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Birmania (Myanmar): nuova riforma agraria mette a rischio processo di pace

In Birmania milioni di piccoli agricoltori rischiano di perdere la base esistenziale

Bolzano, Göttingen, 22 febbraio 2019

Il governo birmano vuole realizzare una riforma agraria. Foto: Carsten Ten Brink via Flick. CC BY 2.0. Il governo birmano vuole realizzare una riforma agraria. Foto: Carsten Ten Brink via Flick. CC BY 2.0.

La nuova proposta di legge per la riforma dei diritti terrieri del governo birmano rischia di annullare gli sforzi fatti finora per porre fine a 70 anni di conflitti armati nelle regioni di insediamento delle minoranze etniche del paese. La nuova legge prevede che entro l'11 marzo 2019 i piccoli agricoltori debbano registrare presso le autorità competenti le richieste di usufrutto dei terreni che posseggono da generazioni. Per chi non registra la propria richiesta sono previsti l'esproprio e fino a due anni di carcere tramutabili in pena pecuniaria. La registrazione però non garantisce la proprietà ma semplicemente permette l'usufrutto dei terreni per 30 anni.

Evidentemente la nuova legge disattende i diritti tradizionali di proprietà delle minoranze, non tiene conto del tradizionale usufrutto comunitario della terra da parte delle comunità indigene né considera la situazione dei profughi che, vista la loro peculiare situazione, non hanno la possibilità di registrare le loro richieste. La nuova legge penalizza infatti in primo luogo i profughi, costretti a fuggire dalle violenze, che non potendo registrare le richieste sul proprio territorio, perdono qualsiasi possibilità di tornare a casa, sia per la perdita della propria terra sia per il fatto che la mancata registrazione criminalizza le persone e comporta il rischio dell'incarceramento.

Attualmente almeno 106.000 piccoli agricoltori degli stati federali di Shan e di Kachin sono in fuga. Altre 100.000 persone appartenenti a diverse minoranze vivono in campi profughi in Thailandia. Nello stato federale di Rakhine 128.000 persone sono profughe interne mentre ulteriori 750.000 Rohingya hanno cercato protezione in Bangladesh. Lo scorso 25 gennaio 2019 Yanghee Lee, incaricata dell'ONU per i diritti umani in Birmania, ha ufficialmente protestato contro la nuova legge che, dichiara Lee, di fatto espropria i profughi della loro proprietà e dei loro diritti.

Ma a subire le conseguenze della nuova legge saranno anche milioni di piccoli agricoltori che si vedranno sottrarre la loro base esistenziale. Chi infatti decide di far registrare la sua richiesta rinuncia automaticamente alla proprietà della terra dovendosi accontentare dell'usufrutto per 30 anni, e chi invece decide di ignorare la legge viene criminalizzato e perde comunque la sua terra. Per milioni di piccoli agricoltori la nuova legge viene percepita come una dichiarazione di guerra alle minoranze etniche del paese nonché come il tentativo di un lento e strisciante furto delle loro terre. Infatti, l'82% dei terreni il cui uso dovrebbe essere regolamentato dalla nuova legge si trova nelle regioni di insediamento delle minoranze e sarebbero principalmente loro a perdere i propri diritti e la loro base esistenziale.

L'organizzazione Chin Land Affairs Network ha già precisato che le comunità indigene dei Chin sono tradizionalmente proprietari di tutto il territorio del loro stato federale e che questi diritti non possono essere messi in discussione da una legge. Il sospetto delle organizzazioni indigene e per i diritti umani è che la legge abbia lo scopo di facilitare l'accesso e l'usufrutto della terra a investitori privati sia stranieri sia interni. Infine la nuova legge rischia di minare qualsiasi tentativo di dialogo per il raggiungimento di una pace duratura in regioni che da 70 anni sono scenari di repressione e conflitti armati. Ciò determinerebbe anche il definitivo fallimento della politica della Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi che aveva dichiarato che la ricerca di pace sarebbe stato il compito centrale del suo mandato.