabbrica veniva
installata una nuova macchina: "le macchine portano via il lavoro
all'uomo, dicevano, ed in parte poteva anche essere vero; la
verità è che quando, ad esempio, vennero installate
alcune macchine di fabbricazione americana ed il forno Truman
(così chiamato perché allora Presidente degli Stati
Uniti era proprio Truman), la C.G.I.L. dimostrava che il mondo
era davvero diviso in due e loro stavano da una parte...". Il
S.A.V.T. che Battista ricorda è un S.A.V.T. dove si parla
patois, dove i valdostani di adozione erano chiamati "giaponeis"
o in un altro modo, "cisse de ba per lè"; e anche se, in
risposta, ai valdostani veniva affibbiato un nomignolo
apparentemente offensivo, Battista osserva che "non ci fu nel
sindacato e sul lavoro nessuna forma di razzismo". C'è un
personaggio che Battista ricorda con particolare rispetto: Ravet,
Segretario del S.A.V.T., "uomo di grande qualità che ha
saputo far crescere nei lavoratori la coscienza dell'importanza
del lavoro e dell'uomo sul posto di lavoro". E cita un aneddoto
che dà la dimensione umana di Ravet: "nei primi anni 50...
non ricordo bene... arrivò ad Aosta un Ministro della
Repubblica ... mi pare fosse Sullo o Pella; Ravet fu chiamato a
sostenere un contraddittorio con questo Ministro, ma costui era
così imponente, alto e grosso, che prima di riuscire a
dirgli in faccia quel che a nostro avviso si meritava, Ravet ebbe
un momento di panico ... si riprese quasi subito, ma in
quell'attimo ci accorgemmo che per trovare la forza di andare
avanti, dovette cercarla non solo nelle sue capacità, ma
nel fatto che aveva con se tutti i suoi amici, compagni e
lavoratori, che questi si aspettavano molto da lui... questo
è il S.A.V.T., ci sono gli uomini, i dirigenti, i
segretari ... e con loro ci sono i lavoratori".
Ci sono stati momenti ed episodi di cui Battista ha conservato
un ricordo più vivido: "quando le Brigate Rosse uccisero
Moro - ricorda ad esempio - le Confederazioni Sindacali nazionali
chiesero a tutte le strutture periferiche dei sindacati di
approvare un documento di condanna; in Valle d'Aosta il documento
non fu firmato all'unanimità perché alcuni
sindacalisti, con accalorati interventi, convinsero una parte di
lavoratori che i veri responsabili della morte di Moro erano
quelli che non avevano voluto trattare la sua liberazione e che,
standosene al governo, mal digerivano la svolta politica che
sembrava Moro fosse pronto ad imprimere al paese". Ma ricorda
anche episodi ameni e personaggi, a loro modo simpatici, come il
lavoratore napoletano Cassone, il quale diceva: "bisogna fare
sciopero, ma io non lo faccio perché il padrone non mi
paga la giornata di sciopero...". Per chi, come Battista, al
sindacato ci ha davvero creduto, ci sono state anche delle
delusioni cocenti: "purtroppo il sindacato ha perduto delle
grandi occasioni per poter dimostrare di esser capace non solo di
protestare, ma anche di gestire: la vicenda della COINOP, ad
esempio, mi ha ferito profondamente; era una cooperativa che
poteva funzionare, doveva funzionare nell'interesse dei
lavoratori, per spingere il mondo del commercio a praticare
prezzi giusti, senza aumentarli a piacimento e senza ragione; ma
quell'esperienza finì male ...".
"Nel mio piccolo ho fatto quello che potevo per il Sindacato, ma
quando mi chiedo che cosa mi ha dato il S.A.V.T. in questi suoi
50 anni, devo concludere che mi ha dato davvero molto. Quando
sono entrato in fabbrica ero un ragazzo che veniva da un paese
agricolo, vi ero nato e cresciuto, lavorando come tutta la
famiglia in agricoltura; trovai molte difficoltà ad
inserirmi nella fabbrica. Nella mia educazione e nella mia
cultura contadina, il lavoro è al primo posto, la
volontà di fare qualcosa con le proprie mani e con la
propria fatica è un insegnamento imprescindibile;
purtroppo, però, il mondo del lavoro è anche il
mondo dei furbi, di quelli che sanno presentarsi bene, che fanno
di tutto per rendersi graditi ai superiori; chi invece affronta
il mondo del lavoro in modo ingenuo, cercando soltanto di
svolgere nel modo migliore il proprio lavoro, trova
difficoltà ed incomprensioni che rendono più
difficile la sua vita nella fabbrica. Io ho trovato queste
difficoltà ed è stato il sindacato, è stato
il S.A.V.T. a farmi sentire che nei posti di lavoro il lavoratore
è, prima di tutto, una persona e che fra i lavoratori
è indispensabile la solidarietà". E mentre
ripieghiamo i fogli con gli appunti sulle sue dichiarazioni,
ancora deve dirci una cosa:"credo che una cosa sia da ricordare:
ciò che il sindacato ha fatto nel campo
dell'infortunistica; la sicurezza sui posti di lavoro è
importante, io ho visto tanti lavoratori coinvolti in drammatici
incidenti sul lavoro e, per fortuna, poco a poco, le norme per
evitarli sono state rese sempre più efficaci, grazie al
sindacato".
Se c'è un ambito storico nel quale le donne hanno fatto fatica ad affermarsi, questo è il sindacato italiano. Il "perché" è fin troppo chiaro: il percorso di emancipazione della donna è stato lungo e difficile e non è ancora del tutto compiuto, tant'è che esiste un Ministero per le Pari Opportunità costituito proprio perché questo percorso sia più agevole. In uno studio sul problema delle donne nel sindacato è stato evidenziato che "le donne non solo chiedono più salario, ma con maggiore determinazione degli uomini chiedono migliori condizioni di lavoro, servizi sociali e norme a favore della maternità, orari più umani e posti di lavoro più salubri e sicuri: cioè qualità del lavoro prima della qualità del salario". Anche nella storia del S.A.V.T. le donne hanno vissuto questi stessi problemi, queste stesse situazioni. Del resto anche nella vita politica, in quella sociale, in quella culturale, lo spazio conquistato dalle donne - in prima persona - è sempre stato ed è ancora limitato. Le donne di cui nel S.A.V.T. si ha, così, una prima memoria storica, sono le mogli, le compagne di vita degli uomini che nel S.A.V.T. hanno operato. Ciò dimostra che l'apporto femminile anche in questa sola dimensione non è di secondaria importanza. Dietro ad ognuno degli uomini del S.A.V.T., quindi, c'è questa grande realtà: donne "anonime" che non possono, tuttavia, essere dimenticate. E le donne più attivamente e direttamente impegnate nel sindacato? Dobbiamo tener conto del fatto che i meriti e le capacità forse bastano agli uomini, ma non bastano alle donne lavoratrici per assumere visibilità. Questo è vero almeno per i primi anni del dopoguerra e negli anni 50, nei quali la donna nel sindacato è una lavoratrice da tutelare, ma raramente assume cariche ed incarichi nel sindacato. Carla Varetti ricorda gli anni prima felici e poi drammatici della Bassa Valle, dove l'industria, dopo aver dato lavoro a tante persone, è entrata in crisi ed afferma: "c'è un sindacalista del S.A.V.T. che stimo molto, Ivo Guerraz, cui toccò l'ingrato compito di gestire le diverse situazioni di crisi". "Non ho mai vissuto la mia condizione di donna lavoratrice come se questo fosse un problema in un mondo del lavoro nel quale la presenza maggioritaria è maschile; i miei problemi erano lavorare e crescere i figli; e poi devo dire che alla Brambilla di Verrès, insieme ad altre 15 donne e ad un solo uomo (che non resistette a lungo ...) feci per anni il turno di notte: 16 donne senza bisogno di un capoturno, volontarie, impegnate in un turno che era duro, ma che consentiva loro di occuparsi durante il giorno, della famiglia e dei figli". Gli anni di cui Carla Varetti parla sono duri e non nasconde la rabbia che prova ancora oggi, per certe inspiegabili crisi, come quella vissuta dalla Feletti, una impresa che avrebbe potuto essere un fiore all'occhiello per l'intera Valle d'Aosta e che, invece, fallì. "Il sindacalista del S.A.V.T. Riccardo Borbey - ricorda Carla Varetti - è al corrente più di chiunque altro di questa brutta esperienza, inspiegabile, che fu una vera doccia fredda per i lavoratori: era fiorente e prestigiosa, ma fu mal gestita ..." e qui viene fuori la donna che non si fa problemi con il lavoro e con la fatica (tant'è che si sottopone a turni stressanti), non si preoccupa solo di sè, tiene a cuore le sorti della fabbrica in cui lavora e da donna, forse prima ancora che da sindacalista, sa che una buona gestione è alla base di tutto. "Tra le donne di cui mi ricordo in particolare c'è Mariuccia Bruna, ma se faccio qualche nome soltanto, ne dimentico altri e potrei offendere delle persone che mi sono amiche....: abbiamo lottato insieme, la mia voce - allora - è anche la loro". Man mano che il S.A.V.T. si organizza meglio e giunge ad esser presente in quasi tutti i settori del mondo del lavoro, la presenza femminile al suo interno si fa - ovviamente - più forte e diretta. Nel settore della Scuola e nel Pubblico Impiego le donne assumono, così, dirette responsabilità e ricoprono incarichi dirigenziali. Nel 1971 le donne elette nel Direttivo del S.A.V.T. sono solo due, nel '74 sono tre; sono tre anche nel '77 (ed Eralda Bancod è designata tra i Revisori dei Conti), mentre nel 1981 diventano otto. La presenza femminile nel Direttivo scende a sei unità nel 1985, ma raddoppia nel 1989, quando Daniela Sarteur entra a far parte della Segreteria; nel '93 le donne nel Direttivo sono 10 e Renata Perret è eletta in Segreteria; nel '97 diventano sedici con Carla Varetti eletta tra i Prud'- hommes e Renata Perret confermata in Segreteria. All'ultimo Congresso, tenutosi nel dicembre 2001, ben 19 donne sono elette nel Direttivo del S.A.V.T.. Tutti ricordano, in particolare, l'apporto dato alla gestione della segreteria generale del S.A.V.T. da Viviana Berthod per oltre otto anni. In questo lungo periodo tutti hanno avuto modo di apprezzare oltre al suo carattere gioviale, la sua competenza e disponibilità. Negli ultimi anni anche nel Comitato di redazione dell'organo d'informazione del S.A.V.T., "Le Réveil Social", c'è una donna, Dina Quendoz che da lungo tempo contribuisce con professionalità e spirito di partecipazione alla stesura del nostro organo d'informazione, oltre a gestire i corsi di aggiornamento e formazione linguistica che il Sindacato propone ai lavoratori. Ed è ancora oggi attiva nel S.A.V.T. Rosina Rosset che condivise, nel passato, le difficili battaglie sostenute dal S.A.V.T.-École quando Segretario di categoria era Dino Viérin ed insieme a Rosina lavorava Nadia Savoini. È in piena attività anche Gabriella Brunet che a coronamento della sua "militanza" nel S.A.V.T., è stata eletta a presiedere i lavori del'ultimo Congresso Confederale. Poiché il S.A.V.T. vive anche di attività volontaristica, è sicuramente da ricordare la collaborazione che Isabella Crétier assicurò negli anni 90. La più conosciuta fra le figure femminili che hanno lavorato e lavorano al S.A.V.T. non è una "sindacalista", ma l'impiegata, la segretaria, "Carletta", Carla Crétier. Si aggira nervosamente e rapidamente per gli uffici, sempre indaffarata e sempre disponibile con tutti; la sua semplicità ha reso il suo apporto davvero prezioso e le ha assicurato un giusto posto nel racconto della "storia" del S.A.V.T.. Elida Montrosset è la funzionaria del Patronato, punto di riferimento in particolare degli anziani che la trovano sempre disponibile ed affabile nell'assicurare che le pratica di assistenza pensionista e di carattere assistenziale in genere, trovino rapida soluzione: è lei a fare in modo che quanti si rivolgono al sindacato non vi trovino uno sportello anonimo che divide lavoratore e operatore, ma un posto dove rivolgersi, magari in patois, ad una persona amica.
"Il S.A.V.T. era piuttosto debole, soprattutto in Bassa Valle;
alle elezioni che si tenevano in fabbrica veniva eletto un solo
suo rappresentante, Giuseppe Soudaz. E io ero nella C.G.I.L.
...", così comincia il racconto di Martino Borettaz che
ricorda di esser stato inviato dalla C.G.I.L. a Grottaferrata,
vicino a Roma, per seguire un corso di formazioni sindacale che
durò due mesi: "Ci andai in Lambretta - ricorda - e ci
misi un bel po' a far capire agli altri partecipanti che la
C.G.I.L. mi aveva mandato a frequentare il corso, ma che io non
ero un compagno. E invece tutti a chiamarmi compagno qui,
compagno là ...". Racconta anche che dovette spiegare da
dove veniva e perché mai la targa della sua Lambretta
avesse il simbolo del leone.
"Ero iscritto alla C.G.I.L. fin da quando era il solo sindacato
dei lavoratori e m'interessavano poco le questioni politiche;
anche se ad Aosta molti amici sindacalisti continuavano a
chiedermi quando mi sarei iscritto al P.C.I., tutti sapevano bene
che quelle non erano le mie idee e che per me il sindacato era il
sindacato e basta, la politica non doveva centrare". "E, invece -
prosegue a raccontare con amarezza - la politica finì col
centrare parecchio nella mia vicenda personale; avevo in mano il
patronato della C.G.I.L. ed ero tenuto in considerazione nelle
diverse fabbriche in tutta la Bassa Valle quando decisi di
presentarmi candidato alle elezioni regionali. I dirigenti
regionali della C.G.I.L. mi presero da parte perché,
secondo loro, la mia candidatura non era accettabile, era
incompatibile con il mio ruolo nel sindacato; ma come replicavo
io, a Roma ci sono senatori e deputati che provengono dalla
C.G.I.L. e per loro non c'è nessuna
incompatibilità...!?
Il problema era chiaro, l'incompatibilità c'era
perché io avevo deciso di presentarmi alle lezioni
regionali ... nelle liste dell'U.V. Ebbi un bel sostenere le mie
ragioni e ricordare quante volte la C.G.I.L. si era fatta bella
nei discorsi propagandistici, dicendo che anche gente vicina
all'U.V. si trovava bene nella C.G.I.L. e facendo riferimento a
me; ma non ci fu solo un'opposizione formale nei miei confronti:
venni così allontanato dalla C.G.I.L..... Fu veramente una
brutta esperienza. Molti di quelli che ritenevo degli amici mi
voltarono le spalle e tra i comunisti il solo Strazza si
comportò correttamente con me. Fatto sta che in quattro e
quattro otto venni messo alla porta e con altrettanta
velocità restituii il colpo: venni contattato da
François Stévenin e misi la mia esperienza e le mie
conoscenze al servizio del S.A.V.T. che, in poco tempo, divenne
il sindacato più forte in Bassa Valle, in tutte le
fabbriche".
Martino fece una scelta secondo il suo stile: fare le cose per
il meglio, continuare ad occuparsi degli altri più che del
proprio interesse e, certamente, dal punto di vista economico ci
rimise parecchio. Ma ebbe la grande soddisfazione morale di
constatare quante persone continuarono a rivolgersi a lui ed
aderirono al S.A.V.T. forse non solo per una scelta ideologica,
ma perché si fidavano di lui. Non c'è risentimento,
tuttavia, nelle parole di Martino, ma quasi un senso di ironia
nel raccontare, col senno di poi, che i suoi vecchi amici della
C.G.I.L. non avevano proprio capito che con la gente bisogna
avere un rapporto vero, che le ideologie sono importanti, ma
è più importante il rapporto diretto che si
stabilisce tra gli uomini. Martino ricorda anche quante volte
agì da mediatore tra un datore di lavoro ed un lavoratore,
magari al di fuori degli schemi della contrattazione vera e
propria, ma sicuramente preoccupandosi davvero dei problemi umani
di ciascuno: ad un operaio calabrese che lasciò la Valle
dopo un periodo di lavoro, Martino assicurò che avrebbe
inviato una certa somma che il datore di lavoro gli doveva, ma
non era davvero in grado di liquidargli subito; quel lavoratore
probabilmente non credeva che avrebbe avuto i suoi soldi e,
invece, Martino, poco a poco, riuscì a farglieli avere,
vincendo una singolare vertenza con un imprenditore che allora
non era nessuno, ma che di lì a poco sarebbe diventato uno
dei più importanti operatori economici della Valle
d'Aosta.
È alla scuola di Martino che si formano prima Piero Priod
e poi Gino Agnesod, ma è di Alfredo Uglione, Luigi
Bertschy ed Alfonso Vallino, suoi compagni di lavoro, che Martino
si ricorda in modo particolare. Borettaz può permettersi
di tirare simbolicamente le orecchie ad alcuni sindacalisti che -
dice - da troppo tempo non gli telefonano o non si fanno vedere,
"forse perché sono diventati importanti",... e cita, in
particolare, Stévenin (che - di contro - ricorda sempre
con affetto la 'scuola' di Martino Borettaz) e Gino Agnesod.
Quando gli facciamo leggere il passaggio scritto di questa stessa
"storia" del S.A.V.T. in cui Stévenin lo cita, negli occhi
di Martino c'è un guizzo ... "quando Stévenin mi
chiamò, il S.A.V.T. era davvero debole e François
era un giovanotto, poi sono cresciuti, il S.A.V.T. e il
giovanotto, ma almeno una cartolina potrebbe anche mandarmela
ogni tanto...".
Comment s'explique-t-il, un Syndicat
Autonome des instituteurs valdôtains? Quelles raisons
idéologiques, sociales et économiques ont
amené à cette décision? Depuis longtemps les
instituteurs d'âme et d'esprit valdôtain, soucieux du
malaise qui tracassait et qui tracasse encore l'École
Valdôtaine dès 1946 - inquiétés par la
particulière situation juridique, économique et
didactique qui surgit à la suite des dispositions de loi
de 1946 et par le Statut autonomiste de 1948 - envisageaient la
nécessité de se grouper en association syndicale,
afin que les problèmes de la catégorie eussent une
solution profitable et logique pour tous. Les esprits
étaient, et sont encore à l'heure présente,
assez troublés: d'un côté on vise au
déclin de la langue maternelle et même parmi les
paysans, qui jusqu'ici étaient le fond naturel de notre
ethnie, on constate un affaiblissement du sentiment
valdôtain. D'autre part on était au courant des
positions ouvertement négatives et nationalistes des
Syndicats de l'École, atteints et entraînés
par des éléments décisément
antivaldôtains, antiautonomistes. Enfin il y avait la
question juridique et économique à
résoudre.
Voilà pourquoi on a retenu nécessaire la
construction d'un syndicat des maîtres d'école
valdôtains et voilà les raisons pour lesquelles ils
ont jugé nécessaire de s'appuyer au S.A.V.T, le
seul organisme syndical qui pouvait donner garantie de
liberté politique et d'esprit valdôtain. Il va sans
dire que les instituteurs du Syndicat Valdôtain ne
renoncent, à priori, à aucun droit qu'ils ont
acquis, ni aux revendications juridiques, économiques, qui
se posent sur le plan national. Les instituteurs du S.A.V.M.E.
désirent que la situation juridique et économique
du personnel de l'école valdôtaine ait la solution
aussi profitable qu'équitable, soit pour
l'intérêt du Pays qu'ils aiment, soit logiquement
pour la catégorie. La question fondamentale est à
savoir si le personnel de l'école valdôtaine, par
les lois que nous avons rappelées, est encadré
comme personnel civil de l'Etat, ou s'il dépend
directement de la Région. Nous remarquons - et, comme
rapporteur je vais me servir de la première personne du
pluriel - que le problème devait se résoudre en ces
derniers temps, à la suite d'un règlement de loi,
préparé par l'Assessorat à l'Instruction
Publique, règlement auquel notre Syndicat avait
porté ses observations et propositions, qui auraient
à la foi réglé la position et les
légitimes revendications des instituteurs et les droits
aussi légitimes de la Région; mais ce projet de
loi, repoussé par les autres organisations syndicales
nationalistes (le SIN.A.SC.EL. - C.I.S.L. - S.NA.S.E. - S.N.S.M.
etc..) n'a pas encore été examiné par
l'opposition de certains soi-disant autonomistes qui participent
au gouvernement de la Vallée.
Le programme de notre organisation se résume par les
points suivants de qualification, de raisons
idéologique:
Défense du principe ethnique, linguistique, culturel du
peuple valdôtain et de l'âme valdôtaine. Ce
principe se réalise par l'œuvre éducative de
la famille et de l'instituteur. Le S.A.V.M.E. proteste son
autonomie pour toutes décisions et s'opposera à
toutes intimidations ou influences politiques. Le S.A.V.M.E.
développera son action syndicale pour la défense
opiniâtre des droits acquis par la catégorie,
surtout pour les problèmes concernant la situation
juridique acquise comme employé civil de l'Etat.
Dès sa constitution le Syndicat a déployé
une activité très importante. Dans la dure
période de grève des ouvriers de la Cogne, pendant
le mois d'octobre 1960, les instituteurs du S.A.V.M.E. ont
donné leur adhésion morale et ont participé
aux grèves et aux manifestations; enfin ils ont offert
leur oblation d'une journée de travail. C'est par
l'activité et les vives requêtes
présentées aux administrateurs régionaux,
que le 17 du mois de décembre 1959 le Conseil
régional délibéra l'augmentation de
l'appointement aux instituteurs des écoles des hameaux.
L'élévation du traitement fut assez
considérable, de 9 à 16.000 lires par mois, mais
elle n'est pas encore suffisante par rapport à la
dignité et au service moral et social que l'instituteur de
nos villages doit desservir. Comme nous avons rappelé
auparavant, notre organisation syndicale a apporté sa
contribution pour la préparation des projets de loi sur la
situation juridique de l'École valdôtaine
présentés par l'Assesseur à l'Instruction
Publique. Ce fut le seul organisme syndical qui collabora
à cette tâche. Les contre-déductions, les
variations aux propositions faites par l'Assessorat, furent
démocratiquement discutées par tous les inscrits
pendant plusieurs réunions. Elles touchaient les
questions: - de l'indemnité de langue française,
son assimilation dans l'appointement mensuel par rapport de
l'idemnité de liquidation et l'appointement de retraite; -
la garantie par une loi de l'Etat de la situation juridique
acquise et le développement de carrière; - garantie
d'un collège judiciaire administratif en cas de
divergences et d'oppositions; - raccourcissement de la
carrière. Toutes ces propositions ont été
prises en considération par l'Assessorat à
l'Instruction Publique. Malheureusement l'esprit tordu de nos
adversaires, soit par les syndicalistes nationaux, soit par
certains milieux politiques, ont empêché que ce
projet, qui aurait finalement résolu la situation de
l'École Valdôtaine, fusse examiné par les
autorités du Ministère à Rome. Encore
dernièrement ce fut notre Syndicat qui s'occupa de
l'augmentation de l'indemnité de langue française
par rapport aux nouveaux "coefficienti" établis par la loi
de l'Etat du mois de juillet 1961. Les nouveaux états de
dépense, délibérés par le Conseil
régional au mois de juin dernier, régalient d'une
façon satisfaisante les nouveaux appointements selon les
requêtes présentées par notre Syndicat sur
une moyenne mensuelle du 30% d'augmentation. Encore, pour finir,
nous remarquons avec amertume que le nouveau projet de loi pour
l'élection du Conseil régional reduit les
instituteurs au degré de citoyens de deuxième
classe. À ce propos nous nous réservons de
présenter nos plaintes et nos observations.
Eugène Corniolo (Compte-rendu du Secrétariat
du S.A.V. "MAITRES D'ECOLE" 1962)
Nel 1975 il S.A.V.T. pubblica il
volumetto: "Nous savons le chemin", scritto da Pierre
Grosjacques, esponente di prestigio della cultura e membro del
direttivo del S.A.V.T.-École; il testo costituisce le tesi
del 6 Congresso del S.A.V.T., i cui lavori si erano svolti l'anno
prima. Ne riproduciamo, qui di seguito, un'ampia sintesi, a
riprova della attualità di questo documento che
risultò particolarmente incisivo e rappresenta ancora una
pietra miliare nel dibattito sulla identità del popolo
valdostano.
La situation valdôtaine
1) La "région" Vallée d'Aoste dans la "nation"
Italie
Pendant longtemps, notre syndicat ... a considéré
les problèmes du monde du travail en Vallée d'Aoste
comme un secteur ... du monde du travail italien et semble avoir
vu dans la solution des problèmes de ce dernier, la
solution des problèmes des travailleurs valdôtains.
En effet il a été de tout temps question de
problèmes "nationaux" italiens, dans le contexte desquels
s'inséraient les problèmes "régionaux"
valdôtains, la solution des uns entraînant ...la
solution des autres; ... cette façon de procéder
paraissait la seule possible. Bien sûr le "particularisme"
valdôtain a toujours été rappelé ...
mais toujours en fonction de notre adaptation aux exigeances
italiennes, même si le S.A.V.T. a contribué à
réduire les conséquences négatives de cette
adaptation. Enfin notre situation actuelle vis-à-vis de
l'état italien a été
considérée comme acquise et définitive, et
même ceux qui ne s'y accommodaient guère de bon
cœur n'arrivèrent plus à voir - si non
à concevoir - de perspectives valdôtaines en dehors
et audelà de la réalité italienne actuelle.
Donc, comme... il est toujours difficile de renier sciemment et
consciemment sa propre nationalité, on a du se dire que
l'"autonomie", telle que les italiens nous l'ont octroyée,
était la reconquête de nos franchises
séculaires et on s'est réduits, bon gré mal
gré, non seulement à s'en contenter, mais
très souvent à se poser comme but ultime sa pleine
réalisation.
2) L'autonomie mise en cause
On s'est - finalement! - posé la question que René
Cuaz se pose dans son livre "le Naufrage du Val d'Aoste
Francophone" ...: "Comment ...être et demeurer
Valdôtains sous le joug d'une constitution
étrangère, dans une légalité
statutaire codifiée et imposée par
l'étranger?". Cette question nous amène à
nous en poser deux autres: 1) la constitution dont nous subissons
le joug est-elle vraiment une constitution
étrangère? 2) d'être et de demeurer
valdôtain est-ce un simple désir sentimental ou bien
un avantage concret? La réponse à la
première question est claire, nette, précise et
vite exprimée; elle se compose d'un mot: "oui". ... les
italiens eux-mêmes reconnaissent cela: en effet ils
déclarent nous considérer une "minorité
ethnique" et nous octroient, en tant que "minorité
ethnique ", un Statut Spécial inséré dans
leur constitution. Que veut dire, aux faits, "minorité
ethnique "? Cela veut dire peuple appartenant à une autre
nationalité ...que l'ethnie majoritaire. Ainsi, dans
l'état italien, seule la nation italienne a le droit de se
donner sa propre constitution, ... la nation valdôtaine, la
nation tyrolienne, la nation frioulane, la nation slovène,
etc. n'ont pas ce droit. Ces nations minoritaires, loin de
pouvoir établir elles-mêmes leur constitution, tout
comme les italiens, en reçoivent une toute faite,
spéciale, rédigée par ces
derniers.Voilà donc comment notre Statut Spécial
est à juste titre considéré une constitution
étrangère.
3) Les moyens de l'émancipation
La réponse à la deuxième question est aussi
nette...: d'être et de demeurer valdôtains n'est pas
seulement un désir lié aux sentiments, mais un
avantage réel et concret; dirons-nous, plus clairement,
que c'est la condition indispensable à une
émancipation réelle des travailleurs
valdôtains. En effet il n'y a qu'un moyen de s'opposer,
avec quelques chances de succès, à une force
économique écrasante, telle qu'elle est celle des
capitalistes italiens face au peuple valdôtain: par des
instruments politiques, à condition, bien sûr, d'en
avoir. L'exemple de nos frères suisses, lesquels, sans
avoir plus de ressources naturelles que nous en avons, ont
trouvé le moyen de s'accommoder du jeu des
intérêts capitalistes, non seulement avec infiniment
moins de dommages que nous, mais même avec quelques
avantages, nous montre ... que d'avoir gardé leur
indépendance politique vis-à-vis des grands centres
du capitalisme européen, leur a permis d'en conditionner
la pénétration dans leur Pays et de l'adapter
à leurs exigences. Il est pour autant évident ...
que le fait d'être la région de la Vallée
d'Aoste dans l'état italien, plutôt que
l'état du Val d'Aoste dans la fédération
italienne - ainsi que Chanoine l'avait peut-être
imaginé - ou, encore, que l'état des Alpes
francophones dans la fédération européenne,
est le premier et le plus grave de nos conditionnements. Notre
passé récent avec l'assujettissement progressif de
notre système économique au système
économique italien, faute d'institutions politiques telles
à nous permettre quelque résistance, est là
pour le prouver... Ce n'est pas pour rien que le S.A.V.T. se
propose d'intéresser directement le travailleur à
la vie et au sort de l'entreprise, de se faire promoteur de la
création des institutions qui permettent à celui-ci
de participer graduellement à la gestion de l'unité
productive... alors qu'il n'en est pas question chez les
syndicats italiens. Cependant, afin que cette participation
puisse être effective et non seulement apparente, il est
indispensable que les travailleurs valdôtains, de
même, par exemple, que leurs frères suisses romands,
disposent d'instruments politiques adéquats. Ce n'est pas
le cas dans la situation présente. C'est donc ceci que
nous voulons dire en parlant d'oppression nationale et
d'oppression sociale interdépendantes.
4) Le Fédéralisme
Notre analyse... s'inspire plutôt du
Fédéralisme, qui s'applique aussi bien au domaine
social qu'au domaine ethnique. Fédéralisme vient du
latin "foedus", pacte. Deux ou plusieurs hommes libres, qui
établissent un pacte en vue d'une nécessité
ou d'un intérêt commun, se fédèrent,
c'est-à-dire qu'ils forment une communauté,
laquelle a le but de satisfaire à cette
nécessité ou à cet intérêt. De
deux ou plusieurs communautés libres qui
établiraient cette même sorte de pacte, on dit
également qu'elles se fédèrent. La base du
Fédéralisme est donc l'homme libre, la
réalisation du Fédéralisme un exercice de
liberté et la finalité du Fédéralisme
est toujours, à ses différents niveaux, une
finalité communautaire. Voilà donc que ce pacte, ce
"foedus", n'est pas le "marché" du libéralisme, ni
la dictature d'une classe prônée par le socialisme.
En effet son but n'est guère l'avantage d'un seul homme ou
d'une seule catégorie d'hommes, ainsi que celui du
"marché" des libéraux, mais l'intérêt
de la communauté. En même temps il ne s'agit pas
d'hommes qui existeraient en fonction de la communauté,
comme dans le socialisme, mais de celle-ci qui se justifie en
fonction des hommes: autrement dit, il n'y a pas de "masses" dans
le Fédéralisme. Voilà pourquoi le
Fédéralisme ne nie pas la propriété
du moment qu'elle entre naturellement dans la dimension humaine.
Voilà également pourquoi, selon le
Fédéralisme, la propriété ne doit pas
dépasser cette dimension: en effet, au moment où la
propriété individuelle dépasse la dimension
de la personne, cela se fait nécessairement par
l'exploitation d'autres personnes. Aux faits, nous avons des
siècles d'histoire qui nous montrent comment, bien avant
le capitalisme, la révolution industrielle et les
solutions que Saint-Simon, Marx et Engels ont proposées de
ses tragiques problèmes, les hommes de notre peuple, sans
renoncer à leur individualité ni à leur
propriété, ont reconnu juste, nécessaire et
possible de concevoir celle-ci, lorsqu'elle dépassait le
niveau de la personne, en fonction sociale, et de l'organiser en
conséquence.
La stratégie syndicale
1) La libération, premier objectif
En partant de la situation actuelle d'oppression sociale et
nationale, puisque notre analyse nous indique la
libération nationale comme le premier moyen de notre
émancipation sociale, notre but est l'obtention de cette
llbération, faute de quoi nous ne pouvons espérer
de progrès réel dans le domaine social.
L'organisation de l'action visant à atteindre ce but fait
l'objet par conséquent de la stratégie syndicale.
Nous sommes conscients de prêter ici le flanc à une
objection: "parler de libération" - va-t-on nous dire -
"et d'émancipation, c'est de la rhétorique de
rêveurs et de l'enfantillage politique. Il faut s'en tenir
au concret, à ce qui est possible". Nous hasarderons,
à notre tour, une remarque: ces propos ont servi, sans
cesse pendant trente ans, de justification incontestable à
l'acceptation, souvent complice, de toute sorte de supercherie
politique, culturelle, économique et sociale de la part
des capitalistes italiens et de leurs supports d'état,
tellement que la "minorité ethnique" à qui les
Italiens ont bien voulu accorder une personnalité
juridique est à la veille de sombrer
définitivement. Le Statut Spécial aura, dès
lors, touché à son but.
2) La libération, propos concret
Mais nous avons l'intentíon d'aller plus loin: nous
voulons démontrer que parler de libération, encore
que par degrés, n'est pas de la rhétorique,. mais
le seul discours réellement concret. D'abord que veut dire
libération? Autant être clairs à ce sujet, vu
que beaucoup d'équivoques sont nés et existent
toujours à l'égard de celle que nous avons eue il y
a trente ans. Libération veut dire possibilité
réelle pour notre peuple de disposer d'institutions
politiques adéquates, telles à lui permettre de
faire face au capitalisme international en tant que
communauté organisée, pourvue de pouvoirs de
décision. Ceci est tellement concret et tellement peu du
domaine de la fantaisie que les fondateurs du S.A.V.T. l'avaient
prévu dès la création du syndicat... Parler
de libération, ne fut-ce que dans le but de franchir une
étape, sur la voie de sa réalisation, implique bien
entendu des modifications dans nos rapports actuels avec
l'état italien. Ceci encore est dans le domaine du
possible et du réalisable, à condition, bien
sûr, de le vouloir. Une autre nation minoritaire, à
l'intérieur de l'état italien, le Tyrol du Sud, a
réalisé cela: c'est vrai qu'il y a eu, là
bas, quelques manifestations, autres que pacifiques, mais nous ne
voulons pas faire le tort aux italiens de penser que seules les
actions violentes sont susceptibles d'obtenir de leur part des
réponses positives. Nous ne voyons donc pas pourquoi ce
qui a été possible à d'autres serait
impossible pour nous. La seule raison qui sanctionnerait cette
impossibilité, ce serait que nous n'existions plus en tant
que peuple.
3) La prise de conscience
Voilà pourquoi la première, la plus urgente, la
plus indispensable des tâches du syndicat valdôtain
est d'œuvrer dans tous les domaines, d'éveiller une
prise de conscience ethnique, sans laquelle notre action,
s'avèrerait non seulement vouée à
l'échec, mais inutile... Comment livrer une telle bataille
dans la situation actuelle et avec quelles armes? ... nous
pouvons, partout où nous sommes présents, marquer
notre présence de cet esprit de renouveau, lequel,
après tout, n'est que l'"esprit de victoire"
d'Émile Chanoux. Dans la pratique, par notre presse, par
l'institution auprès de nos sections de comités de
propagande, par notre action dans les organes collégiaux
de l'école, par l'instauration de rapports
réguliers et de liens de collaboration avec les
organisations de travailleurs des autres nations minoritaires
à l'intérieur et à l'extérieur de
l'état italien, nous devons provoquer la prise de
conscience de notre peuple. Nous devons lui rappeler son histoire
..., le ramener progressivement à l'emploi de sa langue et
lui montrer comment sa libération est la seule chance de
survie qui lui reste.
4) Problèmes immédiats et problèmes
importants Les problèmes contingents, les questions de
détail, dont il serait bête de sous-estimer
l'importance, nous nous proposons de les envisager, justement, en
tant que contingents et de détail, non pas d'en faire le
seul, ni le premier, objectif de notre action. Laquelle,
répétons-le encore, vise à la
llibération nationale des travailleurs valdôtains
afin de leur assurer une réelle émancipation
sociale. À défaut de quoi il y aurait sans doute
encore des travailleurs dans notre Pays, mais il n'y aurait
bientôt plus de valdôtains. Dans ce cas-là on
aurait quelques difficultés, entre autres, à
justifier l'existence même d'un syndicat valdôtain...
Les capitalistes ont trop souvent profité du fait que les
travailleurs sont fatalement portés à
considérer le principal problème celui qui se pose
premier dans le temps: ceci est dû à la condition
des travailleurs qui ne le leur permet pas d'envisager les
problèmes et de se livrer aux analyses d'une façon
aussi détachée que les patrons peuvent le faire.
Comme ils sont conscients de ce fait, les capitalistes n'ont
qu'à avoir soin de fournir à leurs exploités
des problèmes immédiats à résoudre,
et ces derniers trouveront le moyen, en essayant justement de
résoudre ces problèmes-là, de se
dépenser, de dépasser leurs frustrations et,
surtout, - ce qui est le but des patrons - d'oublier le
problème le principal, qui est celui de leur
émancipation. En d'autres termes, s'il est dans
l'intérêt des patrons que leurs travailleurs soient
partiellement satisfaits, il est d'importance capitale pour eux
que les travailleurs puissent voir en continuation la
possibilité de réaliser une petite
amélioration: la lutte pour cette amélioration,
habituellement immédiate, d'abord assouvit leur
combativité; ensuite, ce qui est le plus important, les
pousse à considérer des objectifs moins
immédiats (mais beaucoup plus redoutés par les
patrons) comme quelque chose d'abstrait, d'irréalisable,
donc d'inutile. Ainsi le plus important, pour les
valdôtains, n'est pas d'arriver à un peu
moíns de bâtons et à un peu plus de
carottes.. mais de se débarrasser de l'un et de l'autre en
cessant pour autant de jouer le rôle des ânes.
5) Et les travailleurs italiens en Vallée d'Aoste?
...émancipation des travailleurs valdôtains veut
dire émancipation de tous ceux qui travaillent dans notre
Pays. Nous avons en effet parlé de libération
nationale (= détachement progressif des conditionnements
posés - en ce qui nous concerne - par l'état
italien) en fonction d'émancipation sociale.
Joseph-César Perrin, dans un excellent article ...
"À propos de Nation Valdôtaine" nous dit: "...une
économie dans les mains d'autochtones qui continuent
l'actuelle politique ne serait pas plus favorable au complet
épanouissement de l'ethnie valdôtaine que celle
menée par l'actuel colonialisme intérieur. Si la
spéculation foncière, si l'industrialisation
indiscriminée, si la mainmise sur le tourisme que la
Vallée d'Aoste connaît de nos jours étaient
poursuivies par le capital valdôtain, elles ne seraient pas
moins nuisibles à notre ethnie que la spéculation,
l'industrialisation et la mainmise opérées par le
capitalisme étranger ".
Donc la liberté ne serait pas telle, si elle
n'était pas gérée par les travailleurs. Par
conséquent nous n'arrivons guère à voir quel
préjudice serait porté aux travailleurs italiens le
jour où les leviers de notre économie seraient
soustraits aux capitalistes italiens et seraient finalement dans
les mains des travailleurs valdôtains. Nous
considérons, bien que la libération des
valdôtains est la seule chance qu'un travailleur italien.
en Vallée d'Aoste a de devenir un homme qui compte dans
une libre communauté, où il serait, finalement et
concrètement, sujet de droit et il ne serait plus, ainsi
qu'à présent, surtout objet d'exploitation. Nous
sommes loin d'être d'accord avec ceux de nos compatriotes
qui disent "nous ", lors qu'ils parlent d'italiens du nord-ouest
et disent "eux" quand ils parlent d'italiens de l'est ou du midi.
Nous sommes également loin d'attribuer la faute de notre
dénationalisation aux vénitiens ou aux
méridionaux de l'Italie: ceux-ci n'en sont que l'un des
instruments, victimes, comme nous les sommes, de structures qui
les dépassent. Il est dès lors grand temps que nous
déclarions que nous n'avons absolument rien contre les
calabrais ou les vénitiens, pas plus que contre les
italiens en général. Nous nous inspirons des
principes du Fédéralisme: or nous avons du mal
à voir quelle atteinte à leur liberté, quel
empêchement à leur véritable autonomie, quel
préjudice à leurs intérêts seraient
portés, par exemple, aux calabrais le jour où la
Calabre serait un état adhérant librement et:
consciemment à la fédération italienne, ou,
mieux encore, à la fédération
européenne, plutôt que de demeurer une région
annexée. Ainsi nous ne voyons guère pourquoi ni
comment nous devrions considérer nos ennemis - pour en
rester à notre exemple - des calabrais, ou être
considérés des. ennemis par eux. Nous voyons par
contre assez clairement pourquoi et comment cela arrive et nous
n'avons aucune difficulté à en indiquer les raisons
dans les structures de l'état italien.
Ces structures n'ont pas germé spontanément et
encore moins elles dérivent d'une entente entre
communautés qui se sont unies en vue de l'utilité
réciproque, mais elles sont issues de
l'intérêt et des nécessités d'une
seule classe d'italiens, dont l'emplacement, soit dans le domaine
social que dans celui de la géographie, présente
des limites assez facilement identifiables. Ce sont ces
italiens-là ceux que nous n'aimons pas: ceux qui nous ont
imposé et nous imposent leur état, tel qu'une
armée l'a conquis ou plus souvent - rendu en fief, et tel
qu'une classe, la haute bourgeoisie, l'a taillé à
sa mesure et d'après ses exigences. Donc, si les grands
bourgeois ítaliens, ainsi que l'organisation d'état
dont ils disposent, craignent ne pas jouir de nos faveurs, leur
crainte est pleinement justifiée... Nous estimons
cependant peu probable que, parmi les travailleurs italiens qui
travaillent en notre pays, il y en ait qui se classeraient dans
la haute bourgeoisie. C'est pourquoi, s'ils croient, comme nous
le croyons, que chaque homme, tout comme chaque peuple... a le
droit et le devoir de vivre en liberté, les travailleurs
italiens ne peuvent se ranger qu'avec nous. Nous exprimons notre
confiance que les valdôtains sauront se reconnaître
et que toutes les forces qui se disent sociales seront avec nous
dans notre lutte pour être des hommes libres dans une
société moins injuste que l'actuelle.
Pierre Grosjacques (extraits des thèses du 6e
Congrès Conféderal - Verrès - 17 novembre
1974)
La teoria multinazionale della
crisi
"Secondo gran parte della teoria regionale non vi dovrebbe essere
alcun problema regionale. Le premesse di tale teoria assumono un
autoaggiustamento armonioso in un sistema capitalistico
idealizzato. Esse sostengono che se i mezzi finanziari, le
innovazioni e gli adattamenti alle variazioni della domanda
fossero egualmente disponibili a tutti, o se le aziende
portassero le loro attività dove vi è maggior
disponibilità di lavoro ed anche i lavoratori emigrassero
verso le zone dove i posti di lavoro sono già disponibili,
il sistema nel suo complesso si equilibrerebbe in modo tale che
le disparità nei profili, nei salari e nella occupazione
tra regioni differenti sarebbero puramente funzionali. La
società che ne risulterebbe potrebbe ancora essere
soggetta alle divisioni in classi, tra capitalisti organizzati e
lavoratori organizzati, ma le divisioni tra le classi sociali non
sarebbero aggravate da differenziali regionali nell'occupazione e
nel reddito".
Così un economista statunitense, Stuart Holland,
schematizza nel suo libro "Le regioni e lo sviluppo economico
europeo" (1977) il pensiero capitalista contemporaneo. È
una teoria risultante dalla prassi storicamente ed economicamente
realizzata di due scuole di pensiero; la prima sostiene che lo
sviluppo ineguale tra le regioni è elemento essenziale per
la crescita dinamica di un sistema capitalistico: per questa
scuola il tentativo di assicurare una maggior uguaglianza
regionale di occupazione e di reddito, attraverso politiche
redistributive statali ridurrebbe il livello globale dei reddito
da redistribuire; l'altra scuola sostiene, invece, che le aziende
capitalistiche sono razionali nelle loro decisioni di
localizzazione (quando lo Stato consente ad esse di decidere in
maniera autonoma) mentre i lavoratori non lo sono. "In altre
parole - scrive Holland - le imprese si localizzano dove i ricavi
e i profitti sono massimi mentre i lavoratori che preferiscono
non emigrare massimizzano, in tal modo, vantaggi non economici".
Questa seconda scuola sostiene insomma che "i lavoratori che si
oppongono alla chiusura di impianti nelle regioni in
difficoltà, agiscono contro il proprio interesse,
giacché riducono il livello globale del reddito
dell'economia".
Lo squilibrio e le tensioni etniche
L'Europa ha avuto una crescita economica piena di squilibri: le
regioni che oggi vi si individuano, più che delimitate dai
tradizionali confini geografici, sono segnate da diversi ritmi di
sviluppo. Ciò è avvenuto perché non è
stato possibile imbrigliare il processo di accumulazione
capitalistica ed il potere delle multinazionali. Questi
squilibri, teorizzati, come dicevo, ma purtroppo anche
concretizzati, hanno fatto nascere nuove teorie. Scrive ancora
Holland: "se il governo non riesce a portare nuovi posti di
lavoro, esso non si dovrà sorprendere se gli abitanti
delle regioni si persuadono che la loro migliore speranza di
affrontare efficacemente i loro problemi è costituita
dalla autodeterminazione politica e se sorgono movimenti
separatisti organizzati, come quelli del tipo osservato in
Bretagna, in Scozia e nel Galles; nè si dovrebbe
sorprendere del ricorso alla violenza tra fiamminghi e valloni
(ove le differenze culturali sono rafforzate da disparità
economiche) o nell'Irlanda del Nord, la regione di gran lunga
più povera e da più lungo tempo, del Regno
Unito".
Fin dal suo nascere il capitalismo ha trovato sostegno e spazio
in un certo tipo di Stato istituzionale. Non è un caso che
quelle chiamate da Holland regioni, cioè quelle nazioni
cui la storia ha negato la possibilità di costituirsi in
Stato, siano state oggetto di particolare attenzione. Nel piano
teorico, è stato ad esempio Lerroux a teorizzare
l'alienazione e la denazionalizzazione attraverso il ricorso
all'immigrazione di forza lavoro, i cui diritti, la cui fame
fisica non è stata e non sono stati minori di quelli delle
realtà stanziali. La Valle d'Aosta non è stata
ignorata in questo piano e l'italianizzazione è avvenuta
proprio sfruttando come elemento colonizzatore l'immigrato che
non era partecipe nè cosciente, nè interessato a
svolgere una tale funzione, ma cercava soltanto lavoro. Quello di
cui, secondo Holland - il governo non dovrebbe sorprendersi - non
è tanto il prodursi dello scontro di classe, che si
risolve nelle vertenze e negli accordi che vengono definiti
accontentando le parti, ma le modificazioni di questo confronto,
non controllabili e potenzialmente portatrici di trasformazioni
economiche sostanziali.
Il problema della integrazione economica europea Pare
significativo, quindi, che il fallimento progressivo della teoria
dello "sviluppo ineguale" abbia portato all'affermazione
dell'altra teoria, quella della "integrazione economica", nel
nostro caso "europea". Si dice, così, che per capire la
crisi che travaglia l'Europa bisogna guardare con molta
serietà al mancato processo di integrazione dell'economia
europea, al lentissimo evolversi della sua unità politica
ed alla debolezza contrattuale che caratterizza il Parlamento
Europeo nei rapporti est-ovest; questa analisi vuol dire due cose
opposte: 1 - che lo stato di malessere dell'Europa appartiene ad
una crisi strutturale sia nell'ambito istituzionale (con chiaro
riferimento all'impotenza del Parlamento Europeo), sia in quello
propriamente economico (con le alterne vicende del sistema
monetario, con il gap tecnologico nei confronti degli Stati Uniti
d'America, con la dipendenza paralizzante dagli alti tassi di
interesse praticati nei confronti del dollaro e, infine, con la
permanenza di una crisi energetica che è il vero nodo
scorsoio e con gli investimenti in conto capitale praticabili a
livello statale).
C'è da dire anche che la mancanza di materie prime non
è stata, per la verità alleggerita dalle fonti
alternative, con la conclusione che qualsiasi direttiva economica
è condizionata dal costo in dollari del greggio dettato
dall'OPEC; 2 - che la soluzione positiva di queste problematiche
significa l'affermazione reale e concreta della teoria che
segnalavo parlando di "capitalismo idealizzato". Lo squilibrio
tra le varie componenti regionali è, per ora, ancora in
aumento: il confronto Nord - Sud vede oggi nascere in Europa una
centrale degli Stati e delle regioni ricche che soffocano un
"Sud" che non è più soltanto quello geografico.
Prima della integrazione economica europea. il sistema si
preoccupa di incidere sul tessuto sociale compromettendo
attraverso la spaccatura della coesione economica, l'unità
culturale e politica di quelle etnie fino ad oggi divise dai
confini di stato, ma in un progetto di integrazione europea
pericolosamente per lui, ricomposte. La concorrenza tra Catalogna
"francese" e Catalogna "spagnola" (in analogia con la
realtà basca, ecc.), il persistere di spaccature
nell'Irlanda, la crisi del Belgio francofono, la disoccupazione
in Alsazia Lorena, sono tanti tasselli di un'unica
strategia.
Le alternative economiche
Non ci sfugge evidentemente, il fatto che la crisi interessa
anche e sovente di più, realtà che non hanno
definizione etnica particolare: ma il nostro ruolo di sindacato
"nazionalitario" ci spinge a non nascondere i rischi di una
pretesa integrazione europea che nasce da politiche di presunta
armonizzazíone regionalistica. I problemi europei sono
stati discussi, 15 giorni or sono, in un convegno tenutosi a
Saint- Vincent; i rappresentanti delle comunità etniche
europee, al di là delle strategie politiche che ciascuno
adatta alla propria situazione hanno concordato su alcuni punti
che mi pare opportuno sintetizzare. "À niveau
européen on essaie aujourd'hui de faire passer une
politique régionaliste... et la référence
continue d'être celle des régions constituées
à l'intérieur des Etats. Cela transforme l'Europe
dans une sorte d'Etat dont le comportement n'est pas très
différent de celui des Etats actuels face aux
communautés ethniques. La décentralisation n'est
donc qu'une exigence bureaucratique qui concerne une
économie multinationale. Le problème est et reste
celui du déséquilibre Nord-Sud, un Nord avec des
Etats et des Régions riches, un Sud (comme celui occitan
de la guerre du vín, ou comme celui situé au Nord
géographique, la Galice appauvrie) à qui on refuse
l'autodétermination. Nous envisageons le Sud comme les
nationalités réduites à n' être que
des régions. Le contexte européen exige donc un
bouleversement et les ethnies minoritaires songent à une
Europe contre la course aux armes, au dehors des blocs, à
la limite hors de la Nato et contre Varsovie. C'est un risque,
dit-on, voilà la raison pour laquelle notre contribution
à la naissance de l'Europe est limitée
forcément par cette hypothèse d'une Europe qui
naisse des états, et. ensuite. se décentralise,
mais ce qu'elle ne veut pas décentraliser ce sont
l'économie et la politique mondiale.
L'industrie européenne veut continuer sa typologie de
productions (même si elle a engendré la crise
énergétique) pour pouvoir imposer ce même
type de société aux pays du Tiers Monde: aucune
contestation sur ce point ne serait admise, au risque que le
Tiers Monde, lui aussi, dépasse, après le
colonialisme, l'oppression "démocratique" du
néocolonialisme. Une fois de plus les mots cachent des
jeux économiques. Le régionalisme comme le
bilinguisme peuvent paraître une conquête: en
réalité ils marquent le passage du colonialisme au
néocolonialisme. Ce n'est pas le cas de
fédérer les états actuels, ni de lier
régions et nationalités. C'est que les
nationalités doivent reprendre leur rôle
international à part entière avec les états,
les autres états. On fera ensuite une politique de
régionalisation mais seulement alors, après que les
communautés seront égales. les régions
elles-mêmes pourront l'être". Una posizione
massimalista, questa, che non possiamo non condividere nei
principi, anche perchè, solo su questa premessa ci pare
ancora possibile tentare di operare un mutamento profondo non
solo nelle istituzioni politiche, ma anche e, direi soprattutto,
nell'economia. Sulla base di questa coscienza l'analisi della
crisi ci offre un'ipotesi di lettura del tutto diversa da quella
a doppia significazione, ambigua e alienante che citavo parlando
di mancata integrazione europea.
François Stévenin (estratti dalle tesi
dell'8 Congresso Confederale del S.A.V.T. - Saint-Pierrre 12-13
dicembre 1981)
La Vallée d'Aoste
La Vallée d'Aoste est notre Pays. Nous pensons que nous
pouvons l'aimer, que nous devons l'aimer. Nous estimons qu'il
nous faut réfléchir sur ce sentiment qui fut, avec
un certain nombre d'autres raisons nobles et valables, à
la base de la naissance du S.A.V.T.. Nous croyons qu'il est
nécessaire de réaffirmer ce sentiment. Trop
souvent, au sein de notre communauté, nous percevons une
négativité profonde, qui vise à
détruire plus qu'à construire. Trop souvent,
l'attitude que nous adoptons à l'égard des
problèmes est négative et aprioriste. Nombreux sont
ceux qui, à l'extérieur de la Vallée
d'Aoste, contestent notre particularisme. Si, même chez
nous, certains ne comprennent pas ou refusent de comprendre que
tout particularisme doit être respecté, en
Vallée d'Aoste et ailleurs, cela ne fait qu'apporter de
l'eau au moulin de ceux qui n'aiment pas notre Pays.
Nous devons être très attentifs à cette
division au sein de notre communauté, puisque la situation
générale qui se dessine en Italie, et même en
Europe, n'est sûrement pas favorable à la
Vallée d'Aoste et à ceux qui, comme nous, veulent
affirmer, tout simplement, leur propre droit à
l'existence. Par la démocratie, la solidarité,
l'action, le dialogue, la négociation, nous
désirons réaffirmer que nous n'acceptons aucune
forme d'uniformisation, que nous en refusons l'idée
même. Nous revendiquons le droit de tenter de transformer
et de dépasser les structures économiques et
politiques actuelles, dans le but de réaliser le
Fédéralisme intégral. Nous insistons sur la
clairvoyance de la doctrine fédéraliste
appliquée à la politique qui, par exemple, fit dire
à Kant que seule une fédération mondiale est
susceptible de garantir la paix et d'assurer le progrès.
Nous aspirons à la création d'un état
fédéral - valdôtain, italien, européen
et mondial - susceptible de reconnaître et de sauvegarder
chaque identité, historique, culturelle, linguistique,
politique et administrative.
La Vallée d'Aoste, ainsi que tout autre Pays,
connaît aujourd'hui de nombreux problèmes, plus ou
moins graves. Inutile de les nier. Il faut plutôt les
affronter avec optimisme et passion. Nous sommes à la
veille du 50e anniversaire du Statut Spécial de la
Vallée d'Aoste et personne, même pas nos
détracteurs les plus obstinés, ne peut contester le
fait que notre région a connu une très grande
croissance au cours de ces 50 dernières années. Il
me semble utile de rappeler aux plus jeunes ce que nos aïeux
ont vu et vécu. De leur dire combien étaient graves
les conditions sociales et économiques dans lesquelles se
trouvait notre communauté en 1945. De leur expliquer que
l'autonomie qu'on nous a octroyée est le fruit des efforts
et de l'engagement solidaire du peuple valdôtain tout
entier. Et que cette autonomie, avec le désir des
Valdôtains de progresser et de s'épanouir, a permis
le développement social, économique, structurel et
culturel que nous connaissons aujourd'hui. Il faut que nous
soyons conscients de ce qui a été fait. Certes, il
y a eu des contradictions, parfois importantes, des choix
malheureux, des imperfections, des fautes. On aurait
peut-être pu faire mieux, et plus.
Toutefois, ce qui surprend de nos jours est ce sens latent
d'autoflagellation qui semble être de plus en plus
présent dans notre communauté. Ce qui
inquiète est notre incapacité de mesurer
l'importance de ce que nous possédons et de ce que nous
sommes. Nous assistons et nous participons à de grands
débats sur le Fédéralisme, la
décentralisation, l'autogouvernement. En même temps,
nous ne savons pas toujours apprécier ce qui a
été réalisé chez nous, en si peu de
temps, grâce à l'autonomie. Une autonomie qui, bien
que minime, imparfaite, limitée et critiquée, nous
a permis de sortir de la détresse et de la misère.
Une autonomie qui nous permet aujourd'hui encore - les
indicateurs économiques nous le montrent - de vivre une
situation de croissance relative par rapport à d'autres
régions de l'état italien. Voilà des
considérations que nous nous devons de faire. Le syndicat
a vécu, plus que d'autres, les luttes pour l'emploi et le
progrès social et économique des travailleurs. Je
crois qu'il peut, en s'appuyant sur les faits, porter un jugement
serein sur l'histoire récente de la Vallée
d'Aoste.
Il lavoro
Proporre teorie sul lavoro ci sembra fuorviante. Cercheremo
quindi di capire le modificazioni e le dinamiche in atto nel
variegato mondo del lavoro. I vecchi iscritti ricorderanno che in
altri Congressi abbiamo dato all'argomento ampio spazio. Pagine e
pagine dedicate al pensiero di Chanoux per evidenziarne
l'innovativa visione economica e, soprattutto, per riscoprire
quanto fosse precursore dei tempi quest'uomo, che 50 anni fa,
aveva analizzato e compreso i mutamenti del rapporto dell'uomo
con il lavoro, con l'organizzazione stessa del lavoro. L'uomo
è il fulcro centrale e l'elemento attivo della vita della
comunità e, poiché la crescita della
comunità è legata alla partecipazione di tutti
ì soggetti interessati, la mancanza del lavoro, elemento
di solidarietà sociale attiva, equivale automaticamente
all'esclusione dell'uomo non lavoratore, dalla partecipazione per
la crescita della comunità di appartenenza. Oggi la
partecipazione del lavoratore al governo dell'economia e della
società si esprime anche attraverso il sindacato. Quanto
più spazio il sindacato ottiene nella concertazione, nella
individuazione di regole, nella decisione, nella redistribuzione
e decentralizzazione dei poteri, tanto più il suo operato
va nella direzione di trovare risposte per l'uomo e per il lavoro
stesso. Il sindacato deve contrastare le ragioni e gli interessi
del capitalismo più sfrenato che, in Europa, vorrebbe
attuarsi con una unica modalità, quella che vede
l'assoluta e totale mobilità della forza lavoro pronta a
spostarsi là dove il capitale mostri di aver più
interesse ad insediare attività produttive. Dobbiamo al
contrario difendere lo sviluppo autocentrato, in modo che siano
le comunità locali a mettere un freno alle leggi del
mercato liberista e a far coesistere i valori non monetizzabili
del lavoro con l'identità, la difesa della comunità
e del territorio. Carlo Marx chiamò plusvalore la
quantità di ricchezza prodotta dai lavoratori e sottratta
loro dal capitalismo. Noi pensiamo che esistano altri valori
quali la quantità di ricchezza linguistica, storica,
sociale e culturale prodotta dalle comunità e sottratta
loro dal sistema centralistico (la teoria del minus valore,
ndc).
E in questo contesto c'è una particolare visione
economica, c'è una cultura del lavoro che nessuna moda,
nessuno sviluppo effimero possono cancellare: è la visione
del lavoro come possibilità di identificazione di una
comunità e di crescita sociale e partecipativa. È
stato anche scritto che questo secolo (il XX secolo ndc),
iniziato come il secolo della produzione, si sta concludendo come
il secolo dei consumi e che, così come siamo passati da
una società agropastorale ad una società
industriale, poi post-industriale, così pure passeremo da
quella dei consumi ad un nuovo modo di vivere. L'evoluzione
è necessaria, la trasformazione obbligatoria,
perché è l'inevitabile rottura degli equilibri che
porta al progresso. Speriamo che ciò avvenga migliorando
le condizioni di lavoro in tutto il mondo, sanando la piaga della
fame e mitigando gli effetti della guerra tra i ceti più
poveri che il neoliberismo sfrenato di questo fine millennio non
mancherà di innescare. Guardiamo, quindi, con disincanto
ma con speranza al futuro, sapendo oggi di dover operare in modo
differente ma con gli stessi obiettivi concreti:
- per la salvaguardia del lavoro
- per offrire lavoro ai disoccupati e agli inoccupati
- per far emergere il lavoro sommerso
- per ridistribuire il lavoro tra chi ne ha troppo e chi non ne
ha affatto
- per dar spazio alle donne e ai giovani
- per impedire l'emarginazione sociale
- per una riduzione contrattata degli orari senza l'illusione che
si crei automaticamente nuova occupazione
- per l'individuazione di nuovi spazi di lavoro, dal cosiddetto
"no profit" ai vari settori della comunicazione
- per una società nella quale i pensionati non siano degli
esclusi o dei poveri
- per una valorizzazione della tipicità e della
specificità delle produzioni di ogni comunità, le
quali non immetteranno - forse - sul mercato prodotti di largo
consumo, ma recupereranno nicchie di mercato, sufficienti ad un
loro sviluppo e basate sulla qualità dei prodotti e sulla
loro "unicità".
Firmino Curtaz (estratti dalle tesi del 12 Congresso
Confederale - Quart 12-13 dicembre 1997)