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Bolzano, Göttingen, 11 marzo 2015
Profughi in Darfur. Foto: archivio GfbV.
A dieci anni dall'intervento della Corte Penale Internazionale
(ICC) nel Darfur, nel Sudan occidentale non c'è giustizia
per le vittime di tortura, stupro, arresti arbitrari,
dislocamenti forzati e anzi, continuano impunemente le violenze
contro la popolazione civile.
Nel Darfur i responsabili di tortura, stupro, arresti arbitrari e
dislocamenti forzati non solo non devono temere la persecuzione
giudiziaria ma continuano a commettere i loro crimini
impunemente. Sono addirittura state legalizzate le milizie
comandate dai servizi segreti e responsabili di buona parte del
terrore diffuso tra la gente. Nel 2014 circa 430.000 persone sono
state messe in fuga e solamente da dicembre 2014 ad oggi 41.000
persone sono state costrette a lasciare i propri villaggi. Almeno
45 profughi provenienti dal Darfur sono annegati ieri 10 febbraio
davanti alle coste della Libia mentre tentavano di mettersi in
salvo raggiungendo l'Europa.
Il 31 marzo 2005 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
aveva approvato la risoluzione 1593 con la quale incaricava la
Corte Penale Internazionale di indagare e avviare un procedimento
per crimini contro l'umanità in Darfur. In seguito alle
indagini nel 2009 la Corte Internazionale ha spiccato un mandato
d'arresto per il presidente sudanese Omar Al Bashir.
Lo scorso 14 dicembre 2014 la procuratrice capo della Corte
Penale Internazionale Fatou Bensouda ha annunciato l'interruzione
di tutte e indagini relative ai crimini contro l'umanità
commessi nel Darfur a causa della mancanza di sostegno da parte
del Consiglio di sicurezza nell'ottenere l'arresto di al Bashir e
di altre persone accusate di gravissime violazioni dei diritti
umani nel paese.
In Sudan stesso non vi sono vere indagini né tantomeno
azioni penali contro i responsabili dei crimini contro la
popolazione civile del Darfur. Solo la scorsa settimana il
sottosegretario alla Giustizia sudanese Esameldin Abdelgader ha
negato di fronte al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni
Unite a Ginevra che gli stupri di massa documentati da Human
Right Watch e commessi in ottobre 2014 nel Darfur siano veramente
avvenuti. Secondo l'incaricato speciale del governo sudanese per
i crimini commessi in Darfur l'interrogatorio delle presunte
vittime non ha evidenziato alcuna prova a sostegno delle
accuse.
Lunedì 9 marzo 2015 la Corte Penale Internazionale ha
dichiarato che informerà il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite della mancanza di volontà del Sudan a
collaborare alla risoluzione dei crimini commessi e a procedere
con l'arresto del presidente. Omar al-Bashir governa il Sudan dal
1989, quando prese il potere con un colpo di stato
militare.
Dodici anni dopo l'inizio del genocidio, nelle cinque province
del Darfur ci sono ancora 2,55 milioni di persone in fuga. Circa
4,4 milioni di persone dipendono per la propria sopravvivenza
dagli aiuti umanitari provenienti dall'estero. Più di
5.000 villaggi sono stati distrutti. Il lavoro umanitario viene
massicciamente ostacolato dalle autorità del paese,
tant'è che nell'intera regione oggi lavorano solamente
5.540 cooperanti internazionali rispetto ai 17.000 che vi
lavoravano nel 2009. Purtroppo la diminuzione dei cooperanti non
corrisponde a una diminuzione dei bisogni della popolazione
civile che sono oggi gli stessi di allora.
Vedi anche in gfbv.it:
www.gfbv.it/2c-stampa/2014/140408it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2014/140318it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2014/140203it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2014/140107it.html
| www.gfbv.it/3dossier/africa/darfur-it.html
| www.gfbv.it/3dossier/africa/darfur-man.html
in www: it.wikipedia.org/wiki/Sudan
| www.italianblogsfordarfur.it
| www.hrw.org/reports/2015/02/11/mass-rape-darfur