Di Wolfgang Mayr. Traduzioni di Sabrina Bussani.
Bolzano, 6 marzo 2006
INDICE
Introduzione | Gruppi linguistici
minacciati | I diritti degli Italiani contro
gli Sloveni | Assemblea permanente delle
minoranze linguistiche - solo un alibi? | Sinti
e Rom - emarginati e discriminati | Vecchio e
nuovo antisemitismo | Islamofobia e paura del
terrorismo | Un diritto d'asilo carente |
La RAI e le minoranze - gli esclusi | Armonizzare Babele: documenti
Un lupo camuffato da pecora? Alleanza Nazionale e
la sua continuità con l'eredità fascista, di
Günther Pallaver
Secondo il governo di centro-destra i diritti delle minoranze
non costituiscono nemmeno un argomento marginale. Il governo di
centro-destra semplicemente "dimentica" le minoranze linguistiche
e il bilancio della sua politica per le minoranze è
davvero molto povero. D'altronde non ci si poteva certo aspettare
di più: i partiti di centro-destra hanno sempre mostrato e
continuano a mostrare scarsa comprensione e sensibilità
per le richieste delle minoranze linguistiche. I partiti di
centro-destra italiani di fatto non si differenziano dai loro
cugini politici in altri paesi, come ad esempio in Austria dove i
diritti delle minoranze sono attuati molto superficialmente
quando va bene, ma volentieri anche ignorati, nonostante i
verdetti della Corte Costituzionale.
Nel rispetto della legge quadro del governo di sinistra che
prevedeva il sostegno finanziario dei piccoli gruppi linguistici
per la promozione e l'uso della loro lingua nelle scuole e negli
uffici pubblici, non si può negare che il governo
Berlusconi abbia messo a disposizione i mezzi finanziari
necessari. Nel 2001 il governo ha finanziato 47 progetti
scolastici di minoranze linguistiche (su 180 progetti presentati)
per un totale di 5,5 milioni di euro. Nell'anno scolastico
2002/2003 lo stato ha finanziato 92 progetti su 112. Il
presidente del Confemili, Domenico Morelli ha però
criticato i parziali ritardi nell'erogazione dei
contributi.
Di fatto il governo Berlusconi ha attuato - non per interesse
proprio - i precetti ereditati dal governo di centro-sinistra, ma
la politica per le minoranze italiana continua ad essere
trascurata e in ritardo. C'è voluto oltre mezzo secolo
prima che un governo attuasse l'incarico costituzionale fissato
all'articolo 6 (tutela delle minoranze). La legge quadro che ne
è risultata riconosce finalmente le minoranze linguistiche
e quindi anche il multilinguismo autoctono.
Secondo l'indagine Euromosaic della Commissione Europea del
1996 il multilinguismo autoctono in Italia è gravemente in
pericolo. Oltre la metà delle 13 minoranze linguistiche
del paese rischiano di scomparire. Secondo Euromosaic i gruppi
linguistici albanese e greco (Puglia e Calabria), catalano e
sardo (Sardegna), croato (Molise) e occitano (Piemonte) sono da
considerarsi a uso "limitato" e "non in grado di sopravvivere".
Sono invece considerati minacciati i gruppi linguistici francese
(Aosta), friulano e sloveno (Friuli).
Lo studio europeo dimostra anche che le lingue minoritarie
risultano assicurate laddove esistono autonomia e diritti
linguistici. Il ladino infatti è considerato
"relativamente in grado di sopravvivere" mentre il tedesco
è "del tutto vitale". Complessivamente Euromosaic assegna
alla politica per le minoranze italiana una bocciatura. Insomma,
le sole dichiarazioni d'intenti del ministro per le regioni
Enrico La Loggia non bastano. La Loggia comunque si è
dichiarato favorevole all'uso delle lingue minoritarie nelle
scuole e negli uffici pubblici e considera la diversità
linguistica una ricchezza del paese.
Alleanza Nazionale è riuscita con successo a rallentare
l'attuazione della legge per gli Sloveni. Su pressione della
sezione triestina di Alleanza Nazionale, di impostazione
radical-nazionalista e anti-slovena, il governo Berlusconi non ha
più messo mano alla legge per gli Sloveni, approvata in
Parlamento già nel 2001. Nazionalisti italiani, con la
Lega nazionale in prima fila, esercitano da decenni una forma di
politica di rivincita a spese dei cittadini di lingua slovena.
Sui diritti degli Sloveni in Italia pesa ancora la messa in fuga
della popolazione italiana dall'Istria e dalla Dalmazia operata
dai partigiani di Tito alla fine della Seconda Guerra
Mondiale.
La destra italiana si oppone con decisione all'attuazione del
bilinguismo in Italia, non solo per quanto riguarda l'attuazione
della legge per gli Sloveni (n° 38) ma anche per la legge
quadro sulla tutela delle minoranze (n° 482 del 15 dicembre
1999). I cartelli topografici di alcuni comuni e zone dei
dintorni di Trieste, Gorizia e Muggia e di 29 comuni situati
lungo la frontiera italo-slovena possono essere bilingue e le due
leggi prevedono l'emissione di documenti bilingue. Alcuni uffici
pubblici dovrebbero essere obbligati al bilinguismo.
Già durante il dibattito sulle due leggi è
sembrato evidente che l'alleanza di centro-destra ne volesse
impedire l'approvazione. Fin dal primo giorno del suo governo,
l'alleanza di centro-destra ha attuato la legge quadro solo
parzialmente, mentre la legge per gli Sloveni non è
neanche mai stata presa in considerazione per motivi
etnico-ideologici. Entrambe le leggi devono essere attuate se il
15% della popolazione oppure un terzo dei consiglieri comunali
chiedono l'applicazione degli articoli di tutela. A Trieste 14
consiglieri comunali dell'alleanza di centro-sinistra per Trieste
hanno chiesto l'applicazione delle disposizioni per il
bilinguismo e le minoranze, ma per poter applicare i diritti
previsti dalla legge per gli Sloveni (n° 8) e concretamente
per poter creare delle zone bilingue nei dintorni di Trieste
c'è bisogno dell'approvazione del consiglio
regionale.
I partiti di destra considerano il bilinguismo e il
multilinguismo un attacco all'unità del paese e ostacolano
quindi la completa attuazione delle leggi. L'intellettuale
sloveno Samo Pahor critica a tale proposito le mancanze proprio
della legge per gli Sloveni. Come è infatti accaduto nel
comune di Gorizia e nella provincia di Udine a proposito della
legge quadro (482), la popolazione maggioritaria può
sospendere in ogni momento l'attuazione della legge. La legge
inoltre nega il riconoscimento ufficiale della lingua slovena e
l'uso della lingua slovena negli uffici pubblici e sedi dislocate
di Cividale, Gorizia e Trieste. Di fatto, ciò equivale
alla completa negazione della tutela minima, definita da un
verdetto della Corte Costituzionale (28/1982) interpretando
direttamente l'articolo 6 della Costituzione italiana.
Pahor conclude che la legge per gli Sloveni non adempie alle
disposizioni per la tutela delle minoranze così come
vengono garantite dall'Accordo di Osimo del 1954 (articolo 8) e
dallo Statuto speciale regionale del 1954. Secondo Pahor la legge
n° 38 costituisce un passo indietro nella politica italiana
di tutela delle minoranze e non prende in considerazione le
già esistenti disposizioni di tutela come invece chiede
che venga fatto la Corte Costituzionale (n° 15 del 1966).
La mancata attuazione della legge per gli Sloveni non è
mitigata dall'istituzione dell'Assemblea permanente delle
minoranze linguistiche. L'Assemblea, composta anche da
rappresentanti delle diverse minoranze linguistiche, è
stata convocata per la prima volta nel gennaio 2006 dal Ministro
per le regioni La Loggia. Peccato che la convocazione sia giunta
verso la fine della legislatura. Non sembra che l'attuale governo
abbia preso molto sul serio le minoranze e gli esempi a proposito
sono parecchi.
Il governo ha dichiarato di aver adempiuto agli obblighi della
Convenzione quadro del Consiglio Europeo per la tutela delle
minoranze nazionali, ratificata dall'Italia, semplicemente
perché le disposizioni di tutela della convenzione quadro
sono già contenute nella legge per la tutela delle
minoranze. Durante la settimana precedente allo scioglimento
delle camere, la Commissione bilancio del Parlamento non è
riuscita nemmeno a proporre la ratifica della Carta delle lingue
regionali e minoritarie del Consiglio Europeo. La giustificazione
ufficiale è data da motivi finanziari. Evidentemente il
sostegno delle lingue delle minoranze non può comportare
spese.
Il Centro Europeo per i Diritti dei Rom - European Roma Rights
Centre (ERRC) accusa il governo Berlusconi di discriminazione su
base etnica di Sinti e Rom. Secondo l'ERRC, la sola
"sistemazione" di Sinti e Rom nei cosiddetti campi nomadi
è un'eclatante violazione dei diritti umani perché
costituisce una evidente e completa emarginazione di chi vi deve
vivere. La maggior parte di questi campi si trovano a ridosso di
discariche, autostrade o su terreni brulli e abbandonati e tre
quarti dei campi non hanno le necessarie infrastrutture
igieniche. L'ERRC denuncia anche la mancanza di tutela della
"popolazione dei campi", esposta agli sgomberi e
all'arbitrarietà delle forze dell'ordine e delle
istituzioni. La distruzione arbitraria delle già poco
dignitose abitazioni è frequente e sono soprattutto i
bambini a soffrirne le conseguenze.
L'Italia è l'unico paese dell'UE ad avere una rete di
ghetti pubblicamente organizzata. In questo modo si impedisce ai
Rom di partecipare alla vita della società o di avere
contatti e integrarsi nella società. L'ERRC (vedi: www.gfbv.it/3dossier/errc-it.html, www.gfbv.it/3dossier/sinti-rom/20041026-it.html)
si è infine rivolta a organi internazionali e in una
lettera al ministro degli interni Pisanu ha lamentato la
situazione di Sinti e Rom. Secondo i rilevamenti ufficiali in
Italia vivono 130.000 Sinti e Rom. Alcune ONG (vedi il"Rapporto
alternativo": www.december18.net/web/docpapers/doc2654.pdf,
pagine 30 e 31) stimano che vi siano invece 90.000 Sinti e Rom
con cittadinanza italiana e tra i 45.000 e i 70.000 nati
all'estero (o nati in Italia da genitori immigrati). Questi
ultimi sono prevalentemente persone provenienti dalla
Ex-Iugoslavia. I Rom in possesso di documenti regolari ottengono
normalmente dei permessi di soggiorno molto brevi, mentre la
maggior parte dei permessi rilasciati ai Rom sono della durata da
uno a sei mesi.
L'indagine a lungo tenuta nascosta dell'osservatorio dell'UE
sul razzismo e la xenofobia (vedi: www.gfbv.it/3dossier/eu-min/jued-ant.html)
ha confermato anche l'esistenza di forti tendenze antisemite in
Italia. Le scritte sui muri di chiaro stampo radical-nazionalista
ne sono l'evidente espressione. Secondo l'indagine, il clima di
disprezzo per le minoranze e gli stranieri promuove anche "l'odio
per gli ebrei". Si assiste a un incremento dell'antisemitismo
italiano nonostante il numero esiguo di ebrei italiani. Insomma,
un antisemitismo senza ebrei e l'ostinato perdurare di vecchi
pregiudizi anti-ebraici.
Il 35% degli adolescenti intervistati crede che "gli ebrei
controllino il capitale", e si registra un nuovo consolidarsi di
stereotipi antisemiti anche tra gli adulti (vedi il "rapporto
alternativo" 2004 - www.december18.net/web/docpapers/doc2654.pdf,
pagine 25 - 27). il 12% crede che le vittime ebraiche dei nazisti
austriaci e tedeschi e dei loro collaboratori europei siano state
meno di quanto ufficialmente affermato, e oltre la metà
degli intervistati pensa che gli ebrei italiani siano più
leali nei confronti di Israele che dell'Italia. Contrariamente a
quanto succede in altri paesi dell'UE, il numero degli antisemiti
dichiarati è comunque sceso dal 23% al 15% e Israele
può contare in Italia su di una maggiore simpatia di
quanta ne viene espressa in altri paesi dell'Unione.
L'alleanza di centro-destra del Primo Ministro Silvio Berlusconi
da un lato persegue una politica di amicizia con Israele,
dall'altro lato però conta nelle proprie file persone
dichiaratamente antisemite. Durante un dibattito del Consiglio
regionale delle Marche del 2004 il capogruppo di Forza Italia ha
criticato un assessore regionale della coalizione di
centro-sinistra con chiari toni antisemiti. Secondo il
rappresentante di Forza Italia, l'assessore di centro-sinistra
sarebbe stato, in quanto membro della comunità ebraica,
solo ospite in Italia e come tale avrebbe dovuto comportarsi.
Questo episodio è purtroppo solo uno tra tanti. Si
registra una certa vivacità delle vecchie forme di
antisemitismo anche all'interno del partito di governo Alleanza
Nazionale, il cui segretario Gianfranco Fini ha però preso
le distanze dal proprio passato antisemita.
La partecipazione dell'Italia alla guerra degli USA contro il
terrorismo islamico ha comportato una generale posizione
anti-islamica dell'opinione pubblica italiana. Degli oltre 2,3
milioni di immigrati in Italia (vedi:
www.migration-info.de/migration_und_bevoelkerung/artikel/050401.htm)
una buona parte proviene da paesi arabi e/o musulmani.
Un'indagine condotta su 1.000 persone ha rilevato che oltre la
metà attribuisce all'Islam tendenze fondamentaliste e un
quinto degli intervistati non vede differenza tra l'Islam
moderato e quello radicale. Questi dati confermano uno studio
dell'Osservatorio Europeo per il razzismo e la xenofobia (vedi:
http://eumc.eu.int/eumc/index.php).
Non c'è da meravigliarsi se metà degli intervistati
teme l'Islam. La cronaca spesso indifferenziata su paesi arabi e
musulmani porta a prese di posizione radicali, l'Occidente contro
l'Islam, e si parla di scontro di civiltà. In tutto
ciò si dimentica di informare che p.es. le forze laiche
dell'Algeria si sono opposte all'Islam radicale senza alcun aiuto
dall'occidente. La paura dell'Islam alimenta le aggressioni alle
moschee e le forze di sicurezza intervengono con particolare
durezza contro immigrati arabi e musulmani (vedi "rapporto
alternativo": www.december18.net/web/docpapers/doc2654.pdf,
pagine 24 e 25). Un contributo all'islamofobia arriva anche dal
presidente del senato Pera che in uno dei suoi ultimi libri parla
della necessaria lotta della civiltà occidentale contro il
mondo islamico. Pera però ha dimenticato di ricordare il
brutale terrore che l'Italia monarchica prima e quella fascista
poi hanno seminato nella Libia araba e islamica. La guerra tra
civiltà in questa caso è volentieri dimenticata
(vedi: www.gfbv.it/2c-stampa/2005/051005it.html).
La politica sul diritto di asilo del governo Berlusconi
è criticata dalla Caritas (vedi: www.caritas.bz.it/ge/searchResult.asp),
dalle organizzazioni d'ispirazione cattolica e dalle
organizzazioni per i diritti umani (vedi: www.gfbv.it/2c-stampa/2005/050617it.html
e
www.migration-info.de/migration_und_bevoelkerung/artikel/030704.htm).
La discussa legge Bossi-Fini e le relative disposizioni
d'attuazione hanno ulteriormente inasprito una già
restrittiva politica per i profughi. I profughi in arrivo in
Italia possono fare richiesta d'asilo e la polizia di frontiera
valuta la richiesta. I richiedenti considerati casi dubbi vengono
internati in "centri d'identificazione" senza ricevere un
permesso di soggiorno e se la persona in questione lascia il
centro senza permesso, la sua richiesta d'asilo è
automaticamente annullata. Questa procedura viola la Carta dei
Diritti Fondamentali dell'UE e la Convenzione sui Profughi di
Ginevra, nonché la libertà di movimento e la
dignità dei rifugiati stessi. Sia il Comitato USA per i
Profughi sia Amnesty International hanno definito i centri di
permanenza temporale come dei lager.
In futuro sette Commissioni Territoriali si assumeranno i
compiti finora svolti dalla Commissione d'Asilo a Roma. Le
procedure per l'asilo dovranno essere elaborate entro un mese. Ne
guadagna la burocrazia ma non il richiedente asilo che spesso
è in fuga da violenza, guerra e deportazioni. Un solo mese
non basta per indagare sulle cause che hanno spinto alla fuga la
persona in questione. Se la Commissione Territoriale respinge per
due volta una richiesta d'asilo, il profugo può presentare
ricorso a un tribunale civile. Nel frattempo però il
rifugiato deve lasciare l'Italia. Una regolamentazione cinica che
lascia anche aperta la domanda sulla destinazione verso la quale
viene respinto un rifugiato. Degli oltre 13.000 profughi che ogni
anno fanno richiesta di asilo in Italia, circa 3.000 possono
fermarsi sul territorio. Secondo i dati forniti dalla Commissione
Centrale, nel 2004 sono state risolte 9019 pratiche, di cui solo
781 sono state riconosciute come rifugiati nel senso della
Convenzione di Ginevra. 2350 persone non sono state riconosciute
come rifugiati, ma hanno ottenuto una tutela indiretta grazie
alla raccomandazione inviata alla questura competente di
rilasciare un permesso di soggiorno limitato per motivi
umanitari. Evidentemente il governo ha ideato una scappatoia per
non dover affrontare e risolvere veramente la questione.
Amnesty International accusa l'Italia di una regolamentazione
che lede la dignità dell'uomo. In particolare modo la
pratica di respingere i profughi in alto mare viola le norme del
diritto dei popoli. Dall'inizio della legislatura del governo di
centro-destra la situazione dei richiedenti asilo è andata
peggiorando sempre più. La Lega Nord, membro dell'alleanza
di centro-destra, ha suggerito l'intervento militare contro le
imbarcazioni che continuano ad approdare sulle coste italiane.
Secondo la Lega, le barche, sovraccariche di profughi, avrebbero
dovuto esser affondate dalla marina italiana (vedi "rapporto
alternativo": www.december18.net/web/docpapers/doc2654.pdf,
pagine 27, 28 e 29).
Alla politica italiana per le minoranze non bastano le sole
dichiarazioni d'intenti del ministro per le regioni Enrico La
Loggia. La Loggia si è dichiarato favorevole all'uso delle
lingue minoritarie nelle scuole e negli uffici pubblici e
considera la diversità linguistica una ricchezza del
paese. Non tutti però sembrano condividere l'opinione di
La Loggia. Tra questi ad esempio anche il Ministero per le
telecomunicazioni e l'emittente radiotelevisiva pubblica RAI che
ha escluso le minoranze linguistiche dalla programmazione. Deluso
da questa decisione, Domenico Morelli accusa il ministro delle
telecomunicazioni Gasparri e il vertice RAI di aver ignorato e
boicottato le disposizioni sui mezzi di informazione contenute
nella legge quadro per la tutela delle minoranze. Unicamente i
Sudtirolesi di lingua tedesca e gli Sloveni del
Friuli-Venezia-Giulia dispongono di una programmazione
radiofonica accettabile e completa nella propria lingua mentre la
maggioranza delle minoranze linguistiche resta esclusa dalla
programmazione RAI, nonostante la legislazione lo preveda.
Un'inchiesta dell'Accademia Europea di Bolzano (EURAC) ha
evidenziato che la maggior parte dei piccoli gruppi linguistici
si accontenterebbe già con un'offerta minima nella propria
lingua. Sempre secondo questa inchiesta, la RAI dovrebbe offrire
appena sette minuti settimanali in televisione e mezz'ora
settimanale alla radio nella rispettiva lingua. Non si può
certo dire, che si tratti di richieste esagerate. I risultati
dell'inchiesta EURAC sono stati presentati nel marzo 1999 a
Bolzano durante il convegno "Armonizzare babele", organizzato dal
sindacato dei giornalisti RAI Usigrai, dalla Confemili,
dall'Accademia Europea e dall'Istituto sudtirolese per i gruppi
etnici.
Da allora nulla è cambiato. Il documento finale del
convegno chiedeva all'allora governo di centro-sinistra di
"prendere delle misure affinché tutte le minoranze
linguistiche possano contare con una presenza adeguata
sull'emittente pubblica e possano avere garantito il diritto a
informare e a essere informati." La base legale è data
dalla legge quadro sulla tutela delle minoranze (n° 482) e
dal contratto UE di Maastricht che negli articoli 126 e 128
fissano nella pluralità linguistica e culturale la base
per la comune casa europea.
Le minoranze linguistiche e la RAI - un chiaro caso di
discriminazione.
Al fine di poter preparare adeguatamente il convegno di cui in oggetto, il Confemili, in collaborazione con l'Accademia Europea di Bolzano, intende elaborare un documento contenente delle informazioni riguardanti:
La presente scheda è inviata ai soci del Confemili nonchè a persone interessate all'argomento in quanto appartenenti a minoranze linguistiche. Le risposte dovranno ovviamente riferirsi alle trasmissioni in lingua minoritaria.
SCHEDA INFORMATIVA
I. LA SITUAZIONE ATTUALE
a) Minoranze e RAI
1. La RAI trasmette programmi nella lingua della minoranza?
2. Se la risposta è si, allora indica:
Durata settimanale delle trasmissioni ore
b) Minoranze e stazioni private
1. Le stazioni private trasmettono programmi nella lingua della
minoranza?
2. Se la risposta è si, allora indica
Durata settimanale delle trasmissioni ore
c) Altri servizi
Si ricevono trasmissioni - sempre nella propria lingua
minoritaria - da stazioni radio/TV NON ubicate nel territorio
delle minoranze stesse?
Se la risposta è affermativa, allora indica se queste
trasmissioni vengono seguite (si tratterà ovviamente di
dati presumibili)
Se la risposta è no, allora indica se la tua
comunità ha bisogno o meno di ripetitori per ricevere dei
programmi radio/TV prodotti nella propria lingua
II. RADIO-TV E LA CARTA EUROPEA
La Carta Europea per le lingue Regionali o Minoritarie del
Consiglio d'Europa prevede vari standard di tutela nel caso
dell'esistenza di un servizio PUBBLICO RADIOTELEVISIVO. Lo
standard di cui al seguente punto 1 sarebbe certamente lo
standard massimo di tutela, ma nel concreto purtroppo non sempre
fattibile. Pertanto dovresti indicare la soluzione più
realistica per la tua comunità. Indica pertanto una sola
preferenza.
I vari standard sono così definiti:
III. LE RICHIESTE DELLE MINORANZE
Rispetto alla opzione prescelta nel punto II, indica:
1. Quanto tempo settimanale minimo dovrebbe essere dedicato alla
trasmissioni nella tua lingua minoritaria?
2. Chi dovrebbe curare queste trasmissioni?
A conclusione del convegno "Armonizzare Babele", organizzato
da Confemili e Usigrai in collaborazione con l'Accademia Europea
Bolzano e l'Istituto sudtirolese per i gruppi etnici, i
partecipanti emendano il seguente documento finale:
IN CONSIDERAZIONE dell'importanza che riveste un'adeguata
presenza mediatica delle diverse comunità culturali
europee anche in base al Contratto di Maastricht, che negli
articoli 126 e 128 definisce il pluralismo linguistico e
culturale come la base comune della casa europea; SOTTOLINEATO il
fatto che la Convenzione quadro per la tutela delle minoranze
nazionali, ratificata dal parlamento italiano, prevede
l'istituzione di misure adeguate a facilitare alle minoranze
l'accesso ai media; PRESO ATTO del fatto che sia la legge quadro
per la tutela delle minoranze linguistiche sia la legge per gli
Sloveni vengono attualmente discussi in parlamento, ma manca
ancora la loro approvazione, in modo che persiste l'incertezza
giuridica, rivolgiamo questo
APPELLO URGENTE
al PRESIDENTE DEL CONSIGLIO e alla RAI:
- chiediamo di adottare le misure atte a garantire a tutte le
minoranze linguistiche in Italia una adeguata presenza nelle
radiotelecomunicazioni pubbliche in modo che possano essere
garantiti il loro diritto a informare e a essere informati; - di
impegnarsi nell'ambito delle proprie competenze per
l'elaborazione di un progetto unico tecnico-redazionale che possa
superare gli attuali frazionari e insufficienti punti di
partenza, anche grazie alla elaborazione e al completamento delle
esistenti convenzioni;
al PARLAMENTO:
- chiediamo di approvare quanto prima i due disegni di legge su
menzionati in modo da garantire alle minoranze quel minimo di
tutela, quale è prevista dall'articolo 6 della
Costituzione.
I rappresentanti delle minoranze linguistiche del Gruppo Misto
del Parlamento sono pregati di elaborare quanto prima insieme ai
rappresentanti di altri gruppi parlamentari ulteriori disegni
legge che tutelino le minoranze linguistiche, anche in base ai
relativi accordi tra il governo e la RAI.
Bolzano, 20 marzo 1999
Di Günther Pallaver
Il cambiamento del partito neo-fascista MSI (Movimento sociale
italiano) in Alleanza Nazionale è semplicemente un cambio
di veste sotto la quale continua a nascondersi il vecchio lupo di
destra? Oppure bisogna concedere al partito di Gianfranco Fini di
aver effettuato un vero cambiamento? Sette autori tentano di
rispondere a questa domanda nel libro "La destra allo specchio".
Sicuramente Alleanza Nazionale si è trasformata, e la
trasformazione più evidente riguarda la sua politica
economica. L'onnipresenza dello stato, un dogma sia per il MSI
che per il Fascismo, è stata sostituita da una politica
liberale, dettata dal capo del governo Silvio Berlusconi.
Ciò nonostante Alleanza Nazionale continua ancora oggi a
rimanere legata a un'idea di stato corporativo, così
com'era stato concepito dal Fascismo, e come continua a sognarlo
il 77% del partito.
In cambio la scala dei valori di Alleanza Nazionale non si
differenzia poi di molto da quella del MSI di Giorgio Almirante,
se non per il fatto che per il MSI l'identificazione con il
Fascismo era pubblicamente dichiarata e parte integrante
dell'identità del partito. Se nel 1994 Fini aveva definito
Mussolini come il più grande statista del secolo, oggi il
rapporto con il Fascismo è stato in qualche modo relegato
alla sfera privata. Come scrive Roberto Chiarini,
l'identità fascista di AN non è stata cancellata,
ma semplicemente messa in secondo piano. Non v'è stata
un'elaborazione critica del proprio passato, e l'aver preso le
distanze dal Fascismo è servito solo per farlo rientrare
dalla finestra. Ma il fatto forse più allarmante è
che le simpatie per Mussolini crescono in modo particolare
soprattutto tra i giovani di Alleanza Nazionale. Di fatto, il 64%
dei funzionari di AN pensa che il Fascismo costituirebbe anche
attualmente il migliore sistema politico possibile (3%) o che
è stato un buon sistema politico (61%).
Nella scala delle letture preferite Giovanni Gentile, ministro
dell'educazione del Duce occupa il primo posto (88,6%), subito
prima dello stesso Mussolini (76,2%) e del difensore del Nazismo
Julius Evola (68,7%). Il cambiamento a partito di governo alleato
del partito liberal-nazionale Forza Italia ha permesso ad
Alleanza Nazionale di scrollarsi di dosso il disprezzo di cui
soffriva il precedente neofascista MSI. Sotto la nuova immagine
di AN anche il settimanale d'informazione austriaco "Format"
riconosce i vecchi valori e addirittura l'adulazione di
Mussolini. A partire da giugno 2001, subito dopo la vittoria
elettorale di Berlusconi e Fini, è ripreso il picchetto
d'onore davanti al mausoleo di Mussolini a Predappio, suo luogo
natale. All'"Associazione Guardia d'onore" appartengono anche
diversi giovani di Alleanza Nazionale. Le frasi colte da "Format"
davanti alla tomba di Mussolini spaziano dall'adulazione di
Mussolini fino a profluvi sull'"imperialismo culturale" della
sinistra.
Il libro "La destra allo specchio" conferma che la sostanza
ideologica di AN è rimasta la stessa, semplicemente
è cambiata la formulazione degli obiettivi da raggiungere.
Invece della lotta contro il sistema democratico si parla ora
della lotta contro il dominio dei partiti. Il "ducismo" è
nascosto sotto la lotta per una riforma dello stato con un
presidenzialismo forte. Al posto della "legge e ordine" oggi si
chiede "libertà e ordine", ma la libertà,
così Chiarini, è spesso rappresentata solo dalla
leadership del partito, mentre il popolo postfascista si orienta
più verso l'"ordine", che da sempre appartiene al codice
genetico della destra italiana. Piero Ignazi, forse lo studioso
del MSI e di AN maggiormente riconosciuto, è convinto che
"l'attuale sostanza ideologica continua ad esser la stessa di
sempre", e Rinaldo Vignati aggiunge che l'attuale substrato
culturale porta a una politica del nazionalismo e
dell'autoritarismo. Non a caso il partito è caratterizzato
da una gerarchia marcata e autoritaria.
Günther Pallaver da: FF 37/2001; Roberto Chiarini - Marco Maraffi (a cura di): La destra allo specchio. La cultura politica di Alleanza nazionale (Marsilio Editori, Venezia 2001. 239 pag., 13 Euro).
Wolfgang Mayr. Traduzioni di Sabrina Bussani.