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Pogrom bedrohte Völker n. 278-279, 4-5/2013
Bolzano, aprile 2014
Indice
Editoriale, Mauro di Vieste | Cristiani in Medio Oriente. Incontrarsi su Ankawa |
Russia. Una patria virtuale per i Circassi |
Kurdi. Dispersi nella diaspora, riuniti con i
media | Futuro incerto per i media indiani in
USA. Tutti ascoltano KILI | Mapuche in Cile e
Argentina: "Stigmatizzati dai media cileni" | Messico e Guatemala. Dei Maya e dei loro media |
Nasa in Colombia. Mobilitazione indigena online
| Algeria: una radio per rafforzare l'autocoscienza
dei Cabili | Gli aborigeni australiani e i
loro mezzi d'informazione. Diffondere la propria storia senza
paura
Di Mauro di Vieste
Le minoranze e i loro media. Cosa c'è di nuovo? pogrom / bedrohte Völker 278-279 (4-5/2013).
Care lettrici, cari lettori,
parlare dei media delle minoranze è come parlare di molte
di quelle lingue ritenute in pericolo dall'UNESCO: infatti delle
6000 lingue attualmente parlate nel mondo, circa 2500 rischiano
di scomparire per cause tra loro diverse. La globalizzazione, la
repressione politica, l'assimilazione culturale e nei casi
più gravi lo sterminio, rendono alcune popolazioni
incapaci di perpetuare la propria lingua e la propria cultura.
Alle società di maggioranza ovviamente non interessa
promuovere culturalmente le società di minoranza,
soprattutto quando questo implica una lotta per l'accaparramento
di risorse naturali presenti sui territori abitati appunto da
queste minoranze.
La tendenza alla scomparsa di molte lingue negli ultimi anni si
sta combattendo però grazie alla diffusione di vecchi e
nuovi media. La radio prima fra tutte riveste un ruolo
fondamentale. In altri casi è la televisione a comportare
una nuova rivoluzione. E infine internet ovviamente, che
soprattutto fra i giovani, riesce a veicolare contenuti
altrimenti non accessibili.
In questo numero speciale ci occuperemo del caso dei Circassi,
gli abitanti originari della regione che ha ospitato le Olimpiadi
invernali di Sochi. Vittime di genocidio a metà dell'800,
si sono dovuti spostare nei paesi vicini, nel nord Europa e
perfino negli USA. Nel 2010 è andata online la piattaforma
cherkessia.net. Il sito rappresenta un punto di riferimento per
tutti i Circassi, in particolare per quelli della diaspora. La
maggior parte degli articoli è scritta in turco ma ogni
tanto qualcosa è pubblicato anche in lingua adighè,
in inglese, arabo o tedesco.
Simile alla storia di cherkessia.net è il quella di
Mapuexpress, sito che informa sulla realtà della pesante
repressione che subiscono i Mapuche in Cile e Argentina, ma che
viene gestito dall'Olanda, proprio per garantire libertà
di espressione ai collaboratori.
Per i Kurdi invece è stata soprattutto la televisione a
ridare un senso di appartenenza che fino a pochi anni fa non
aveva certo queste dimensioni. Se si pensa che i Kurdi che vivono
in Kurdistan sono divisi tra almeno quattro stati, Turchia,
Siria, Iran e Iraq, e una diaspora enorme vive sparpagliata nel
resto del mondo, si può immaginare che rivoluzione sia
stata la prima trasmissione in lingua kurda via satellite nel
1995. Si trattava dell'inizio delle trasmissioni di Med-TV dalla
sede di Londra e per Hikmet Tabak, il suo fondatore, la messa in
onda del canale kurdo doveva contribuire alla salvaguardia e allo
sviluppo della cultura kurda. Med-TV ha rappresentato
effettivamente un punto di svolta per la formazione di
un'identità collettiva kurda. All'epoca in Turchia, lo
stato in cui vivono almeno 20 milioni di Kurdi, l'utilizzo della
lingua kurda era proibito a tutti i livelli e appunto per il
semplice utilizzo della lingua si finiva dritti in carcere con
l'accusa di separatismo.
Ma è ancora oggi la radio il mezzo a fare la differenza in
molte parti del mondo come avviene per i Lakota negli Stati Uniti
o per i Maya in Messico e Guatemala, o ancora per i Cabili in
Algeria o gli Aborigeni in Australia. E' emblematico il caso di
Radio Kili, la radio dei Lakota nella Riserva di Pine Ridge nel
Dakota del Sud. La radio iniziò a trasmettere nel 1983, ma
all'inizio non tutti ne apprezzarono il servizio visto che il
progetto era stato avviato dall'America Indian Movement,
organizzazione che era stata criminalizzata dalle autorità
statunitensi per le sue azioni di protesta a favore dei Nativi
americani (l'incidente più grave fu quello di Wounded Knee
nel 1973). Ma è quando nel 1986 un fulmine distrusse le
antenne della radio e si interruppero le trasmissioni che la
gente si accorse dell'importanza di avere una radio comunitaria
che era espressione della propria cultura.
Questi sono solo alcuni degli esempi e delle storie che
riportiamo in questo numero, storie che ci dovrebbero far
riflettere sull'importanza della conservazione di tutte le lingue
e le culture che inesorabilmente stanno scomparendo. Riusciranno
vecchi e nuovi media ad arginare questo fenomeno?
Mauro di Vieste
Foto di copertina: Belinda Juaw della stazione radio privata SPIRIT FM nella città di Yei nel Sudan del Sud, legge le notizie del giorno. SPIRIT FM trasmette in inglese e in arabo Juba come anche nelle lingue regionali Madi, Kuku e Kakwa. Molte comunità nel mondo danno vita a stazioni radio o altri progetti mediatici per lottare per la sopravvivenza della propria lingua e cultura. Iniziative come questa creano un'opinione pubblica alternativa a quella dei media convenzionali, i quali solitamente non si occupano a sufficienza di minoranze. Foto: Werner Anderson/ Norsk Folkehjelp Norwegian People's Aid/Flickr BY 2.0.
Di Amir Almaleh
Panorama della città di Ankawa nel nord dell'Iraq. Qui lavorano i redattori di www.ankawa.com, il sito che fornisce notizie dal Medio Oriente.
"Abdul-Jabbar Khedr Tuza è stato ucciso a colpi di arma
da fuoco il 6 aprile 2013 verso le 18.00 davanti a casa sua nella
città irachena di Mosul da uno sconosciuto incappucciato.
Khedr Tuza era assistente medico all'ospedale della città.
Di fede cristiana, era nato nel 1957, sposato con tre figli."
Questa notizia di cronaca appare sul sito d'informazione in
lingua araba www.ankawa.com.
Ogni giorno circa 70.000 persone si collegano al sito per
informarsi sulla situazione di Assiri, Caldei e Aramei di fede
cristiana e di altre minoranze del Medioriente.
Ankawa è stato fondato nel 1999 e nel frattempo è
diventato uno dei siti, gestito da Cristiani, maggiormente letti.
I redattori di Ankawa sono impegnati a fornire notizie sempre
attuali e a promuovere attraverso il sito la tolleranza tra le
religioni e i diversi gruppi etnici dell'Irak e del Medioriente.
Oltre alle notizie Ankawa offre analisi politiche così
come storia di vissuto quotidiano e spazia dall'informazione
all'educazione e ancora all'intrattenimento. Nonostante il sito
sia gestito dalla Svezia riesce a fungere da luogo virtuale
d'incontro per un numero crescente di persone in Medioriente. I
lettori possono commentare le notizie in un'apposita chat e
condurre dibattiti su temi difficili e controversi. Più 50
volontari tra autori, tecnici informatici e altri professionisti,
contribuiscono a far funzionare il sito tutti i giorni. L'unica
fonte di entrate è data dalla pubblicità. Ankawa
incassa mensilmente fino a 5.000 US$ (circa 3.660 Euro), quanto
basta per coprire le spese di funzionamento del sito ma non per
pagare i redattori.
L'ufficio principale di Ankawa si trova in un locale
dell'Associazione per i diritti dei migranti "Yaomona" a
Stoccolma, mentre mantiene sedi distaccate ad Ankawa vicino alla
capitale del Kurdistan iracheno Arbil e a Bagdeda nella provincia
di Ninive nell'Irak nordoccidentale. La redazione è
composta da sette persone e più di 20 giornalisti sparsi
in tutto il mondo che quotidianamente forniscono le notizie
pubblicate. Tra i giornalisti circa dodici sono iracheni e altri
tre stanno in uno dei paesi vicini dell'Irak.
Amir Almaleh è cofondatore e caporedattore di www.ankawa.com. Di fede cristiana, Amir Almaleh è nato in Iraq e vive in esilio in Svezia.
Di Nico
Protesta dell'Associazione per i popoli minacciati in dicembre 2013. Durante i Giochi Olimpici di Sochi anche i Circassi hanno tentato di sensibilizzare l'opinione pubblica mondiale sulla loro situazione.
Per il mondo i Giochi Olimpici Invernali 2014 a Sochi sono
ormai un ricordo, ad eccezione che per i Circassi che fin dalla
nomina di Sochi si sono opposti al grande evento sportivo. Da
anni chiedono che la Russia chieda scusa per i massacri commessi
150 anni fa proprio a Sochi dall'esercito zarista e onori i morti
circassi. Dopo oltre 100 anni di guerre contro l'esercito dello
Zar, le tribù circasse erano già divise, indebolite
e in parte messe in fuga quando nel 1864 l'esercito zarista si
abbatté con ferocia su chi ancora resisteva
all'occupazione e mise così fine all'opposizione circassa.
Si stima che almeno 1 milione di persone morirono durante il
genocidio russo. Oggi i discendenti dei Circassi, che
preferiscono chiamare se stessi Adighi, vivono un po' in tutto il
mondo. Nella Federazione Russa essi costituiscono con il 52% la
maggioranza della popolazione solamente nella Repubblica di
Cabardino-Balcaria. Nel 2010 è andata online la
piattaforma virtuale www.cherkessia.net. Il sito
costituisce un punto di riferimento e fornisce notizie a tutti i
Circassi, in particolare a quelli della diaspora. La maggior
parte degli articoli è scritta in turco ma ogni tanto
qualcosa è pubblicato anche in lingua adighè, in
inglese, arabo o tedesco. Per conoscere meglio questo mezzo
d'informazione relativamente giovane, l'Associazione per i Popoli
Minacciati (APM) ha voluto intervistare Schamis Hatko,
caporedattore e ideatore di Cherkessia.net e con Inal Tamzok,
attivista circasso in Germania e autore di diversi articoli per
Cherkessia.net.
APM: Quali scopi perseguite con la vostra piattaforma?
Cherkessia.net : Vogliamo ridare vita a un flusso di informazioni
tra l'opinione pubblica mondiale e i Circassi. In seguito al
genocidio e la messa in fuga siamo spariti anche dalla coscienza
del mondo, è come se il nostro popolo non esistesse
più. E' questo quello che vogliamo cambiare, e vogliamo
parlare del nostro destino e dei nostri desideri. Ovviamente con
il sito speriamo di riuscire a raggiungere e unire anche tutti i
Circassi in giro per il mondo e creare qualcosa come una "patria
virtuale". Dopo la diaspora le comunità circasse in tutto
il mondo si sono sviluppate in modo autonomo e in parte hanno
adottato la cultura dei paesi in cui hanno trovato rifugio. Alla
lunga questo sviluppo ovviamente fa sì che ci possano
essere anche grandi differenze tra le varie comunità
circasse nel mondo.
APM: Quali lettori vorreste raggiungere?
Cherkessia.net : Vorremmo raggiungere quanti più Circassi
possibile e convincerli a una partecipazione politica attiva.
Vogliamo arrivare a tutte quelle persone che lavorano per la
pace, la giustizia, i diritti umani e i diritti dei popoli
autoctoni. Purtroppo finora ci riusciamo solo in parte, un po'
anche per il fatto che siamo tutti volontari. Vorremmo pubblicare
molti più articoli anche arabo, tedesco o inglese ma
abbiamo poco tempo e capacità limitate per
riuscirci.
APM: Cherkessia.net ha un preciso orientamento politico?
Cherkessia.net: Rappresentiamo gli interessi del popolo circasso.
In questo senso non siamo neutri, però non abbiamo nessun
orientamento politico né religioso. Tra i Circassi ci sono
persone liberali, conservatrici, di sinistra, musulmani,
cristiani e atei. Siamo decisamente ancorati al concetto di
democrazia e ci piacerebbe poter tornare a vivere insieme come
popolo, senza paura di essere assimilati. Questo non significa
che vogliamo staccarci dalla Federazione Russa, ma vogliamo che
in Russia i nostri diritti come popolo autoctono siano garantiti
e rispettati.
APM: Quali sono i maggiori successi ottenuti da
Cherkessia.net?
Cherkessia.net: In appena quattro anni di lavoro siamo riusciti a
far passare tra i Circassi il concetto della ricostruzione della
"Circassia". Quando abbiamo iniziato a trattare questo tema sulla
piattaforma virtuale Circassian Canada siamo stati fortemente
criticati, anche da rappresentanti di storiche organizzazioni
circasse. Ci vedevano come provocatori che miravano a peggiorare
le relazioni con la Russia. In realtà il nostro scopo era
quello di fare la pace con la Russia. Ai tempi della Circassia la
politica la politica dei Circassi consisteva soprattutto nel
mantenere la propria cultura, lingua e tradizione. Si tratta di
un impegno che rallenta sì un eventuale processo di
assimilazione ma in ultima analisi non può eluderlo. Ci
siamo resi conto che dovevamo cambiare radicalmente la nostra
strategia se volevamo mantenere la nostra cultura e che dovevamo
parlare anche di tematiche delicate come il genocidio del 19.
secolo. Abbiamo poi voluto chiarire chi esattamente è un
Circasso. In Turchia per esempio è considerato Circasso
chiunque provenga dal Caucaso settentrionale come gli Abcasi, i
Daghestani, i Ceceni o gli Ingusci. Tramite Cherkessia.net siamo
riusciti a convincere molti Circassi del fatto che come popolo
non abbiamo solo nemici ma anche molti amici in tutto il mondo,
amici che potrebbero aumentare se continuiamo ad aprirci al
mondo.
APM: Quali sono le difficoltà che dovete affrontare?
Cherkessia.net: Le nostre idee e posizioni erano del tutto nuove
per molti Circassi e questo ovviamente ha comportato molte
critiche. La maggior parte delle organizzazioni circasse aveva un
orientamento pro-Russia, tanto che molti Circassi stessi mettono
in dubbio il genocidio e pensano che viviamo nella diaspora a
causa dell'emigrazione volontaria dei nostri antenati. Le colpe
della Russia zarista nel commettere il genocidio vengono
minimizzate così come vengono minimizzate le colpe
dell'attuale Federazione Russa che non vuole chiedere
ufficialmente scusa per il genocidio. Un'altra difficoltà
sta nel poter svolgere un lavoro giornalistico adeguato. Siamo in
pochi e questi pochi sono tutti volontari. Questo ovviamente
limita la nostra possibilità di dedicare tempo al lavoro
di ricerca approfondita e di traduzione.
APM: Avete una visione? Come vi immaginate lo sviluppo di questo
mezzo d'informazione?
Cherkessia.net: La nostra meta è riuscire a
professionalizzare il nostro lavoro e riuscire a diventare
un'agenzia di stampa circassa. vorremmo anche aumentare e
espandere la conoscenza sul nostro popolo nel mondo e per
raggiungere più persone e lettori abbiamo abbinato il
nostro lavoro su Cherkessia.net con facebook per arrivare a tutti
coloro che ancora non conoscono il nostro sito.
Di Linus Mandl
Televisione e Internet hanno contribuito in modo determinante a creare un'identità collettiva kurda.
Per centinaia di migliaia di famiglie kurde in tutto il mondo
nel marzo 1995 ci fu una piccola rivoluzione. Per la prima volta
nella loro vita era possibile sintonizzarsi via satellite su una
trasmissione televisiva nella propria lingua. Per Hikmet Tabak,
fondatore di Med-TV con sede a Londra, la messa in onda del
canale kurdo doveva essere un contributo alla salvaguardia e allo
sviluppo della cultura e lingua kurda e avrebbe dovuto permettere
alla popolazione kurda nel mondo di comunicare attraverso la
televisione. Effettivamente Med-TV ha rappresentato un punto di
svolta per la formazione di un'identità collettiva kurda.
Fino a quel momento l'esistenza di un'emittente televisiva in
lingua kurda era semplicemente inimmaginabile. Nel 1992
l'utilizzo pubblico della lingua kurda restava proibito in
Turchia, ora tutti i Kurdi in Turchia non solo potevano ricevere
via satellite trasmissioni nella loro lingua ma potevano
intervenire, chiamare lo studio televisivo e arricchire le
trasmissioni con i loro commenti. Med-TV riuscì ad
avvicinare tra loro i milioni di persone disperse nella diaspora
kurda. Quattro anni dopo la prima trasmissione Md-TV fu costretta
a chiudere. La Turchia accusò l'emittente di rapporti con
il Partito dei lavoratori del Kurdistan PKK e fece pressioni
sulle autorità britanniche. Per la prima emittente in
lingua kurda iniziarono tempi difficili. Le unità
anti-terrorismo inglesi irruppero nello studio e negli uffici
dell'emittente, diversi collaboratori furono arrestati e nel 1999
la Independent Television Commission ritirò la licenza a
Med-TV. Nonostante la sua breve vita, Med-TV scrisse la storia
della televisione in lingua kurda e spianò la strada a
diversi altri e nuovi canali in lingua kurda.
A circa 20 anni dalla prima trasmissione di Med-TV, la
comunità mediatica kurda si è notevolmente
ingrandita. Oggi esistono più di 30 canali televisivi
kurdi che trasmettono in digitale terrestre o via satellite, tra
cui TRT-6 direttamente gestito dallo stato turco e in onda fin
dal 2009. Negli anni '90 nessuno avrebbe osato immaginare un tale
sviluppo dei media in lingua kurda. Per molto tempo la Turchia si
è ermeticamente chiusa nel proprio nazionalismo rifiutando
qualsiasi concessione alle minoranze del proprio paese e
arrivando addirittura a proibire l'uso pubblico della lingua
kurda. Fino al 1992 scrittori, attori e cantanti che osavano
esprimere la propria arte in kurdo rischiavano di essere
arrestati, processati e condannati dalla giustizia turca come
"terroristi" o "traditori della patria". In questo senso per
molti è tuttora incredibile che lo stato abbia deciso di
avviare un'emittente televisiva statale in lingua kurda.
Una comunità mediatica non si forma solamente grazie alla
televisione, ma anche attraverso internet. La "rete" è un
luogo ideale per condurre dibattiti politici, conoscere persone,
scambiare musica, scrivere poesie e pubblicare filmati, e tutto
ciò in lingua kurda, nelle sue varianti kurmanci, sorani e
zazaki. Nel world wide web si trovano addirittura corsi di lingua
kurda e una letteratura adeguata per cimentarsi nella "nuova"
lingua. Grazie alla rete il tabù vigente in Turchia
sull'utilizzo del kurdo è diventato obsoleto. A differenza
dei mezzi di informazione a stampa che fino a relativamente poco
tempo fa erano rigorosamente censurati dalle autorità
turche e che quindi raggiungevano solo piccole cerchie esclusive
di lettori, le pubblicazioni in internet sono molto più
difficili da controllare. La comunità virtuale inoltre
riesce ad accorciare la distanza tra i Kurdi della diaspora e
quelli rimasti nei villaggi di origine. I Kurdi residenti in
Germania, Francia, Italia e in altri paesi ora possono seguire
gli accadimenti e sviluppi a casa e partecipare attivamente al
dibattito politico.
La formazione dell'identità kurda attraverso i mezzi
d'informazione e comunicazione ha comportato anche dei risvolti
politici. Molte emittenti televisive kurde vogliono trasmettere
agli spettatori la sensazione di fare parte di un'unica
comunità kurda e danno quindi parecchio spazio al
nazionalismo kurdo e ai suoi simboli. La lotta per la
libertà di stampa e di opinione è così
spesso accompagnata da una volontà indipendentista. La
lotta per un stato kurdo si è da tempo trasformata in una
lotta di propaganda. Le armi schierate dalla Turchia sono
l'emittente TRT-6, opposta fino al 2012 all'emittente Roj TV che
faceva capo al partito kurdo PKK. I notiziari e i programmi di
divertimento in kurdo sulla televisione statale turca avevano lo
scopo di creare una contro-propaganda al PKK. A sua volta il PKK
temeva che l'emittente statale usasse il canale televisivo per
trasmettere il solito nazionalismo turco, questa volta in lingua
kurda, e che informasse in modo parziale sugli interventi
militari dell'esercito turco nei territori kurdi. Il PKK ha
quindi dichiarato che chiunque guardava TRT-6 era da considerare
un traditore. Lo sviluppo dei mezzi di informazione in lingua
kurda non riguarda solo la Turchia. Nel Kurdistan iracheno i due
maggior partiti kurdi gestiscono ognuno la propria emittente,
Kurdsat e Kurdistan TV. Il partito kurdo dell'Unione Democratica
(PYD) in Siria informa anch'esso sulla propria emittente Ronahi
TV dello sviluppo della guerra civile nel paese e ogni giorno
invia tramite internet una newsletter agli abbonati in tutti il
mondo.
La molteplicità dell'offerta mediatica kurda mette a nudo
anche i conflitti tra gli stessi gruppi e partiti kurdi. Da tempo
i kurdi di Siria, Iran e Turchia portano avanti una lotta per il
potere e per la leadership regionale che appare evidente proprio
nell'informazione fornita dalle rispettive emittenti.
Così, se da un lato la molteplicità delle emittenti
kurde riesce a trasmettere le istanze di questa minoranza a un
pubblico più ampio e internazionale, dall'altro lato molti
lamentano una certa mancanza di professionalità
giornalistica visto che molte emittenti sembrano non scindere gli
avvenimenti dalle convinzioni politiche. Tra i compiti di un
mezzo di informazione c'è quello di risolvere i disaccordi
non con le armi in mano ma con i dibattiti pubblici. In questo
senso, il compito dei media in lingua kurda dovrebbe anche essere
quello di porsi come osservatori obiettivi nel processo di pace
tra Kurdi e Turchi e di contribuire in tal modo alla crescita e
al consolidamento di un processo democratico anche all'interno
della comunità kurda.
Linus Mandl è stato tirocinante dell'Ufficio Medioriente dell'Associazione per i Popoli Minacciati di Göttingen nell'estate 2013. Da settembre 2012 è studente del "German Turkish Master's Program in Social Sciences" dell'Università Tecnica del Vicino Oriente di Ankara/Turchia e della Humboldt-Universität di Berlino. E' stato ad Ankara, a Istanbul e nelle regioni kurde della Turchia meridionale e dell'Iraq del Nord.
Di Sandy Naake
Nel 2009 Fanny Bräuning girò il documentario "No More Smoke Signals" che documentava l'importanza di Radio Kili per i Lakota. "Un luogo dimenticato tra lotta e speranza, tra mito indiano e quotidianità nella riserva più povera degli Stati Uniti (...). Radio Kili è tutto questo. Invece dei segnali di fumo Radio Kili trasmette i suoi segnali radio attraverso la grandiosità dei paesaggi, con una sapiente miscela di humour e malinconia."
L'anziana Lakota che si sveglia e ascolta musica tradizionale,
l'agricoltore nativo che segue le previsioni del tempo, il
giovane padre che si informa sulle offerte di lavoro o
l'adolescente che alza il volume al suono del Rock'n'Roll - per
Radio Kili tutte queste persone devono essere raggiunte. La "voce
dei Lakota" trasmette fin dal 1983 nella Riserva di Pine Ridge
nel Dakota del Sud e fin dall'inizio l'obiettivo degli ideatori
della radio era quello di offrire un servizio più
eterogeneo possibile.
Inizialmente non tutti videro di buon occhio l'avvio
dell'emittente nativa, tant'è che all'epoca il quotidiano
Rocky Mountain News scriveva "Terroristi installano emittente
radiofonica". Radio Kili fu fondata da membri dell'American
Indian Movement (AIM), un'organizzazione di protesta dei Nativi
americani che soprattutto negli anni '70 fu fortemente
criminalizzata dalle autorità statunitensi. Nel 1973 i
militanti dell'AIM occupano per 71 giorni il villaggio di Wounded
Knee all'interno della riserva di Pine Ridge. Wounded Knee aveva
e ha tuttora un forte valore simbolico e storico, è il
luogo in cui nel 1870 l'esercito statunitense massacrò
centinaia di Lakota indifesi. La protesta chiedeva la verifica di
tutte le violazioni dei contratti firmati tra Nazioni Native e
governo degli Stati Uniti nonché un'inchiesta sulle
condizioni in cui versavano le riserve indiane.
Nonostante le difficili premesse nel 1983 Radio Kili inizia a
trasmettere e continuerà a farlo fino al 2006 quando un
fulmine distrugge l'antenna trasmittente della radio. Radio Kili
si trova costretta a interrompere le trasmissioni e ad avviare
una raccolta fondi per comprare un'antenna nuova. "Da quando
Radio Kili ha smesso di trasmettere non so più cosa
succede qui da noi", si lamenta un ascoltatore. Ci vuole un anno
prima di riuscire ad acquistare l'antenna nuova. Ma il "blackout"
ha avuto anche degli aspetti positivi. Per i Lakota è
diventato evidente che l'esistenza di una radio autogestita non
è scontata e quanto invece sia importante l'informazione
fornita da Radio Kili. L'emittente trasmetteva in diretta eventi
sportivi e consultazioni politiche, informava di compleanni,
offerte di lavoro e annunci mortuari all'interno della riserva.
Molte trasmissioni sono in lingua lakota per contribuire al
mantenimento della propria lingua e cultura.
Bobby Gomes (a destra) di Radio KAHU alle Hawaii saluta dei giovani musicisti. Dal 2010 al 2013 Radio Kahu era l'unica emittente radiofonica di proprietà di Nativi hawaiiani. A causa delle spese di produzione troppo alte nel 2013 il fondatore Wendell Kaehuaea è stato costretto a vendere la licenza radio al Hawai'i Public Radio.
Un'infrastruttura digitale desolante
L'impegno radiofonico dei Lakota non deve trarre in inganno. In
realtà la situazione dei media nativi negli USA è
scoraggiante. Secondo Native Public Media (NPM),
un'organizzazione che dal 2004 affianca i Nativi americani nella
creazione di proprie emittenti radiofoniche, solo 53 su 566
popoli nativi statunitensi possono contare su una propria
emittente radiofonica. Inoltre l'infrastruttura digitale nelle
riserve è praticamente inesistente. Nelle riserve native
solo ogni terza persona ha una linea telefonica e meno del 10%
della popolazione delle riserve possiede una connessione a banda
larga.
Loris Ann Taylor della riserva Hopi in Arizona aveva dieci anni
quando per la prima volta ascoltò la radio. Un turista
aveva regalato a suo nonno una piccola radio a batteria visto che
nella riserva non c'era la l'elettricità. Quell'evento
sembra averla colpita profondamente e oggi Loris Ann Taylor
è presidente di NPM. "Per molti Nativi le stazioni radio
native sono anche patria e terra natia", ci racconta, "le
definiscono 'custodi della nostra storia, lingua e cultura' o
anche 'scuole senza muri'. Ci sono talmente tanti buchi neri
[riguardo all'esistenza di radio comunitarie] che dobbiamo ancora
colmare".
Sopravviveranno i quotidiani?
I media dei Nativi creano un'opinione pubblica alternativa a
quella dei media convenzionali solitamente poco inclini a
informare dei problemi dei Nativi o addirittura impregnati di
stereotipi e pregiudizi. Il primo giornale nativo fu pubblicato
nel 1828 in lingua cherokee e inglese. Il Cherokee Phoenix
informava i lettori soprattutto sulle decisioni politiche e
giuridiche riguardanti i Cherokee. Negli anni '40 e primi '50 del
secolo scorso venne pubblicato il secondo mensile prodotto da
Nativi americani. La rivista
Ádahoonílígíí usciva
inizialmente solo in lingua navajo e a partire dal 1947 anche in
inglese ma nel 1957 la pubblicazione fu interrotta per la
mancanza di fondi. Due anni dopo apparve il Navajo Times, un
settimanale che tuttora vende 25.000 copie e che si è
profilato come il maggiore settimanale nativo stampato degli
USA.
La voce principale del movimento per i diritti dei Nativi degli
anni '60 e '70 era indubbiamente l'Akewsasne Notes. L'idea di un
giornale della resistenza nacque nel dicembre 1968 da un gruppo
di persone sedute attorno al tavolo da cucina del Mohawk Ernest
Kaientaronkwen Benedict. Finanziata tramite le donazioni, la
rivista poté mantenere la propria indipendenza. Le
Akewsasne Notes era un settimanale intertribale che si
autodefiniva la voce degli Haudenosaunee (la gente della lunga
casa), ossia la voce delle Sei Nazioni che appartengono alla
stessa famiglia linguistica. La rivista però non informava
solamente della condizioni di vita nelle riserve delle Sei
Nazioni (Cayuga, Mohawk, Oneida, Onondaga, Seneca, Tuscarora), ma
anche di quanto succedeva a livello internazionale. La redazione
di Akewsasne Notes informava della resistenza delle Nazioni
Native come della distruzione della foresta Amazzonica o della
repressione in Tibet.
Nel gennaio 1988 degli sconosciuti lanciarono una bomba
incendiaria negli uffici del settimanale. Nella prima uscita dopo
l'attentato la redazione scrisse: "I nostri uffici sono stati
distrutti da coloro che ad Akwesasne [territorio Mohawk, al
confine tra Stati Uniti e Canada] non gradiscono che scriviamo
dei problemi degli Haudenosaunee, di azioni criminali e
comportamenti amorali. Queste persone sono quasi riuscite a
distruggerci ma noi sopravviviamo." Quasi dieci anni dopo, nel
1997, il settimanale dovette chiudere i battenti, i costi di
produzione erano diventati troppo alti.
Attualmente la principale fonte di informazione per i Nativi
Americani è dato dal settimanale Indian Country Today.
Dall'estate 2013 la rivista esce unicamente in forma
digitale.
Per l'editore Ray Halbritter la decisione di sospendere la stampa
e pubblicare solo in digitale dipende dal fatto che "la
tecnologia moderna è talmente avanzata che dobbiamo
preoccuparci unicamente di dare ai nostri lettori ciò di
cui hanno realmente bisogno". Suzanne Sobel dell'Indian Country
Today condivide l'opinione di Halbritter nonostante solo il 43%
del Nativi Americani e appena il 10% di coloro che vivono nelle
riserve dispone di un accesso a Internet. "La maggior parte usa
comunque solo il proprio smartphone per mantenersi informato",
replica la Sobel, "inoltre online si raggiungono molte più
persone e possibili sostenitori e lobbisti per la causa dei
nativi".
Di altro avviso è Sheena Louise Roetman. La giovane
giornalista con origini Creek e Lakota lamenta che in questo modo
ci rimettono soprattutto gli anziani, e anche Tim Giago degli
Oglala Lakota e fondatore nel 1981 dell'Indian Country Today
(venduto nel 1998 alla Nazione Oneida) è d'accordo. "Il
Navajo Times è oggi il maggiore giornale nativo degli
Stati Uniti e le copie stampate sono in aumento. Questo
perché la maggior parte delle persone preferisce ancora
tenere in mano un giornale vero, e anche perché molti
Navajo non dispongono dell'accesso a internet".
Ritorno alla radio?
"Nella riserva Hopi non esistono i vigili del fuoco. Se
c'è un incendio boschivo noi siamo gli unici che possono
mettere in guardia le persone", racconta Richard Davis
dell'emittente radiofonica Kuyi. Nel 2010 la riserva fu travolta
e isolata da una tempesta di neve. Grazie a radio Kuyi gli
abitanti vennero a sapere dove gli aerei della Guardia Nazionale
avrebbero lanciato i pacchi di viveri.
La radio è l'unico mezzo in grado di collegare velocemente
tra loro comunità lontane, non solo nel territorio Hopi in
Arizona ma anche nell'isolata Alaska. Radio KBRW si trova a
Barrow, la città più settentrionale degli Stati
Uniti. Secondo Jeff Seibert, Radio KBRW è l'unica
emittente radiofonica nel giro di 94.000 miglia quadrate (94.000
miglia quadrate corrispondono a 243.450 km² che a loro volta
corrispondono all'estensione della Gran Bretagna). "Qui la gente
è molto spirituale e quindi offriamo molte trasmissioni
religiose in lingua inglese e iñupiat, una delle lingue
native dell'Alaska".
Solo il 57% delle emittenti radiofoniche native dell'America
settentrionale trasmettono nella lingua della propria gente.
"Tentiamo con ogni mezzo di offrire più trasmissioni nella
nostra lingua", spiega Margaret Rousu di Radio Niijii nella
riserva White Earth in Minnesota, "ma è una corsa contro
il tempo perché ormai sono rimasti in pochi a conoscerla.
Nella nostra riserva sono rimaste solo 4 persone in grado di
parlare fluentemente l'Ojibwe."
Questa purtroppo non è l'unica preoccupazione delle
emittenti native. 35 emittenti dipendono per la loro
sopravvivenza dai finanziamenti della Corporation for Public
Broadcasting (CPB), una fondazione del Congresso degli Stati
Uniti che sostiene diverse istituzioni. Il budget della CPB per
il 2014 è di 4,5 miliardi di dollari (3,3 miliardi di
Euro) che distribuiti corrispondono a circa 95.000 Euro per ogni
emittente radiofonica. Rispetto all'anno prima il finanziamento
per ogni emittente è calato del 5%.
Richard Davis della radio hopi Kuyi è preoccupato.
"Ovviamente le nostre comunità possono sopravvivere anche
senza di noi. Ma questo le metterebbe in pericolo. Noi qui
facciamo un lavoro davvero rivoluzionario. Ogni giorno che
trasmettiamo nella nostra lingua è un giorno in più
di sopravvivenza della nostra cultura".
Un attivista mapuche si incatena al cancello della Cattedrale di Buenos Aires per protestare contro gli arresti arbitrari di Mapuche. Foto: the future is unwritten/Flickr BY-NC-SA 2.0.
"Abbattere i muri dell'intolleranza" e "non dover far
riferimento a mezzi di comunicazione che discriminano i Mapuche"
si legge nella presentazione di Mapuexpress (www.mapuexpress.org), una
piattaforma di informazione online sulla realtà dei circa
2 milioni di Mapuche in Cile e Argentina. La situazione dei
Mapuche in Cile è particolarmente difficile. Nel paese
sudamericano vivono tra i 1,4 e i 1,6 milioni di Mapuche. Da
decenni protestano in modo pacifico per il rispetto dei loro
diritti così come sanciti dagli accordi internazionali
firmati e ratificati dai governi cileni e per la restituzione
delle terre tolte loro durante la dittatura militare del generale
Augusto Pinochet (1973-1990).
Per le autorità le proteste degli "uomini della terra",
come i Mapuche chiamano se stessi, sono però atti di
terrorismo tant'è che per i Mapuche gli arresti arbitrari
e le persecuzioni violente sono all'ordine del giorno. Diventa
allora fondamentale organizzarsi anche a livello mediatico per
poter dare conto della reale situazione dei Mapuche. Nel 2000
Rafael Railaf e Alfredo Sequel, due Mapuche residenti in Olanda,
fondano Mapuexpress e in pochi anni la piattaforma online
registra quotidianamente 3.000 visite e offre ai suoi lettori
più di 6.000 articoli. Per saperne di più,
l'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha intervistato
Rafael Railaf.
Rafael Railaf, uno dei fondatori di Mapuexpress.
APM: Per quale motivo il sito Mapuexpress non è
registrato in Cile?
Rafael Railaf: Abbiamo deciso di andare online fuori dal Cile per
evitare problemi con il governo cileno. La persecuzione dei
Mapuche in Cile implica anche un forte controllo della rete di
comunicazione. Su Mapuexpress i membri registrati hanno quindi la
possibilità di pubblicare informazioni e notizie
riguardanti i Mapuche. Il nostro primo dominio era registrato nei
Paesi Bassi ed era gestito dalla Mapuche Folil Foundation (La
Mapuche Folil Foundation è stata fondata nel 2000 in
Olanda da un gruppo di Mapuche in esilio. Lo scopo
dell'organizzazione è di sostenere i Mapuche in Cile e di
sensibilizzare l'opinione pubblica europea sulla storia e i
problemi dei Mapuche tramite una serie di attività come
mostre, seminari o serate informative). Dal 2013 Mapuexpress
è del tutto indipendente con una propria redazione web.
Anche il nuovo dominio non è registrato in Cile per le
stesse ragioni per cui non lo era quello precedente.
APM: Qual'è lo scopo principale di Mapuexpress?
Rafael Railaf: Prima che esistesse questa piattaforma tutte le
informazioni che ci riguardavano venivano unicamente dai mezzi di
comunicazione normali. I mezzi di informazione cileni sono
però di parte, mirano a creare scontro e sono i principali
responsabili della stigmatizzazione dei Mapuche. Sono loro a
diffondere la paura tra la popolazione maggioritaria cilena. A
questo punto bisogna peraltro precisare che i proprietari dei
mezzi d'informazione sono tutti uomini d'affari che hanno
acquistato terre in Araucania (regione nel Cile meridionale,
terra ancestrale del popolo Mapuche). Ovviamente hanno anche un
forte interesse economico a mantenere una situazione di paura e
repressione. Mapuexpress invece è una piattaforma
indipendente che vuole far conoscere i problemi dei Mapuche senza
alcuna censura.
APM : A chi è diretto Mapuexpress?
Rafael Railaf: A tutti coloro che vogliono sapere cosa succede
veramente nelle comunità Mapuche.
APM : Come ottenete le informazioni pubblicate?
Rafael Railaf : Ci sono membri di Mapuexpress in diverse regioni
del Cile e dell'Argentina che ci forniscono informazioni di prima
mano su quanto accade là. Possono essere studenti ma anche
esperti in vari settori. Le notizie però possono arrivare
anche da persone che non sono membri della nostra piattaforma e
che ci informano via mail.
APM: Siete mai stati minacciati per il vostro lavoro?
Rafael Railaf: Sì, soprattutto all'inizio. Ma le minacce
sono cessate quando è risultato evidente che la nostra
è una piattaforma indipendente e apartitica.
APM: Chi vi minacciava?
Rafael Railaf : La maggior parte dei Cileni non crede che dei
Mapuche possano essere capaci di organizzare da soli una grande
rete indigena. All'inizio venivamo stigmatizzati come Mapuche
radicali, finanziati da qualche gruppo estero. Molti non possono
credere che si tratti di un'iniziativa che nasce all'interno di
una nuova generazione di Mapuche, con molti di noi nati e
cresciuti in Europa, che abbiamo studiato in Europa ma che
ciò nonostante ci sentiamo legati e appartenenti ai
Mapuche in Sudamerica che vogliamo sostenere da qui.
Di Stephanie Brause
Scena del trailer della telenovela messicana 'Baktún', parlato quasi esclusivamente in lingua maya-yucateca. La telenovela spiega anche molti aspetti della cultura Maya come p.es. il calendario proposto in questo trailer.
Il giovane maya Jacinto migra verso New York. A casa non
c'è lavoro. Quando suo padre sta morendo, Jacinto torna al
villaggio dove cerca di reimparare la lingua madre dimenticata,
il maya-yucateco, e di ritrovare le sue radici culturali. Un po'
alla volta Jacinto capisce che la propria cultura va mantenuta,
coltivata e integrata nel "mondo moderno". Sembrerebbe una storia
di vita come tante, ma la storia di Jacinto è la traccia
di "Baktún", la prima in cui si parla quasi esclusivamente
il maya-yucateco. La telenovela viene trasmessa da giugno 2013
nello stato federale messicano di Quintana Roo.
Le telenovela sono molto seguite in America Latina tant'è
che secondo il regista Bruno Cárcamo il genere potrebbe
essere particolarmente adatto alla diffusione e riaffermazione
delle lingue indigene. Gli sceneggiatori di Baktún tentano
di mettere in scena le tradizioni maya nel modo più reale
e corretto possibile, di spiegare elementi culturali come il
calcolo del tempo e di adattare la trama alle norme culturali
maya. Così ad esempio sono state cancellate 300 scene di
baci poiché la cultura maya non vede di buon occhio le
manifestazioni di affetto in pubblico prima del matrimonio.
In Messico vivono circa 759.000 persone che parlano il
maya-yucateco, una delle moltissime lingue della famiglia delle
lingue maya. Il progetto della telenovela ha suscitato molto
interesse anche al di fuori dei confini messicani, come in
Perù e in Bolivia.
Il maya-yucateco è anche la prima lingua indigena adottata
dal browser Firefox. L'idea di offrire i servizi di Firefox in
lingua maya è venuta ad alcuni collaboratori di Firefox
quando nel 2003 il governo messicano riconobbe le lingue indigene
parlate sul territorio come "lingue nazionali" accanto allo
spagnolo.
Lo scopo del progetto era quello di dare maggiore
visibilità e sostegno alle lingue indigene. Concretamente
il progetto ha permesso ai locutori del maya-yucateco di
diffondere le proprie conoscenze attraverso la rete, di scoprire
che l'utilizzo della propria lingua va oltre la semplice
chiacchierata con il vicino di casa e di conseguenza a stabilire
una maggiore identificazione con la propria lingua madre. L'avvio
del progetto pilota è stato difficile. Gli ideatori del
progetto hanno prima dovuto convincere le diverse comunità
coinvolte della validità e dei vantaggi collegati al
progetto, dopodiché bisognava trovare sufficienti persone
di madrelingua con un buon livello scolastico per le traduzioni
di testi anche molto complessi. Un altro problema era dato dalla
scarsità di letteratura nelle lingue indigene per cui
molti sapevano sì parlare la propria lingua ma non
leggerla e scriverla.
Nonostante i molti ostacoli oggi Firefox è stato tradotto
in 26 lingue indigene parlate in Messico tra cui il nahuatl, lo
zapoteco e il wixárika. Nel frattempo il progetto continua
a crescere anche oltre i confini messicani accogliendo lingue
come il kichwa dell'Ecuador, il tz'utujil del Guatemala o il
nawat pipil del Salvador.
Nel 2011 attivisti per i diritti umani da diversi paesi hanno aiutato una comunità maya in Guatemala a costruire una stazione radio per potersi difendere dallo sfruttamento di una miniera d'oro da parte di una ditta canadese.
Il lancio di trasmissioni televisive e di internet in lingue
maya non ha però tolto importanza ai mezzi di
comunicazione tradizionali come la radio. Il "Sistema di
emittenti radiofoniche culturali indigene" è stato avviato
nel 1979 dalla statale Commissione Nazionale per lo Sviluppo dei
Popoli Indigeni (Comisión Nacional para el Desarrollo de
los Pueblos Indígenas) con lo scopo di raggiungere in modo
particolare la popolazione rurale messicana.
Attualmente ognuna di queste emittenti trasmette per una media di
dodici ore al giorno. Più di 21 emittenti raggiungono
circa 5,5 milioni di persone in oltre 950 comunità. Il 75%
degli ascoltatori appartiene a uno dei gruppi indigeni del
territorio. Le trasmissioni sono in spagnolo e, a seconda
dell'emittente, in una delle 31 lingue indigene del
territorio.
Le tematiche trattate sono molteplici, dall'educazione alla
salute, dalla cultura ai diritti umani. Grazie al bilinguismo
delle trasmissioni il progetto delle emittenti culturali indigene
riesce a costruire un ponte tra la popolazione indigena e la
popolazione non-indigena.
Anche il Guatemala vanta diversi progetti radiofonici
promettenti. Uno di questi progetti è l'"Istituto
guatemalteco per la formazione via radio". Si tratta di una vera
e propria scuola che insegna tramite trasmissioni radiofoniche.
Il progetto è nato nel 1979 per riuscire a raggiungere
tutta quella popolazione rurale che non ha alcuna
possibilità di accedere oppure ha un accesso solo limitato
a scuole e attività di formazione. La scuola radiofonica
offre anche corsi di lingua q'eqchi' e kaqchikel e oltre che alla
radio le trasmissioni possono essere ascoltate via internet.
Attualmente 42.000 persone sparse per tutto il territorio
utilizzano i corsi offerti dal progetto radiofonico.
La mano pubblica guatemalteca sostiene finanziariamente progetti
mediatici come l'emittente televisiva multiculturale TV Maya che
ha avviato le trasmissioni nel 2007. Il contenuto redazionale di
TV Maya è elaborato dall'Accademia per le Lingue Maya che
attraverso i programmi televisivi spera di poter contribuire al
mantenimento dei valori e della cultura maya e alla loro
divulgazione nella società multiculturale guatemalteca.
Proprio per rispettare il volto multiculturale del paese, i
programmi di TV Maya sono multilingue come la trasmissione
"Riqachoch" che va in onda in spagnolo e in kaqchikel. Le
trasmissioni sono comunque aperte e dirette a tutti i gruppi
etnici, tra cui ovviamente anche i Ladinos, gli Xinca o i
Garífuna (I Ladinos sono i discendenti di lingua spagnola
della popolazione bianca e indigena. Gli Xinca sono un gruppo
indigeno del Guatemala meridionale e i Garifuna sono i
discendenti di schiavi africani e della popolazione
caraibica).
Il successo riscosso dai progetti mediatici multiculturali finora
realizzati in Guatemala è di buon auspicio per il futuro
dei mezzi di informazione indigeni nella giovane democrazia. Il
Guatemala infatti conosce la pace solo nel 1996 dopo decenni di
guerra civile tra le forze armate della dittatura militare e i
movimenti guerriglieri. I morti - circa 200.000 - appartenevano
prevalentemente alle popolazioni maya. Nonostante gli ultimi
sviluppi ci sono tuttora migliaia di emittenti che trasmettono
senza licenze statali. Una di queste emittenti pirata è la
radio maya Ixchel nel distretto di Sumpango. Qui il salario medio
della popolazione è di 250 dollari al mese e il costo di
un licenza radiofonica è proibitivo per la maggior parte
della popolazione. Gestire un'emittente radiofonica perfettamente
legale può arrivare a costare anche qualche centinaia di
migliaia di dollari, decisamente troppo in questa regione
prevalentemente rurale. Nel 2006 la polizia ha perquisito la sede
di Radio Ixchel e ha sequestrato la maggior parte della loro
attrezzatura. Ciò nonostante l'emittente pirata non si
è arresa. Grazie alle donazioni provenienti dai suoi 8.000
ascoltatori la radio ha ripreso a funzionare in un luogo tenuto
segreto. Ora per le autorità sarà difficile
individuare la sede dell'emittente che fornisce ai suoi
ascoltatori musica e notizie in lingua kaqchikel.
Stephanie Brause sta assolvendo un master in Americanistica all'interno del quale si è più volte recata in America Latina. Da ottobre 2013 a gennaio 2014 ha svolto un tirocinio presso l'Associazione per i Popoli Minacciati in Germania.
Di Ulrich Morenz
Nasa nella regione di Cauca, Colombia.
Andare in strada per esigere giustizia, terra, autonomia e
partecipazione politica è la più classica delle
forme di protesta. Da qualche anno però i circa 200.000
Nasa della Colombia affiancano la protesta in strada a un sempre
maggiore uso di Internet per far conoscere la loro
situazione.
I Nasa sono per numero il secondo più grande popolo
indigeno in Colombia. La maggior parte dei Nasa vive nella parte
sudoccidentale della regione Cauca. Fin dagli anni '80 la regione
è meta di multinazionali che vi estraggono carbone o
avviano piantagioni di palma d'olio. Nella regione operano anche
trafficanti e produttori di droga. Il naturale isolamento tra le
montagne fa di queste terre un luogo ideale per la produzione di
cocaina e la rende perfetta anche come luogo di ritiro dei
guerriglieri delle Farc. Fin dal 2000 la popolazione del Cauca ha
assistito all'intensificarsi degli scontri armati tra le
formazioni delle Farc e l'esercito colombiano ma già da
prima, a partire dagli anni '90, qui avevano iniziato ad operare
anche varie formazioni di milizie paramilitari. Oltre a essere a
loro volta coinvolte nel traffico di stupefacenti, le milizie
sono al soldo di grandi proprietari terrieri e multinazionali le
cui pretese territoriali vengono imposte con le armi e la
violenza. In ogni caso le vittime sono le comunità
afrocolombiane e indigene della regione.
I Nasa si trovano loro malgrado sulla linea di conflitto e
continuano a essere vittime di gravi violazioni dei diritti umani
commesse da tutte le parti in causa. Assassinii, messa in fuga,
reclutamento forzato di bambini e adolescenti, esproprio forzato,
prostituzione forzata, persecuzione e rapimento sono pratiche
diffuse utilizzate per imporre gli interessi dell'una o
dell'altra parte. Già discriminati economicamente e
culturalmente, la guerra ha definitivamente messo in ginocchio le
minoranze colombiane.
Ciò nonostante i Nasa non si sono arresi e la loro
capacità di resistenza è sorprendente. Proprio come
i Mapuche nel Cile meridionale anche i Nasa combattono la
repressione e la discriminazione fin dall'inizio del colonialismo
attorno al 1530.
Per l'attivista Nasa Adolfo Gustavo Ulcué (Ulcué
è collaboratore di ACIN 'Asociación de Cabildos
Indígenas del Norte del Cauca - Associazione dei
consiglieri indigeni del Cauca del nord' per la quale gestisce
anche il sito web. Ripetutamente minacciato a causa della sua
attività giornalistica e politica nel 2009 si è
visto costretto a lasciare famiglia e comunità per non
esporle ai pericoli derivanti dal suo lavoro), la presenza dei
Nasa in rete è estremamente importante. Da diversi anni
Ulcué coordina vari progetti mediatici in rete. "I
notiziari nei mezzi d'informazione pubblici e privati trasmettono
una quadro distorto della realtà delle popolazioni
indigene. Si tenta così di fare propaganda culturale e di
pubblicizzare il territorio per il turismo. Quando poi scendiamo
in strada per protestare e chiedere il rispetto dei nostri
diritti i mezzi d'informazione ci dipingono come ribelli,
guerriglieri o addirittura come selvaggi e criminalizzano le
nostre richieste.
Grazie a Internet riusciamo invece a trasmettere la nostra
versione delle cose e di spiegare perché protestiamo." E'
fondamentale riuscire a creare una contro-opinione pubblica. Il
mercato dei mezzi di comunicazione in Colombia è
fortemente concentrato. L'80% dei mezzi è controllato da
soli quattro gruppi imprenditoriali. I Nasa quindi non utilizzano
solo pagine in rete per informare della loro situazione ma usano
anche i network sociali e forme mobili di accesso al web. "Grazie
a internet mobile riusciamo a trasmettere le manifestazioni in
diretta in rete e a inserire in tempo reale fotografie, filmati e
commenti sulle nostre pagine web". Così molti utenti del
nostro sito distribuiscono le informazioni via facebook o twitter
e la nostra realtà è percepita e conosciuta in
molte parti del mondo. Internet è diventato per noi un
importante strumento di autodifesa e solidarietà."
Inondazioni nel Cauca, Colombia. L'isolamento della regione favorisce l'attività di taglialegna illegali e trafficanti di droga e minaccia i Nasa che tentano di difendersi come possono dalle intrusioni criminali.
L'attivismo online della comunità indigena non è
rivolto solamente verso l'esterno ma serve anche come mezzo di
comunicazione tra i Nasa stessi. Il web permette di informare in
modo veloce e diffuso sulle prossime campagne politiche
così come permette di rivitalizzare la cultura Nasa
raccontando la propria tradizione e le proprie origini a chi, ad
esempio, si era allontanato dalla propria comunità e
storia per sfuggire alla crescente discriminazione. Questa forma
di attivismo online è ancora all'inizio per mancanza di
fondi finanziari. Il clima di violenza e persecuzione fa
sì che il lavoro in rete dei Nasa si concentri
perlopiù su tematiche politiche e legate ai diritti umani.
La speranza però è di riuscire in futuro a dare
maggiore spazio ai temi riguardanti la propria tradizione e le
proprie radici. In particolare gli attivisti Nasa vorrebbero
usare la rete per ridare linfa vitale alla lingua Nasa Yuwe.
"Ultimamente abbiamo sviluppato dei giochi interattivi che
inseriti in apposite unità didattiche facilitano
l'apprendimento del Nasa Yuwe. L'intenzione è di rendere
questi giochi disponibili nel mondo digitale e di permettere
così agli utenti di utilizzarli a integrazione del
tradizionale processo di apprendimento. E' il tentativo di fare
qualcosa per il mantenimento della nostra lingua e
cultura".
L'esempio dei Nasa dimostra l'enorme importanza che internet
riveste per i popoli indigeni in generale nella difesa dei propri
diritti. Tramite il web essi riescono a informare, a creare
opinione e a ottenere solidarietà sia a livello nazionale
sia a livello internazionale. Il pieno successo nell'utilizzo di
internet per ora è ostacolato da problemi finanziari e
tecnici, ma la lotta virtuale è solo all'inizio.
Ulrich Morenz ha assolto uno stage presso l'Ufficio per i Popoli Indigeni dell'Associazione Popoli Minacciati Germania. Ha studiato Relazioni internazionali. La sua tesi di master si intitola "Cyberattivismo indigeno nel contesto latinoamericano - L'esempio dei Nasa in Colombia". Nel 2012 ha passato sei mesi in Colombia per le ricerche della sua tesi.
Di Ouzemour Thinhinane
Atmosfera serale nella cittadina portuale di Béjaïa in Cabilia.
Sono i narratori a rendere viva una storia, come un
film che scorre non sullo schermo ma nella mente ad occhi chiusi.
Da tempi immemorabili la Tajmaat - l'assemblea di villaggio -
trasmette le fiabe cabile alla comunità e alle famiglie.
Grazie a questa tradizione narrativa è stata mantenuta
viva la lingua cabila che nel corso della storia ha subito il
forte influsso di culture diverse come quello dell'arabizzazione
del settimo e ottavo secolo o dell'Impero Ottomano. I Cabili
vivono prevalentemente nell'Algeria nord-orientale, nella
Cabilia, e insieme ai Tuareg e ai Chaoui fanno parte del gruppo
etnico dei Masiri (Imazighen in lingua berbera). In Algeria
vivono dai 5 ai 6 milioni di Cabili, di cui 3-3,5 milioni in
Cabilia e altri 2-2,5 milioni nelle grandi città del
paese. Il Taqbaylit (la lingua cabila) fa parte delle lingue
tamazight (berbero). Il taqbaylit viene insegnato nelle scuole
algerine solamente a partire dal 1995 e solo nel 2002 viene
riconosciuto come lingua nazionale del paese accanto all'arabo.
La lotta dei Cabili per il riconoscimento e il mantenimento della
propria lingua è sempre stata anche una lotta per il
mantenimento della propria cultura. In questa lotta la radio ha
avuto e continua ad avere un ruolo
importantissimo.
"La radio è uno dei mezzi più efficaci per il
mantenimento della propria lingua e cultura", dice Rabah
Boudjemaâ, collaboratore e celebrità locale
dell'emittente radiofonica cabila Chaine 2. Le prime trasmissioni
radiofoniche in lingua cabila furono trasmesse già negli
anni attorno al 1920. L'allora potenza coloniale Francia sostenne
in modo particolare la lingua e cultura dei Cabili, come parte di
una strategia che mirava a dividere la popolazione e legare a
sè la minoranza numericamente non trascurabile dei Cabili.
"Ma", scrive Philipp Zessin nel suo lavoro sul giornalismo
indigeno nell'Algeria coloniale (Philipp Zessin: "Die Stimme der
Entmündigten. Geschichte des indigenen Journalismus im
kolonialen Algerien". Campus Verlag, 2012), "la parificazione
della lingua cabila con quella araba all'interno della
programmazione dell'ELAK (Émissions en Langue Arabe et
Kabyle) creò scompiglio tra una fetta della popolazione di
maggioranza araba per la quale la lingua araba era anche la
lingua sacra che non poteva quindi essere messa sullo stesso
piano di quello che era considerato il dialetto berbero."
Cabili nel 1900 a Béjaïa.
Nella genesi della radio cabila la figura di Madame Lafage,
moglie di un ufficiale francese, è stata fondamentale.
Madame Lafage viveva nella regione di Akbou nella Piccola
Cabilia, parlava la lingua locale e grazie alle sue conoscenze
permise a un gruppo di donne di produrre nel 1924 la prima
trasmissione in lingua taqbaylit. Nelle loro trasmissione della
durata di 10-15 minuti le donne parlavano di tematiche della vita
quotidiana, ed è stato proprio l'aspetto della
quotidianità a dare un contributo basilare per il
mantenimento della lingua e cultura cabila. Tutto ciò
accadeva molto tempo prima che i chouyoukhs, i cantanti
maghrebini scoprissero per sè la radio e gli sviluppi
tecnologici permisero l'apertura di nuove emittenti cabile verso
la metà degli anni '40.
Boudjemaâ è sicuro che la radio abbia contribuito in
modo fondamentale al rafforzamento del senso d'identità
dei Cabili così come ha ispirato personaggi quali Mouloud
Mammeri (Scrittore cabilo (1917-1989), a cui le autorità
locali avevano proibito di apparire a una conferenza sulla poesia
antica cabila. Poco dopo scoppiarono i disordini in Cabilia,
segnando l'inizio della Printemps berbère), un'icona della
lotta per il riconoscimento della cultura cabila.
La radio avrebbe inoltre fornito un contributo significativo a
sollevazioni popolari politicamente importanti come la Printemps
berbère (primavera berbera: in seguito al divieto di
apparizione per lo scrittore Mouloud Mammeris, i Cabili
manifestarono contro la repressione dello stato e occuparono
l'università di Tizi Ouzou/Cabilia, l'ospedale e alcune
fabbriche. Il 20 aprile 1980 la polizia e i militari presero
d'assalto gli edifici occupati e arrestarono molti dei
manifestanti, ma soprattutto i leader della protesta) nel 1980 o
la Printemps noir (primavera nera) nel 2001. Nella cosiddetta
Printemps noir i Cabili manifestarono pacificamente in ricordo
della morte tragica di Massinissa Guermah, contro la violenza
della polizia e lo scarso riconoscimento della loro cultura. Il
giovane Cabilo era stato arrestato e colpito da una pallottola
mentre si trovava in una stazione di polizia. Il ragazzo
morì poco dopo in ospedale. Le forze dell'ordine aprirono
il fuoco sui manifestanti. Morirono 132 persone e migliaia furono
ferite.
Boudjemaâ ci tiene a ricordare che ci furono dei tempi in
cui si rischiava l'arresto per il semplice fatto di pronunciare
la parola "Amazigh" (masiro). Dopo l'indipendenza dell'Algeria
dalla Francia nel 1962 l'allora presidente Houari Boumedienne
introdusse la sua "rivoluzione culturale" nella speranza di
superare il trauma coloniale e di creare un'identità
nazionale araba con l'Islam come religione di stato. Da qui in
poi non ci sarebbe più dovuto essere spazio né per
la lingua francese né per il tamazight e la cultura
cabila.
Oggi le proteste sembrano appartenere al passato. La lingua
tamazight ha ottenuto lo status di una lingua nazionale, Radio
Algeria trasmette il suo secondo canale Chaine 2 completamente in
lingua cabila e nel paese ci sono conferenze e iniziative in
lingua cabila. Dopo i disordini di ottobre 1988 (Il 4 ottobre
1988 i giovani dei sobborghi di Algeri scesero in strada per
protestare contro la gravissima situazione sociale. In pochi
giorni le manifestazioni si allargarono a tutto il paese e il
governo dichiarò il coprifuoco. Nei successivi disordini
morirono 161 persone. Altre fonti parlarono addirittura di 200 e
anche di 500 morti. Per porre fine alle manifestazioni l'allora
presidente Chadli Benjedid promise importanti riforme. Furono
introdotti il sistema multi-partitico e fissati diritti civili
come la libertà di espressione e di riunione e il diritto
alla fondazione di associazioni politiche) non c'è
più stata censura e, racconta Boudjemaâ, "da allora
le organizzazioni culturali cabile sono spuntate come
funghi".
Ouzemour Thinhinane è Cabila e studia a Berlino.
Di Yvonne Bangert e Marion Caris
Aborigeni durante le lezioni nella Terra di Arnhem/Australia. Nel 2013 le emittenti SBS e National Indigenous Television (NITV) hanno avviato un progetto il cui scopo è di formare studenti Aboriginals e delle isole Torres Strait per un futuro lavoro nel mondo dei media.
"Era agli inizi degli anni '80 quando mia madre ascoltò
per la prima volta radio CAAMA (Central Australian Aboriginal
Media Association) ad Alice Springs. Al ritorno a casa mi disse,
'Tiga, avresti dovuto vedere quei blackfellas (Aborigeni) ad
Alice. Là hanno propri programmi radio. Adesso vado alla
radio comunitaria e gli dico che anche noi siamo parte della
comunità e vogliamo la nostra parte di trasmissioni. E tu
vieni con me.' A quei tempi nove radio comunitarie avevano appena
ricevuto nuove licenze e noi della comunità di Redfern
(quartiere di Sidney) ricevemmo dieci ore di trasmissioni a
settimana messe a disposizione da Radio Skid Row. Così
nacque Radio Redfern che divenne poi Koori Radio.
I nostri media indigeni hanno il compito di informare, offrire
cultura, divertire e di rappresentare i nostri interessi. Devono
dare espressione alla nostra storia, alle nostre esperienze e
alla nostra identità, e non solo come servizio per noi
stessi ma per tutta la società, anche quella
maggioritaria", racconta Tiga Bayles (Bayles fa parte del clan
Wirri della Nazione Birri Gubba ed è uno dei primi
attivisti per i diritti degli Aborigeni. Ha fatto parte del
gruppo di Aborigeni che nel 1972 istituirono un'ambiasciata-tenda
simbolica a Canberra. La tenda c'è tuttora, è
diventata crocevia di attivisti per i diritti umani e persone che
si interessano della situazione delle popolazioni originarie
dell'Australia. La tenda continua a simboleggiare la richiesta
degli Aborigeni a vedere rispettati i loro diritti) a proposito
della sua esperienza nel panorama mediatico degli Aborigeni. Fino
a novembre 2013 Bayles è stato membro del direttivo di
AICA (Australian Indigenous Communications Association -
Associazione per la comunicazione indigena australiana).
AICA è una confederazione finanziata dal governo con il
compito di fissare le condizioni generali per radio, televisione
e stampa e di regolare il panorama mediatico della popolazione
aborigena di tutta l'Australia e degli abitanti autoctoni delle
isole dello Stretto di Torres. Per l'organizzazione resta tuttora
difficile trovare sufficienti finanziamenti indipendenti. Secondo
AICA, i mezzi d'informazione indigeni potrebbero contribuire
maggiormente a tematiche quali la salute, l'educazione
pre-scolare, la sicurezza nelle comunità e l'apprendimento
nel corso di tutta la vita ma per poter sopravvivere in tempi di
crescente concentrazione mediatica è fondamentale che
aumentino i finanziamenti pubblici. Il panorama mediatico degli
Aborigeni australiani è molto variegato. Per persone
abituate da millenni a trasmettere le proprie conoscenze e la
propria cultura oralmente, i mezzi di informazione audio-visivi
come la radio o la televisione acquistano una grande
importanza.
Il Central Australian Media Association con sede a Alice Springs è stato fondato nel 1980. Attraverso la sua radio e altri canali mediatici contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo della cultura, lingua e musica dei nativi australiani.
Particolare attenzione merita il canale televisivo National
Indigenous Television (NITV, www.nitv.org.au). NITV trasmette in
diverse lingue aborigene e i suoi programmi sono dedicati
esclusivamente alle questioni indigene. 35 collaboratori su 50
sono a loro volta aborigeni. Nel settore della stampa gli
Aborigeni possono contare su diversi giornali e periodici. Il
giornale Koor Mail (www.koorimail.com), posseduto al
100% da Aborigeni, esce ogni 14 giorni. Gli utili del giornale
vengono devoluti sotto forma di borse studio a studenti aborigeni
e delle isole dello Stretto di Torres oppure vengono utilizzati
per sostenere l'organizzazione di iniziative nelle
comunità indigene. Il National Indigenous Times (NIT,
www.nit.com.au) viene
pubblicato dal 2001 ed è l'unico settimanale per le
questioni indigene distribuito in tutta l'Australia. Alla sua
nascita, gli editori promisero ai lettori di fare tutto quanto
era loro possibile per costruire attraverso il settimanale un
ponte tra l'Australia nera e quella bianca e di informare senza
paura né condizionamenti sulle questioni inerenti gli
Aborigeni. Gli editori e giornalisti del NIT sono australiani sia
indigeni sia non-indigeni e poiché il giornale non gode di
finanziamenti pubblici deve mantenersi grazie alla vendita e alla
pubblicità. Le tematiche trattate dal NIT riguardano
l'ambito sociale e politico riguardanti gli Aborigeni e i
successi di Australiani aborigeni nell'economia, nel mondo
accademico o nello sport.
Dal 2011 l'Aboriginal Land Council von New South Wales -
un'organizzazione aborigena - pubblica il mensile Tracker
(www.tracker.org.au).
"Con il mensile Tracker vogliamo riappropriarci della discussione
sul nostro futuro", dice Bev Manton, rappresentante del Land
Council. Per il mensile scrivono giornalisti importanti come
Chris Graham, che ne è anche il caporedattore, e Brian
Johnstone, entrambi vincitori del premio giornalistico
australiano Walkley Award. Sul mensile pubblicano però
anche persone come l'attivista aborigeno Gary Foley e l'esperta
per i diritti degli Aborigeni Nicole Watson. Altro giornalista
conosciuto e autore di articoli per Tracker è Jeff
McMullen, esperto di diritti alla terra degli Aborigeni e degli
isolani dello Stretto di Torres. Con una tiratura di 35.000 copie
Tracker fa parte delle maggiori pubblicazioni australiane edite
dagli stessi Aborigeni.
La maggior parte dei siti e media degli Aborigeni australiani
è pubblicata in inglese. Molti aborigeni infatti non
parlano più la propria lingua, soprattutto nelle regioni
orientali dell'Australia. Qui la colonizzazione britannica ha
avuto inizio già nel 1788 durante la quale la maggior
parte degli Aborigeni furono uccisi dai colonizzatori o morirono
per le malattie portate dall'Europa. Questo ha pesantemente
condizionato la possibilità di trasmettere le conoscenze
tradizionali inclusa la propria lingua da una generazione alla
prossima, tant'è che per molti Aborigeni l'inglese
è via via diventato lingua madre.
Le regioni settentrionali, occidentali e centrali dell'Australia
sono invece state colonizzate solo in un secondo momento. Qui le
lingue aborigene vengono ancora parlate e diverse radio come
Larrakia Radio, Yolngu Radio e Waipiri Media Association
trasmettono nelle lingue aborigene locali.
La predominanza dell'inglese nei media aborigeni non è
dovuta solamente alla storia del continente ma anche alla
volontà degli Aborigeni di non escludere gli "altri"
australiani, e far sì che anche loro possano conoscere la
cultura, le tradizioni, la cosmovisione e i problemi che
affrontano gli Aborigeni.
Marion Carris lavora come traduttrice a Berlino. Ha dei parenti in Australia e fin da giovane si è interessata del cosiddetto quinto continente. Ha intrapreso diversi viaggi attraverso l'Australia e si occupa in modo approfondito della storia e attualità dei popoli aborigeni australiani.
Il sito www.abc.net.au/indigenous/map/ offre un'ottima sintesi delle lingue degli Aborigeni e della loro distribuzione in Australia.
La versione cartacea è stata realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano.
Pogrom-bedrohte Völker 278-279 (4-5/2013)
Vedi anche in gfbv.it:
www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/crescita2012-it.html
| www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/woman2011-it.html
| www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/brasil-tras.html
| www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/global-it.html
| www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/dekade-it.html
in www: www.mapuexpress.org