In: Home > Dossier > Promesse e tradimenti. Kurdistan terra divisa
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INDICE
> PARTE I
> PARTE II / CAP. 1
> CAP. 2
> CAP. 3
> CAP. 4
> CAP. 5
> CONCLUSIONE
> LE FOTO
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Mauro di Vieste
Se volessimo cercare nella storia moderna del popolo curdo una
data dalla quale far iniziare la sua tragedia, dovremmo rifarci
alle alterne vicende degli imperi ottomano e persiano. Lo
sviluppo dei due grandi imperi del Medio Oriente, dopo le
invasioni che terminarono con la morte di Tamerlano nel XV
secolo, non apportò alcuna limitazione alla larga
autonomia di cui godevano i principati curdi. Da quanto si ricava
dallo Charaf Nameh, la grande opera sulla storia delle
dinastie curde del medioevo, fino al XVI secolo i principi curdi
continuarono a governare il proprio territorio situato a cavallo
tra i due imperi.
Questo periodo relativamente felice per i principati curdi
terminò con il Trattato di Gialdiran del 1514, con il
quale la Sublime Porta fissava definitivamente i suoi confini con
la Persia. In questo modo i Curdi vennero a trovarsi divisi e
strumentalizzati dallo Shah e dal Sultano-Califfo per ragioni
strategiche. Ebbe così inizio la lunga storia di questo
popolo che, fatta di promesse e tradimenti, portò sempre
alla sconfitta dei Curdi, impotenti di fronte ai capovolgimenti
di alleanza del nemico.
Scrive Ahmede Khani nel suo famoso Memozin che risale al
XVII secolo: "Quando la nostra disgrazia sarà consunta
ed avrà fine? Ci sarà allora amica la fortuna e ci
risveglieremo un giorno dal letargo? Un conquistatore
emergerà tra noi e si rivelerà un re? Se noi
avessimo un re il nostro denaro diverrebbe moneta battuta, e non
resterebbe così sotto la dominazione del turco. Noi non
saremmo rovinati nelle mani del gufo. Dio ha fatto così:
ha posto il turco, il persiano e l'arabo sopra di noi. Mi
stupisco del destino che Dio ha riservato ai Curdi. Questi Curdi
che con la sciabola in mano hanno conquistato la gloria. Come
è stato che i Curdi sono stati privati dell'impero del
mondo e sottomessi agli altri? I Turchi e i Persiani sono
circondati da muraglie curde. Tutte le volte che Arabi e Curdi si
mobilitano, sono i Curdi che si bagnano nel sangue. Sempre
divisi, in discordia, non ubbidiscono l'uno all'altro. Se noi
fossimo uniti, questo turco, questo arabo e questo persiano
sarebbero i nostri servitori".
Il periodo delle riforme che va dalla fine del XVII all'inizio
del XVIII secolo e continua con maggior vigore con l'epoca del
"Tanzimat" (rinnovamento) dell'impero ottomano, vide una
ulteriore limitazione dell'autonomia curda, segno che la Sublime
Porta aveva iniziato il suo cammino verso la fine.
In questo periodo scoppiarono le grandi rivolte dei principi
curdi, le quali, sebbene non coinvolsero mai tutto il Kurdistan,
possono essere considerate le radici del nazionalismo curdo. La
fine di queste rivolte coincise con il tentativo sia curdo sia
turco (nel senso del nascente nazionalismo turco nell'impero
ottomano) di rinnovare le fondamenta stesse dell'impero islamico
partendo proprio dalla limitazione del ruolo della religione:
questa fase sfociò nella fondazione del C.U.P. e coincise
con la graduale perdita di potere del Sultano-Califfo.
Gli stravolgimenti politici del 1908, la conquista del potere da
parte del C.U.P. e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale fecero
sperare in un cambiamento delle sorti curde nell'ambito di un
Impero che ancora per poco sarebbe rimasto unito nel nome
dell'Islam.
La fine della Prima Guerra Mondiale segnò un'altra tappa
del tormentato cammino dei Curdi e il successivo trattato di
Sévrés sembrò sgomberare la strada dagli
ultimi ostacoli che ormai separavano i Curdi dall'indipendenza o
almeno dall'autonomia.
Ma l'ennesima impennata del nazionalismo turco durante i primi
anni venti, non fece altro che riproporre il solito rituale: alle
promesse seguì il grande tradimento, questa volta sotto la
veste ufficiale del Trattato di Losanna del 1923. Per quanto
vaghi fossero gli impegni sottoscritti a Sèvrès,
nel Trattato di Losanna non c'era più alcun riferimento
all'autonomia. E questo portò alle grandi rivolte che
sconvolsero negli anni a venire la nuova Turchia secolarizzata:
dietro una motivazione prettamente religiosa si nascondeva
l'esasperazione di un popolo che già troppe volte aveva
versato il suo sangue per la libertà.
Negli anni tra le due guerre la nascita degli stati nazionali in
Medio Oriente aveva aggiunto nuovi elementi di incertezza: quelle
che un tempo erano "semplicemente" dispute di confine tra
l'impero ottomano e quello persiano, assumevano contorni ben
più preoccupanti. Durante gli anni venti nella Turchia
repubblicana scoppiarono due grandi rivolte curde che ne scossero
le fondamenta: la prima, guidata da Sheikh Said nel 1925, fu
stroncata sul nascere; la seconda, quella dell'Ararat, coinvolse
più stati ed ebbe l'appoggio esterno di una organizzazione
politica curdo-armena, il comitato Khoyboon. Anche la rivolta
dell'Ararat, che durò formalmente dal 1927 al 1930, venne
stroncata dall'esercito turco grazie ad un notevole spiegamento
di forze e soprattutto alla tacita collaborazione persiana e
sovietica. Ma gli interessi sia dell'Europa, soprattutto la Gran
Bretagna, sia dell'Unione Sovietica, erano diventati talmente
importanti che la stabilità del Medio Oriente veniva
perseguita a tutti i costi: in seguito anche gli Stati Uniti si
inserirono nello scacchiere tramite accordi di collaborazione con
Abdul Aziz Ibn-Saud, formalizzatisi durante la seconda guerra
mondiale.
Il quadro rimase invariato fino alla fine della seconda guerra
mondiale, quando, grazie all'iniziale appoggio dei sovietici, i
Curdi (come anche gli Azeri), riuscirono a fondare un proprio
stato: la repubblica di Mahabad. Nuovamente l'equilibrio
strategico delle forze coinvolte nell'area, esattamente come era
successo all'epoca della rivolta dell'Ararat, condizionò
le scelte delle "potenze" e l'Iran, con il tacito consenso
dell'Unione Sovietica, spazzò via lo stato curdo dopo un
solo anno di vita.
Dopo la sconfitta di Mahabad, il movimento curdo, soprattutto in
Iraq, iniziò una politica più realistica tesa al
riconoscimento di un certo grado di autonomia nell'ambito degli
stati di appartenenza. Questo periodo culminò nel colpo di
stato del luglio 1958 che portò il generale A.K. Kassem
alla guida dell'Iraq. Il golpe, appoggiato militarmente dai
Curdi, produsse buoni risultati almeno sul piano del ruolo
politico e culturale del popolo curdo. Ma si trattò di una
breve parentesi. Come la crescita del nazionalismo turco negli
anni venti aveva spezzato la collaborazione con i Curdi,
così lo scossone nazionalista arabo dei primi anni
sessanta interruppe l'intesa tra Curdi ed arabi in Iraq. La
politica della "Cintura Araba" in Siria, conseguenza della
nascita della R.A.U. e le aspirazioni irachene alla guida del
mondo arabo, portarono alla definitiva rottura dell'equilibrio
arabo-curdo faticosamente raggiunto in quegli anni. Questa
rottura ebbe come conseguenza lo scoppio delle cinque guerre
curdo-irachene tra il 1961 e il 1975, che videro contrapposti il
mondo arabo e i Curdi appoggiati dallo Shah (che a sua volta
veniva appoggiato dagli Stati Uniti; un coinvolgimento diretto
della Casa Bianca nell'"affare curdo" non è mai stato
provato con certezza). Certo questa collaborazione non era a
sfondo umanitario e rispecchiava l'antico comportamento persiano
di più o meno aperto appoggio ai Curdi fuori dai propri
confini per contrastare i progetti di espansionismo arabo o
turco, almeno fino a quando accordi diretti fra le parti non
ponevano fine alle dispute. In tal senso si possono leggere la
rivolta dell'Ararat e i successivi accordi di frontiera
turco-persiani.
L'espansionismo iracheno degli anni sessanta verso la foce
orientale dello Shatt-al-Arab, aveva definitivamente convinto lo
Shah a rifornire di armi, viveri e soprattutto munizioni (queste
ultime sono sempre state il fattore decisivo delle vittorie e
delle sconfitte curde) la guerriglia curda in Iraq guidata da
Mustafà Barzani, il mullah rosso, appellativo che si era
guadagnato per i suoi undici anni di esilio in U.R.S.S. dopo la
sconfitta di Mahabad (1947-1958).
Nel 1975 si ripeterono i fatti che nel 1930 videro la Persia, che
fino ad allora aveva appoggiato i Curdi o almeno tenuto una
politica neutrale, passare ad una intesa momentanea con la
Turchia, consentendo così al governo di Ankara di avere la
meglio sulla rivolta; allo stesso modo un accordo intercorso tra
l'Iraq e l'Iran, in occasione della conferenza dell'O.P.E.C. ad
Algeri nel 1975, portò alla resa definitiva di
Mustafà Barzani, che andò a vivere negli Stati
Uniti e vi morì quattro anni dopo. L'atto di resa fu
criticato in quanto la guerriglia curda disponeva di forze ancora
intatte, ma era giustificabile in quanto il tradimento dell'Iran
avrebbe ben presto fatto mancare i mezzi materiali per continuare
la lotta contro l'Iraq. Con l'accordo di Algeri l'Iraq rinunciava
alla riva orientale dello Shatt-al-Arab a favore dell'Iran e
questa concessione fu la causa principale dell'invasione irachena
del 1980.
Durante gli anni della lunga guerra irano-irachena i Curdi hanno
potuto riorganizzare la guerriglia ed arrivare così a
controllare vaste zone di territorio montuoso sia in Iran sia in
Iraq. La preoccupazione irachena per le dimensioni assunte dal
problema della guerriglia interna ha spinto il governo centrale,
non senza provocare le reazioni di tutto il mondo occidentale e
dell'O.N.U., al massiccio intervento con armi chimiche contro la
popolazione civile curda: Halabja è così diventata
la Hiroshima curda.
La fine della "Prima Guerra del Golfo" nel 1988 ha portato ad un
ulteriore peggioramento della posizione curda, rispettando il
copione secondo il quale un'intesa fra gli stati che sfruttano a
proprio vantaggio la guerriglia curda non fa' altro che
peggiorare la posizione di quest'ultima sia in uno stato sia
nell'altro: prova ne è l'esodo dell'ottobre 1990 di
guerriglieri e dirigenti politici curdi da Teheran verso
l'occidente e in particolare Londra.
Come l'intesa fra gli stati , anche l'accordo tra le diverse
fazioni della guerriglia curda ha provocato e provoca le reazioni
arabe, turche o persiane: è il caso di ricordare
l'assassinio a Vienna nel Luglio 1989 di A.R. Ghassemlou che
stava appunto tentando un accordo politico comune a tutte le
tendenze curde di tutti gli stati interessati. Un esempio
lampante del passato lo troviamo nel momento in cui la Turchia,
alla fine dell'estate 193O, si decise a sferrare l'attacco finale
contro i ribelli dell'Ararat; tale decisione fu la conseguenza
del consenso che i ribelli riscuotevano ormai presso le
tribù curde del Nord-Iraq con l'appoggio di Ahmed Barzani,
della Siria con Hajo Bey e dell'Unione Sovietica con varie
tribù curde e armene. Ed è proprio sulla questione
dell'alleanza delle diverse fazioni della guerriglia che
probabilmente si giocherà il futuro dei Curdi: l'unione
delle diverse tendenze interne è una condizione necessaria
perchè si possa configurare una soluzione globale del
problema curdo poichè per loro non esistono alleati. Tanto
gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica quanto l'Europa in generale
hanno stretti legami di collaborazione con gli stati dell'area
geografica curda. Come recita un proverbio curdo loro non hanno
amici al di fuori delle montagne del Kurdistan.
E la situazione oggi che la Turchia è quasi in Europa non
è certo migliorata. Lo sbarco dei clandestini curdi sembra
ormai avere i connotati dell'emergenza albanese e dei relativi
sbarchi sulle coste pugliesi e calabresi. Se però si
guarda alla storia del popolo curdo anche solo degli ultimi
decenni, si capisce che questo esodo era inevitabile. A
ciò si aggiungono gli interessi delle varie mafie che
fanno della disperazione della gente uno squallido
business.
La Turchia, inoltre, con il suo regime militare che controlla
ogni aspetto della vita sociale e politica del paese, compresa
l'informazione, ha ereditato il peggio dalle ceneri dell'Impero
ottomano e cioè l'avversione al riconoscimento delle
proprie minoranze etniche e religiose. Da ciò nasce la
politica turca nei confronti della questione curda. Per tornare
solo agli ultimi anni di storia, bisogna riflettere sul fatto che
quasi 4.000 villaggi curdi sono stati distrutti dal regime di
Ankara (le distruzioni sono tutte documentate).
In una situazione in cui nemmeno l'ONU riesce a garantire
l'incolumità di questa gente che vive nella zona di
protezione istituita nel Nord dell'Iraq alla fine del conflitto
che ha coinvolto il Kuwait, si capisce perché l'unica
strada che rimane ai Curdi é quella della fuga. Alla
riunione delle Polizie dei paesi europei maggiormente interessati
dalla questione curda, il governo turco ha sottolineato come il
problema non sia di natura politica, bensì di natura
economica. Al di là del sofismo di tale affermazione (come
se le due cose non fossero legate) dovrebbero bastare i leader
sindacali e di partito curdi incarcerati o perseguitati, per
smentire una tale ipocrisia. Il premio Sacharov e deputato al
parlamento turco Leyla Zana si trova tuttora in carcere
nonostante le pressioni internazionali, ultimo un appello di 130
deputati del congresso USA. Il sociologo turco Ismail Besikci
é in carcere quasi ininterrottamente da ormai 30 anni
senza che si intraveda la fina della sua odissea
giudiziaria.
Il governo turco non si ferma nemmeno davanti alla palese
antieconomicità della guerra nel Kurdistan. Eppure molti
degli stessi ambienti economici turchi suggeriscono che se il
quarto di Pil che attualmente viene buttato nella guerra in
Kurdistan fosse usato come investimento produttivo nelle stesse
zone la questione curda sarebbe già risolta. Ma la guerra
non è solo una cifra negativa: i costi umani non hanno un
valore quantificabile ed il prezzo che tutta la Turchia ed il
Kurdistan stanno pagando è infinitamente alto. Ed è
proprio questo prezzo, fatto di vite umane, che l'Italia e
l'Europa adesso dovranno pagare con la Turchia. Soprattutto
l'Italia e la Germania non hanno fatto bene i conti quando hanno
venduto e a volte regalato armi, mine, elicotteri da
combattimento al governo turco. L'ondata di profughi è il
risultato di una politica scellerata dell'Europa nei confronti
della Turchia e di questi nei confronti dei propri curdi.
Come pensiamo che si possano comportare milioni di persone che
non hanno nessuna speranza di sopravvivenza (ancora prima che di
benessere) in uno stato dove la connivenza tra mondo politico e
trafficanti di armi e droga è arrivata al massimo livello.
Sarebbe tempo di finirla con i buoni proclami natalizi e di
tacere sui misfatti umanitari di un governo che ha già un
piede in Europa. Non si può andare in visita in una
Turchia dove le carceri scoppiano di detenuti politici che
muoiono facendo lo sciopero della fame e sorridendo far finta che
tutto ciò non esista. La questione curda è ormai
una questione europea e il destino di questo popolo non
può più essere deciso dagli accordi strategici del
dittatore di turno. Forse è tempo di cercare ai Curdi dei
buoni amici.
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