In: Home > DOSSIER > Cile. Il deficit democratico nel rapporto tra lo stato cileno e i popoli indigeni
Di Anita Perricone
Bolzano, settembre 2011
Indice
Abstract
L'articolo presenta la situazione attuale dei popoli indigeni in
Cile, due anni dopo l'entrata in vigore della Convenzione 169
dell'ILO (International Labour Organization - Organizzazione
Internazionale del Lavoro). Attraverso l'illustrazione di sei
ipotesi, si cerca di spiegare perché esiste un deficit
democratico nella relazione tra lo Stato cileno e i popoli
indigeni. Si parte dal prendere atto che detto deficit è
stato rilevato di recente dal sistema internazionale di
monitoraggio del compimento dei trattati dell'ILO, essendo
però radicato più profondamente nella transizione
ad una democrazia poco pluralista. Viene analizzato il contrasto
tra i progressi raggiunti dal diritto internazionale, in quanto
ai diritti dei popoli indigeni, e i risultati ottenuti in seguito
alla loro trasposizione nell'ordinamento cileno; si accenna anche
all'applicazione degli standard internazionali da parte delle
Corti nazionali. Inoltre, si descrive la percezione dell'opinione
pubblica riguardo alla situazione dei popoli indigeni in Cile,
mentre la conclusione contempla alcune brevi speculazioni sui
possibili sviluppi per gli anni a venire.
Protesta mapuche durante un processo presso il Tribunale di Victoria, Cile. Foto: Massimo Falqui Massidda.
Generalmente, il Cile è considerato un "buono studente
nella disordinata classe dell'America Latina" [1], soprattutto per quanto riguarda la gestione
economica. Dopo la transizione alla democrazia, il paese ha
mantenuto una crescita sostenuta per più di due decenni,
favorendo la lotta alla povertà dei successivi governi
della Concertación (coalizione di sinistra che è
stata al potere tra il 1990 e il 2010). Il Cile partecipa a
numerosi trattati commerciali, e nel 2009 è entrato a far
parte del "club" dei paesi più sviluppati al mondo,
l'OCSE. Anche se i crimini commessi durante la dittatura di
Augusto Pinochet (1973-1989) sono stati finalmente riconosciuti,
in Cile esistono aspetti della vita politica che oscurano i
traguardi raggiunti dai governi dell'era post-transizione: uno di
questi è la relazione tra lo Stato cileno e i popoli
indigeni, che rimane un tema estremamente delicato e ancora da
risolvere.
A febbraio del 2011, attraverso un'Osservazione individuale
redatta durante la sua riunione n. 81, la Commissione degli
Esperti sull'Applicazione di Convenzioni e Raccomandazioni
(CEACR) dell'ILO ha chiamato il governo a presentare un nuovo
rapporto sull'applicazione della Convenzione n. 169 in Cile. La
richiesta riguardava, in particolare, la risposta del governo
alle osservazioni inserite dai sindacati dei lavoratori e dalle
organizzazioni indigene nei rapporti alternativi, presentati
parallelamente al rapporto ufficiale allo stesso CEACR qualche
mese prima. Questo richiamo può essere interpretato come
un segnale chiaro della violazione delle disposizioni della
Convenzione n. 169 da parte del Cile, dove il trattato è
stato ratificato nel 2008 dal governo di Michelle Bachelet ed
è entrato pienamente in vigore il 15 settembre del 2009.
Ma la Convenzione non è l'unico strumento di diritti umani
violato dallo Stato cileno negli ultimi anni: anche la
Dichiarazione dell'ONU sui diritti dei popoli indigeni (2007)
è stata calpestata in diverse occasioni. Per quale motivo
vengono assunti obblighi sotto l'egida del diritto internazionale
per poi non farsene carico? Si tratta 'solamente' di mancata
volontà politica, oppure abbiamo a che fare con un
problema più profondo?
Il Cile sembra incapace di far applicare correttamente i diritti
dei popoli indigeni. La sua giovane democrazia sta attraversando
una fase difficile, simile all'adolescenza e caratterizzata da
fasi acute di ribellione. Nei prossimi paragrafi verranno esposte
sei ipotesi, attraverso le quali si cercherà di spiegare
l'esistenza, nonostante la buona reputazione della democrazia
cilena, di un deficit di pluralismo nelle relazioni tra lo Stato
e i popoli indigeni.
Il sistema dell'invio di rapporti è il principale modo
di sorveglianza per verificare la corretta applicazione dei
trattati di diritti umani nei vari paesi membri. Per molti
osservatori, questa è la ragione principale per cui questi
trattati non sono particolarmente effettivi. Nonostante questa
grande debolezza, c'è però il vantaggio
dell'immagine poiché a nessuno Stato piace essere accusato
apertamente di violare i diritti umani. [2]
Secondo l'art. 22 della Costituzione dell'ILO, ogni Stato membro
di una Convenzione ha l'obbligo di inviare un rapporto dopo un
anno dall'entrata in vigore di questa, dopodiché deve
inviare rapporti ogni cinque anni, a meno che l'organizzazione
non richieda un rapporto aggiuntivo in determinate situazioni
(come nel caso cileno). Il Comitato degli Esperti
sull'Applicazione di Convenzioni e Raccomandazioni (CEACR), il
principale organo di monitoraggio dell'ILO, ha il compito di
ricevere e analizzare i rapporti inviati dagli Stati. Ogni anno,
il CEACR pubblica un report che riunisce le sue osservazioni
rispetto all'applicazione della Convenzione da parte degli Stati
membri.
Il sistema descritto non prevede sanzioni per gli Stati che
violano i diritti contenuti in un trattato di diritti umani, come
la Convenzione n. 169 dell'ILO. Gli articoli 24 e 26 della
Costituzione dell'ILO prevedono la possibilità, per le
organizzazioni dei lavoratori, degli impresari e per gli altri
Stati membri di una Convenzione, di presentare un reclamo presso
l'Ufficio Internazionale del Lavoro in caso di violazione di una
o più delle disposizioni. I reclami sono le uniche
sanzioni blande applicabili a uno stato che viola una Convenzione
dell'ILO.
Come dimostra il caso cileno, comunque, l'aspetto dell'immagine
non è poco rilevante: la sua importanza, legata a
quell'insieme di valori che rendono possibile un sistema
internazionale funzionante (e il cui comune nominatore è
dato dalla buona fede), risiede nella creazione di un sistema di
"pesi e contrappesi" attraverso cui gli organi internazionali
sorvegliano l'applicazione dei trattati, diffondendo
pubblicamente i risultati attraverso i report. Il fatto che lo
Stato cileno sia stato chiamato a presentare un nuovo report al
CEACR sull'applicazione della Convenzione n. 169 è un
messaggio chiaro del fatto che le disposizioni di quest'ultima
non sono state rispettate dovutamente. Questo richiamo evidenzia,
in particolare, la mancanza di volontà politica, oppure
l'incapacità del governo (o entrambe le cose) di dare
pieno effetto ai diritti dei popoli indigeni.
Il paradosso della transizione democratica cilena consiste
nell'adozione di istituzioni democratiche a partire dal 1990, non
accompagnata però da canali efficaci per la partecipazione
di tutti i gruppi sociali. Mentre durante la dittatura i Mapuche
erano un gruppo oppresso tra tanti altri, la transizione
democratica prometteva un cambiamento importante nella relazione
tra lo Stato e i popoli indigeni. L'Accordo di Nueva Imperial
(1989), sottoscritto dal candidato alla presidenza della
Concertación Patricio Aylwin, prevedeva una riforma
costituzionale che riconoscesse i popoli indigeni e i loro
diritti, assieme alla ratifica della Convenzione n. 169 dell'ILO
e alla creazione di una commissione speciale per la redazione di
una Legge Indigena e di un organo rappresentativo dei popoli
indigeni (la futura Comisión Nacional de Desarrollo
Indígena o CONADI). Nonostante le buone intenzioni
dell'accordo, solo due dei quattro obiettivi vennero raggiunti
dopo l'elezione di Aylwin, rivelando che l'accordo serviva
più a fini elettorali piuttosto che rappresentare un vero
e proprio impegno con i popoli indigeni.
L'adozione della Legge Indigena 19.253 del 1993, le cui
disposizioni si ispirano alla Convenzione n. 169 dell'ILO, fu
accolta come un passo avanti nella relazione tra lo Stato cileno
e i popoli indigeni. Ma pochi anni dopo la sua entrata in vigore,
le aspettative create dalla Legge Indigena risultarono
sostanzialmente frustrate. L'insoddisfazione per i risultati
della Legge derivarono, in particolare, dall'inefficacia
dimostrata dalle disposizioni sui diritti politici alla
partecipazione, alla terra e al controllo delle risorse naturali.
I continui tentativi dello Stato cileno di emarginare i popoli
indigeni creò molta frustrazione e insoddisfazione,
sentimenti che dettero origine a una nuova forma di protesta
sociale, legata alle rivendicazioni storiche di questi popoli.
[3]
In altre parole, la transizione cilena dette origine a una
democrazia debole, caratterizzata da un livello insufficiente di
pluralismo. La democrazia non dovrebbe limitarsi
all'organizzazione di elezioni libere, ma anche permettere la
creazione di un ambiente politico che favorisca il pluralismo,
che sia in grado, per lo meno, di dare voce all'aspirazione
legittima dei popoli indigeni di prendere parte in maniera
efficace al processo decisionale. Purtroppo, il Cile di oggi
è caratterizzato da una realtà politica in cui una
piccola élite, quasi isolata dal resto della cittadinanza,
impedisce lo sviluppo di una vita politica genuina. Formulato
più semplicemente, la transizione democratica non ha avuto
nessun effetto rilevante sulla partecipazione dei popoli indigeni
nella vita politica del paese.
Un aspetto sottosviluppato della democrazia cilena è
proprio l'assenza di un pluralismo autentico. Questa osservazione
porta a concludere che il problema della mancata applicazione dei
diritti dei popoli indigeni non è legato esclusivamente
alla mancanza di volontà politica, ma deriva da un
problema più profondo della democrazia cilena: l'assenza
di un livello adeguato di pluralismo nel sistema politico.
Negli ultimi decenni si è cercato di ristabilire la
dignità e l'uguaglianza dei popoli indigeni rispetto al
resto della società. I maggiori sforzi, in questo senso,
sono stati realizzati in seno a due organizzazioni
internazionali: le Nazioni Unite (ONU) e l'Organizzazione
Internazionale del Lavoro (ILO). Nell'ambito dell'ONU, si
è verificato un cambiamento di enfasi dai diritti
individuali ai diritti collettivi: il "ponte" che ha reso
possibile questo passaggio è rappresentato
dall'inserimento del diritto alla auto-determinazione dei popoli
nell'Articolo 1 dei Patti Internazionali del 1966 (uno
riguardante i diritti civili e politici, l'altro contenente un
insieme di diritti economici, sociali e culturali). Alle Nazioni
Unite inizialmente mancavano istanze che permettessero la
rappresentazione dei popoli indigeni. Questa situazione
cambiò nel 1972 quando iniziò a funzionare il
Gruppo di Lavoro sui Popoli Indigeni, istanza che si
trasformò nel foro più ampio mai realizzatosi sotto
l'egida dell'organizzazione. Anche in seno all'ILO si
verificarono cambiamenti importanti: mentre la Convenzione n. 107
del 1957 sulle "popolazioni indigene" evitava il termine "popoli"
in modo da non creare legami tra queste e il diritto
all'auto-determinazione e aveva come obiettivo l'assimilazione,
la Convenzione n. 169 del 1989 adottò un approccio
più partecipativo. Quest'ultima introdusse l'uso del
termine "popoli indigeni", riconoscendo loro, anche se solo
implicitamente, il diritto all'auto-determinazione. [4]
In generale, non è stato facile trasporre gli sviluppi
raggiunti nel diritto internazionale alle varie realtà
nazionali. In Cile almeno, la partecipazione dei popoli indigeni
in un contesto pluralista è ancora un sogno. Il percorso
verso la ratifica della Convenzione n. 169 è stato lungo e
pieno di tentativi di ostacolarne la realizzazione (il trattato
è stato sottoposto due volte, nel 2000 e nel 2008, al
controllo di costituzionalità, mentre un primo tentativo
-fallito- di ratifica fu accompagnato da una dichiarazione
interpretativa). La "sofferta" ratifica rivela con quanta
reticenza sia stata accolta, dopo 20 anni di discussioni in
Parlamento, la Convenzione più avanzata esistente ad oggi
sui diritti dei popoli indigeni. La resistenza opposta ad una
riforma che inserisca il riconoscimento dei popoli indigeni e dei
loro diritti nella Costituzione è solo un altro aspetto
della "maniera cilena" di trattare i popoli indigeni che abitano
sul territorio nazionale.
Alla reticenza nel voler riconoscere i diritti collettivi dei
popoli indigeni, simbolizzata dal rifiuto del termine "popoli"
nella Legge Indigena del 1993 [5], così
come nella formulazione dell'ultima proposta di riforma
costituzionale presentata (2009), si aggiunge la violazione di
alcuni diritti individuali fondamentali nell'ordinamento
nazionale. Tra le violazioni di diritti individuali più
gravi si trova quella del diritto all'uguaglianza davanti alla
legge. La prosecuzione di numerosi individui Mapuche sotto la
Legge Anti-Terrorista n. 18.314 del 1984 è una evidente
violazione di questo diritto. Nonostante il fatto che questa
legge, promulgata in piena dittatura e finalizzata al controllo
della dissidenza, non dovrebbe neanche più esistere, e
tanto meno essere utilizzata in democrazia, essa viene applicata
in maniera discriminatoria ai membri di questo popolo.
Esiste, chiaramente, un contrasto tra i progressi realizzati per
ristabilire la dignità dei più deboli e degli
esclusi al livello del diritto internazionale e la realtà
nazionale dove, nonostante siano passati più di vent'anni
dalla fine della dittatura, non esiste ancora un adeguato livello
di pluralismo politico e sociale. Questo contrasto tra il livello
internazionale e quello nazionale è particolarmente forte
nel caso dei diritti alla consulta e alla partecipazione. Che il
problema forse sia dato dal fatto che gli standard legali
stabiliti dal diritto internazionale sono troppo elevati per
essere applicati al mondo reale? La risposta dei governanti
cileni, che per trasporre la norma sul diritto alla consulta
hanno adottato il Decreto n. 124 del MIDEPLAN (Ministero di
Pianificazione), il quale ha prodotto una seria distorsione di
quel diritto, sembra essere positiva. [6]
Da una parte potremmo quindi pensare che, se uno Stato non
è in grado di garantire il godimento di diritti
individuali fondamentali come l'uguaglianza davanti alla legge e
la non-discriminazione, è troppo presto per cercare di far
applicare diritti collettivi come quelli alla terra e alla
partecipazione politica. Ma tenendo presente che i diritti umani
sono indivisibili, universali e inseparabili, la conclusione
corretta è che superare le violazioni di diritti
individuali e iniziare ad applicare i diritti collettivi (come
quello alla proprietà collettiva della terra, riconosciuto
dalla Corte Inter-Americana dei Diritti Umani nel caso Awas
Tingni, 2001) è ugualmente importante. Questo assume
un'importanza ancora maggiore nel caso dei popoli indigeni, per i
quali la realizzazione del diritto collettivo alla terra, per
esempio, è indispensabile per assicurare il godimento di
altri diritti fondamentali, come quelli alla dignità, alla
sopravvivenza culturale, ai diritti economici, sociali e
culturali.
All'entrare nell'ordinamento nazionale, le norme di diritto
internazionale si scontrano con il sistema economico neo-liberale
cileno, imposto con la forza nel paese durante la dittatura di
Augusto Pinochet (1973-1989). I diritti dei popoli indigeni
rappresentano un ostacolo all'espansione di questo modello
economico, basato sullo sfruttamento delle risorse naturali
presenti in abbondanti quantità nei territori indigeni del
Nord e del Sud del Cile. Il settore minerario spinge per una
forte espansione nei prossimi decenni, contro la volontà e
a scapito del popolo Aymara, mentre imprese forestali, peschiere
e idroelettriche minacciano e violano regolarmente i diritti del
popolo Mapuche nel Sud del paese.
Il conflitto in questione è diventato particolarmente
acuto a causa dell'esistenza di potenti gruppi economici che
monopolizzano lo sfruttamento delle risorse naturali del Cile. Le
famiglie Falabella e Lucsic controllano enormi somme di denaro
nel settore minerario, mentre le famiglie Matte e Angelini, oltre
ad avere partecipazioni importantissime nel settore energetico,
dominano il settore forestale e della cellulosa. Queste famiglie
costituiscono una vera e propria élite economica, che
è capace di esercitare una forte influenza sulla sfera
politica. Il potere economico ha permesso loro di influenzare i
partiti politici, arrivando a determinare l'esito di processi
decisionali quando erano coinvolti i loro interessi.
In una serie di casi, comunque, il diritto internazionale ha
avuto un impatto notevole sulla giurisprudenza nazionale,
specialmente nei casi decisi dalle Corti d'Appello regionali. Le
disposizioni della Convenzione n. 169 sono state applicate con
successo dalle Corti di Appello di Concepción, Temuco,
Valdivia y Puerto Montt. Queste corti sono più sensibili
alla causa del popolo Mapuche, dato che la maggioranza della
popolazione rurale di questa etnia è concentrata in queste
regioni del sud. Alcuni dei casi decisi dalle Corti d'Appello
sono stati grandi successi per i popoli indigeni cileni,
soprattutto per quanto riguarda il diritto ad essere consultati,
stabilito dal diritto internazionale in relazione al diritto alla
terra, alle risorse naturali e a progetti di investimento
promossi in territori indigeni.
Ad oggi (30 settembre 2011) sette su tredici casi decisi dalle
Corti d'Appello regionali, legati al diritto ad essere
consultati, hanno avuto esito sfavorevole ai popoli
indigeni.
La situazione si è dimostrata ancora meno favorevole
davanti alla Corte Suprema (CS). Sembrerebbe che quest'organo,
che dovrebbe impersonare l'indipendenza per eccellenza, stia
soffrendo un grave problema di "schizofrenia giudiziaria"
[7]. Il caso "Palguin" (giugno del 2010), nel
quale la CS ha ribaltato la sentenza della Corte d'Appello di
Temuco (gennaio del 2010), nonostante quest'ultima fosse
pienamente in accordo con gli standard internazionali
sull'obbligo di consultare i popoli indigeni, è il caso
più assurdo. Un altro celebre caso è quello del
dotto dell'impresa Celulosa Arauco a Mehuín (caso
"Celco"), chiuso da una sentenza della CS in dicembre del 2010.
In questa sentenza, la CS confermò quanto deciso dalla
Corte d'Appello di Valdivia, che autorizzò la costruzione
di un dotto per lo scarico di acque trattate nel mare, contro la
volontà della comunità Mapuche Lafkenche della zona
di Mississippi. Sembrerebbe che queste sentenze della CS abbiano
avuto una grande influenza sulle seguenti sentenze delle Corti
d'Appello regionali: il caso della centrale idroelettrica
"Cayucupil" (dicembre 2010), quello dell'aeroporto di Temuco
(gennaio 2011), il caso del progetto minerario "Catanave" nel
Parque Lauca (marzo 2011), quello dei commercianti ambulanti di
Temuco (quasi esclusivamente indigeni) contro il municipio di
questa città e quello del Consiglio dei Popoli di Atacama
per il piano regolatore di San Pedro de Atacama (anche se, in
quest'ultimo caso, la CS decise a favore del diritto dei popoli
indigeni ad essere consultati). Inutile sottolineare che
l'incoerenza delle sentenze della CS non riflette una condotta
esemplare e che, per le Corti d'Appello, non dovrebbe essere un
esempio da seguire (sic!).
L'attuale ordinamento cileno non costituisce un ambiente molto
favorevole al riconoscimento e alla realizzazione dei diritti
indigeni. Gli standard elaborati nel diritto internazionale,
infatti, hanno incontrato numerosi ostacoli nelle istituzioni
cilene, le quali hanno impedito l'assunzione in buona fede degli
obblighi internazionali, impedendo ai popoli indigeni la
possibilità di trarre benefici concreti da quegli
standard.
Innanzitutto, tra gli ostacoli di ordine legislativo esiste un
problema di carattere generale: la mancanza, a partire
dall'Accordo di Nueva Imperial (1989), di un riconoscimento
costituzionale dei popoli indigeni e dei loro diritti. Ad ogni
modo, dopo così tanti anni di dibattito attorno al
riconoscimento costituzionale dei popoli indigeni, e dopo
così tanti tentativi di riforma falliti o scartati
perché non si riusciva ad arrivare ad un consenso, molti
osservatori indigeni preferiscono che manchi un riconoscimento
formale, piuttosto che venga approvato un articolo contenente una
versione ridotta e distorta dei diritti indigeni. Il rischio di
adottare un articolo che contenga un riconoscimento formale, ma
che rifletta la posizione del Governo e che inoltre non sia stato
formulato senza essersi consultati con i popoli indigeni (come
è il caso dell'ultima versione della riforma proposta),
è quello di rimanere intrappolati in una definizione che
potrebbe impedire le rivendicazioni delle future generazioni.
Data la difficoltà di approvare una riforma che soddisfi
sia il Congresso sia i popoli indigeni, il dibattito continua ad
arenarsi nonostante i governi tornino sempre a discutere la
discussa riforma costituzionale per dimostrare che non si sono
dimenticati della questione indigena. Accanto a questa lacuna
esiste il problema degli strumenti adottati dall'ordinamento
nazionale per trasporre gli obblighi internazionali assunti dallo
Stato: tanto la Legge Indigena n. 19.253 del 1993 quanto il
Decreto n. 124 del MIDEPLAN hanno dato vita a una vera e propria
deformazione dei diritti contenuti nella Convenzione No
169.
Il principale ostacolo proveniente dal potere esecutivo è
costituito dalla mancanza di volontà politica nel
rispettare l'obbligo a consultare i popoli indigeni riguardo a
questioni che li riguardano direttamente. Questa mancata
volontà si riflette nella mutilazione del diritto alla
consultazione, derivato dall'adozione del Decreto n. 124 del
MIDEPLAN, il quale regola la consultazione in Cile,
particolarmente riguardo ad atti amministrativi. Il Decreto
esclude importanti organi statali dall'obbligo di consultare i
popoli indigeni (i municipi e le imprese pubbliche per esempio),
nonostante abbiano spesso a che vedere con i popoli indigeni;
esclude anche i progetti d'investimento, che sono la causa
principale del malcontento tra i membri dei popoli indigeni. Nel
caso dei progetti d'investimento, la consultazione è
considerata opzionale, mentre il compito di realizzarla viene
scaricata su regolamentazioni settoriali come il SEIA (sistema di
valutazione dell'impatto ambientale). La riforma di parte della
SEIA è una delle domande inserite nella consultazione
sulle istituzioni indigene eseguita dalla CONADI nel corso del
2011. Per quanto riguarda il Decreto 124, sul piano generale, si
segnala che la riunione dei capi indigeni avvenuta il 2 e 3
maggio del 2011 ha richiamato alla necessità di derogare
il Decreto e di formulare una norma che si addica agli standard
internazionali. Tra gli altri ostacoli di ordine esecutivo
rilevanti, si trova il debole regime di garanzia del diritto alla
terra stabilito dal FTAI (Fondo della terra e dell'acqua
indigena).
Il livello giuridico ha posto seri ostacoli alla protezione dei
diritti di individui di origine indigena, soprattutto in termini
di non-discriminazione e uguaglianza davanti alla legge.
L'applicazione della Legge Anti-Terrorista a membri del popolo
Mapuche processati da Corti cilene è senza dubbio il
problema più grave. L'applicazione della legge citata a
diversi leader di questa etnia accusati di aver commesso crimini
minori, come l'incendio (di beni come baracche o legname di
proprietà di imprese o privati), ha dato inizio a un
processo di criminalizzazione del conflitto tra i Mapuche e lo
Stato. Questo processo ha esacerbato il trattamento
discriminatorio riservato ai membri di questo popolo in base alla
loro appartenenza etnica, trattamento che include la prigione
preventiva, il doppio processo (la persona è processata da
un tribunale civile e da uno militare per lo stesso atto) e la
condanna a pene molto più severe di quelle assegnate
secondo il diritto penale corrente. Ma, per fortuna, le
discriminazioni perpetrate dalla giustizia cilena non sono
passate inosservate: a febbraio del 2011, un report della
Commissione Inter-Americana dei Diritti Umani ha denunciato il
trattamento che le Corti cilene avevano riservato ad alcuni
leader Mapuche, mentre attualmente la Corte Inter-Americana sta
giudicando il procedere delle Corti nei casi analizzati in prima
istanza dalla Commissione.
Gran parte della società cilena è profondamente
"confusa" di fronte al conflitto tra lo Stato cileno e il popolo
Mapuche. Può darsi che questa reazione, assimilabile a una
specie di "alienazione", sia relazionata con il rapporto
problematico, quasi traumatico che i cileni hanno con la loro
identità e le loro origini storiche. In generale, la
popolazione del sud del paese, dove vive la maggior parte della
popolazione Mapuche, ha una migliore comprensione della causa e
della realtà in cui vive questo popolo. Questa maggior
comprensione si riflette nelle sentenze favorevoli alla causa dei
popoli indigeni emesse dalle Corti di Concepción,
Valdivia, Temuco e Puerto Montt.
Perché molti cileni sono alienati di fronte al conflitto
tra lo Stato cileno, il popolo Mapuche e le imprese che sfruttano
le risorse naturali del sud del paese? I mezzi di comunicazione
di massa hanno influenzato in maniera considerevole questo
conflitto: le notizie di attacchi, da parte di individui Mapuche,
alla proprietà privata di altri individui o imprese (per
esempio capanne, legname, case oppure camion) hanno alienato la
popolazione non-indigena cilena, confondendo le sue opinioni di
fronte alla causa dei Mapuche per i diritti del loro popolo,
creando uno spacco culturale che sarà presto impossibile
da risanare. [8] In particolare, i mezzi di
comunicazione hanno inculcato l'idea del "conflitto Mapuche",
inducendo a dimenticare che un conflitto coinvolge sempre
più di una parte.
La società cilena è caratterizzata da profonde
divisioni sociali, economiche e culturali. Nelle società
divise gioca un ruolo fondamentale il discorso nazionalista, che
è stato (ed è ancora) molto utilizzato dai politici
cileni per cercare di creare unità attraverso
l'uniformità. Chiaramente, il risultato è meramente
illusorio. Se lo Stato cileno continua a concepire la
diversità come un problema invece che una ricchezza, le
relazioni conflittuali con i popoli indigeni continueranno a
riprodursi.
Probabilmente, i militanti del movimento indigeno continueranno a
resistere e a non considerarsi cileni, almeno finché non
vengano trattati come tutti gli altri cittadini davanti alle
Corti cilene e non vengano riconosciuti i diritti che spettano
loro come membri di un popolo indigeno.
Gli strumenti legali contenenti diritti per i popoli indigeni
adottati dallo Stato cileno non hanno avuto l'effetto desiderato.
Da una parte, sembrerebbe che i governanti non siano disposti a
lavorare in buona fede per garantire il rispetto e la
conservazione delle diversità. Dall'altra, pare che la
causa indigena non sia appoggiata massicciamente dalla
popolazione cilena.
Nonostante questa "immaturità" e il descritto deficit di
pluralismo della democrazia cilena, negli ultimi anni si è
assistito, alla nascita di movimenti giovanili, composti da
studenti indigeni e non, che si dedicano, in maniera crescente,
alla difesa della causa dei popoli indigeni. Tra i fattori che
hanno influenzato questa tendenza, c'è sicuramente
l'incrementato accesso all'educazione di cui hanno goduto i
giovani appartenenti a popoli indigeni, la maggiore influenza che
ha esercitato il movimento mondiale per i diritti di questi
popoli e l'aumento dei contatti con la società civile
internazionale.
La situazione attuale riflette l'esistenza di un "doppio
standard": da una parte lo Stato cileno ha dichiarato la sua
volontà di garantire i diritti dei popoli indigeni
attraverso la ratifica della Convenzione n. 169 dell'ILO (2008) e
il voto a favore, in seno all'Assemblea Generale delle Nazioni
Unite, della Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni
(2007). Dall'altra, una volta assunti gli obblighi
internazionali, sono state cambiate le regole del gioco: alla
fine, tanto il significato come l'utilità di questi
strumenti internazionali sono stati svuotati, mentre lo Stato ha
continuato a mettere in atto politiche che hanno come risultato
l'assimilazione, la discriminazione, l'esclusione e la
disuguaglianza.
Durante il 2011 si è assistito alla nascita di movimenti
di massa in difesa dell'ambiente nel caso di Hidroaysén
(un mega-progetto per la costruzione di cinque enormi dighe su un
fiume incontaminato della Patagonia cilena), e in difesa di
un'educazione pubblica, gratuita e di qualità suggerisce
l'avvicinarsi di cambiamenti importanti. Questi cambiamenti,
tanto desiderabili, sono suscettibili di influenzare
positivamente la situazione dei popoli indigeni.
1. Jorge Contesse S., "The rebel democracy: a look into the
relationship between the Mapuche and the Chilean State", 26
Chicano-Latino L. Rev 2006: 131.
2. Rhona K.M. Smith, "Textbook on international human rights",
quarta edizione. Oxford University Press (2010): 150.
3. Jorge Contesse S., Op.cit.: 135.
4. Questo diritto si riferisce alla possibilità per ogni
popolo di determinare liberamente la sua forma di governo, i suoi
governanti, nonché le priorità del suo sviluppo
economico, sociale e culturale. Per uno studio approfondito del
tema, vedi Anaya, James, "Self-determination. A Foundational
Principle", en "Indigenous Peoples in International Law", Oxford
University Press (1996).
5. La Legge Indigena, nel suo Articolo 1, non parla di "popoli
indigeni", ma solo di "gruppi indigeni" e di "etnie".
6. Gli Articoli 6 e 7 della Convenzione n. 169 dell'ILO
contengono, rispettivamente, il diritto ad essere consultati e il
diritto alla partecipazione.
7. Alexandra Tomaselli, "Reformas Legales y derechos
indígenas en Chile. Qué tal estamos con el Convenio
169 OIT?". Paper presentato nell'ambito del XIV Incontro di
Lationamericanisti Spagnoli, tenutosi a Santiago de Compostela
dal 15 al 18 Settembre del 2010, fornito personalmente
dall'autrice (atomaselli@eurac.edu).
8. Alexandra Tomaselli, "The Mapuche Resolve", pubblicato in
Academia 47 (2008): 14. Disponibile online al seguente indirizzo:
http://webfolder.eurac.edu/EURAC/Publications/Academia/ACADEMIA-online/ACADEMIA-47/Academia-47.pdf
LIBRI
- Anaya, James, "Self-determination. Foundational Principle", en
"Indigenous Peoples in International Law", Oxford University
Press, Oxford, 1996.
- Clavero, Bartolomè, "Reconocimiento Mapu-Che de Chile:
Tratado ante Constituciòn", in "Geografía
Jurídica de América Latina: Pueblos
Indígenas entre Constituciones Ladinas". Disponibile
online al seguente indirizzo: www.derecho.us.es/clavero/geografia.pdf
- Smith, Rhona K.M., "Textbook on international human rights",
Oxford University Press, Oxford, quarta edizione, 2010.
- Willemsen Dìaz, Augusto, "How Indigenous Peoples' Rights
Reached the UN". En "Making the Declaration Work", pubblicato da
Claire Charters y Rodolfo Stavenhagen, 2010. Disponibile online
al seguente indirizzo:
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Vedi anche in gfbv.it:
www.gfbv.it/2c-stampa/2011/110513ait.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2010/101005ait.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2010/100812it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2010/100714it.html
| www.gfbv.it/2c-stampa/2010/100209it.html
| www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/mapuche07-it.html
| www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/mapuche-it.html
| www.gfbv.it/3dossier/ind-voelker/lota2003-it.html
| www.gfbv.it/3dossier/pinochet.html
in www: www.mapuexpress.net | www.azkintuwe.org | www.observatorio.cl | www.mapuche.info | www.ilo.org/ilolex/cgi-lex/convde.pl?C169