Bolzano, 13 Marzo 2003
Nello stato più a sud del Messico,
nelle montagne del Chiapas, un gruppo di guerriglieri lotta dal
1994 per l'autonomia ed i diritti degli indigeni. Questi
guerriglieri sono diventati ovunque simbolo della lotta contro
l'espansione del neoliberalismo. Benno Steinegger è stato
osservatore di pace nei villaggi della resistenza in
Chiapas.
Lo sguardo di Lorenzo è perso nel vuoto, parla piano e non
riesce più a guardarmi. Eppure il sole mattutino, spuntato
da poco, inonda Union Progreso, questo idilliaco villaggio di
montagna, in uno splendore dorato. La terra profuma
dell'abbondante pioggia notturna e sembra quasi che non veda
l'ora di donare il suo nutrimento alle piante di mais,
caffè e di banano.
Lorenzo però incespica sulle parole mentre continua a
raccontare: "E' successo tre anni fa. Sono arrivati alle cinque
di mattino. Hanno circondato tutto il villaggio, e poi hanno
iniziato a stringere il cerchio in modo da catturare anche i
contadini che erano già al lavoro nei campi. Poi ci hanno
caricati su un grande camion. I soldati ci urlavano ci prendevano
in giro, ci maledicevano. Poi hanno portato via alcuni uomini. Io
ero tra questi uomini. Poco fuori dal villaggio hanno preso
cinque compañeros e li hanno uccisi. Ho visto come hanno
tagliato loro le pance e come ne usciva tutto.."
Adesso Lorenzo tace, e taccio anch'io; non so proprio che altro
potrei aggiungere... I pensieri si sovrappongono uno all'altro,
ma ora riconosco chiaramente, come il sole che inizia a
scaldarci, il motivo per cui sono qui negli "Altos", gli
altopiani del Chiapas, a far passare il tempo come osservatore di
pace: la mia presenza dona tranquillità agli abitanti del
villaggio, i miei occhi rappresentano l'osservazione
internazionale che trattiene i militari da aprire la pancia ad
altre persone.
Il Chiapas è preso di mira dalle multinazionali le quali
non intendono lasciarsi sfuggire le ricche risorse di petrolio,
caffè, legnami e cacao. Da anni lo stato elimina ogni
ostacolo alle multinazionali e allo sfruttamento del paese, e
impedisce in tutti i modi lo sviluppo autonomo della popolazione
indigena. Gli indigeni però chiedono un futuro autonomo e
hanno quindi deciso di resistere. Lo stato risponde con la
militarizzazione e la repressione violenta, ormai da anni.
Mario, che si occupa degli osservatori di pace, i quali
continuano a darsi il cambio in questo villagggio, mi racconta
della "strategia del capitalismo" che mira a cacciare i contadini
dai propri campi in modo da guadagnare "proletariato per le loro
imprese". "Negli altri villaggi"£, continua Mario, "dove la
gente ha ancora meno di quanto abbiamo noi, per sopravvivere la
gente è costretta a lavorare più spesso nei campi
di caffè dei proprietari terrieri. Guadagnano 50 pesos al
giorno e ne pagano 30 per pagare il mezzo che porta i lavoratori
nei campi."
Il villaggio di Mario, Union Progreso, dista circa tre ore di
macchina e altre due ore di cammino da San Cristobal de Las
Casas. La città è il centro economico e culturale
della regione montana. Union Progreso è un villaggio
tranquillo e silenzioso, nascosto tra campi, boschi, ruscelli e
montagne. Se non sapessi che qui sono state uccise delle persone,
la bellezza e l'idillio di questo posto mi farebbero scordare
immediatamente tutti i motivi politici per i quali mi trovo
qui.
Di fatto però la moglie di Mario ha la febbre e nessuno sa
se riuscirà a sopravvivere questa malattia (curabile). Di
fatto molti bambini qui hanno la pancia grossa, e non
perché mangiano troppo Speck, ma frutti che nascondono le
larve di vermi che vivono poi nell'intestino dei bambini
costringendoli a mangiare sempre di più senza mai riuscire
a saziare la loro fame. Di fatto ci sono pochi insegnanti con
troppi alunni che continuano a insegnare nonostante non ricevano
neanche un soldo dal governo, ma lo fanno perché sanno che
l'istruzione è l'unica speranza per le future generazioni.
Di fatto il governo ha mandato qui i suoi boia vestiti di verde e
blu che per spezzare la resistenza e convincere la gente a
tornare al vecchio modello di dipendenza hanno ammazzato cinque
abitanti del villaggio.
Gli indigeni si sono spesso recati dai rappresentanti del potere
per chiedere più autonomia e maggiori diritti. Ogni volta
hanno raccolto solo bugie e promesse vuote. In questo modo
è stata tolto loro non solo la base vitale ma anche la
dignità. Negli anni '70 e '80 in Chiapas è
cresciuta la resistenza contro il potere dello stato. "Non
avevamo niente. Ma grazie alla resistenza abbiamo riconquistato
la nostra dignità e ora abbiamo almeno la speranza."
Infine è stato fondato l'EZLN (Esercito di Liberazione
Nazionale). Quando è entrato in vigore il trattato di
libero scambio tra USA, Canada e Messico, l'i gennaio 1994,
L'EZLN ha dichiarato ufficialmente guerra allo stato messicano.
Ma L'EZLN è deluso dalle trattative di pace. Anche il
presidente Fox, il quale da seguito al dominio lungo ormai 71
anni del corrotto PRI (Partito della Rivoluzione
Istituzionalizzata), non ha portato nessun miglioramento. Fox
tenta di spezzare la resistenza aizzando gli indigeni uno contro
l'altro, mentre i camion continuano a penetrare sempre più
profondamente nei boschi del paese e ad esportare le ricchezze
all'estero.
Il conflitto durerà finché gli indigeni potranno
vivere in pace e potranno decidere da soli della loro terra,
finché non dovranno morire di malattie curabile o per
colèpa della violenza dello stato e finché non
avranno sviluppato un sistema educativo serio. "Fino ad allora
per noi continuerà la guerra. Per la dignità, la
libertà, la democrazia e la giustizia", dice Mario con il
suo eterno e per me quasi incomprensibile sorriso sulle
labbra.
"Da noi i bambini muoiono di domenica"
"Eliseo Hernandez Solano, caso 291 delle 650 violazioni dei
diritti umani denunciate da giugno 1999 fino a maggio 2000 nel
centro per i diritti umani di Tlapa (stato di Guerrero). Non
è una notizia straordinaria, si tratta solo di una
statistica, che non arriva neanche fino ai palazzi del potere del
governo messicano", mi spiega amareggiato Abel, il capo del
centro per i diritti umani di Tlapa. Per gli indigeni di tutta la
regione montana, Abel è l'unica persona di riferimento per
i loro problemi. Abel ha dedicato la sua vita alla lotta per i
diritti degli indigeni e al rispetto dei diritti umani. Non
è un compito facile, soprattutto se si considera che
un'istituzione come questa non può certamente contare
sull'appoggio dello Stato. "Lo Stato lavora contro di noi. La
polizia e i militari mi hanno minacciato già diverse
volte. Però non possono farci niente perché noi
dell'ufficio per i diritti umani abbiamo contatti
internazionali." Un evento recente contraddice la sicurezza di
Abel: una attivista per i diritti umani di uno stato nel Nord del
Messico è stato uccisa "in modo misterioso". Dell'omicidio
sono sospettati i funzionari della polizia federale.
Abel è anche la mia persona di riferimento. Egli mi ha
organizzato due viaggi in diverse zone della regione. Gli
abitanti del primo comune che ho visitato, Temalacatzingo, erano
ben organizzati. I bambini e adolescenti dei villaggi circostanti
arrivavano in paese per frequentare la scuola pubblica, che
funziona senza sovvenzioni statali. Qui il problema non è
più dato dai militari, che fino a tre anni fa avevano il
proprio campo su una collina vicina e che terrorizzavano la
popolazione con marce e tortura. L problema era ed è
l'acqua. Non c'è quasi acqua potabile, e manca
completamente l'acqua per l'irrigazione dei campi di mais.
Ciò nonostante la scuola è ben organizzata
perché gli indigeni sanno quant'è importante
l'istruzione per la sopravvivenza. Anche le donne sembrano
più sicure di sé. Nonostante alcuni dei loro uomini
siano alcolizzati, esse non rinunciano a sperare in una vita
migliore, e costruiscono piccole ciotole dalle bucce dei frutti o
piccoli animali variopinti che poi vendono.
Nel secondo villaggio, in cui mi ha mandato Abel, le donne
intrecciano capelli, di cui ognuno costa ca. 10 centesimi di
euro. Ci vogliono due giorni per finirne uno. "Più in
fondo nella valle mangiano banane verdi immature perché
non hanno nient'altro", racconta Juan, l'autista della jeep, e
ride in quel modo così tipico in Messico, che io spesso
non capisco. Juan mi presenta alla gente del villaggio. Le
persone più anziane e importanti del paese si riuniscono
di fronte alla Casa Civica, si siedono su sedie o assi e mi
raccontano come si vive qui. Solo uno di loro, Ramos, parla bene
lo spagnolo. Ramos ha vissuto tre anni a New York, ha lavorato
come lavapiatti illegali ed è tornato come uomo
(relativamente) ricco. In questo modo è riuscita a pagarsi
la scuola superiore e così ora lui è "lo studiato"
del paese.
Mi raccontano che la loro vita qui ha lo stesso valore di una
bottiglia di birra, che di notte ci sono i banditi a rendere
insicura la zona, che il governo non fornisce nessun aiuto, anzi
tenta di sottometterli, che delle grandi imprese hanno disboscato
l'intero bosco (motivo per cui la collina ora è
completamente rada), e che loro, i legittimi eredi della terra,
rischiano il carcere se raccolgono della legna per il fuoco. Qui
c'è solo una scuola elementare e quasi nessuno può
permettersi di mandare i figli a scuola in città.
Poi sono invitato a una festa a cui partecipa quasi l'intero
paese. Mi accorgo immediatamente che si tratta di un funerale.
Qualcuno mi conduce in una buia capanna di fango. Immerso nel
fumo dell'incenso e la luce di candele vedo davanti a me un
lenzuolo bianco steso su delle assi che copre il corpo di una
donna. Usciamo, qualcuno distribuisce birra e sigarette, la gente
chiacchiera: "Aveva 23 anni e due bambini. Non potevamo
permetterci le cure, e adesso dobbiamo decidere come crescere i
bambini. Qui risolviamo tutti i problemi all'interno della
comunità", mi spiega Ramos.
Più tardi gli chiedo se capiti spesso che le persone
muoiano di malattie curabili. Ramos ride: "Da noi i bambini
muoiono di domenica. Non hanno scarpe ma devono lo stesso
accompagnare i fratelli grandi a lavorare nei campi, dove ci sono
grossi scorpioni la cui puntura uccide se non si interviene
subito. Qui i bambini non hanno scarpe. E il medico non lavora la
domenica, neanche se un bambini muore sui gradini di casa
sua."
Benno Steinegger è attivo nel Movimento italiano new global. Tratto da: Neue Südtiroler Tageszeitung e da: "pogrom / bedrohte Völker" (Nr. 217 - 1/2003).