In: Home > Dossier > Promesse e tradimenti. Kurdistan terra divisa
Lingue: ITA
INDICE
> PARTE I
> PARTE II / CAP. 1
> CAP. 2
> CAP. 3
> CAP. 4
> CAP. 5
> CONCLUSIONE
> LE FOTO
> PDF [281 KB]
Mauro di Vieste
5.1. INTRODUZIONE
La rivolta dell'Ararat non può essere considerata alla
stregua di tutte le altre rivolte curde per le caratteristiche
peculiari che ebbe: una prima considerazione riguarda il fatto
che non ebbe un inizio ed una fine ben precisi. Se volessimo
stabilire delle date per questa rivolta diremmo che comincia
nella primavera del 1927, con i ribelli dell'Ararat che portano
un attacco a Bayazid, e finisce nell'autunno 1930 con l'esercito
turco che completa una vasta operazione militare in
collaborazione con quello persiano.
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, tutta l'Anatolia
orientale era in rivolta dopo il 1925, non per puro spirito
rivoluzionario, in molti casi, ma per far fronte alla dura
repressione che il governo turco aveva praticato dopo il processo
di Sheikh Said, iniziando la deportazione di decine di migliaia
di famiglie curde. Nel 1926 già esisteva un piano
separatista curdo che probabilmente non era ancora legato
militarmente ai ribelli dell'Ararat: da un documento italiano
della Legazione di Atene si sa che il circasso Reshid Bey
contattò il Cav. De Santo, segretario ed interprete di
tale Legazione, e chiese un aiuto per il movimento separatista
curdo e circasso in Turchia. Reshid Bey chiedeva esattamente che
il Consolato italiano ad Aleppo, tramite un console esperto,
facilitasse il passaggio dalla Siria alla Turchia di emissari
fidati che si sarebbero messi in contatto con le forze curde e
circasse lì residenti per scegliere esattamente il momento
in cui iniziare la lotta armata contro il governo turco. Reshid
Bey non faceva alcun cenno a rivolte già in corso,
tantomeno sperava che potessero essere Francia o Inghilterra a
dare un appoggio al movimento: inoltre il governo italiano
avrebbe tratto vantaggio da tale aiuto nel momento in cui avesse
voluto iniziare un'azione militare sulla costa mediterranea
turca, poiché Curdi e Circassi avrebbero aperto un valido
secondo fronte ad est. Al progetto non fu data considerazione e
non si hanno più notizie di contatti diretti tra il
movimento curdo e i rappresentanti del governo italiano.
5.2. I PRIMI SCONTRI
Il movimento dell'Ararat nel 1926 aveva visto l'adesione di
Ibrahim Agha, meglio conosciuto come Bro Heski Tello, capo della
tribù Jelali e del clan Hesse Sori, di Tamar Shamki, capo
della tribù Shemkan, e di Sheikh Abdul Qadyr, capo della
tribù Sakin. Tutte queste tribù appartenevano alla
giurisdizione turca e poco se ne sa dalle fonti ufficiali di
informazione, mentre per quanto riguarda l'attività di
Simko, marginalmente legata alla rivolta dell'Ararat, abbondavano
le proteste turche verso il governo persiano. Da un rapporto di
G. Clerk dell'aprile 1927 e dalla maggior parte dei documenti sia
inglesi sia italiani trattanti le relazioni turco-persiane, si
ricava chiaramente l'inquietudine turca per gli attacchi di
Simko. La politica turca era molto chiara in questi casi:
provocare la reazione persiana perché questi irrigidissero
il controllo alle frontiere e favorissero la repressione di
qualunque movimento curdo. La posizione di Simko e di altri capi
curdi nei primi mesi del 1927 non era ancora chiara in relazione
al loro appoggio al movimento dell'Ararat, ma a quella data
già esistevano organizzazioni separatiste in Kurdistan e
soprattutto fuori, e al momento giusto avrebbero tenuto in
considerazione le isolate rivolte di Simko, di Hajo e di altri
capi.
Da un rapporto segreto del Ministero dell'Aviazione inglese
veniva confermato che "certamente" esistevano attive
organizzazioni curde in Iraq, Siria, Persia e Turchia, ma che era
impossibile avere delle notizie più precise, sebbene i
Curdi iracheni possedessero informazioni precise al riguardo:
questa tesi veniva corroborata da un ufficiale francese di stanza
a Beirut, il quale parlando con il maggiore inglese Codrington,
affermava che il centro del nazionalismo curdo era Parigi,
sebbene altri gruppi fossero presenti a Beirut ed Aleppo.
Notizie precise sulla rivolta dell'Ararat non se ne avevano
ancora, ma qualcosa si poteva ricavare dalle informazioni che sia
il governo sia i giornali turchi facevano filtrare. Sempre dal
rapporto di Clerk si evince in modo velato la situazione: le
province orientali rimanevano chiuse ai viaggiatori e nessuna
informazione si aveva nemmeno sui progetti turchi di
pacificazione. Il "Milliyet" precisava in un articolo che la
situazione in quelle province era "tranquilla se comparata agli
anni precedenti": queste affermazioni confermavano che vaste aree
in Kurdistan si trovavano già sotto il controllo dei
ribelli e i motivi principali del malcontento erano sicuramente
le deportazioni e la politica anti curda del governo turco, cosa
di cui tale governo veniva accusato anche da quello persiano che
praticava una politica più liberale.
Il 18 giugno 1927 la Grande Assemblea Nazionale approvò
una legge che autorizzava il governo turco, per motivi sociali e
militari, a deportare dai vilayet dell'est a quelli dell'ovest
"certe persone" (l'articolo del "Milliyet" che annunciava la
legge era intitolato proprio "La legge sulla deportazione di
certe persone dai vilayet dell'est").
La deportazione riguardava millequattrocento persone che vivevano
su un territorio soggetto alla legge marziale nel vilayet di
Bitlis e ottanta famiglie tra quelle condannate dal Tribunale
dell'Indipendenza: tutti i deportati sarebbero stati liberi di
spostarsi ovunque, tranne che in Anatolia orientale. In pratica
la legge autorizzava la deportazione di un numero indefinito di
Curdi, tra i quali i più poveri non disponevano dei mezzi
necessari per raggiungere alcuna destinazione, una situazione che
ricordava il periodo del genocidio armeno nel 1915.
In una dichiarazione Ali Saib Bey, membro del Tribunale
dell'Indipendenza, affermava che nei vilayet dell'est regnava una
perfetta calma e l'ordine e la sicurezza erano stati ristabiliti:
la verità era tutt'altra e prova ne era il fatto che in
quelle regioni veniva mantenuta la legge marziale oltre ad un
grosso nucleo dell'esercito.
Nel settembre 1927 l'esercito turco cercò di penetrare
sulle alture dell'Ararat, partendo dalla valle dello Zilan. Dopo
un primo successo dei Turchi che erano appoggiati dall'aviazione,
i ribelli curdi riuscirono ad aprire più fronti di
combattimento e dopo una lunga battaglia riuscirono ad avere la
meglio sulle truppe governative. La manovra militare curda era
stata possibile grazie alla partecipazione di tutte le
tribù di confine della zona, alle quali si era unito
qualche elemento curdo persiano, ciò che inasprì
ulteriormente le relazioni tra Ankara e Teheran. La stampa turca
organizzò in ottobre una campagna a tratti violenta contro
il governo persiano per indurlo a rafforzare i controlli di
frontiera; in tutti gli articoli la repressione turca del
movimento curdo dell'Ararat veniva presentata come il tentativo
di civilizzare elementi reazionari. Quella che fu la disastrosa
sconfitta dell'esercito turco forte di ottomila uomini
appartenenti alla nona e alla dodicesima divisione, si deduce da
una nota che il governo turco presentò a quello persiano,
chiedendo che fossero restituiti sia le armi, sia gli ufficiali e
i soldati che erano stati catturati durante gli scontri ai quali
avevano partecipato uomini della tribù Jelali.
Dopo la seconda metà del 1927 si intensificarono i
contatti del ministro degli esteri turco Tewfik Pasha, e il
ministro della difesa persiano Feroughi Khan, per raggiungere un
accordo sulla questione curda tramite una variazione delle
frontiere riguardante il massiccio dell'Ararat; sul fronte
siriano la Turchia cercava di avere maggiori facilitazioni per
l'uso della ferrovia siriana e il trasporto di truppe in numero
illimitato e senza preavviso. Da una rara informazione di "prima
mano" si deduce che la reazione turca in seguito alla sconfitta
fu feroce e centinaia di civili curdi senza distinzione di sesso
o età vennero trucidati; la situazione nelle dirette
vicinanze dell'Ararat poteva essere tenuta sotto controllo solo
grazie ad una larga presenza militare che comportava comunque
notevoli sacrifici da parte di tutta la popolazione. Tra l'altro
a novembre era stato nominato una sorta di "super-vali", Ibrahim
Tali Bey, per le province orientali e con poteri oltre che sulla
polizia anche sull'esercito; della sua giurisdizione facevano
parte i vilayet di Elazig (Kharpout), Urfa, Bitlis, Hekkiari,
Sert, Diarbekir, Mardin e Van, mentre la regione dell'Ararat con
Bayazid rimanevano sotto stretto controllo militare.
5.3. LA FORMAZIONE DEL KHOYBOON
Il miglioramento dei rapporti tra Curdi ed Armeni per raggiungere
l'indipendenza da Ankara non era più un fatto nuovo, da
quando Sherif Pasha e Boghos Noubar nel 1919 firmarono un accordo
di collaborazione a Parigi. Sotto questa luce va vista la
formazione del comitato curdo-armeno "Khoyboon", parola curda che
significa "indipendenza".
I preparativi per la formazione del comitato curdo-armeno
cominciarono nell'estate 1926, quando due emissari del Dashnak,
il dr. Sabri e il dr. Muradian, si recarono in Iraq. In
quell'occasione è molto probabile che i due Armeni abbiano
contattato sia Seyid Taha, governatore di Rawanduz, sia il dr.
Shukri Mehmed a Bagdad. A quella data non era ancora possibile
parlare di una stretta collaborazione curdo-armena, data
l'opposizione di Seyid Taha, che tenne anche negli anni
successivi una linea indipendente, sia dei dashnachisti di
Tabriz, centro molto importante del nazionalismo armeno.
Nella primavera del 1927 ripresero molto più fitti i
contatti fra i rappresentanti del Dashnak e quelli delle varie
organizzazioni curde: queste ultime avevano appena deciso la
fusione in un unico comitato curdo, che sarebbe stato il loro
portavoce. In maggio gli emissari del Dashnak di Parigi, tra cui
Wahen Papazian e Leon Pasha, e di Aleppo, rappresentati da Aris
Nur, si incontrarono a Bagdad con il dr. Shukri Mehmed. Incontri
si tennero anche a Mosul e Beirut: oggetto di discussione fu
l'accordo segreto tra il Dashnak e i governi greco ed italiano
per un finanziamento alla causa curdo-armena. Condizione
essenziale per questo appoggio finanziario era che tutte le
tribù curde si associassero in un unica organizzazione
centrale, per cui sorgeva il problema della collaborazione di
Seyid Taha, peraltro uno dei pochi politici curdi in grado di
mettere in campo una considerevole forza militare. Il centro
delle discussioni in giugno si spostò a Parigi: ai
rappresentanti curdi ed armeni si aggiunsero quelli del Comitato
Monarchico Turco e dell'Organizzazione della Russia Bianca. In
questo incontro si discusse la possibilità che i
monarchici turchi e i Russi bianchi finanziassero il movimento
curdo-armeno, ma su questa linea non fu raggiunto un accordo
definitivo: un finanziamento fu invece ottenuto dal governo
italiano (manca però la conferma da parte italiana) e in
parte servì a finanziare la pubblicazione del giornale
"Kurdistan" di Djeladet Bedir Khan.
Alla fine dell'estate i colloqui continuarono a Beirut, altro
centro strategico del nazionalismo curdo-armeno. Sotto la spinta
dei dashnachisti e alla luce del successo che i ribelli
dell'Ararat avevano conseguito sull'esercito turco, nell'ottobre
del 1927 venne ufficialmente fondato il Khoyboon nella stessa
città di Beirut. Il 28 ottobre 1927 il Khoyboon
dichiarò l'indipendenza del Kurdistan secondo quanto
delineato nel trattato di Sèvres e stabilì a Kurd
Ava, sul monte Ararat, la capitale provvisoria del nuovo stato.
In quell'occasione Ihsan Nouri venne nominato comandante supremo
delle forze dell'Ararat, con il compito di organizzare un
movimento di liberazione nazionale.
Dagli articoli del quotidiano turco "Milliyet" (negli appunti di
E. Rossi) si ricava una versione dei fatti simile, ma senza date:
all'incontro di Bagdad (nel maggio 1927) parteciparono gli Armeni
Leon Pasha, Emirizia di Urfa, Sultanian, Aris Nur e i Curdi Ali
Riza, fratello di Sheikh Said, il dr.Shukri Mehmed, gli
ex-ufficiali dell'esercito turco Khurshid e Ihsan Nouri, Mehmed
Emin e il capitano Abdul Kerim. Al congresso di Beirut in
ottobre, venne eletto presidente del Khoyboon W.Papazian,
ciò che probabilmente provocò una spaccatura,
poichè subito dopo il congresso il comitato si
spostò ad Aleppo, sotto la presidenza di Djeladet Bedir
Khan. Il principale obiettivo del Khoyboon era la
destabilizzazione del regime kemalista, fermo restando che i
rapporti con Siria, Iraq, Armenia sovietica e soprattutto Persia,
sarebbero rimasti amichevoli: la neutralità della Persia
era essenziale perchè la rivolta dell'Ararat non venisse
presa tra due fuochi, cosa che ne avrebbe decretato la fine.
Anche la Siria era vitale per l'appoggio che garantiva ai ribelli
e la copertura del secondo fronte curdo in Turchia, nella zona
orientale, dove Hajo Bey continuava la rivolta iniziata l'anno
prima.
L'Ararat rimaneva il centro più importante delle rivolte
curde, tanto che dopo la formazione del Khoyboon vi si
costituì un governo: Ihsan Nouri era il comandante supremo
delle forze armate, Bro Heski Tello era a capo
dell'amministrazione civile, Tamar Shamki era responsabile della
gendarmeria, Sheikh Abdul Qadyr (capo della tribù Sakin
dislocata ad ovest dell'Ararat), comandava la zona occidentale,
Seyid Abdul Wahab, ministro degli interni e Sheikh Tahir ministro
degli esteri; infine i comandanti delle bande che operavano nelle
zone adiacenti l'Ararat erano Farzendah Bey, Rasol Bey, Nadir Bey
ed Ibrahim Agha.
Ormai esistevano tutte le condizioni per portare avanti una lunga
guerra, anche se limitata al solo territorio della repubblica
turca.
5.4. IL 1928 E 1929
Nel 1928 non si verificarono combattimenti rilevanti soprattutto
perché il governo turco decise di trattare con i ribelli
dell'Ararat attraverso i canali diplomatici. Nell'aprile di
quell'anno il governo permise a più di duemila Curdi che
erano stati deportati, di rientrare in Anatolia. La mossa del
governo aveva solo scopi propagandistici, in parte perché
tante di queste persone non avevano mezzi sufficienti per
spostarsi e soprattutto perché tale permesso non venne
concesso alle famiglie più in vista e quindi le più
pericolose. Il 7 maggio il governo ufficializzò la sua
politica di conciliazione approvando una legge d'amnistia per i
Curdi ribelli che si fossero sottomessi entro tre mesi nei
vilayet di Diarbekir, El Aziz, Van, Bitlis, Hekkiari, Mardin,
Urfa, Sirt, Bayazid e Malatya e nei Kaza di Behesni, Khinis e
Kigi; per sottolineare le buone intenzioni di Ankara, il
governatore generale del Kurdistan, Ibrahim Tali, dichiarò
che avrebbe fatto un viaggio nel sud di queste province,
poiché nel nord non sarà mai permesso a nessuno di
andarci per motivi di sicurezza: lo stesso Ibrahim Tali
sarà il primo a confermare, un mese dopo, che nonostante
l'amnistia, "le cose non vanno proprio come devono andare".
Il governo turco tentò anche la mediazione direttamente
con il Comando dell'Ararat: in settembre ci fu un incontro tra
una delegazione governativa formata da Sureya Bey, governatore di
Bayazid, due deputati di Ankara e alcuni ufficiali dell'esercito,
e una delegazione curda formata da Ihsan Nouri, Bro Heski Tello,
ed altri capi della rivolta. L'incontro, tenutosi a Sheikhli
Keupru, vicino Bayazid, non raggiunse alcun risultato
poiché oltre l'amnistia e diversi vantaggi personali per i
capi della rivolta, compresa la nomina a generale per Ihsan
Nouri, la delegazione turca non concesse altro se non la promessa
che non sarebbero state inviate truppe contro i ribelli se questi
non avessero attaccato Bayazid.
La situazione rimase fondamentalmente statica e se da una parte
il governo turco riuscì ad ottenere la sottomissione di
alcuni capi curdi, tra cui Abdurrahim e Sheikh Mehdi, fratelli di
Sheikh Said, Sheikh Abdul Qadyr, Tamar Shamki, Seyid Abdul Wahab
ed altri ancora, dall'altra continuò l'agitazione di Hajo
nella regione di Nisibin e degli altri capi curdi fuori dalla
Turchia. Il Khoyboon intanto continuava l'appoggio esterno alle
rivolte curde e in ottobre aveva inviato Sureya Bedir Khan e
Grigor Vartanian negli Stati Uniti per cercare fondi: i Curdi in
America, circa dodicimila, negli anni passati avevano inviato
50-60.000 dollari l'anno al governo kemalista per la battaglia
condotta contro il governo ottomano, ma dopo il viaggio di Bedir
Khan avevano cominciato a tassarsi di un dollaro a settimana e
promisero di spedire questi soldi al Khoyboon .
Nel 1929 i ribelli dell'Ararat contavano 15.000 combattenti ai
quali si erano aggiunti negli ultimi tempi elementi delle
tribù Mangur, Pizhder ed Herki. Queste tribù
durante i primi mesi del 1929 avevano creato seri problemi
all'esercito persiano e in maggio la rivolta, il cui centro era
Mahabad, si era allargata a Marageh, Senneh, Kermanshah e
Sardasht. Motivo di questa rivolta curda in Persia era la
"politica del cappello" imposta dallo Shah (si trattava di una
legge che obbligava all'uso del cappello di stile occidentale),
politica che fu subito sospesa per l'allargarsi della rivolta,
non solo tra i Curdi, ma anche tra i Kashgai, i Bakhtiari e i
Luri: quindi non c'era ancora un rapporto tra questa rivolta e
quella dell'Ararat, ma il governo persiano temeva che la
situazione potesse sfuggirgli completamente di mano; tale
preoccupazione era abbastanza realistica nel nord della Persia,
nella regione di Maku, dove c'erano stati disordini dovuti al
fatto che i Curdi di quella zona continuavano a mandare
rifornimenti a quelli dell'Ararat.
Il diffondersi di una rivolta curda in Persia, anche se non in
relazione a quella dell'Ararat, portò i governi turco e
persiano a raggiungere un accordo di collaborazione,
contrariamente a quella che era stata fino ad allora la politica
neutrale della Persia. In aprile fu firmato l'accordo con il
quale i due governi si impegnavano ad impedire che bande di
briganti e di ribelli di uno stato trovassero rifugio o si
armassero sul territorio dell'altro: la convenzione si applicava
per atti che venivano compiuti nel raggio di 50 km dalla
frontiera. L'accordo era il risultato del fatto che la
Commissione di Frontiera, che avrebbe dovuto regolamentare le
dispute, non era in grado di svolgere sopralluoghi a causa dello
stato di guerra ai confini turco-persiani. E' significativo il
fatto che l'accordo aveva una durata di tre anni e serviva anche
ad appianare le polemiche scaturite dalla violenta campagna di
stampa turca atta a dimostrare il deliberato supporto persiano ai
ribelli dell'Ararat.
Per la Turchia si trattava senz'altro di un atteggiamento di
comodo il cui fine era provocare la reazione di Teheran e il
successivo assassinio di Simko da parte persiana rientra in
questi disegni. Simile a quella turca era la posizione
dell'Unione sovietica, che aveva cominciato ad inviare note di
protesta alla Persia perchè aumentasse i controlli alla
frontiera. In questo clima di tensione cambiarono lentamente le
alleanze e mentre la battaglia si inaspriva, i Curdi rimanevano
sempre più soli a difendere la roccaforte dell'Ararat
.
5.5. LA FINE DELLA RIVOLTA
All'inizio della primavera del 1930, le truppe curde dall'Ararat
si mossero verso ovest ed attaccarono diverse postazioni della
gendarmeria turca a Bayazid, Kara Kilisseh ed anche nelle
vicinanze di Erzurum: i tentativi turchi di respingere i ribelli
curdi nei territori dell'Ararat durante i tre attacchi fallirono.
Questo succedeva nel periodo in cui la Commissione di Frontiera
turco-persiana avrebbe dovuto elaborare una equa soluzione e
soddisfare le richieste turche senza danneggiare il governo
persiano (la Turchia chiedeva che le venisse data la parte
persiana dell'Ararat in cambio di una zona a sud). L'intenzione
dei Turchi era certamente quella di sterminare i ribelli sul
monte Ararat.
Le informazioni su questo periodo sono più che mai scarse,
e nonostante ufficiali inglesi, come C.J. Edmonds, si fossero
recati di persona in Anatolia per attingere notizie, ciò
non diede alcun risultato, poichè oltrepassare Bitlis o
Van era assolutamente proibito a causa delle operazioni di guerra
. A fine maggio si ebbe notizia di un notevole dispiegamento di
truppe turche, la Settima, l'Ottava e la Nona Armata, lungo una
linea che andava da Igdir, al confine con l'Armenia sovietica,
fino ad Hakkiari nel sud, con la maggiore concentrazione nel
distretto di Bayazid. Il raggruppamento di truppe era cominciato
a fine marzo, ed il governo turco aveva dichiarato che si
trattava di semplici manovre militari: oltre alle truppe regolari
erano arrivati anche alcune migliaia di gendarmi, il cui
comandante, Zeki Pasha, aveva assunto il comando della divisione
militare di stanza a Kara Kose. Salih Pasha (secondo Ihsan Nouri,
Sami Pasha) aveva assunto il comando della IX Armata e, a fine
aprile, erano cominciati ad arrivare dall'Unione Sovietica
notevoli forniture di petrolio subito inviato verso Erzurum:
insieme al combustibile erano state spedite ingenti
quantità di armi e munizioni, durante tutto aprile, tali
da non poter non destare sospetti . Mentre l'esercito turco
continuava a ricevere rinforzi sia in uomini sia in mezzi (sul
fronte erano stati inviati 5 aerei ed artiglieria pesante), la
situazione dei Curdi si faceva sempre più difficile,
soprattutto per la mancanza di munizioni: tra gli altri motivi
delle difficoltà curde era l'intervenuto miglioramento dei
rapporti turco-persiani che aveva portato Teheran a rafforzare i
controlli alla frontiera.
La questione della collaborazione di Teheran con Ankara era stata
definitivamente chiarita il 10 luglio in un articolo dell'"Iran",
un giornale che era stato spesso usato per esporre posizioni
ufficiali. Il governo persiano aveva già offerto la
propria collaborazione a quello turco per una definitiva
sistemazione della questione curda; aveva infatti bloccato le
proprie frontiere con il Kurdistan imponendo alle tribù
curde di spostarsi verso l'interno e di non concedere alcun aiuto
ai Curdi turchi, e tantomeno accoglierli come rifugiati. Infine
le truppe persiane di frontiera avevano ricevuto ordine di
collaborare con quelle turche al fine di migliorare i rapporti
tra i due governi.
Nello stesso periodo anche l'Unione Sovietica cambiò
atteggiamento nei confronti dei ribelli dell'Ararat: la posizione
del governo di Mosca non era mai stata decisamente ostile ai
Curdi (e non lo sarà mai), ma per una serie di motivi i
sovietici avevano cominciato ad appoggiare apertamente la
Turchia. Uno dei motivi di tale collaborazione era la recente
rivolta che aveva avuto inizio nel distretto di Baku,
nell'Azerbaijan sovietico, capeggiata dai Curdi che vivevano
lì già da due secoli: il loro leader era Sultan Bey
(o Sultanoff secondo la denominazione sovietica) il quale, dopo
aver resistito alle truppe sovietiche, era fuggito in Persia con
i ribelli, usando come base le montagne del Kara Dagh, vicino
l'Ararat. La posizione del governo sovietico era diventata
critica con il passare delle settimane poiché i ribelli
rimasti nella zona di Nakchevan erano già 3.000 e se ne
erano aggiunti altri 1.500 che avevano abbandonato le postazioni
vicino l'Ararat (si trattava di ribelli di nazionalità
sovietica che appoggiavano la rivolta in corso) in seguito
all'inizio delle operazioni militari turche. I ribelli avevano
fatto ritorno in patria attraversando agevolmente la frontiera
con la Persia: per questo motivo i sovietici avevano inviato note
di protesta al governo persiano perché controllasse con
maggiori forze tutte le proprie frontiere.
In giugno, l'esercito sovietico alla frontiera ammontava ad oltre
50.000 uomini poichè, soprattutto nel distretto di
Zangizur, si erano già verificate delle diserzioni.
Nell'area dell'Ararat ormai non si poteva più parlare
della "solita" insurrezione curda in quanto tra le file dei
ribelli figurava anche Beg Pirimoff, un armeno capo della rivolta
e colonnello dell'esercito zarista durante la prima guerra
mondiale.
Dal punto di vista internazionale l'Unione Sovietica aveva
interesse che la rivolta curda terminasse favorevolmente per i
Turchi, poiché temeva che una diversa soluzione avrebbe
fatto cadere la regione sotto l'influenza politica
anglo-francese: per questo motivo il governo di Mosca si propose
come mediatore nella controversia turco-persiana per la
frontiera. La politica sovietica dello status quo nella regione
anatolica e nella Turchia in generale veniva corroborata da un
articolo dell'"Izvestiya" del 19 agosto che, prendendo come
spunto la formazione di una opposizione di governo ad Ankara
guidata da Fethy Okyar (che aveva lasciato il posto di primo
ministro ad Ismet Inonu sei anni prima), ammoniva il governo
turco sulla possibilità di contrarre un debito estero, la
strada più semplice ma più pericolosa per risolvere
le crescenti difficoltà finanziarie dello stato.
L'articolo si chiudeva con l'assicurazione che il governo
sovietico non avrebbe interferito negli affari interni di altri
stati ed avrebbe tenuto sotto stretto controllo l'attuale
situazione creatasi in Anatolia.
Le operazioni militari intanto continuavano e l'esercito turco
aveva sferrato un primo attacco il 10 giugno da Kara Kilisseh,
base della IX Armata comandata da Selih Pasha, verso l'Ararat: un
secondo attacco, segno che il primo era fallito, era stato
lanciato il 19 giugno. L'esercito turco aveva la copertura di
quattro squadriglie aeree formate da trenta Junkers JA-20
(tedeschi) e sei Breguet 14-A2 (francesi), in seguito rinforzate
da altri sei Breguet e tre Junkers. Gli aerei furono utilizzati
sia nel primo sia nel secondo attacco all'Ararat . L'ultima
battaglia aveva l'obiettivo di contenere un contrattacco curdo: i
ribelli si erano raccolti in "gran numero" a Yekmelen in Persia,
avevano attraversato la frontiera a Gevirisamyan, si erano uniti
ad elementi della tribù Heydaran e tutti insieme avevano
cercato di sollevare una rivolta nella valle dello Zilan, vicino
il lago Van. Attaccati dalle truppe di Salih Pasha si erano
divisi; alcuni avevano tentato di riattraversare la frontiera ed
altri avevano raggiunto l'Ararat, non senza aver abbattuto tre
Junkers, facili bersagli dei ribelli poiché per
individuarli, gli aerei erano costretti a volare a bassa quota
.
Il fronte si estendeva per 150 km, e non era facile per
l'esercito turco controllarlo in tutta la sua lunghezza, anche
perchè i Curdi combattevano sempre in piccole
unità, una tattica necessaria in quelle zone impervie. Tra
il 3 e il 4 luglio l'esercito turco si mosse verso il confine
persiano all'altezza del lago Van per bombardare gli accampamenti
curdi: alcune unità di ribelli attaccarono immediatamente
le truppe governative facendo 50 prigionieri, che furono
rilasciati pochi giorni dopo.
I combattimenti continuarono sempre più aspri fino a
metà luglio, e sebbene l'azione di contenimento turca
fosse riuscita era costata notevoli sacrifici sia in uomini, sia
in materiale bellico: le perdite turche ammontavano a circa 8.000
uomini, mentre da parte curda si doveva registrare l'alto numero
di civili, circa 3.000 persone, massacrati dai governativi per
rappresaglia; anche le donne curde (contrariamente ai costumi
arabo-musulmani) avevano partecipato attivamente agli ultimi
scontri. Nonostante gli sforzi curdi, l'esercito turco era
riuscito, dopo la metà di luglio, a far concentrare tutti
i ribelli sul solo fronte dell'Ararat, che comunque restava
inespugnabile a meno che non fosse circondato anche dal versante
persiano. Durante le operazioni i Turchi avevano continuato a
distruggere tutti i villaggi che incontravano sulla propria
strada e a massacrarne gli abitanti.
Il 9 agosto una unità dell'esercito persiano, inviata a
sedare l'ennesima rivolta della tribù Jelali, subì
una severa sconfitta, e negli scontri persero la vita 4 ufficiali
e 100 soldati. Questo episodio spinse il governo persiano ad
adottare misure drastiche nei confronti dei Curdi e a cercare la
collaborazione dei Turchi per reprimere la rivolta alla
frontiera. L'esercito persiano non era assolutamente in grado di
bloccare un eventuale attacco curdo per mancanza di uomini e di
mezzi (il cordone lungo la frontiera era formato da circa 800
uomini) e principalmente per questo motivo l'esercito turco, tra
il 12 ed il 14 agosto, sconfinò in territorio persiano,
occupando la regione del Kara Dagh, alle spalle
dell'Ararat.
Il governo persiano smentì immediatamente che truppe
turche fossero entrate sul proprio territorio; ebbe così
inizio una battaglia diplomatica per scongiurare una guerra fra
Turchia e Persia, guerra che quest'ultima non era affatto in
grado di affrontare. La crisi d'agosto portò alle
dimissioni dell'ambasciatore turco a Teheran, Memdouh Chevket
Bey, che non condivideva la politica nei confronti del governo
persiano, né quella verso i Curdi. Dopo le dimissioni,
Chevket rivelò che Ismet Pasha voleva l'annientamento
totale dei Curdi, mentre a suo parere era impossibile sterminare
un intero popolo.
In agosto, alla crisi turco-persiana si aggiunse un fatto nuovo:
i Curdi iracheni cominciarono ad attaccare le postazioni turche
di confine per alleggerire il fronte settentrionale. Già
alla fine di luglio c'era stato un attacco ad Oramar nel vilayet
di Hakkiari (Turchia) da parte di 400 Curdi della tribù
Barzani, ma il fatto non era stato collegato con gli scontri
dell'Ararat, e le stesse autorità turche non gli avevano
dato eccessiva importanza. L'8 agosto le truppe di Sheikh Ahmed
Barzani si scontrarono nuovamente con l'esercito turco ad Oramar
ed altri membri delle tribù Barzani e Zibari andarono a
rafforzare le file dello Sheikh: pochi giorni dopo Hajo Bey
tentò di rompere il fronte turco alla frontiera siriana,
ma fu subito respinto ed in seguito allontanato definitivamente
dal confine grazie all'intervento francese.
Nel momento in cui l'esercito turco si trovava in gravi
difficoltà e veniva attaccato su più fronti,
subì addirittura la defezione dell'intero 53°
Reggimento. Per superare la crisi il governo fu costretto a
raccogliere una quantità notevole di forze per tentare di
sferrare un attacco su larga scala. Le fonti britanniche si
interrompono a questo punto poichè tutta una serie di
documenti (FO 371 14550 folio 149-254) che sarebbero dovuti
essere stati aperti nel 1981, sono stati invece trasferiti nella
camera di sicurezza del P.R.O. e la chiusura estesa fino al
2006.
Ricostruzione della prima pagina del quotidiano turco Milliyet del settembre 1930 alla fine della rivolta dell'Ararat. Sulla pietra tombale la scritta: Il sogno di un Curdistan libero è sepolto qui.
Il "Milliyet", il quotidiano turco commentato da E. Rossi, per
una strana coincidenza, "trascura poi di ricordare come fu
annientata la rivolta curda del 1930". I dispacci inglesi di
agosto riportano notizie frammentarie da cui risulta che Curdi e
Turchi continuavano a fronteggiarsi senza notevoli risultati
né da una parte, né dall'altra.
Agli inizi di settembre ripresero le operazioni turche
sull'Ararat e il 5 settembre l'esercito riuscì a dividere
in due tronconi le postazioni curde: il giorno dopo, uno dei due
tronconi attaccò con successo i Turchi, i quali, con la
copertura di sette aerei e l'aiuto di una unità
dell'esercito sovietico, riuscirono a rifugiarsi oltre la
frontiera, nel territorio della repubblica armena. Qui i Turchi
vennero trattati come ospiti, e due giorni dopo fu loro
consentito di rientrare sul campo di battaglia all'altezza di
Igdir: il comportamento sovietico non lasciava più dubbi
riguardo alla scelta filo-turca del governo di Mosca. Esistevano
infatti ben 45 postazioni sovietiche lungo i fiumi Arpa Chai e
Aras e la cavalleria pattugliava il resto del territorio di
frontiera. La ritirata turca aveva consentito ai Curdi di
arrivare fino a Bayazid e nella valle dello Zilan. Il 13
settembre scoppiarono nuove rivolte curde ad est di Diarbekir e
ad ovest di Bash Kaleh, toccando Bitlis e Sirt: Bitlis venne
occupata il giorno dopo, le truppe turche della città
furono fatte prigioniere e sei aerei abbattuti. Queste notizie,
pubblicate dal quotidiano locale "Tabriz", riportavano anche un
proclama di Ihsan Nouri a nome del Khoyboon, che incitava tutti i
Curdi alla lotta per evitare la caduta dell'Ararat e la fine
della "nazione curda": uomini e denaro continuarono ad arrivare
(tra cui elementi della tribù assira Jelu, stabilitasi
presso Mosul) e la propaganda era viva soprattutto in Egitto
grazie a Djeladet Bedir Khan ed al suo giornale
"Kurdistan".
L'indebolimento del fronte dell'Ararat portò alla vittoria
decisiva, a fine settembre, dell'esercito turco, il cui obiettivo
era costringere i ribelli ad uscire allo scoperto. Le truppe
governative furono costrette quindi a spostarsi a sud e ad ovest
del lago Van per sedare le rivolte in corso (nella regione di
Bash Kaleh e di Dersim) e sul fronte iracheno ad evitare altre
infiltrazioni di Curdi Barzani.
A partire da metà ottobre la stampa turca non
riportò più alcuna notizia di movimenti curdi:
erano cominciate le "operazioni di repressione" su tutto il
territorio curdo e queste azioni ricordavano per vastità e
ferocia quelle contro gli Armeni nel 1915. La rivolta dell'Ararat
poteva dirsi conclusa. I capi riuscirono tutti a fuggire, e tra
loro Ihsan Nouri che riparò in Persia. Il Khoyboon non si
arrese davanti alla sconfitta. Tentò di riorganizzare una
vasta rivolta per l'anno successivo che puntualmente
scoppiò agli inizi della primavera del 1931. L'esercito
turco era però pronto a fronteggiarla e le montagne
dell'Ararat completamente circondate. Lo stesso Ihsan Nouri, dopo
aver tentato di riprendere le redini del movimento, venne
accusato di tradimento e fu costretto a fuggire (lo ritroveremo
ad Hasseccé in Siria dove chiese il permesso di soggiorno
alle autorità francesi).
"Il futuro del Kurdistan era davvero buio": la rivolta curda in
Turchia continuò primavera dopo primavera fino alla
ribellione nella regione del Dersim nel 1937, che fu soffocata
nel sangue come le precedenti.