In: Home > News > Birmania (Myanmar): deludente politica per le minoranze della premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi
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Bolzano, Göttingen, 23 maggio 2016
90.000 Rohingya sono ammassati in campi a Sittwe capitale dello Stato di Rakhine / Myanmar, settembre 2013. Foto: © Mathias Eick, EU/ECHO.
A poco più di sei mesi dalla vittoria elettorale della
Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) della premio nobel per la
pace Aung San Suu Kyi, l'Associazione per i Popoli Minacciati
(APM) accusa il nuovo governo birmano di continuare la grave
politica di discriminazione ed emarginazione del gruppo etnico
minoritario dei Rohingya di fede musulmana. Da tempo i Rohingya
subiscono le politiche influenzate da nazionalisti buddisti che
negano loro fondamentali diritti politici e civili. L'APM si
è rivolta all'Unione Europea chiedendo di rafforzare la
pressione sul paese asiatico affinché abolisca finalmente
le norme che permettono una politica simile all'apartheid contro
i Rohingya.
In un colloquio con il ministro statunitense John Kerry il
ministro degli esteri birmano Aung San Suu Kyi ha chiesto
maggiore pazienza per poter trovare "una soluzione unanime" della
questione Rohingya e in una conferenza stampa ha poi affermato
che rifiuta l'autodefinizione "Rohingya" del gruppo etnico
minoritario. Secondo la Suu Kyi tale definizione polarizzerebbe
inutilmente il paese. Per Aung San Suu Kyi è quindi
preferibile mantenere la definizione ufficiale birmana di
"Bengali", definizione che però sia i Rohingya stessi sia
la comunità internazionale rifiutano, come ha anche
già sottolineato l'ambasciatore americano Scot Marciel nei
colloqui di preparazione alla visita di Kerry in Birmania.
Per l'APM, le dichiarazioni di Aung San Suu Kyi ricordano
tristemente l'atteggiamento verso i Rohingya della giunta
militare e del poco democratico governo che è succeduto
alla dittatura. Il rifiuto di riconoscere il nome proprio di un
intero popolo non costituisce una base propizia per il
riconoscimento dei loro pari diritti senza i quali i Rohingya non
possono sperare in un futuro di libertà e dignità.
Anche la presunta ricerca di una soluzione unanime risulta ormai
poco credibile visto che Aung San Suu Kyi continua caparbiamente
a ignorare la questione Rohingya ogniqualvolta le si chieda di
affrontare concretamente la situazione.
In Myanmar 125.000 persone appartenenti al gruppo etnico dei
Rohingya continuano a vivere in appositi campi in condizioni
disumane, senza sufficiente cibo e senza possibilità di
comunicare con l'esterno. In tutto il paese la libertà di
movimento dei Rohingya è fortemente limitata e i loro
diritti individuali come il diritto a sposarsi, a cercare lavoro,
ecc. vengono sistematicamente violati. Secondo le informazioni
fornite dall'ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
Profughi), la Birmania non solo non intende porre fine a queste
discriminazioni, ma pianifica l'ennesima revisione della
cittadinanza dei Rohingya. Le autorità birmane continuano
a negare ai Rohingya il loro diritto alla cittadinanza.
Vedi anche in gfbv.it:
www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150813it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150528it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150514it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150505it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2015/150114it.html
| www.gfbv.it/3dossier/asia/burma/burma-1it.html
| www.gfbv.it/3dossier/asia/burma/birmania.html
| www.gfbv.it/3dossier/asia/burma/burma-shan-it.html
in www:
www.ec.europa.eu/echo/files/aid/countries/factsheets/rohingya_en.pdf
|
www.caratteriliberi.eu/2014/01/29/mondo/la-transizione-birmana/
| www.irinnews.org