Bolzano, Göttingen, 30 dicembre 2006
Con l'esecuzione dell'ex dittatore iracheno i governi
dell'Iraq, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna hanno perso
ogni possibilità di mettere davanti alle proprie
responsabilità Saddam e i suoi complici per i gravissimi
crimini commessi: le uccisioni di massa nei confronti degli
Sciiti e degli Arabi delle paludi dello Shatt-al-Arab con 300.000
morti tra il 1991 e il 2003, l'esecuzione di 8.000 ragazzi e
uomini della tribù kurda dei Barzani nel 1983, e il
genocidio di 180.000 Kurdi, tra cui anche Yezidi, cristiani
Assiro-Caldei e Turkmeni, durante la cosiddetta Offensiva Anfal
tra il 1997 e il 1998. Questi crimini dovevano essere chiariti e
documentati nella loro drammatica dimensione davanti a un
tribunale.
L'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) rifiuta per
principio la pena di morte anche nel caso si tratti di criminali
di guerra. Inoltre tutte le spiegazioni fornite da governi e
partiti sui motivi dell'esecuzione di Saddam Hussein perdono in
credibilità per il semplice fatto che dopo la caduta del
dittatore (2003) si è accuratamente evitato di occuparsi
della partecipazione di imprese europee all'installazione di
un'industria di gas nervini e alla costruzione dei missili Scud.
Fu anche grazie alla collaborazione europea che il regime di
Hussein poté effettuare l'offensiva Anfal, durante la
quale morirono nella sola città di kurda di Halabja 5.000
Kurdi tra bambini, uomini e donne. Decine di migliaia di persone
rimasero ferite, in parte in maniera molto grave. L'APM chiede
che l'Europa riconosca le proprie colpe e finanzi precisi e
concreti programmi di ricostruzione nel paese.