di Claudio Magnabosco
INDICE INTRODUZIONE | PER
UNA STORIA DELLA VALLE D'AOSTA |
"Per una storia della Valle d'Aosta dal 1945 al 2000" non
è esattamente un saggio di storia, né una raccolta
di studi sociologici; non ha lo spessore della ricerca
scientificamente compiuta, né l'intento ideologizzato di
dimostrare e documentare una qualche presunta verità. E',
più semplicemente, una analisi di fatti, vicende e
documenti che, assemblando materiali di vario tipo, ma tutti con
una valenza storica, sociologica e politica, mira ad affermare il
primato della cultura che è e deve essere, innanzitutto,
conoscenza.
Partendo dalla constatazione che neppure noi contemporanei
conosciamo davvero le vicende storiche più vicine,
trovandomi nella impossibilità di raccontarle tutte ne ho
proposto una sintesi ed una aggregazione tematica, spiegandole e
commentandole alla luce di convinzioni personali che propongo in
piene e totali libertà ed onestà intellettuale.
L'intento è dichiaratamente didattico e, del resto, molti
dei materiali che compongono questo saggio sono lezioni tenute in
ambienti giovanili; proprio perché l'intento è
didattico, non mi sono preoccupato di rimuovere dalla stesura
finale la ripetizione di concetti che risultano, così,
più volte e quasi ossessivamente ribaditi. Del resto in
una lezione o in una serie di lezioni c'è sempre bisogno
di ricollegare tra loro le diverse tematiche evidenziandone
l'intrinseco legame.
"Per una storia ..." si sottopone al giudizio dei lettori, ben
sapendo di esprimere nella forma scritta idee che sono state
raccolte, discusse, recepite ed apprezzate negli ambienti cui
sono state destinate originalmente. La forma scritta avrà
la stessa efficacia che ha avuto quella orale? A ben vedere la
scelta di questa pubblicazione è la stessa che l'Equipe
d'Action Culturelle seguì negli anni 70 quando, alla
totale opposizione che la sua idea di istituire una
Università valdostana incontrò negli ambienti
politici e culturali, contrappose un progetto culturale:
articolò quattro anni di attività come un piano di
studi universitari, li propose alla popolazione e realizzò
quella cui diede il nome di "Università clandestina",
trenta anni prima che le istituzioni valdostane si muovessero per
aprire davvero una Università in Valle d'Aosta.
Oggi le lezioni di "Per una storia ..." vanno a coprire un altro
vuoto, quello relativo agli studi storici contemporanei, e se
questa pubblicazione servirà, come l'iniziativa
dell'Università clandestina servì a suo tempo a
smuovere gli ambienti culturali e quelli politici, a convincere
gli storici che lo studio delle vicende contemporanee è
indispensabile, tanto meglio. Certo in un saggio come "Per una
storia della Valle d'Aosta dal 1945 al 2000" sono trattati
moltissimi argomenti, ciascuno dei quali, preso singolarmente,
costituisce argomento che necessiterebbe di ulteriori
approfondimenti: basti pensare al tema del nuovo Statuto di
Autonomia.
"Per una storia ..." si arroga il diritto di affermare,
però, che anche quell'argomento, come tutti gli altri
trattati nella pubblicazione, non deve diventare argomento da
chiarire nel gioco delle parti, ma deve innescare una seria
riflessione che prenda avvio dall'approfondimento delle
conoscenze storiche. Certo un saggio come "Per una storia ..."
può apparire intriso di presunzione e di arroganza per una
implicita affermazione che contiene: in Valle d'Aosta nel corso
di questi 50 anni di storia che il saggio racconta, si è
assistito al lento sgretolamento di principi e valori;
l'avventura di questo cinquantennio prese avvio sulla base di un
forte progetto sociale, culturale, politico, umano, scritto e
descritto da Emile Chanoux; questo progetto ha esaurito la sua
vitalità, a fronte dei tradimenti che ha subito, ma anche
a fronte delle trasformazioni che si sono prodotte nella
società non solo valdostana; nessun altro progetto di
analogo spessore è stato - tuttavia - elaborato, portando
la Valle d'Aosta a non produrre nulla, a non fare cultura
né in lingua italiana, né in lingua francese,
né in lingua francoprovenzale e questa è la vera
"questione linguistica" della Valle d'Aosta, una questione che
contrappone le lingue, ma le usa tutte per non dire nulla.
Se così è davvero, un po' di presunzione e di
arroganza non guastano.
Immigrati e pulizia etnica
L'antroponimia e la toponomastica della Valle d'Aosta hanno
caratteristiche analoghe a quelle che si ritrovano al di
là delle Alpi "italiane", nelle terre dell'antica Savoia
di cui la Valle d'Aosta è stata parte fino al 1860, quando
divenne italiana a seguito della spartizione della Savoia tra
Italia e Francia. I miei genitori giunsero dal Veneto in Valle
d'Aosta nel 1928, quando ancora erano bambini; l'Italia liberale,
monarchica e poi fascista inviò complessivamente circa 60
mila migranti a sostituire altrettanti valdostani costretti a
loro volta, con le buone o con le cattive, ad emigrare nei
più lontani angoli d'Europa e del mondo; molti valdostani
scelsero Parigi dove pare esercitassero, in maggioranza, il
mestiere di tassisti e dove erano così numerosi che, per
40 anni, sindaco di un sobborgo è stato un comunista
valdostano.
La popolazione della Valle d'Aosta era di circa 90 mila persone.
Potete immaginare, quindi, di quale sconvolgimento sociale io vi
stia parlando, di quale non sanguinaria, ma ugualmente violenta
"pulizia etnica" si sia trattato.
La collocazione geo-economica
Posta all'incrocio tra Italia, Francia e Svizzera, la Valle
d'Aosta aveva ed ha una grande rilevanza strategica: era ricca di
ferro e carbone; era ed è ricca di acque, indispensabili
per la produzione di energia; ancora oggi buona parte
dell'industria italiana del nord utilizza energia
valdostana!
La Questione Valdostana
Lottando contro il fascismo i valdostani posero quella che
è stata definita la "QUESTIONE VALDOSTANA": il Popolo
valdostano le cui documentate tradizioni di autogoverno risalgono
ad una Carta di Franchigie del 1191, e le cui istituzioni sono
sempre state "particolari", al momento della costruzione della
democrazia italiana rivendica il riconoscimento delle proprie
peculiarità etniche, linguistiche, storiche e
geografiche!
In che modo? Minacciando la secessione e l'annessione alla
Francia, ipotesi tanto praticabile che ai convenuti di Yalta
parve essersi già concretizzata, benché non lo
fosse affatto; tentando di diventare un Cantone svizzero;
rivendicando l'autodeterminazione e l'indipendenza; affermando
che l'Italia non poteva esser altro che uno Stato plurinazionale
e federale.
L'Autonomia come concessione
Tante opzioni diverse e tutte così laceranti per il
centralismo dello Stato che l'Italia, temendo il peggio,
attribuì alla Valle d'Aosta uno Statuto di Autonomia,
facendone una Regione Autonoma, parificandovi il diritto e l'uso
della lingua francese e della lingua italiana: è il 26
febbraio del 1948.
I comportamenti socio-linguistici del dopoguerra: continua
l'italianizzazione
Sono nato nel 1951 e negli anni della mia infanzia la Valle
d'Aosta è un grande cantiere di ricostruzione.
Benché i valdostani autoctoni si fossero resi conto che lo
Statuto di Autonomia era una "endroumia", (addormentava,
cioè, le tensioni e le rivendicazioni più
radicali), la necessità di ricostruire il tessuto
economico dopo una terribile guerra portò a considerare
necessario iniziare a sfruttare le opportunità che
l'Autonomia offriva. Ed effettivamente la Valle d'Aosta
cominciò a rinascere, poco a poco.
Nelle famiglie degli immigrati per paura che i figli possano
incontrare delle difficoltà andando a scuola (dove, fin
dalla prima elementare, si insegnano quel francese che il
fascismo aveva messo al bando .e quell'italiano che è la
lingua dello Stato) non si parlano quasi più le lingue
originarie. Le famiglie autoctone cominciano a vivere la loro
parlata popolare, il patois (di cui dirò più
avanti), con un senso di vergogna e di inadeguatezza rispetto al
"nuovo" che pare caratterizzare e spiegare lo sviluppo della
società valdostana: temono anch'esse che parlando patois
ai loro figli, questi incontrino delle difficoltà a
scuola, dove si insegna quell'italiano che lo Statuto di
Autonomia ha parificato al francese.
Quella che si frequenta in Valle d'Aosta tuttavia, non era una
scuola bilingue; vi si insegnava il francese, ma per 40 dei suoi
50 anni di Autonomia, la Regione Valle d'Aosta ha avuto una
scuola in cui tutte le materie sono state insegnate in italiano.
Solo da dieci anni, da quando, cioè, un'apposita
commissione mista Stato-Regione ha concluso i suoi lavori, nelle
scuole di ogni ordine e grado alcune materie sono insegnate in
francese che, finalmente, non è più considerato
alla stregua di una materia e di una lingua straniera.
E solo dagli anni 70 i valdostani possono vedere i programmi
televisivi francesi e svizzeri. Il ritardo e la lentezza con cui
la Valle d'Aosta vede attuate molte delle promesse della
Autonomia interessano praticamente tutti i campi e settori;
benché lo Statuto di Autonomia abbia carattere
costituzionale (la forma dello Statuto è sancita da una
legge Costituzionale dello Stato), la sua attuazione è
troppo lenta per poter risolvere i guasti di una ITALIANIZZAZIONE
iniziata nel 1860 con la nascita dello Stato italiano, proseguita
con la chiusura delle scuole nei villaggi valdostani, con
l'abolizione dell'uso della lingua francese nei tribunali, nelle
chiese, nelle scuole e con la massiccia immigrazione che ho
descritto!
Il fascismo aveva addirittura italianizzato la toponomastica (poi
ripristinata) e progettato di fare altrettanto con i nomi di
famiglia, ma gli mancò il tempo per attuare tale aberrante
trasformazione.
La rifrancesizzazione
Le lentezze con cui lo Stato ha consentito l'applicazione dello
Statuto, per altro ancora oggi incompiuta, non hanno reso
possibile un vero recupero identitario e linguistico. Con queste
premesse si arriva alla realtà di oggi in cui chi parla di
salvaguardia della lingua francese è accusato di voler
rifrancesizzare forzatamente la Valle d'Aosta; e in cui gli
studenti sono scesi in lotta perché il loro esame di
maturità, a conclusione del corso di studi superiori,
è più "gravoso" di quello cui sono sottoposti gli
altri studenti in Italia: in Valle d'Aosta è aggiunta una
prova di francese; gli studenti non hanno, tuttavia, contestato
il francese in sé, ma hanno espresso il disagio di
sentirsi linguisticamente impreparati, al punto da considerare la
lingua francese non una ricchezza ma un ostacolo.
Paradossalmente la situazione è a tal punto compromessa
che gli studenti hanno ragione. Personalmente ho scelto il
francese ed ho scelto un impegno politico e culturale che ne
affermasse l'importanza e il ruolo, pur in presenza di questa
realtà difficile e contraddittoria. Ne ho fatto la mia
seconda lingua, perché è la lingua di cultura della
terra in cui sono nato, e poiché non posso rinnegare la
lingua italiana nella quale sono stato cresciuto, educato ed
istruito.
E, del resto, la lingua francese è diventata ufficiale in
questa terra valdostana prima ancora che in Francia.
Il francoprovenzale vera lingua della Nazione
Valdostana
Certo la differenza tra lingua francese resa ufficiale e lingua
effettivamente parlata, nel 1500 era minore rispetto ad epoche
successive; è possibile, però, individuare come
vera lingua dei valdostani proprio quella parlata popolare,
dialetto proto-francese o lingua a se, collocabile a mezza strada
tra la lingua d'oil e la lingua d'oc e, per questo, definita
dagli esperti "francoprovenzale". Benché, tuttavia, io
stesso abbia condiviso e formulato, anche politicamente, l'idea
che il francoprovenzale sia la vera lingua della NAZIONE
VALDOSTANA, non ho mai potuto né voluto sottrarmi alla
evidenza del ruolo storico della lingua francese in Valle
d'Aosta.
Per ragioni che evidenziano il ritardo culturale degli
intellettuali e dei politici valdostani, il francoprovenzale
è privo di una standardizzazione ed è in balia
delle contrapposizioni campanilistiche giocate sulla apparente
diversità con cui si articola da un paese all'altro; tanto
da aver consentito la formulazione dell'ipotesi che il francese
rappresenti una sorta particolare di standardizzazione o di
sublimazione culturale del francoprovenzale, a torto considerata
lingua rurale troppo povera per potersi evolvere.
Lo sviluppo economico e la crisi linguistica
C'è, a questo punto, da evidenziare un altro aspetto
contraddittorio della vicenda valdostana: dal '48 ad oggi la
Valle d'Aosta ha conosciuto uno sviluppo economico inversamente
proporzionale alle alterne "fortune" della sua lingua. E, ancor
più stranamente, questa crisi linguistica si accentua
proprio nel momento di maggior fulgore del partito autonomista
storico della Valle d'Aosta, l'Union Valdôtaine, nato per
la salvaguardia della identità etnico-linguistica della
Valle d'Aosta, oggi posizionato saldamente al governo della
Regione Autonoma, forte del fatto che ottiene praticamente quasi
il 50% dei voti.
La spiegazione è brutale: sviluppo economico e successo
elettorale sono in relazione con la "questione valdostana", ma
solo in funzione di un suo contenimento, per evitare -
cioè e ancora come nel 1948 - che i valdostani possano
rendersi conto che il loro destino sarebbe migliore senza lo
Stato italiano o fuori di esso. Al punto che oggi, inversamente,
si potrebbe concludere che i valdostani ritengono sia meglio
scegliere una ricca dipendenza piuttosto che ottenere una dura ed
onerosa libertà.
La lingua non è una ideologia
Per molti anni la difesa della lingua francese è stata una
scelta ideologica: si era comunisti, socialisti, democristiani,
democristiani o francofoni, concependo la francofonia come
sinonimo di autonomismo e valdostanità. Questa
ideologizzazione è stata, per certi versi, l'inevitabile
conseguenza degli ostacoli frapposti al recupero ed allo sviluppo
della lingua francese. Ma pur permanendo la crisi della lingua
francese, la coerenza con cui l'ideologizzazione di essa venne
portata avanti, suggerì allo Stato italiano, ancora e
nuovamente per contenere i radicalismi valdostani, di monetizzare
l'Autonomia: nel '48 venne consentito alla Valle d'Aosta di
aprire un Casino, a Saint-Vincent, trattenendo una parte degli
utili per l'amministrazione regionale; dagli anni 80 i 9/10 di
tutte le tasse pagate in Valle d'Aosta tornano nelle casse della
Regione Autonoma.
Tutti valdostani ... per interesse
In questa situazione di agio o di privilegio che dir si voglia,
è parso improvvisamente che le ragioni della "questione
valdostana" dovessero, almeno strumentalmente, accomunare tutti
gli abitanti della Valle d'Aosta, chi la condivideva davvero e
chi constatava semplicemente quali vantaggi in suo nome potessero
essere ottenuti. Così i partiti politici, già in
crisi per il crollo delle ideologie, si sono rimodellati sulle
esigenze locali: democristiani, socialisti, socialdemocratici,
liberali e repubblicani, tolta nei loro simboli la "I" di
riferimento alla loro appartenenza "italiana", si sono aggregati
in un paio di partiti regionali "autonomisti"; le trasformazioni
del vecchio Partito Comunista Italiano sono giunte a portare
l'attuale Sinistra Democratica a definirsi "Gauche Valdotaine";
perfino il Polo di centro-destra (che comprende una formazione
politica neo o post-fascista), discute su come aggiungere al
proprio simbolo i colori della Valle d'Aosta e la definizione
"Vallée d'Aoste".
Tutti autonomisti, quindi, ma non tutti francofoni. E,
così, una piccola fetta di quei 9/10 è stata
destinata a "comprare" consensi alla francofonia: a tutto il
pubblico impiego (dipendenti regionali, comunali, statali,
carabinieri, soldati, ecc.) è attribuita una
"indennità di bilinguismo", dalle 200 alle 400 mila lire
in più ogni mese nelle buste paga di oltre 15 mila
valdostani sottoposti a previo, banale e poco serio accertamento
della conoscenza della lingua francese!
Perché si è potuta produrre una situazione tanto
assurda? Soprattutto perché anche gli avversari ed i
nemici della "questione valdostana" si sono accorti, come abbiamo
visto, che a fronte della crisi istituzionale dello Stato
italiano, della nascita dell'Europa e degli effetti della
mondializzazione, una Regione come la Valle d'Aosta non ha altri
motivi di esistere se non quelli legati alla sua
specificità etnica e linguistica. E anche se nella
realtà non è più indispensabile conoscere e
utilizzare la lingua francese per operare nella società e
nella economia della Valle d'Aosta, reideologizzarne l'esistenza
ed i diritti, parallelamente a quanto è stata costretta a
fare in passato l'UV, risulta indispensabile ed opportuno a
tutti, anche per mere ragioni di interesse.
La trappola del bilinguismo
Tutti formalmente favorevoli al francese, quindi, soprattutto ora
che il bilinguismo si è rivelato essere la trappola che
è sempre stata, ora che è chiara una cosa:
parità linguistica e bilinguismo hanno - in realtà
- reso ufficiale, legale e ancor più diffusa la lingua
italiana; introdotta come lingua dell'oppressore, la lingua
italiana grazie allo Statuto di Autonomia, è divenuta un
valore democratico e culturale imprescindibile.
Di tanto in tanto l'UV tenta di affermare con una iniziativa, una
legge, un intervento, l'urgenza di una più corretta
politica linguistica a favore del francese. Ma è
indebolita dalla sua stessa forza, dall'ampio consenso elettorale
che ha ottenuto non più come forza trainante per la
soluzione della "questione valdostana", ma come forza politica
che promette e talora assicura, una buona amministrazione. La sua
coerenza a corrente alternata ed i suoi estemporanei rigurgiti
idealistici ne fanno, oggi, più che la punta di diamante
della rivendicazione del diritto all'autogoverno, la testa di
ponte che consente ad una borghesia e ad un imprenditoriato
transnazionali e transetnici di trarre profitti e vantaggi da
rapporti sempre più facilitati tra Regione e Stato, in
virtù dei diritti acquisiti con l'Autonomia.
La storia non è finita
Torno alla mia storia personale per dire che sono fra quanti
hanno maturato la certezza che un Popolo con un territorio, una
storia, tradizioni, lingua, cultura, coscienza e volontà
di esistere sia una "Nazione" e che il suo essere in condizione
di minoranza, di bilinguismo, di maggiore o minore Autonomia
formale, siano un puro e provvisorio accidente della storia. E
che la storia non sia finita. Del resto solo 100 anni fa la
lingua italiana in Valle d'Aosta era praticamente sconosciuta; e
solo non più di 50 anni fa la Valle d'Aosta ha iniziato a
porre il problema della propria autodeterminazione.
Contraddizioni dell'oggi
Oggi l'Italia e la lingua italiana dominano completamente in
Valle d'Aosta; il francese è abitualmente parlato da non
più dell'1% (un per cento!) della popolazione, anche se
quasi tutti gli abitanti della Valle d'Aosta ne hanno una
più o meno approfondita conoscenza passiva; il
francoprovenzale è la lingua di una folklorizzazione
dell'identità che sopravvive nelle poesie, nelle feste
popolari, negli sport agresti, nell'artigianato del legno
(protagonista di fiere millenarie), nella agricoltura e nella
pastorizia (con "battaglie" fra mucche incinte cui assistono
migliaia di valdostani, accaniti scommettitori, per i quali
è stata costruita una arena); il bilinguismo è
inesistente.
Il confronto politico interno alla Valle d'Aosta avviene, ormai,
su questioni di potere e di interesse o, tutt'al più sulle
modalità con cui dar qualche spazio alla lingua francese:
"Una legge sulla lingua francese all'esame di maturità?"
Tutti d'accordo, ma senza esagerare perché la situazione
è quella che è e, soprattutto, non bisogna
spaventare i cittadini elettori con inopportuni
radicalismi!".
L'UV è talmente imbrigliata in questo gioco che talune sue
rare, ma formalmente coerenti e decise affermazioni di principio
o non sono più credibili, perché smentite dal
compromesso politico che accetta nella quotidianità, o
vengono stigmatizzate negativamente, o sembrano necessarie e
utili solo per alzare il prezzo in vista di qualche nuovo accordo
da raggiungere con lo Stato.
Del resto in Valle d'Aosta siamo giocatori nati: abbiamo il
più grande Casino d'Europa, il Casino di Saint-Vincent, e
siccome ci è proibito spendervi i nostri soldi (parte dei
proventi del Casino finiscono, come ho già ricordato,
nelle casse della Regione), nella vicina e francese Chamonix
è stato posto in attività un piccolo e funzionale
Casino aperto da valdostani e ben frequentato da
valdostani.
La teoria delle due etnie in Valle d'Aosta Ma
perché mai è stato introdotto il bilinguismo? La
risposta più comune è questa: "In Valle d'Aosta
c'erano due etnie, quella valdostana e quella italiana;
attraverso il contemporaneo riconoscimento e la parificazione
delle loro due lingue sarebbe stato possibile tutelare i diritti
della "minoranza etnica" valdostana, evitare una contrapposizione
culturale e sociale, creare una nuova società valdostana
che, in continuità con la storia propria della Valle
d'Aosta, costituisse un unico Popolo, vecchio e nuovo al tempo
stesso". Due etnie? Già ho descritto il problema
linguistico valdostano e l'esistenza, a fianco del francese, del
francoprovenzale, una lingua che ancora oggi è parlata
abitualmente o spesso almeno dal 60% della popolazione; questa la
situazione ai piedi del Monte Bianco, del Gran Paradiso, del
Cervino (il Matterhorn), le nostre montagne; la radice
linguistica "har", presumibilmente pre-indoeuropea, che significa
montagna, alpe, roccia, spiega il legame della lingua con il
territorio: il francoprovenzale, infatti, è definito anche
harpitano.
Ai piedi del Monte Rosa, però, altrimenti noto come
Lyskamm, ci sono i walser, mille valdostani che parlano un antico
tedesco comune ad un unico Popolo stanziato lungo l'asse che
comprende, oltre alla Valle d'Aosta, alto Piemonte, Svizzera,
Liechtenstein ed Austria. E dove il fondo valle sbocca sul
Piemonte, i valdostani parlano maggioritariamente il piemontese,
lingua o dialetto che sia. Gli "italiani" sono la risultante
delle migrazioni di cui parlavo facendo accenni alla mia stessa
famiglia. In realtà erano sardi, friulani, veneti e,
più tardi (anni '60), all'epoca di una seconda ondata
immigratoria, saranno meridionali (quindi albanesi, grecanici,
calabresi), la cui "italianità" è legata solo al
processo di disidentificazione a cui l'Italia e il fascismo hanno
sottoposto pure loro. Possedevano e possiedono, tuttavia, un
forte senso delle proprie radici che spiega come sia possibile
che - ancora oggi - tre delle più forti organizzazioni
socio-culturali della Valle d'Aosta siano le Associazioni dei
sardi, dei friulani e dei meridionali. Il basso livello di
istruzione delle prima generazione dei lavoratori chiamati a
italianizzare la Valle d'Aosta, unito ai pari limiti culturali
della popolazione valdostana, ha reso inizialmente difficile la
reciproca comprensione, pur non avendo mai - di fatto - dato
adito ad episodi di intolleranza.
Immigrati e valdostani: la sfida dell'integrazione
Immigrati e valdostani hanno condiviso successivamente lo sforzo
di un riscatto sociale, sono stati un proletariato etnicamente
composito che ha scoperto nelle ragioni di un padronato occulto e
misterioso (il fascismo, lo Stato centrale), qualcosa che
accentuava il disagio di tutti, condizionava negativamente la
soddisfazione dei bisogni di ciascuno, cancellava tutte le
identità. I matrimoni misti tra autoctoni ed immigrati e
lo sviluppo economico che, come abbiamo visto, la Valle d'Aosta
ha pur conosciuto, hanno comunque favorito non solo la
disidentificazione, ma talora, all'opposto, una qualche
"valdostanizzazione"; per la maggior parte degli immigrati,
tuttavia, imparare e parlare la lingua francese è rimasto
un ostacolo difficile se non insormontabile.
La sfida doveva esser giocata, quindi, sulle generazioni
successive e sulla scuola che, invece, è risultata
fallimentare, non ha salvato il francese e non ha creato una
realtà bilingue. Si è così arrivati al punto
in cui la lingua italiana, che era una lingua straniera e
sconosciuta ai primi immigrati ed ai valdostani o, quanto meno,
non era la lingua materna di nessuno (né dei valdostani
né degli immigrati), è, oggi, la lingua di uso
comune per tutti.
Ciò dimostra, anzitutto, che il bilinguismo non può
esistere se non a livello personale o in un contesto familiare
nel quale i due genitori parlino due lingue diverse.
Ogni Nazione ha la propria lingua
E dimostra, altresì, che tutti i Popoli, tutte le Nazioni
devono possedere e trasmettere la conoscenza di più
lingue, al più alto livello di padronanza possibile delle
stesse, per essere al passo con i tempi, ma che una e una sola
è la loro lingua. Non propongo il ritorno al monolinguismo
di nazionalistica memoria, ma tento di ristabilire una
priorità culturale che ha una valenza sociale e politica
di fondamentale importanza, sgomberando il campo da equivoci,
orpelli, miti e presunzioni; in Valle d'Aosta come altrove,
proponendo bilinguismi e parità giuridiche, è stata
favorita la lingua più forte, la lingua dello Stato.
Gli elementi dell'identità nazionale
Rileggere la storia, diventa, così, occasione
irrinunciabile per scoprire gli ELEMENTI FONDAMENTALI della
identità di ogni Popolo, identità che non risiede
solo nella lingua: quali sono gli elementi della IDENTITA'
NAZIONALE DELLA VALLE D'AOSTA? Chiamo questa operazione culturale
che ha valenza generale e non riguarda, quindi, solo la Valle
d'Aosta, "NORMALIZZAZIONE CULTURALE", per farla corrispondere con
l'esigenza di non parlare più di minoranze, di etnie, di
comunità, ma semplicemente di Popoli.
L'identità di questi Popoli va deideologizzata e va
riconosciuto loro il diritto di scegliere tra indipendenza,
federalismo ed autonomismo, rifiutando qualsiasi tipo di maggiore
o minore dipendenza. Ecco come si pone, quindi, il problema
dell'accesso alla autodeterminazione.
La Storia
Il primo di questi elementi costitutivi della identità
valdostana è la STORIA. Cinque o sei mila anni prima di
Cristo la Valle d'Aosta viene popolata da migranti Caucasici
detentori di una grandissima civiltà. Non è chiaro
quando e quanto questi si siano mescolati con la propaggine
ultima degli Iberi, Baschi che alcuni storici non disdegnano di
indicare tra i più antichi abitatori della valle, e con i
Celti. E non è chiaro che cosa potessero farci gli
Etruschi in Valle d'Aosta, ma qualche studio ne segnala la
presenza.
Dopo l'epoca celtica che lascia più influenze culturali e
mitologiche che testimonianze materiali, è la dominazione
romana a segnare profondamente la valle. Una precisazione: la
cultura politica considera i Salassi, Popolo celto-ligure
stanziato in valle, i progenitori dei valdostani; i Salassi, dopo
aspra resistenza, vennero sconfitti e deportati in massa dai
romani. Poiché il fascismo fece ampi riferimenti alla
grandezza dell'impero, e poiché Roma è la capitale
d'Italia, un mito della politica contemporanea fa risalire
all'epoca celtica il conflitto che i valdostani avrebbero sempre
avuto con il centralismo romano!
Decaduto l'impero, la valle entra a far parte dell'area franca e
poi burgunda, da cui scaturisce la radice moderna della sua
identità linguistica. Per secoli, poi, la valle è
un Pays/Etat intramontano (racchiuso, cioè, tra le
montagne) all'interno della Savoia, con proprie istituzioni,
proprie leggi e perfino un proprio ruolo nella politica
internazionale (i suoi ambasciatori evitano che la Valle sia
percorsa da francesi e spagnoli in guerra).
Quando i Savoia fanno l'Italia (e rileggere come ci siano
riusciti, ridimensiona di molto l'epopea di un Risorgimento
italiano che ha costruito uno Stato monarchico, (il) liberale e,
poi fascista, sulla base di un discutibile diritto che il Popolo
italiano esercitò su altri Popoli, annettendoli), alla
valle succede ciò che ho narrato: quei 60 mila emigrati e
quei 60 immigrati che determinano - per la prima volta dopo
secoli - una frattura dell'identità valdostana
consolidatasi nei secoli.
Resistendo alla italianizzazione ed al fascismo, i valdostani
pongono, come abbiamo visto, la "questione valdostana",
storicamente irrisolta. E siamo giunti, nella ricostruzione
storica, alla Autonomia ed ai giorni nostri.
La dimensione alpina
Neppure la peste del XVI secolo aveva, comunque, fatto tanti
danni alla identità valdostana quanti ne ha fatti
l'Italia; pur decimata dalla terribile malattia, infatti, la
Valle, ripopolata da Popoli viciniori, conservò una delle
caratteristiche principali della sua identità, LA
DIMENSIONE ALPINA. Lo sviluppo e la crescita economica della
Valle d'Aosta in epoca autonomista hanno portato, invece, alla
perdita di buona parte di questa dimensione.
In parte l'industrializzazione di inizio secolo (strumento
economico principe della italianizzazione) aveva già
stravolto il territorio ed i modi di utilizzo delle sue risorse,
sostituendo l'uso secolare di esse con lo sfruttamento intensivo;
poi l'Autonomia, accettando la monetizzazione di cui ho parlato,
ha portato la Valle d'Aosta a rinunciare all'esercizio del
controllo e all'autogoverno del proprio territorio, subendo,
quasi senza reagire, ulteriori stravolgimenti, forse
considerandoli inevitabilmente connessi ad una modernizzazione di
cui è rimasta inconsapevole vittima anziché
protagonista attiva e coerente.
Per fare un solo esempio riferito a tempi recenti, ricordiamo
come la Valle d'Aosta ha lasciato che sul proprio territorio,
anche all'interno di parchi protetti, venissero installati i
giganteschi piloni delle linee per il trasporto dell'energia
prodotta dalla centrale nucleare francese Superphoenix di Creys
Malville, oggi dismessa perché insicura.
Ma ha lasciato anche che i trasporti su gomma crescessero a
dismisura, rendendo necessaria la spaccatura del centro valle per
il completamento di una autostrada che raccordi il Traforo del
Monte Bianco ai principali itinerari stradali europei, aumentando
- così - l'inquinamento dovuto al traffico degli
automezzi. Prima che entrassero in vigore le normative fiscali
europee, la Regione addirittura incoraggiava e favoriva l'entrata
dei TIR in valle, poiché tratteneva i 9/10 delle imposte
doganali che questi versavano.
Ha lasciato deturpare intere vallate dove sono state costruite
dighe e centrali idroelettriche senza, oltretutto, trarre alcun
vantaggio dal fatto di essere esportatrice di energia e di esser
stata espropriata dallo Stato della proprietà delle acque
che i valdostani avevano acquistato in epoche remote, pagandole a
peso d'oro. Non ha saputo affrontare i problemi dell'inquinamento
elettromagnetico.
Ha lasciato che alcune delle sue zone più belle fossero
devastate per favorire lo sviluppo del turismo, insediando centri
di dimensioni spropositate rispetto alle caratteristiche del
proprio territorio; inevitabilmente quel turismo non è mai
decollato davvero! Non ha saputo riassestare l'economia e
risolvere i problemi sociali che si sono determinati quando
è iniziato il processo di deindustrializzazione.
Non si avvede della gravità degli effetti del traffico
aereo che crea turbative atmosferiche nei suoi cieli e determina
l'aumento del già alto numero di tumori riscontrabile in
Valle d'Aosta. Ha lasciato decadere, inattuata, la delicata
pagina dello Statuto di Autonomia che prevedeva l'istituzione di
una Zona Franca; questa avrebbe consentito alla Valle d'Aosta uno
sviluppo autocentrato e meno legato all'Italia (pesanti, ad
esempio, i condizionamenti bancari che comportano il
reinvestimento fuori valle dei risparmi e dei depositi cospicui
dei valdostani) e delle multinazionali (una decisione presa negli
USA porta, dall'oggi al domani, alla chiusura di una azienda in
valle, senza che l'Autonomia consenta una trattativa, un
intervento, una mediazione). Più "libera" la Valle d'Aosta
avrebbe potuto fare investimenti rispettosi della sua dimensione
alpina e del suo territorio.
La civilisation (e il processo di
disidentificazione)
Un altro elemento dell'identità è la cosiddetta
CIVILISATION che consiste negli usi, nei costumi, nelle
abitudini, nelle tradizioni, nei modi e nei tempi dello svolgersi
delle attività economiche (per lo più agricole). Ne
ho descritto sopra, negativamente, la folklorizzazione che non
è però il solo punto critico; per quanto le
principali occasioni di mobilitazione e di aggregazione sociale
legate alla civilisation restino numerose ed importanti, non
posso non evidenziare che la più "alta" forma di analisi,
riflessione intellettuale o trasposizione letteraria dei
contenuti della civilisation, è un teatro popolare in
francoprovenzale che, quantunque raccolga successi, non è
neppure un teatro etnico ma dilettantesca proposizione di farse
di fine secolo (scorso). Poche le innovazioni: un paio di
cantautori uno dei quali canta la "noela tradixon", la nuova
tradizione. La civilisation, inoltre, non solo è intaccata
dal tarlo della sua dimensione di mera sopravvivenza del passato,
ma anche dall'effetto deleterio di importanti fenomeni sociali
contemporanei: nei nostri alpeggi a badare alla mucche e a
produrre i nostri formaggi tipici ci sono dei marocchini.
Torno alle mie iniziali considerazioni familiari: mio figlio
maggiore oggi ha 22 anni; ne aveva 14 quando mi disse che per lui
era faticoso esser valdostano e che era ingiusto che la sua
famiglia avesse perduto per strada le sue identità
originarie, senza aver la possibilità di viverne davvero
almeno una nuova; trovava vergognoso che lo Stato italiano gli
assicurasse, con la Costituzione, una educazione bilingue che poi
non gli ha dato, ostacolando l'integrazione dei valdostani di
adozione nella realtà valdostana, dopo aver quasi
cancellato l'identità e la realtà stessa dei
valdostani di origine.
Il problema valdostano si propone, quindi, come parziale
fallimento dei processi di integrazione e/o assimilazione degli
immigrati e come progressiva disidentificazione anche di questi
stessi rispetto alla loro cultura d'origine; in questo marasma, a
credere nell'identità valdostana si ritrovano, tuttavia e
spesso, molti valdostani di adozione e a non crederci molti
valdostani d'origine!
Ecco perché sono valdostano benché le mie origini
siano altre: perché non sono e non potrei essere in alcun
modo un oppressore, né un complice di oppressori.E
perché non posso vivere soltanto con la mia
individualità.
La lingua
Il diritto linguistico e il diritto all'identità non
possono essere considerati diritti individuali. La LINGUA che,
come abbiamo visto, è una delle caratteristiche
fondamentali di ogni identità, è tale solo in una
collettività che se ne serve, è un diritto di
questa collettività. Se la lingua francese scompare
perché l'italianizzazione, i matrimoni misti, il falso
bilinguismo, ecc. ecc. ne hanno determinato la crisi, il problema
identitario che si pone è addirittura doppio: là
dove sopravvivono ancora, l'identità e la lingua si
tramandano naturalmente di padre in figlio nella loro forma
arcaica; là dove una qualsivoglia perturbazione si
è determinata, alcuni "italiani" di madre lingua sarda,
friulana, ecc. che non hanno potuto apprendere il francese hanno
- comunque - scelto di restare in Valle d'Aosta ed hanno dei
figli che non possiedono né la cultura sarda, friulana,
ecc., né quella valdostana, ma neppure quella italiana, di
cui utilizzano, come abbiamo visto, solo la lingua.
La crisi della Valle d'Aosta è profonda, è una
crisi culturale poiché tutti i cittadini della Valle
d'Aosta hanno subìto una forzata disidentificazione da
parte di uno Stato che ha cercato di italianizzarli determinando,
però, una situazione di genocidio culturale: in Valle
d'Aosta la cultura non produce praticamente nulla, né in
italiano, né in francese.
La condizione di minoranza
Si insinua, a questo punto, una componente provvisoria della
identità valdostana che è la CONDIZIONE DI
MINORANZA. Mi pare necessario, a questo punto, proporre una breve
analisi di carattere generale di ciò che sono le
"minoranze". La "democrazia" ha formulato concetti come quello di
minoranza, finendo spesso per farvi rientrare le etnie, gli
omosessuali, le donne, i portatori di handicap, gli
extracomunitari, i "pazzi", le religioni. La formula "una
democrazia si misura dal modo con cui tratta le minoranze"
apparentemente esalta la positività della democrazia
stessa.
In realtà questo concetto consente a chi lo ha formulato
di non tutelare proprio nessuno e, soprattutto, di concepire le
minoranze come una difformità rispetto ad una presunta
normalità di cui è detentrice la maggioranza.
Ciò spiega come e perché le "maggioranze" si
arroghino il diritto di decidere tempi e modi con cui,
eventualmente, le minoranze vadano tutelate, poiché a
questo esse maggioranze si applicano non per rispettare i diritti
altrui, ma per loro scelta e diritto, esercizio illuminato del
potere, gesto di benevolenza e di magnanimità di un
superiore che elargisce ai propri sudditi porzioni di un diritto
di cui pretende di detenere l'esclusività.
Smentito, quindi, il canone di giudizio che presiede alla stessa
formulazione del principio di minoranza, è opportuno
chiarire cos'altro siano quelle che vengon definite
"minoranze".
I diritti collettivi
La diversità tra diritto collettivo e diritto individuale
è molto utile a spiegare questo passaggio interpretativo;
in estrema sintesi mi pare chiaro che non esisterà mai uno
Stato di soli omosessuali, di soli pazzi, di soli atei o di sole
donne o di soli portatori di handicap, mentre è possibile
esista uno Stato di baschi, di catalani o di valdostani. I
diritti relativi all'uomo, alla sua condizione individuale ed
alle sue scelte sessuali, religiose, ecc.; rientrano, quindi,
nella sfera del diritto individuale, quand'anche riguardino
più uomini che condividono tale condizione.
I diritti di cui un uomo non può fruire da solo, come la
lingua, appartengono alla sfera dei diritti collettivi. Succede,
così, che all'interno di un Popolo che si costituisce
dando forma ai diritti collettivi, si ritrovino handicappati,
atei, omosessuali, religiosi, ecc. e che questi debbano essere
tutelati nel rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo,
dell'individuo. Succede, così, che le problematiche dei
diritti individuali dell'uomo travalichino addirittura le stesse
istituzioni create rispettando i diritti collettivi,
poiché riguardano i modi di essere e di pensar dell'uomo
in quanto individuo.
Maggioranza e minoranza
Ma pare evidente che il termine "minoranza" non possa dar
soluzione ai problemi che ipoteticamente vorrebbe rappresentare
in riferimento ad identità e diritti collettivi. Sul piano
della sostanza, quindi, il concetto di minoranza non ha altra
valenza che quella numerica; ed è su questo piano che i
valdostani sono posti, oggi, in situazione di esser "minoranza"
all'interno della loro stessa valle, del loro stesso
territorio.
Dal punto di vista numerico, però, non esiste in Valle
d'Aosta una "maggioranza", poiché, come abbiamo visto, non
esistono due sole etnie contrapposte, ma quella definita
"italiana" è assai composita: comprende, lo ricordo,
sardi, friulani, veneti, calabresi con un forte senso di
identità e che non hanno ancora potuto integrarsi appieno
nella identità valdostana; comprende "italiani" per scelta
ideologica e politica, centralisti e fascisti; comprende i figli
degli immigrati che non hanno appieno l'identità dei
genitori e neppure quella valdostana; comprende le famiglie
miste, ecc.
E se la Valle d'Aosta diventasse friulana ...?
La logica ci porta dritti a questa conclusione: sarebbe oltremodo
assurdo se, con un colpo di mano, i sardi, o i friulani, o i
meridionali che abitano in Valle d'Aosta si proponessero di fare
della Valle stessa una Regione (o un altra entità
statuale) sarda, friulana o meridionale; analogamente è
assurdo e ingiusto che in Valle d'Aosta si sia imposta una
realtà italiana.
Se formule come il bilinguismo sono fallite, facendo fallire
l'idea che una sola dovesse essere la comunità dei
valdostani; e se è, comunque, la situazione etnica e
linguistica a spiegare l'esistenza almeno di una Regione Autonoma
a Statuto Speciale, mentre tutti i cittadini della Valle d'Aosta
hanno diritto a veder rispettati i diritti umani ed i diritti
individuali, l'applicazione dei diritti collettivi va
indirizzata, rivolta, garantita soprattutto ai "valdostani",
intendendo per tali coloro che di questa situazione etnica e
linguistica vogliono attivamente esser testimoni e
protagonisti.
Se due fossero le etnie presenti, una valdostana e l'altra
italiana, di fronte alla impossibilità che esse creino una
sola comunità, la soluzione migliore, percorsa e proposta
in questi tempi da alcune frange dell'UV sarebbe davvero la
separazione delle scuole e l'introduzione di una democrazia della
proporzionale etnica in tutti i campi.
Siamo, invece, di fronte ad una situazione più complessa
che necessita, anche sul piano del diritto, di una certa
capacità di innovazione. Riconoscere ai valdostani i
diritti collettivi che spettano ai Popoli, non significa, quindi,
togliere qualcosa ai diritti individuali degli altri abitanti
della Valle d'Aosta, i quali - tra l'altro - mostrano di gradire
i vantaggi che vengono dalla Autonomia; né può
significare attribuire, a tavolino, ad una minoranza i numeri che
solo una maggioranza può avere.
Fin tanto che la Valle d'Aosta resterà italiana
...
Significa, però, operare su due piani: uno è quello
della nuova Autonomia e del nuovo Statuto di Autonomia che regoli
i rapporti della Valle d'Aosta con lo Stato italiano fin tanto
che la Valle d'Aosta resterà in Italia; l'altro è
quello relativo a ciò che può accadere quando e se
i valdostani decideranno di esercitare il diritto alla
autodeterminazione o potranno effettivamente farlo.
Sul piano del diritto individuale in entrambi i casi a nessuno
cittadino della Valle d'Aosta sarà mai impedito di parlare
italiano con i propri familiari ed amici, né di fare
affari in arabo e giapponese, né di consultare Internet in
inglese, né di imparare lo spagnolo per andare in vacanza
e il tedesco per investire in banca, né di promuovere
manifestazioni in friulano, sardo, veneto; e a me non
potrà essere impedito di parlare al telefono in catalano
con la segreteria del CIEMEN.
Stante, però, il fatto che la legge di tutela delle
"minoranze linguistiche", promessa 50 anni or sono e sempre
disattesa dallo Stato, afferma che "la lingua della Stato
è l'italiano", ne consegue che a quelle che verranno
tutelate almeno in quanto minoranze e in quanto non italiane, non
possa venir negato il diritto ad affermare quale è la loro
lingua.
Il nuovo Statuto di Autonomia
Il nuovo Statuto di Autonomia della Valle d'Aosta, quindi,
dovrà affermare che "la lingua della Valle d'Aosta
è il francoprovenzale", garantendo che lingua dello Stato
(l'italiano), la lingua della storia e della cultura (il
francese) e diritti individuali di tutti i cittadini residenti in
Valle d'Aosta, non vengano calpestati nella applicazione di
quanto da tale affermazione discende. Non diversamente lo Stato
irlandese riconosce che la propria lingua è il gaelico,
benché l'inglese sia la lingua più diffusa ed
utilizzata in Irlanda.
In Valle d'Aosta è, quindi, necessario passare dalla
concezione "nazionale" su base etnica, ad una concezione
inclusiva che prescinda - al limite - anche dal fatto linguistico
pur rimanendo, questo, una importate componente. Ho una
preoccupazione che ritengo importante esplicitare: mi preoccupa
l'avanzata, nel quadro di una complessiva globalizzazione, della
new age, il cui sincretismo identitario e religioso spoglia le
identità e le religioni delle loro caratteristiche
più autentiche e peculiari per trarre da esse solo
ciò che è compatibile con la cultura
dominante.
La new age salva le culture dominanti dalla crisi in cui stanno
precipitando, non avendo quasi più altra dimensione per
affermarsi che quella degli Stati che le difendono, imponendole
agli altri.
Il centralismo interno
Ecco perché nella fase attuale e contingente nego alla
Valle d'Aosta ed alla UV il diritto di comportarsi come uno Stato
nell'intento di salvare il francese, imponendolo. Mi preoccupa,
infatti, la possibilità che all'interno della Nazione, non
solo della Valle d'Aosta quindi, oltre a handicappati, buddisti,
omosessuali e altro ci possano essere dei fascisti.
I Popoli non sono fascisti in sé; l'identità non
è fascista. Ma c'è il rischio che il fascismo si
affermi, rischio che non è specifico per le Nazioni, ma
per tutte le società e, soprattutto, per tutte le
istituzioni. Criminalizzare le identità e le "minoranze
etniche" come viene abitualmente fatto portando ad esempio le
violenze tribali o i massacri della ex Jugoslavia, è un
falso culturale, una strumentalizzazione della realtà, un
tentativo di cercare scuse credibili per non applicare diritti
fondamentali.
Quella valdostana è, tuttavia, una situazione
complessa.
La vocazione federalista
Non la semplifica certo il tentare di proporre uno scenario nel
quale la Valle d'Aosta non sia soltanto una Regione a Statuto
Speciale, ma si proponga di esercitare il diritto alla
autodeterminazione. Dei molti scenari possibili ce ne è
uno che costituisce un'altra delle caratteristiche, forse la
più moderna, dell'identità valdostana: LA VOCAZIONE
FEDERALISTA. Non affronto il piano filosofico limitandomi ad
osservare nella storia della rivendicazione nazionalitaria che
attraversa tutto il dopoguerra in Italia, che Valle d'Aosta,
Occitania, Sud Tirolo, Slovenia, Friuli, Ladinia e Sardegna sono
indiscutibilmente delle Nazioni che hanno il diritto di negoziare
con il resto dell'attuale Stato italiano, almeno la costruzione
di uno Stato federale che si riconosca multinazionale, che
valorizzi le piccole e disperse "minoranze linguistiche", che si
decentri assicurando anche alle Regioni una Autonomia. Questa non
è una pura segnalazione formale, ma il segno di un
dibattito che si propone in modo analogo in tutta Europa: gli
Stati o saltano, o si moltiplicano perché le Nazioni senza
Stato accedono alla Autodeterminazione, o si modificano
profondamente, riconoscendo la loro composizione
plurinazionale.
La dimensione umana
C'è, però, un'ulteriore e particolarissima
componente della identità valdostana di cui bisogna tenere
conto: LA DIMENSIONE UMANA. Gli abitanti della Valle d'Aosta sono
120 mila, 45 mila dei quali residenti ad Aosta; in Valle d'Aosta
ci conosciamo quasi tutti personalmente; i vincoli di amicizia
nati sui banchi di scuola e nei posti di lavoro si aggiungono a
quelli di parentela diretta o indiretta; mentre clan, lobbyes,
gruppi di interessi nascono e si consolidano per ragioni diverse,
intrecciando altri tipi di rapporti. Positivi o negativi che
siano, i rapporti interpersonali in una piccola dimensione come
quella valdostana relativizzano le diversità e perfino le
contrapposizioni.
Non mancano i problemi sociali, le sacche di disagio, i gravi
problemi della droga, dell'alcolismo, quelli gravissimi di un
elevato tasso di suicidi, ma sostanzialmente c'è un
contatto diretto fra gli uomini che fa considerare le
contrapposizioni sociali e politiche in un modo certamente
diverso da quello di ogni altra realtà.
La cultura della convivenza
C'è, inoltre e di riflesso a quanto testé
evidenziato, nell'identità valdostana una CULTURA DELLA
CONVIVENZA, una apertura verso tutti, una tolleranza che accentua
il rifiuto dei radicalismi e delle posizioni ideologiche
più dirompenti: è anche questo che ha reso
più facile l'infiltrazione e l'affermazione della lingua
italiana nelle più remote vallate; non è
inconsueto, infatti che - ad esempio - in un gruppo di dieci
persone nove delle quali parlano francoprovenzale, tutti
finiscano col parlare in lingua italiana per non "escludere"
l'unico "straniero". E c'è un contesto, quello del
Sindacato autonomista SAVT, dove perfino nelle riunioni del
Direttivo, ciascuno parla la lingua che desidera - italiano,
francese, patois - e tutti si comprendono senza problemi.
Quella radicale e massimalista è sempre, quindi, una
scelta politica difficile; anche se adottata per affermare un
principio validissimo o un ideale, se non è largamente
condivisa, diventa facilmente una scelta "contro" un amico, un
parente, un vicino di casa, una fidanzata. Sto evidentemente
sottilizzando e mettendo in rilievo particolari forse non di
rilevanza primaria, ma il mio intento è presentare
l'esatta fotografia della situazione.
Piccola Nazione/Piccolo Stato?
La questione identitaria mette duramente a confronto il diritto
collettivo e quello individuale: se consideriamo che la coscienza
collettiva è in crisi e che quella individuale è
permeata di egoismi, di interessi particolari, di uno scarso
senso di identità, non riuscirà difficile percepire
quanto sia difficile individuare quale possa essere il futuro
della Valle d'Aosta e quali possano essere le strade migliori per
costruirlo.
Non è una questione di modelli di riferimento che mancano,
ma l'esatto contrario: in Valle d'Aosta da 50 anni si continua a
discutere di questi modelli: si vorrebbe il federalismo come in
Svizzera; si sarebbero volute le garanzie internazionali come in
Sud Tirolo; si è attesa la capacità di
radicalizzare il confronto come in Euskadi e in Irlanda; si
è sognato di recuperare la lingua diventando francesi; si
cerca una ricchezza culturale ed economica analoga alla
Catalogna; si è tentato di fare della Valle un Principato
per i Savoia, appena questi avessero perso, come la perdettero
con un referendum, l'Italia, ecc.
L'ultima moda è il riferimento a Monaco, al Liechtenstein
e ad Andorra, ai "piccoli Stati" - cioè - apparentemente
paradisi dorati corrispondenti, tutto sommato, alla concezione
che la Valle d'Aosta sia un'isola felice. Per la verità in
siffatta confusione è davvero difficile far passare l'idea
che ogni Popolo debba trovare la propria strada e che l'unico
modello valido sia quello della reale applicazione del diritto di
tutti i Popoli alla autodeterminazione: liberi, per il momento,
almeno di sognare, i valdostani dovrebbero preoccuparsi
soprattutto di continuare ad essere valdostani: lo sono rimasti,
come insegna la storia, protagonisti, a fianco o sotto diversi
dominatori; lo sono rimasti sotto l'impero romano e sotto il
fascismo; lo sono rimasti prima come burgundi poi come savoiardi.
E' mai possibile che non sappiano più esserlo vivendo in
un sistema democratico ed autonomista?
Per una storia della Valle d'Aosta dal 1945 al 2000, Scarica il documento completo in formato RTF zip 135 KB
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