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Tibet: ondata di arresti dopo il suicidio di monaci

Muore ancora una tibetana dandosi fuoco

Bolzano, Göttingen, 31 maggio 2012

Il Monastero di Baiju nel distretto di Gyantse in Tibet. Foto: Gerhard Palnstorfer. Il Monastero di Baiju nel distretto di Gyantse in Tibet. Foto: Gerhard Palnstorfer.

Lo scorso 30 maggio è morta un'altra donna tibetana dandosi fuoco per protesta contro la politica cinese in Tibet. La madre di tre bambini è morta vicino a un monastero nella prefettura autonoma di Ngaba nella provincia di Sichuan. La maggior parte dei 38 Tibetani che negli scorsi tre anni si sono dati fuoco proveniva proprio da questa regione.

Da settimane a Ngaba è di fatto in vigore lo stato di emergenza. Ma nonostante le autorità istituiscano regolarmente posti di blocco che isolano completamente dal mondo esterno interi villaggi e le strade siano pattugliate da mezzi pesanti armati, non riescono comunque a impedire che ci siano persone che decidano di darsi fuoco per protesta.

Lo scorso 27 maggio a Lhasa sono morti altri due monaci buddisti, anche essi dopo essersi dati fuoco. Da allora le autorità cinesi hanno rafforzato la sorveglianza nella città e molti Tibetani ora temono di uscire di casa per paura degli arresti indiscriminati. Dopo la morte dei due monaci le forze dell'ordine hanno infatti fermato diverse centinaia di persone, perlopiù abitanti della capitale tibetana e pellegrini e decine di persone sono state arrestate con l'accusa di aver tentato di filmare o fotografare con il proprio telefonino l'atto di estrema protesta dei monaci. Secondo alcuni testimoni la maggior parte degli arrestati dovrebbe essere stata portata nel carcere militare di Tsalgunthang, a circa undici km dalla città, altri sarebbero stati trasferiti nel carcere di massima sicurezza di Gutsa, e una parte dei detenuti dovrebbe essere stata portata nel campo di lavoro forzato di Trisam. I turisti stranieri presenti sono stati accompagnati dalle forze di sicurezza nei propri alberghi e costretti a cancellare tutte le foto.