di Claudio Magnabosco
26 Agosto 2002
Nel corso degli ultimi anni in Italia
sono morte, assassinate dal racket o da maniaci "bianchi", molte
africane. Moltissime hanno subito violenze e menomazioni fisiche
di ogni genere. Questo non è il risultato della sharia, ma
di una ordinaria violenza con la quale conviviamo nella nostra
"civilissima" Italia, evitando però di porvi rimedio e
guardando lontano, ai casi di Safiya prima e di Amina oggi, per
gridare il nostro sdegno e ripulire le nostre coscienze.
In Italia vivono, clandestine e prostitute, migliaia di ragazze
nigeriane, sfruttate da un racket che le ha portate in Europa con
false promesse e le ha ridotte in stato di vera e propria
schiavitù. L'incoscienza di clienti che contribuiscono a
sfruttarle (non tutti, alcuni fanno rete per aiutarle!); il
perbenismo di quanti ritengono che il problema può esser
risolto solo rispedendole in Africa; il moralismo di quanti non
sopportano neppure l'idea di dover parlare dei problemi della
prostituzione; l'indifferenza di quanti non vogliono vedere e
pensano di ghettizzare la prostituzione in luoghi riservati; il
razzismo sempre e comunque presente che fa considerare le
problematiche dell'immigrazione soltanto come realtà di
delinquenza e prostituzione; e perfino l'imperfetto impegno
civile di chi esprime solidarietà per Amina che rischia di
essere lapidata in Nigeria, ma non sa far nulla per le tante
Amina che vivono in Italia.
Queste sono le pietre con le quali, ogni giorno, le africane sono
lapidate in Italia. Ad una giovane nigeriana, ma - in
realtà - a tutte le africane che vivono in Italia sono
dedicati un libro (il romanzo "Akara-Ogun e
la ragazza di Benin City" edito da Quale Cultura-Jaca Book)
ed uno specifico progetto sociale che si sono aggiunti ad una
miriade di positive iniziative. Tutti dovrebbero amare una
africana, come padri, fratelli, amici, compagni, mariti o,
più semplicemente, come esseri umani: queste ragazze hanno
lasciato l'Africa dove si muore di fame e di malattie; dove le
loro famiglie sopravvivono negli stenti.
Non lapidiamo questa ragazze e liberiamole dalla loro
schiavitù, almeno in Italia. Appoggiamo le organizzazioni
laiche, confessionali ed istituzionali che operano per queste
stesse finalità! Il Progetto "La ragazza di Benin City"
aderisce all'appello "Giù le mani da Amina" lanciato dalle
redazioni di Femmis e Raggio (Appello di Femmis).
Progetto "La ragazza di Benin City", Claudio Magnabosco (claudio.magnabosco@tiscali.it), Via Parigi 80, 11100 Aosta, cell. 340.7718024