di Claudio Magnabosco
Febbraio 2002
E' uscito in questi giorni il romanzo
di Claudio Magnabosco "Akara-Ogun e la ragazza di Benin City":
nell'intreccio di una delicata e difficile storia d'amore tra un
maturo italiano ed una giovanissima nigeriana che vive
clandestinamente in Italia, si inseriscono elementi che portano a
considerare sotto luce nuova tutto il problema del sottosviluppo
di un'Africa impoverita e sfruttata da vecchi e nuovi
colonialismi.
Pur di sfuggire la fame, la povertà, le guerre e le
malattie, centinaia di migliaia di africani cercano un futuro
migrando nell'opulento occidente; alle giovani nigeriane viene
promesso un lavoro, ma quando giungono in Europa scoprono che il
loro destino è soltanto la strada.
La storia personale dei due protagonisti diventa, così,
una sorta di moderna parabola nella quale i toni autobiografici
del narrare diventano elemento secondario, lasciando in primo
piano un messaggio di speranza: culture diverse possono
ritrovarsi e comprendersi; persone diverse possono conoscersi ed
amarsi al di là di tutte le apparenti difficoltà,
ma - al fondo di tutto - c'è la necessità di
liberare le ragazze schiavizzate da un racket barbaro ed
impietoso, per sottrarsi al quale esse rischiano perfino la
vita.
Claudio Magnabosco si rivela autore essenziale ed intimistico, ma
nel romanzo non resta mai davvero sottintesa la sua esperienza di
operatore culturale, giornalista e scrittore impegnato nella
affermazione dei diritti dei popoli. Il romanzo, il breve romanzo
"Akara-Ogun e la ragazza di Benin City" potrebbe, quindi,
sembrare la trasposizione letteraria degli studi sociologici e
delle elaborazioni filosofiche che l'autore ha pubblicato con il
CIEMEN (Centro Internazionale Escarrè per le Minoranze
Etniche e per le Nazionalità) e con l'APM (Associazione
per i Popoli Minacciati); o potrebbe sembrare anche un nuovo
capitolo della saga che prese avvio con l'altro suo romanzo,
"Sono nessuno o sono una Nazione", pubblicato nella versione
e-book da Evolutionbook.
L'annuncio dell'uscita del libro è stato fatto nel corso
di alcuni programmi radiofonici a diffusione nazionale e nel
corso di una puntata del programma televisivo "Maurizio Costanzo
Show", a seguito dei quali al sito del programma televisivo,
all'editore ed all'indirizzo e-mail dell'autore (claudio.magnabosco@tiscali.it)
sono pervenute, in pochi giorni, più di mille richieste di
contatto, convincendo autore ed editore a promuovere
ulteriormente il dibattito sugli argomenti di fondo del romanzo,
anche prima della sua presentazione ufficiale che avverrà
al Salone del Libro di Torino (maggio 2002).
In questi tempi l'autore è, così, protagonista di
una serie di dibattiti online, attivati da siti internet
specializzati in problematiche sociali ed impegnati in azioni di
solidarietà a fronte del problema dello sfruttamento delle
giovani africane immigrate in Italia; le tante "ragazze di Benin
City" vi vengono assimilate al caso di Safiya, la giovane
nigeriana che ha rischiato di essere lapidata perché
accusata di adulterio ed a favore della quale si è mossa
l'opinione pubblica internazionale. La diffusione del libro "La
ragazza di Benin City" ha accompagnato alcune iniziative in tal
senso.
Le altre Safiya: ogni giorno le africane sono "lapidate" in
Italia
In Italia vivono, clandestine e prostitute, migliaia di ragazze
nigeriane, sfruttate da un racket che le ha portate in Europa con
false promesse e le ha ridotte in stato di vera e propria
schiavitù.
L'incoscienza di clienti che nemmeno si rendono conto di questo
e, quindi, contribuiscono a sfruttarle; il perbenismo di quanti
ritengono che il problema può esser risolto solo
rispedendole in Africa; il moralismo di quanti non sopportano
neppure l'idea di dover parlare dei problemi della prostituzione;
l'indifferenza di quanti vivono solo del loro egoismo; il
razzismo sempre e comunque presente e perfino l'imperfetto
impegno civile di chi esprime solidarietà per Safiya che
rischia di essere lapidata in Nigeria, ma non sa far nulla per le
tante Safiya che vivono in Italia .... queste sono le pietre con
le quali, ogni giorno, le africane sono lapidate in Italia.
Amo una giovane africana, ma - in realtà - amo tutte le
africane che vivono in Italia; credo che tutti dovrebbero amarne
una, come padri, fratelli, amici, compagni, mariti o, più
semplicemente, come esseri umani: queste ragazze hanno lasciato
l'Africa dove si muore di fame e di malattie; dove le loro
famiglie sopravvivono negli stenti. Non lapidiamo questa ragazze
e liberiamole dalla loro schiavitù.
Pagine scelte del romanzo
Alle spalle ho un matrimonio ed una convivenza finiti male; ho
creduto in un solo amore "per sempre", ma ...Ed ora un amore
nuovo, io cinquantenne, lei poco più che ventenne,
nigeriana e prostituta. Ci siamo conosciuti in una situazione
molto particolare e questa ragazza, quasi analfabeta,
clandestina, fiera ma schiava di una situazione per uscire dalla
quale deve trovare il denaro per il proprio riscatto e qualcuno
che le dia un rifugio sicuro, è entrata nel mio cuore,
come se tutto il resto - compresi i miei due figli - l'avessi
vissuto sì, mi appartenesse sì, ma riguardasse
un'altra vita. Nel darmi la sua mano per camminare insieme, la
stringe forte con una sorta di vergogna quando i passanti ci
guardano e commentano la mia non più verde età ed
il colore della sua pelle, o quando bevendo qualcosa in un locale
pubblico, una lacrima appare nei suoi occhi che guardano in che
modo vivono gli altri giovani come lei, bianchi però,
liberi però, felici però. Così mi sento suo
padre, suo fratello, il suo fidanzato, il suo amico, un suo
compagno di scuola e molte altre cose, tutte le altre cose che
lei non ha avuto e non ha conosciuto, perché la sua vita
non è stata quella di una giovane donna, ma quella di una
dea predestinata al sacrificio del proprio corpo per sopravvivere
e far sopravvivere la propria famiglia.
Un anno fa è stata accoltellata, roba da poco in una
situazione del genere, perché vivendo quella vita è
stata esposta a tutto. La storia di molte sue connazionali
è ben più drammatica, segnata da ogni genere di
violenza e spesso anche dalla morte. Lei stessa l'ha di nuovo
rischiata pochi giorni or sono quando due energumeni per
rapinarla delle sue poche e piccole cose o per punirla del suo
tentativo di cambiar vita, l'hanno massacrata di botte. Vorrei
che chi ascolta questo mio appello provasse ad aiutare le tante
sue connazionali che vivono una quotidianità nella quale
il pane è incerto (i loro "guadagni" sono considerevoli,
ma finiscono in mano a protettori e maman senza scrupoli) e il
resto è attesa; e vorrei che, avvicinandosi a queste
ragazze di colore che si vendono ai bordi delle strade, i clienti
s'interrogassero sulle loro responsabilità in queste
storie di fame e sfruttamento, di povertà e disperazione
nascoste dietro ai gesti di tutte loro, perfino di quelle
apparentemente più spudorate, perfino di quelle che non
conoscono più il confine tra la bugia e la verità,
ma conoscono solo la paura che impedisce loro di rivolgersi a
quelle autorità ed a quei centri che potrebbero
aiutarle.
Potrei sposarla, offrirle una vita "normale", ma mi chiedo se non
finisco col farle del male proprio perché l'amo e le parlo
di una vita diversa che forse non potrò darle davvero,
poiché i problemi sono gravi e le differenze tra noi sono
molte; meglio sarebbe che neppure ne intravedesse la
possibilità, perché la speranza può
diventare sofferenza, mentre la rassegnazione è una
medicina che rende la vita sulla strada, ai margini di un paese
opulento, comunque più sopportabile della lenta morte per
inedia in un lontano villaggio.
Di certo aiutando questa ragazza aiuto me stesso, spezzo le mie
catene: non si può conoscere la schiavitù altrui
senza condividerla almeno un po' ed io mi sento, sono schiavo
delle ingiustizie alle quali non so porre rimedio. Ma non sono
forse un'ingiustizia anche la mia arroganza di ritenere che posso
"aiutarla", perché - se non altro per una questione
sociale - diversamente da lei io vivo in modo "regolare" (ma
regolare per chi, per le convenzioni sociali, per i moralisti,
per i benpensanti?) e la mia presunzione di "salvarla" che nasce
da un malcelato senso di superiorità, quasi come se i
piccoli segni che lei porta tatuati sul viso ed indicano la sua
identità e la sua provenienza tribale, fossero una lettera
scarlatta, il marchio di una condizione inferiore? E il mio
desiderio di lei non ha, forse, le componenti di un razzismo
rovesciato, visto che mi attraggano la sua bellezza, la sua
giovane età e proprio il colore della sua pelle sulla
quale vivo un'avventura ricca di mistero?
Lei mi dà amore con semplicità, senza chiedermi
nulla, né di essere più giovane, né di
essere più bello o più ricco, ma semplicemente di
essere presente e di continuare ad essere l'uomo capace di
parlarle solo perché è un essere umano, di "amarla"
solo perché lei è lei. Senza porle troppe domande,
in parte perché forse si vergogna delle risposte che
dovrebbe darmi, in parte perché ancora ha paura che la
verità sia dolorosa e pericolosa. E' questo l'amore per
sempre che cercavo? Avrò il coraggio di vivere con lei, di
avere dei figli e presentarli ai due figli ... "bianchi" ... che
ho già e che adoro?
Ma che amore cerca, invece, questa giovane donna che alla mia
proposta di vivere insieme e, quindi, anche di affrontare insieme
i pericoli del suo sottrarsi al giro che controlla le ragazze
come lei, non ha risposto di no, ma si è chiesta se
sarà "per sempre" o se, invece, le offro soltanto una
vacanza, una momentanea evasione dal suo inferno, se non
sarò spietato nel liberarmi di lei quando la nostra storia
si rivelasse, per mille ragioni, meno poetica e meno
drammaticamente romantica di ora, rendendole insopportabile
tornare a lavorare sulla strada, dopo aver toccato con mano la
possibilità di vivere in modo diverso e migliore?
Può esistere un amore "per sempre" se non si è
liberi non solo di scegliersi, ma neppure di vivere? Non ho
risposte, so soltanto che quando la sua mano scorre tra i miei
capelli, non ho 50 anni, ma ho la sua stessa età ... e
sono nero anch'io.
Testo poetico nel romanzo
Con alcuni versi in nostratico, la prima lingua del genere
umano
Isoke
I wewe we
ti amo nelle tua lingua
e nei giovani tratti del tuo corpo
nelle semplici incertezze del tuo dire
nell'espressione dei tuoi occhi
illuminati dai tramonti di un villaggio lontano
con i riti di tuo nonno
che traccia a fuoco sul tuo viso e sul tuo petto
il segno indelebile
di una identità.
I wewe we
ti amo nella tua lingua
che nessuno usa per scrivere poesie
che è povera cosa
per dire l'essenziale
la fame
la povertà il sogno la disperazione
e tutto ciò che ti sei portata dietro senza bisogno di
valige
o di falsi documenti
nel tuo migrare.
Ti amo nella tua lingua
con cui altri ti insultano ti minacciano ti spaventano
perché tu sei qui
con quei segni sul viso e sul petto
marchio indelebile
della tua schiavitù
che ti rende serva di ognuno
e femmina di tutti.
I wewe we
per questo ti amo nella tua lingua
e ti racconto una vita diversa
I wewe we
mia Eva nera
primate selvatico e tenero
che piange piccole lacrime se non mi capisce,
ma gode con me un piacere eterno
e traccia a fuoco nella mia anima
il segno indelebile del nostro amore
e della nostra schiavitù di esseri terreni
in viaggio mano nella mano,
una mano ruvida in una mano stanca,
alla ricerca di un guado.
Kelha wetei akun khala
Kalay palheka na weta
Sa da akeeja ala
Jako pele tuba were [nota]
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo
essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati
ma coloro che hanno paura delle acque profonde
non potranno mai raggiungerla.
I wewe we.
Isoke
I wewe we
I love you in your language
and in the young outlines of your body
in the easy way of your say
in the expression of your eyes
enlighted by sunsets of a too for village
with your grandfather's
that traces with the fire on your face and on your breast
the unremouvable sign
of on identity
i wewe we
i love in your language
which anybody uses to write poetries
which is something poor
to say essential things such as hunger
the poverty, the dream and the despair
you have brought with you without suitcases
on false documents
while moving.
I love you in your language
Through which some insult you, threat you and scare you
Because you are here
With that signs on your face and on your breast
Unremovable mark
Of your slavery
Which makes you slave of everyone
And female of everyone
I wewe we
For this i love you in your language
and i tell you of a different life.
I wewe we
My black Eve
Wild and tender primate
Who cries small tiers if doesn't understand me
But enjoys with me on eternal pleasure
And trace with fire in my soul
The unremouvable sign of our love
And of our slavery of Earth beings
In travel hand by hand
A rough hand in tired hand
Looking for a path.
The language is a patthway through
The river of the time
It leads us to ancestor's home
But those who are afraid of deep waters
Will never be able to reach it.
I wewe we
[nota]: secondo una scuola
linguistica sovietica, il genere umano potrebbe avere avuto una
lingua originaria comune; alcuni specialisti hanno tentato
perfino di indicarne le caratteristiche ed Illic giunse a
comporre alcuni versi, qui riprodotti, in questa lingua chiamata
"nostratico" o "nostraltico". L'attendibilità di questa
ipotesi è in discussione, ma il suo significato culturale
e poetico è pieno di fascino e ben si presta a
rappresentare l'unicità dell'essere umano e l'importanza
di una concezione della diversità culturale scevra da ogni
forma di razzismo.
Altre pagine scelte del romanzo
La ragazza non ha mai letto un libro in vita sua. In quella casa
povera, arredata poco e male, ci sono dei libri. La ragazza si
alza dal letto e li guarda: sono una decina, riposti per bene su
di una specie di scaffale. Ne afferra uno, lo gira e lo rigira,
ne legge il titolo ed inizia a sfogliarlo standosene in piedi,
davanti alla finestra appena illuminata dal sole calante. E' un
libro illustrato di animali. Ci sono dei serpenti che lei ha
visto spesso al villaggio del nonno ... ma che cosa ci fanno i
serpenti del nonno in un libro, a chi mai può interessare
il fatto che ci siano dei serpenti nel villaggio del nonno? E
quei serpenti hanno dei nomi, mentre lei che ha conosciuto
persone che non ne avevano neppure uno, lei ha visto il corpo
martoriato di una ragazza di colore, morta a Torino, travolta da
un'auto e sepolta senza neppure un nome perché nessuno
sapeva chi fosse, nessuno ha chiesto il suo corpo. Un serpente
con un nome ed un altro serpente con un altro nome, poi un altro
e un altro ancora. Serpenti con una casa ed una patria, serpenti
che, come dice il libro, bisogna difendere perché non
scompaiano. Casa, patria, difesa della vita ... quanti uomini e
quante donne non hanno nulla di tutto ciò, mentre il libro
racconta addirittura come vivono i serpenti ... chissà se
chi ha scritto quel libro sa come vivono gli uomini quando sono
senza casa, senza patria e senza diritti.
La ragazza continua a sfogliare il libro sugli animali, sorpresa
di ritrovarne così tanti ... certo sa bene che esistono
tanti animali, ma non che finissero nei libri e qualcuno
fotografasse i loro sguardi e dedicasse tanta attenzione alla
loro vita. C'è un leopardo e la ragazza si sofferma ad
osservarne le fotografie. Cerca lo sguardo di quell'animale e,
finalmente, lo trova in un bel primo piano; lei conosce quello
sguardo: fame, paura e, insieme, coraggio indomito. Il leopardo
è fotografato nell'atto di compiere un balzo e la ragazza
mi salta addosso, non indossa solo un costume da bagno maculato,
il suo intero corpo porta le macchie del leopardo. Ritrae le
unghie nell'avvinghiarsi a me e dopo avermi gettato a terra si
appresta a mordermi il collo. Ma io devo essere un cacciatore
esperto e forte se riesco a rovesciare la situazione ed ora sono
io a tenerla a terra, bloccando le sue zampe, sono io a grugnire
e a urlare, mentre i suoni che emette il leopardo sono più
simili ad un lamento che a una minaccia.
La foto successiva riporta ancora l'immagine di quel leopardo che
si guarda intorno minaccioso inseguito da tre, quattro ...
cuccioli che giocano fingendo di aggredirsi. Il leopardo è
la madre. La ragazza si sfiora il ventre. "Se rimanessi incinta
sarebbe davvero bello - mi disse un giorno - così anche se
non ti vedessi più avrei per sempre qualcosa di tuo...".
"Non dire sciocchezze" - le risposi - "noi ci vedremo ancora,
staremo insieme per sempre e se avrai un bimbo lo cresceremo
insieme". "Tu leggi troppi libri, è lì che trovi
queste storie? Se tu metti incinta una ragazza africana e lei
torna in Africa, tu non sai più niente di lei e del
bambino ...". Se un bimbo nascerà, sarà uno strano
cucciolo di leopardo: la mamma è troppo nera, il padre
è troppo bianco ... e il nonno al villaggio non
saprà che fare e che dire. Che segni vorrà
tracciargli sul viso e sul corpo, che nome andrà a
cercargli..? E la foto di quel cucciolo finirà su qualche
libro?
Io mi sono chiesto spesso che cosa ne sarebbe stato di noi. Mi
chiedevo come avrebbero reagito i miei figli ... bianchi ... se
un giorno io avessi presentato loro un fratellino ... nero. Mio
figlio più grande ormai sta per sposarsi e, quindi, per
lui le cose sarebbero più facili: o accetta la mia scelta
di vita, oppure no. Mio figlio più piccolo, invece, certo
si sorprenderebbe: ha solo sei anni e già fatica a capire
per quale ragione sua mamma ed io non si viva insieme,
figuriamoci cosa potrebbe capire se gli chiedessi di giocare con
un fratellino nero. Il prete del paese di Monserrato, in
Sardegna, dove il bimbo vive con la mamma, dice sempre che siamo
tutti fratelli, bianchi e neri ... ma un fratello fratello
è un'altra cosa, è il tuo stesso sangue che scorre
nelle vene di un altro essere umano, ma se questo è troppo
diverso da te è difficile trovare spiegazioni
comprensibili ad un bimbo.
Il giorno in cui il leopardo femmina mi è balzato addosso,
io sono stato il suo maschio e ci siamo accoppiati davvero come
due animali perché il richiamo e il bisogno che ci
spingevano non erano altro che l'istinto di sopravvivenza: il
rischio di perderci, la paura di non ritrovarsi, la certezza di
doversi separare, alimentavano la paura e la rabbia. E, insieme,
il desiderio. I nostri giochi sulla spiaggia non erano altro che
la simulazione di altri gesti; siamo stati due cuccioli che
giocavano per imparare come si sopravvive e quando l'istinto ci
ha chiamati, abbiamo risposto con la disperata felicità di
due animali adulti che si accoppiano.
La ragazza si sfiora il seno. Crescerà per nutrire il
cucciolo? E allora capisce a che serva il libro. Se una semplice
fotografia evoca tutto ciò, allora il libro è
più potente delle magie del nonno. Così Isoke
comincia a chiedersi quale magia sia contenuta nei libri che ha
scritto Claudio. "Claudio e le sue poesie che non ha mai letto
... e gli altri libri che mi ha mostrato dicendomi 'l'ho scritto
io' e quelle pagine fitte fitte pubblicate su Internet ; ridevo
di lui e gli chiedevo 'ma a che cosa servono?'". "Servono a
capire, Rose, servono a raccontare ad altri uomini come si
può vivere, come si può amare, come si possono
capire i molti misteri della vita. O forse soltanto come si
può cercare di fare tutto ciò, perché
c'è poco da capire". "Se c'è poco da capire
perché vuoi cercarlo, pensa a vivere e basta". "No, non
basta, perché capire significa anche essere pronti a
cambiare. Se io capisco che qualcuno ti fa del male e ti
costringe a lavorare per strada, non basta che io lo denunci e lo
faccia finire in galera; bisogna capire perché c'è
così tanta povertà nel mondo, e perché nel
tuo paese questa povertà porta tante ragazze ad andarsene,
a fare le prostitute pur di mangiare ...". "E quando hai capito
tutto questo che cosa fai, fai la guerra al mondo intero?". "Se
tu sei con me si, io questa guerra la faccio ....". "Vuoi fare la
guerra al mondo intero, vuoi fare un mondo tuo?". "Si, voglio
fare un mondo nostro, tuo e mio, voglio che ci liberiamo da
questo mondaccio, voglio separarmi da questo mondo".
Claudio Magnabosco, Via Parigi 80, 11100 Aosta, e-mail: claudio.magnabosco@tiscali.it, cell. 340.7718024