Di Evelina Colavita
Bolzano, 10.6.2003
Quest'anno non sapevo proprio cosa
aspettarmi in Afghanistan, ma dopo la guerra in Iraq ero pronta
al peggio. Mi aspettavo una totale perdita di influenza da parte
del governo centrale a Kabul sul resto del paese, una
disgregazione, un'accresciuta diffidenza verso l'occidente e la
rinascita dell'integralismo islamico sotto l'egida di Gulbudin
Hekmatyar, influente capo pashtun ed ex pupillo
dell'amministrazione americana ai tempi dell'occupazione
sovietica. Non ho trovato nulla di tutto ciò. Tutti gli
afgani, inclusa Sima Samar, mi parlavano di un generale
peggioramento della situazione di sicurezza in Afghanistan.
Tuttavia, a differenza dell'anno scorso, quest'anno non ho
sentito un'unica esplosione a Kabul.
Nel Hazarajat solo i carri armati
arrugginiti abbandonati lunga la strada raccontano della guerra.
I contadini lavorano i campi come se l'Afghanistan non fosse uno
dei paesi più minati del mondo. Gli artigiani e i
commercianti ricostruiscono botteghe e negozi nei nuovi bazar
poco distanti da quelli distrutti e bruciati durante i conflitti.
Nelle botteghe si trova tutto ciò che il cuore può
desiderare, ciononostante l'Afghanistan non è il paese dei
sogni, tanto piene sono le botteghe quanto vuote sono le tasche
degli afgani. Sima Samar è tuttora presidente della
commissione indipendente per i diritti umani. Si batte con il
governatore di Herat per il rispetto dei diritti umani nel caso
di un giornalista e per 25 donne che sono state espulse dall'Iran
e ora sono rinchiuse nelle carceri di Herat su ordine di Ismail
Khan. Il giorno del mio arrivo Sima era andata ad inaugurare
l'ultimo degli uffici regionali della commissione per i diritti
umani a Faizabad, nella provincia del Badakhshan. Ora in tutto il
paese può essere vegliato sul rispetto dei diritti umani.
Ciò che manca a Sima, a questo punto, è l'accesso
ai media afgani. Ma questa non è solo una storia
afgana.
Kabul brulica di vita e di
attività. Poche donne si vestono con il burqa, tante
camminano indaffarate e a testa alzata attraverso le strade di
Kabul vestite con eleganti abiti, con pantalone e un leggero
foulard in testa. Vado nel quartiere di Dasht e Barchi dove la
nostra scuola per bambine ha traslocato in un edificio nuovo dopo
che il padrone di casa aveva aumentato a dismisura l'affitto. Nel
cortile sono in atto gli scavi per il pozzo, offerto da una
madrina ticinese. In un piccolo ma rifornitissimo negozio di
cancelleria compro le matite colorate offerte a tutte le bambine
delle nostre scuole da parte di una madrina milanese.
Quasi subito devo lasciare Kabul alla volta della provincia di
Wardak. Voglio andare a vedere gli altri progetti. Lascio Kabul
in direzione sudest e attraverso il fertile Maidan, dove crescono
tanti meli come in Val di Non, raggiungo Sia Chog, il confine del
Hazarajat. La zona centrale dell'Afghanistan, dove vive la gente
di etnia azara viene chiamata Hazarajat. Qui regna la pace e la
povertà. I campi a differenza dell'anno scorso, sono
coltivati e i canali di irrigazione sono stati riparati.
Arrivata a Behsood, controllo se
è giunto il microscopio che ho inviato alcuni mesi fa e se
l'infermiera che ha tenuto il nostro corso per le ostetriche
è soddisfatta dalle sue allieve. L'infermiera mi presenta
pure la nuova ginecologa dell'ospedale che ha studiato medicina
in Uzbekistan e parla perfettamente il russo. Ha conosciuto suo
marito, si è sposata e si è trasferita a Behsood
dove ora vive con la figlia di alcuni mesi e il marito in una
stanza di pochi metri quadrati.
Attraversando un paesaggio
imponente di rocce rosse e gialle e superando impervi passi di
montagna arrivo a Yakawlang. Nel distretto di Yakawlang si
trovano le nostre nuove scuole per bambine sparpagliate a
parecchie ore di macchina una dall'altra. 1300 bambine ca.
frequentano le sette scuole del distretto. Come la scuola di
Dasht e Barchi a Kabul, le scuole di Yakawlang offrono lezioni
fino alla sesta classe. La prima e la seconda classe sono miste.
Dopo la seconda classe i maschi non possono più
frequentare la scuola delle bambine, altrimenti i padri non
manderebbero più le proprie figlie a scuola. Dalla seconda
in poi, i ragazzini vanno alla scuola nel capoluogo Yakawlang.
Una delle scuole di Yakawlang si trova in una valle lontana e
sperduta; insegnanti e allieve sono veramente povere. Sono quindi
particolarmente felici del materiale scolastico e delle matite
colorate che distribuisco.
A Yakawlang sono ospite
dell'ospedale di Shuhada. Quando questo capoluogo, alla fine del
2000, è caduto nelle mani dei Taleban tre uomini che
lavoravano all'ospedale sono stati giustiziati. Oggi l'ospedale
è gestito da Shuhada e da Médecins sans
frontières Spagna. Yakawlang è costituito
principalmente da un vecchio bazar distrutto e un bazar nuovo di
zecca e pieno di vita. Ad ogni angolo ci sono dei carri armati
distrutti e veicoli bruciati. L'Afghanistan tra guerra e
pace.
Sul viaggio di ritorno verso Kabul mi permetto di realizzare un
vecchio sogno. Faccio una gita a Band e Amir, un lago di un
azzurro profondo trattenuto da una diga naturale. E poi
chiaramente visito Bamyan con le due enormi nicchie vuote dove si
trovavano i Buddha prima di essere distrutti nel marzo 2001.
Nelle caverne scavate nella roccia sulle poche centinaia di metri
tra un Buddha e l'altro abitavano 600 famiglie circa. Ora,
l'UNESCO ha dichiarato le caverne patrimonio artistico e quindi
le famiglie hanno dovuto sloggiare. Una piccola ONG svizzera sta
costruendo un villaggio per ospitare questi miseri
sfrattati.
Anche quest'anno vado a trovare le donne della casa rifugio a
Kabul. 13 donne e 30 bambini, in parte orfani, abitano in questa
casa. Tessono cottone e seta e con questo lavoro riescono a
guadagnarsi una parte dei soldi destinati alle loro spese.
Ascolto tante storie; la storia di una anziana donna azara che
alleva tre bambine orfane di etnia tadjica. La storia di una
giovane sposa che è stata promessa a due uomini e che ora
è costretta a fuggire dai due pretendenti e dalla propria
famiglia, anche se uno dei due è il padre del bambino che
porta in grembo e in effetti lo vorrebbe sposare.
Evelina Colavita
Per OMID Onlus e Solidarietà Ticino Afghanistan