di Claudio Magnabosco
Marzo 2001
In questo "dossier" sono raccolti documenti e considerazioni
apparentemente disomogenei sia dal punto di vista linguistico
(alcuni sono presentati in lingua francese, altri in lingua
italiana, altri in catalano, altri ancora in inglese), sia dal
punto di vista del contenuto (alcuni sono documenti ufficiali -
quantunque poco noti - altri sono addirittura verbali interni di
un gruppo politico). Direttamente o indirettamente, però,
sono tutti accomunati dallo stesso intento: offrire informazioni
e spunti di riflessione. Il problema della Nazioni senza Stato
continua ad esser oggetto di interpretazioni contraddittorie: la
dinamica europea, le prospettive istituzionali interne a ciascuno
Stato e a tutti gli Stati, la natura stessa del problema
identitario nella dimensione che i fenomeni assumono in
prospettiva mondializzata, inducono ad interpretarlo
riduttivamente: infatti se un tempo ai sudtirolesi o ai
valdostani che rivendicavano l'applicazione, se non di altro,
almeno di diritti linguistici, veniva risposto "per Dio, siamo in
Italia", oggi la risposta alle loro rivendicazioni è
un'altra, ugualmente equivoca e strumentale, "nella realtà
europea le rivendicazioni 'localiste' non hanno senso"; e
aggiungiamo a quest'affermazione, la ripetizione anche di un
altro concetto: "ormai dobbiamo ragionare in dimensione mondiale"
che accentua i tentativi di non riconoscere alle Nazioni senza
Stato i loro diritti. Le Nazioni senza Stato risentono di questa
situazione e, troppo spesso, perdono di vista la necessità
di non accettare altri compromessi; se un tempo hanno subito ed
accettato la condizione di "minoranze" cui sono state costrette
ed hanno poi inutilmente rivendicato tutti i diritti che
apparentemente erano stati riconosciuti alle minoranze, oggi
accettano altri ruoli, ancor più subalterni: dal punto di
vista linguistico, così, le loro lingue sono definite
"meno diffuse"; dal punto di vista istituzionale il loro
territorio storico viene considerato "transfrontaliero" e,
quindi, oggetto di una rappresentatività non nelle
principali istituzioni europee, ma in tutt'altro spazio, le
Regioni e il Comitato delle Regioni, gli organismi di
cooperazione transfrontaliera, ecc. In buona sostanza Nazioni che
avrebbero diritto alla autodeterminazione si rassegnano a
rinunciarvi: ne è buon esempio la Valle d'Aosta il cui
Consiglio regionale si appresta ad approvare un progetto di
riscrittura dello Statuto di Autonomia, addirittura formulando un
concetto secondo il quale l'autonomia all'interno dello Stato
italiano sarebbe la risultante dell'esercizio del diritto alla
autodeterminazione che - in realtà - non mai stato neppure
ipotizzato; quindi non solo si accetta una diminutio dei propri
diritti, ma addirittura si sottoscrive una resa, giungendo ad
asserire che questa diminutio è soddisfacente e chiude un
contenzioso storico.
Tutto ciò avviene a causa di uno sbandamento politico e
culturale che non è difficile considerare come risultato
di un'omogeneizzazione delle coscienze e di un appiattimento
della cultura; a tutto ciò corrisponde, inoltre, la
criminalizzazione di ogni altra rivendicazione, per cui chi si
permette anche solo di formulare un generico appello al diritto
alla autodeterminazione, si pone al di fuori della legge. Che sia
la legge degli Stati è inutile ribadirlo. E', tuttavia,
comprensibile come e perché le forze politiche, sindacali
e culturali che dovrebbero rappresentare le Nazioni senza Stato,
si trovino in questa situazione e non sappiano sempre indicare
altre strade che quelle scaturite dall'appiattimento, adeguandosi
ad essa. Se, tuttavia, questa fosse una scelta strategica, atta -
cioè - ad affrontare tempi difficili salvando il salvabile
ed aspettando tempi migliori, non ci dovremmo preoccupare troppo.
Se questa fosse una scelta che nasce dalla coscienza che la
radicalizzazione ha in se il rischio di trasformare
l'affermazione della propria identità in una delle tante
forme di fascismo possibili, ci troveremmo di fronte ad una
scelta di grande intelligenza.
Nulla, però, ci conforta in questo senso, nessun
intellettuale ha elaborato un'analisi che vada in questo senso,
nessun filosofo ha analizzato la realtà con chiarezza.
Sorge, quindi l'esigenza di un'elaborazione politica, culturale e
filosofica che dia alle Nazioni senza Stato una prospettiva
diversa da quella della dipendenza. La prima esigenza che si
pone, a questo proposito, è avere uno spazio di dibattito
e di confronto assolutamente liberi: non si può riscrivere
il diritto dei Popoli se la riflessione resta delimitata e
ristretta dal contesto dello Stato di cui si è parte,
dell'Europa di cui è parte lo Stato cui si appartiene, del
blocco politico-economico mondiale di cui è parte
l'Europa, ecc. Quella che definisco "clandestinità
intellettuale" è una scelta: pensare al di fuori degli
schemi e dei limiti, pur senza scadere nell'utopia e
nell'idealismo, senza romanticismi e contraddizioni. Pensare
liberamente.
A ben vedere, il tutto si riconduce, poi, alla libertà,
semplicemente alla libertà. Il fatto di doverci pensare e
di porsene il problema significa che c'è bisogno di
libertà perché non siamo liberi, non siamo
completamente liberi. E c'è bisogno, quindi, di un
processo di liberazione.
I documenti che sono proposti in questo dossier evidenziano che
nel dibattito sui diritti delle Nazioni senza Stato, troppe volte
ci si accontenta che altri li scrivano e li descrivano, mentre
sono le Nazioni stesse a doverlo fare: le molteplici
dichiarazioni universali cui tutti fanno quotidiano riferimento,
sono - in realtà - una summa compromissoria di diritti
formulati dagli Stati o dalle potenze o dai blocchi
politico-economici; le uniche Dichiarazioni Universali scaturite
da dinamiche diverse sono la Dichiarazione Universale dei Diritti
Collettivi dei Popoli, la Dichiarazione Universale dei Diritti
Linguistici e la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli;
la Dichiarazione di Santiago di Compostella, sottoscritta dai
parlamentari europei delle Nazioni senza Stato è, invece,
un documento intermedio: rivendica i diritti delle Nazioni senza
Stato nel quadro dell'Unione europea, anche se a firmarla sono
partiti politici come l'UV che, a casa loro, rifiutano di
definirsi sostenitori dei diritti delle Nazioni, dichiarano e
giurano di non considerarsi affatto nazionalitarie o
nazionaliste, accettano il ridimensionamento imposto loro dalle
logiche statali ed europee: il parlamentare europeo Luciano
Caveri, valdostano, firmatario della Dichiarazione, è
stato eletto nella stessa lista del Presidente Prodi, difficile -
quindi - sostenga due diversi tipi di Europa, quella di chi la
guida oggi così come è e quella che la Nazioni
senza Stato vorrebbero che fosse. Quanti sono, però,
coloro che, pur impegnati nel terreno della rivendicazione del
diritto alla autodeterminazione dei Popoli, conoscono questi
documenti? E chi ricorda ancora il contenuto innovativo della
Dichiarazione di Brest o quello moderato, ma coerente nella sua
essenzialità, del Bureau des Nations sans Etat? E cosa
resta in Italia della Dichiarazione di Chivasso?
Questo dossier, quindi, vuol contribuire a costruire la coscienza
che nel gioco degli opportunismi della politica, le forze delle
Nazioni senza Stato non saranno mai vincenti e che, anzi,
l'assimilazione ai giochi politici degli Stati, dei loro partiti,
delle loro istituzioni internazionali (compresa l'Europa),
corrisponde ad un'assimilazione anche dell'identità.
Questo dossier, si apre presentando anzitutto le Dichiarazioni
basilari del diritto dei Popoli, fortemente volute dall'UNPO e
dalla CONSEU e presentate così come l'UNPO e la CONSEU
stessa le divulgano; oltre a questi due documenti è qui
riproposto anche il testo della Dichiarazione Universale dei
Diritti Linguistici. A corredo di questi documenti,
indispensabile alla comprensione di tutti gli studi che ho
elaborato sui diritti delle Nazioni senza Stato, sono poi
presentati altri documenti ed altre proposte.
Déclaration Universelle Des Droits Collectifs des
Peuples
Préambule
Considérant les progrés accomplis notamment depuis
deux siècles par la "Déclaration des Droits de
l'Homme et du Citoyen" dans la prise de conscience de
l'égalité de toutes les personnes humaines;
Considérant qu'un des apports majeurs à la
compréhension de cette égalité a
été la reconnaissance de la différence des
êtres humains en raison de leur langue, culture,
appartenance à un peuple concret, comme l'a
affirmée la "Déclaration Universelle des Droits de
l'Homme" proclamée par l'ONU en 1948;
Considérant que les droits individuels à
l'égalité et à la différence ne
peuvent s'épanouir que dans le cadre du peuple auquel
chacun s'identifie;
Considérant que chaque peuple est le détenteur
exclusif de ses droits collectifs et inaliénables à
l'égalité et à la différence;
Considérant que la "Charte de l'ONU" a affirmé et
reconnu dans son article 1.2 la nécessité de
"développer entre les nations des relations amicales
fondées sur le principe de l'egalité des droits des
peuples et de leurs respectifs droits à disposer
d'eux-mêmes"; que d'autres textes de l'ONU comme les divers
"Pactes Internationaux" relatifs aux droits politiques, sociaux,
économiques, culturels, etc précisent plus
l'ampleur des droits collectifs; que des documents en cours de
discussion au sein de l'ONU, comme la "Déclaration sur les
droits des peuples indigènes" nous conduisent à
interpréter, pour en traduire le plein sens, tous les
droits individuels à la lumière des droits
collectifs;
Considérant que, en application de ces principes de
nombreux peuples peuvent non-seulement exercer leur droit
à l'autodétermination et prendre entre leurs mains
la souveraineté et l'indépendance qui leur
correspond, mais encore peuvent approfondir leur cohesion interne
et leur solidarité avec les autres peuples;
Constatant que les droits collectifs affirmés ainsi n'ont
pas pu encore être reconnus et mis en pratique dans
l'ensemble des peuples et que perdurent sur la planète des
conflits et des affrontements qui découlent de la
négation ou de la limitation de l'exercice de ces
droits;
Constatant que ces situations ont des conséquences
juridiques et politiques dans l'organisation de la
société humaine qui institutionnalisent dans le
droit international, des inégalités et des
discriminations entre les peuples et que cette organisation se
trouve essentiellement à la merci des pouvoirs des Etats
constitués et des organismes que ces derniers
créent et contrôlent;
Constatant que les relations entre peuples sont actuellement le
monopole des États constitués qui s'arrogent, en
conséquence, le pouvoir de déterminer le niveau de
participation dans la vie internationale, alors que les peuples
sont les seuls sujets et source de droits dans toutes les
dimensions collectives;
Considérant que pour assurer puis maintenir leur
domination sur des aires géographiques
déterminées et conserver leur monopole de
décision sur les relations internationales, les
États imposent des modèles institutionnels
confondant la citoyenneté et la nationalité, leur
permettant ainsi, soit de nier l'existence des peuples, soit de
les soumettre, par différents statuts juridiques
(autonomie, régionalisation, décentralisation et
autres) à des limitations de souveraineté ou
à des situations de dépendance;
Constatant que ces dernières années la
société civile a élaboré diverses
propositions pour promouvoir la reconnaissance des droits des
peuples en particulier depuis la "Déclaration des Droits
des Peuples" publiée à Alger le 4 juillet
1.976;
Constatant néanmoins que les diverses initiatives faites
dans cette direction admettent habituellement des restrictions
aux droits collectifs des peuples en les conditionnant au
maintien des structures étatiques en vigueur, à
travers notamment la notion de minorité;
Considérant que pour franchir une nouvelle étape
dans la construction de l'entente entre les peuples et contribuer
ainsi à bâtir une Paix juste et universelle et en
conséquence durable pour tous, il est indispensable de
définir, d'une manière intrinsèque et
complète, les droits collectifs des peuples et leur mode
d'exercice, indépendamment de leurs situations actuelles
politiques et juridiques,
L'Assemblée Générale de la
"Conférence des Nations sans État d'Europe"
(CONSEU) propose à toute l'Humanité, avec la
collaboration de ses organismes internationaux competents
d'adopter et de mettre en oeuvre la suivante "Déclaration
Universelle des Droits Collectifs des Peuples".
Préliminaires.
L'absence d'une définition universellement admise du
concept de "peuple" met en évidence que celui-ci n'est pas
une notion statique mais dynamique. L'histoire montre que des
communautés humaines, reconnues comme peuples, sont
apparues et disparues ou ont ressurgi par la suite, sur la
scène internationale, avec d'autres noms. Pourtant les
évolutions ou regressions des communautés humaines
voire des peuples ne peuvent en aucun cas fonder le degré
d'acceptation ou la limitation du respect dû aux droits
collectifs et individuels des personnes qui les composent. Les
droits des peuples maintiennent toujours, objectivement, la
même et propre identité. Il appartient aux
communautés humaines elles-mêmes de s'ériger
dans l'histoire en tant que peuples et donc de devenir sujets de
droits collectifs.
La présente Déclaration a pour but de
définir les droits collectifs des peuples et de
préciser par là même le concept de
peuple.
Titre l. Des Peuples et Nations.
Art. 1. Toute collectivité humaine ayant une
référence commune à une culture et à
une tradition historique propre, développées sur un
territoire géographiquement déterminé, ou
dans d'autres domaines, constitue un peuple.
Art. 2. Tout peuple a le droit de s'identifier comme tel. Aucune
autre instance ne peut se substituer à lui pour le
définir.
Art. 3. Tout peuple a le droit de s'affirmer comme nation.
L'existence d'une nation se manifeste par la volonté de
ses membres à s'autoorganiser politiquement et
institutionnellement.
Art. 4. Tout peuple jouit d'une manière imprescriptible et
inaliénable, des droits collectifs et des
prérogatives énoncés dans la présente
Déclaration.
Titre II. Des droits nationaux des Peuples.
Art. 5. Tout peuple a le droit d'exister librement quelle que
soit sa dimension démographique.
Art. 6. Tout peuple a le droit de s'autodéterminer de
façon indépendante et souveraine.
Art. 7. Tout peuple a le droit de s'autogouverner en suivant les
choix démocratiques pris par ses membres.
Art. 8.1 Tout peuple a le droit au libre exercice de sa
souveraineté sur l'intégralité de son
territoire;
8.2 Tout peuple qui a été expulsé de son
territoire a le droit d'y retourner et d'y exercer sa
souveraineté , dans le respect des droits des personnes
éventuellement présentes sur ce territoire, qui
appartiennent à d'autres peuples;
8.3 Tout peuple soumis à une division suite à une
partition territoriale inter o intra étatique, a le droit
de rétablir son unité territoriale, politique et
institutionnelle;
8.4 Tout peuple itinérant qui a développé
historiquement sa conscience nationale selon ce mode d'existence,
a droit à la garantie de sa libre circulation.
Art. 9 Tout peuple a le droit d'exprimer et de développer
sa culture, sa langue et ses règles d'organisation, et de
se doter pour ce faire des propres structures politiques,
juridiques, d'enseignement, de comunication et d'administration
publique et d'autres qui lui conviennent dans le cadre de sa
souveraineté.
9.2 Tout peuple se trouvant dans les conditions
mentionnées dans l'article 8.2 ou bien victime d'autres
décisions qui le divisent arbitrairement, a le droit de
rétablir son unité linguistique, culturelle, et les
autres prérogatives qui lui sont propres et le
distinguent.
Art. 10 Tout peuple a le droit de disposer des ressources
naturelles de son territoire et, le cas échéant,
des eaux territoriales qui s'y rattachent, de les mettre en
valeur pour son développement, son progrés et le
bien-être de ses membres, dans le respect des dispositions
des articles 17 et 18 de la présente Déclaration,
se référant aux exigences ecologiques et de
solidarité.
Titre III. Des droits internationaux des Peuples.
Art. 11. Tous les peuples sont et demeurent libres et
égaux en droit, quelque soit la nature des relations
internationales qu'ils trient.
Art. 12 Tout peuple a le droit d'être pleinement reconnu en
tant que tel dans le concert des nations et de participer
à égalité de voix et de vote aux travaux et
décisions de tous les organismes internationaux
représentatifs des différentes volontés
souveraines.
Art. 13 Tout peuple a le droit d'établir librement avec
chacun des autres peuples les relations convenables à
l'intérêt des parties, dans la forme qu'ils auront
conjointement déterminée.
Art. 14. Tout peuple a le droit de s'unir à d'autres
peuples, sous formes confédératives ou semblables,
ce qui implique le droit de rompre librement et
unitéralement les accords, sans préjudice des
droits des autres peuples.
Art. 15 Tout peuple a le droit de bénéficier
équitablement des ressources naturelles de la
planète et de l'univers, des acquis technologiques, du
progrés scientifique et de l'équilibre
écologique, qui composent le patrimoine commun de
l'humanité.
Art 16. Tout peuple a droit à la solidarité, ce qui
comporte la coopération mutuelle entre les peuples, la
reconnaissance explicite des identités qui les
distinguent, l'application des principes d'équité
et de réciprocité, les échanges des
richesses naturelles, des acquis technologiques et des
progrés économiques et sociaux et autres biens qui
sont partageables.
Art. 17. Tout peuple a le droit d'empêcher l'usage des
richesses naturelles et des acquis tecnologiques à des
fins ou dans des conditions qui mettent en danger la santé
et la sécurité d'autres peuples ou qui
compromettent l'équilibre écologique de
l'environnement.
Art. 18. Tout peuple a le droit à la légitime
récupération de ses biens ainsi qu'à une
réparation adéquate lorsqu'il est spolié,
complètement ou partiellement, de ses richesses naturelles
ou atteint dans sa souveraineté ou dans l'équilibre
de son environnement.
Art. 19 Tout peuple a un droit de recours direct auprès
des jurisdictions internationales dont les responsables doivent
être élus démocratiquement par les
représentants élus de tous les peuples et les
arbitres choisis d'accord avec les parties en litige.
Titre IV. Des droits des membres des Peuples
Art. 20 Tout individu vivant ou non au sein de son peuple a le
droit d'exercer pleinement les droits individuels reconnus par
les différentes Déclarations, Conventions et Pactes
Internationaux, dans la perpective et le contexte des droits
collectifs sus-énoncés.
Titre V. Dispositions transitoires
Art 21 Conformément aux normes du Droit International qui
sont à compléter avec les principes de la
présente Déclaration tout peuple privé par
la force ou la pression d'un de ses droits collectifs à le
droit à la résistance s'il le faut utilisant les
moyens nécessaires pour sa légitime défense,
jusqu'à l'obtention de son retablissement total.
Art. 22 Tout peuple, même reconnu, dans la mesure où
il est soumis à des situations de tutelle ou comportant
des formes de discrimination, de colonisation, dans ses
différentes expressions, ou à n'importe quelle
limitation de sa souveraineté, a le droit de mettre en
oeuvre les mêmes moyens et recours, cités dans
l'article 21, pour obtenir sa souveraineté et le plein
exercice des droits qui appartiennent à tous les peuples
sans distinction.
Titre VI. Clauses finales.
Art. 23 L'application de la présente Déclaration
entraine la disparition de toutes les situations négatives
ou limitatives des droits collectifs des peuples et la
caducité de toutes les dispositions juridiques
étatiques ou internationales, les ignorant ou y portant
atteinte.
Art. 24. Les signataires de la présente Déclaration
s'engagent à oeuvrer pour la reconnaissance de tous les
peuples et de leurs droits collectifs par les organismes
internationaux compétents et pour leur
représentation au sein de ceux-ci. Ces organismes ainsi
restructurés auront alors mission de garantir le respect
des droits collectifs des peuples définis dans la
présente Déclaration et de remédier au moyen
des tribunaux démocratiques de justice qu'il faille
instituer, aux violations qui puissent les atteindre.
- Barcelona, Première édition, approuvée par
le 2e. sommet de la CONSEU le 27 mai 1990
- Barcelona, seconde édition mise à jour au 3e.
sommet de la CONSEU, le 22 novembre 1998
- València proclamée publiquement le 24 avril 1999,
Barcelona, confirmée le 21 janvier 2001
Preamble
Whereas the Universal Declaration of Human Rights and the
International Covenant on Civil and Political Rights and the
International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights
(jointly referred to as the International Bill of Human Rights)
are universal and should be universally respected and
implemented,
Whereas not all states respect human rights, including the right
to self-determination of peoples, and the International Bill of
Human Rights has not yet achieved universal implementation,
Whereas human rights cannot be fully realized without the
recognition of the right to cultural, national, linguistic, and
ethnic identity, of individuals and peoples,
Whereas the coexistence of different peoples is a necessary
condition for the preservation and development of the all
cultures, languages, and spiritual traditions,
Whereas the diversity of peoples, cultures, languages, and
spiritual traditions constitutes the genuine richness of human
existence, guaranteeing the continued survival and development of
humankind, just as preservation of the variety of natural species
ensures continuation of life on Earth,
Whereas in the history of humankind, peoples have endured longer
than the states of the world, Whereas the attempts to force
people to adopt new identities to suit the political objectives
of states have led to violations of human rights and the rights
of peoples,
Now, therefore, the General Assembly of the Unrepresented Nations
and Peoples Organisation reaffirms the universal human rights and
the rights of peoples as inalienable rights in international law
and declares:
Article 1
All peoples have the equal right to self-determination. According
to this right they freely determine their political status and
freely determine their economic, social and cultural development.
States shall respect this right and the principle of territorial
integrity shall not unilaterally form an obstacle to its
implementation.
Article 2
All peoples have the equal right to live in dignity and to be
respected. It is the duty of all states to treat equally and
justly all peoples living within their respective
jurisdictions.
Article 3
All peoples have the right to their own adobe, within their
ancestral territory, where they can exercise their right to
self-determination. Peoples shall not be expelled from their
respective territories. These territories or portions thereof
shall not be taken from them, annexed or otherwise altered by
force or without the agreement of the people or peoples
concerned.
Article 4
All peoples have the right to return to their own adobe if they
have been expelled therefrom or their territories have been taken
in violation of Article 3.
Article 5
All peoples have the right to sovereignty over the natural wealth
and resources within their territories. All peoples also have the
right to intellectual property. They are obliged to respect the
equal right to natural wealth and resources of all other
peoples.
Article 6
All peoples have the right to organize and to form legitimate
representative bodies. This may, if they so wish, include their
diaspora.
Article 7
In accordance to the exercise of their right to
self-determination, peoples should, if they so desire, exercise
self-government and create appropriate organs for self-government
within their territory.
Article 8
The right to self-determination includes the right to independent
statehood where the exercise of the right to self-determination
cannot be implemented without establishing an independent
state.
Article 9
All peoples have the right to self-preservation and physical
existence. Peoples with small populations shall not be
involuntarily subjected to harmful demographic policies, such as
population transfers and coercive birth controls.
Article 10
All peoples have the right to live in peace. States shall not use
force against peoples peacefully exercising their right to
self-determination. Peoples have the right to defend themselves
against such use of force against them.
Article 11
All peoples have the right to security and international legal
protection. They shall be protected against genocide and illegal
use of force, including terrorism, against them.
Article 12
All peoples have the right to ecological security and protection
of its natural environment.
Article 13
All peoples have the right not to allow the production, testing,
storage, transportation and use of weapons of mass destruction,
including nuclear, chemical and bacteriological weapons, on their
territory and the right to strive for the demilitarisation of
their territory.
Article 14
All peoples have the right to development as well as the right to
preserve and develop their traditional way of life.
Article 15
All peoples have the right to self-identification and have the
right to know, learn, preserve and develop their own culture,
history, language, religion and customs.
Article 16
All peoples have the right to be informed about policies of the
state and should be involved in discussions on an international
level on matters that affect their existence and their
rights.
Article 17
All peoples have the right to demand from state and international
organisations the observance and protection of their rights, as
listed in this Declaration.
Article 18
All peoples shall respect the equal rights of all other peoples
and therefore abide by all the provisions of this Declaration
with respect to all such peoples.
Article 19
The provisions of this declaration should be interpreted in the
context of the international law of human rights, including, in
particular, the right to self-determination of peoples.
Adopted by the UNPO VI General Assembly In Tallinn, Estonia,
February 17th, 2001
L'intergroupe des nations sans Etat du Parlement
européen se réunit à
Saint-Jacques-de-Compostelle, ville symbolique au niveau de la
formation historique de la conception même de l'Europe,
pour analyser la situation de la structuration de l'Union
européenne dans la perspective des modifications des
Traités intervenus à Nice et de
l'élargissement à de nouveaux Etats de l'Est et de
la Méditerranée. L'intergroupe se réunit
alors qu'à l'aube du XXIe siècle, l'Union
européenne connait une évolution historique vers
une intégration majeure et vers un partage des
souverainetés, qui s'inscrit dans le cadre d'un processus
de transfert de la souveraineté à des instances
supranationales s'accompagnant de la reconnaissance politique et
institutionnelle des réalités nationales internes
aux Etats membres de l'Union ainsi que d'une
décentralisation en faveur d'entités politiques
subétatiques à caractère territorial. Ce
processus ouvre de nouvelles perspectives aux nations qui
réclament la reconnaissance de leurs compétences
politiques et législatives, de même que le droit
à l'autonomie majeure sur le plan national et dans le
cadre de l'Union européenne.
L'intergroupe des nations sans Etat, constitué de
députés nationalistes d'Ecosse, du Pays de Galles,
de Flandre, du Val d'Aoste, de Catalogne, du Pays Basque, de
Galice, d'Andalousie et des Iles Canaries s'est fixé comme
objectifs la défense et la reconnaissance politique de la
diversité nationale, culturelle et linguistique
européenne, l'application des principes d'autonomie et de
subsidiarité dans l'exécution des politiques
communautaires, le soutien de la politique d'équilibre
territorial et de cohésion sociale de l'Union et la
promotion de la participation politique, au sein des institutions
de l'Union européenne, des nations sans Etat et, en
général, des entités politiques autonomes
des Etats membres.
Les députés de l'Intergroupe relèvent
d'organisations politiques reposant sur un nationalisme
démocratique, universaliste, civique et défendant
les droits de l'Homme. Ils respectent les formes et objectifs
institutionnels adoptés par chaque force politique dans la
poursuite de la souveraineté et de l'autonomie pour leur
nation. Les organisations réunies au sein de l'Intergroupe
rejettent avec force la violence dans la poursuite de leurs
objectifs politiques. Les membres de l'Intergroupe estiment que
l'Union européenne constitue un espace politique
potentiellement valable en vue de la reconnaissance du
nationalisme civique représenté par nos partis,
lequel est compatible avec l'approfondissement de l'Europe des
citoyens et des peuples et opposé à
l'expansionnisme centralisateur et uniformisant de certains Etats
ayant tant de fois entrainée des guerres tragiques dans
l'histoire de l'Europe.
L'Intergroupe dèfend un principe de la souveraineté
partagée cohèrent avec le processus de construction
d'une Europe politique et exige des Etats membres qu'ils
reconnaissent explicitement ce principe aussi bien au niveau des
compétences transférées à l'Union
européenne qu'à celui des compétences
politiques et législatives des nations et entités
politiques jouissant d'un niveau élevé d'auto
gouvernement. L'Union européenne se trouve à un
nouveau carrefour mettant en jeu son caractère même,
dans ce qui constitue aujourd'hui un double défi. Elle
doit ainsi reconnaitre un caractère politique à
part entière à ses institutions spécifiques
que sont le Parlement et la Commission européenne, afin
d'arriver un équilibre et à un controle
démocratique et de donner aux institutions à
représentation directe le controle de l'Union
économique et monétaire ainsi que des piliers de
sécurité, militaire et judiciaire. Dans un
même temps, elle doit adapter ses institutions en vue de
permettre l'intégration de nouveaux Etats du Centre, de
l'Est et de la Mèditerranée, pour que
l'élargissement à concurrence de trente Etats ou
plus n'entraine pas l'abandon des objectifs politiques et de
cohésion sociale et territoriale visé par la
Communauté européenne. Dans ce cadre, nous
assistons à une bataille opposant, d'une part, les
partisans du maintien de l'Union européenne
intergouvernementale actuelle qui permet aux gouvernements des
Etats membres de prendre les décisions sans aucun controle
démocratique, voire en secret, et, d'autre part, ceux qui
sont convaincus de la nécessité d'une Union
politique dans laquelle les institutions dérivent
directement de la volonté démocratique des peuples
et des citoyens. Jusqu'aujourd'hui, le Parlement directement
élu par les citoyens n'a pas atteint sa pleine expression
de la souveraineté populaire dans la mesure où les
Gouvernements des Etats membres exercent à travers le
Conseil le pouvoir exécutif et l'essentiel du pouvoir
législatif de la Communauté, affaiblissant par la
même le role de la Commission Européenne, de sorte
que les progrès réalisés dans l'articulation
politique et économique de l'Union donnent lieu à
des régressions au niveau du controle démocratique
et de la garantie des droits politiques, économiques et
sociaux conquis tout au long de l'histoire sur le plan de l'Etat
ou de la nation.
Face à cette situation, dans une Union européenne
à caractère politique, un Parlement élu
directement par les peuples et les citoyens, jouissant de
compétences lègislatives et de la
souveraineté pour les compétences propres de
l'Union dèfinies constitutionnellement, et une Commission
européenne lègitimèe par son élection
par le Parlement passeraient au premier plan. Le caractère
politique et démocratique de l'Union européenne
serait garanti par une Constitution définissant les
compétences des institutions européennes et des
Etats et nations, ainsi que celles des différents
entités politiques territoriales. A cet effet, les
organisations politiques et les députés de
l'Intergroupe, réunis à
Saint-Jacques-de-Compostelle, veulent mettre en évidence
les positions politiques suivantes:
* Elles revendiquent l'autonomie et la représentation
extérieure des nations et de toutes les entités
internes des Etats avec des compétences politiques et
législatives. Elles rèclament dans ce cadre les
pouvoirs politiques nécessaires à la défense
au sein de l'Union européenne de leurs propositions et
intérets. Dans ce même ordre d'idées, la
présence directe des nations au sein des institutions de
l'Union européenne est parfaitement raisonnable. Il suffit
pour ce faire d 'établir les mécanismes
institutionnels qui la rendent possible. Pour exercer l'influence
requise, les nations et entités politiques territoriales
doivent pouvoir participer aux réunions du Conseil. Il
devrait également leur etre permis d'etre toujours
présentes aux réunions de la Commission des
représentants permanents des Etats membres (COREPER) qui
ont lieu avant les réunions du Conseil. La présence
active des nations doit permettre de coordonner et adapter la
construction de l'Union européenne aux nouvelles
réalités nationales, qui divergent aujourd'hui
fortement de celles qui prévalaient à
l'époque de l'établissement de la structure
institutionnelle de la Communauté européenne.
* Elles appuient pleinement l'application du principe de la
subsidiarité qu'elles considèrent comme un
instrument de base pour que les décisions soient prises au
niveau politique le plus proche des citoyens européens.
Pour que les questions d'intéret publique soient
gérées de manière juste et efficace, il est
important que l'administration soit proche des peuples et des
citoyens. Dans tous les cas, les députés de
l'Intergroupe s'opposent à une interprétation du
principe de la subsidiarité qui n'affecterait que les
relations entre les Etats membres et les institutions de l'Union
et qui ferait dépendre l'intervention des organes internes
des Etats membres d'une décision des Etats. La
subsidiarité doit impliquer le transfert de questions
exécutives importantes et décisives vers le niveau
le plus proche des citoyens et donner lieu à une
véritable participation aux institutions communautaires
pour tous les pays et toutes les nations de l'Union
européenne.
* Elles défendent la diversité linguistique
europèenne. L'Union européenne doit consolider et
renforcer la reconnaissance des langues officielles des nations
sans Etat et promouvoir la richesse des langues qui ne sont pas
majoritaires au sein de l'Union. Une reconnaissance majeure
devrait nécessairement impliquer l'acceptation des
différentes langues reconnues dans les Etats membres au
même niveau que les langues officielles de ces Etats. La
reconnaissance de ces langues contribuerait à leur
préservation ainsi qu'à la consolidation et
à la structuration des nations qui se caractérisent
par cette différence.
* Elles réclament le maintien des instruments
d'équilibre territorial et de cohésion sociale des
fonds structurels, la mise en oeuvre d'une politique
européenne de l'emploi et la défense des secteurs
productifs de tous les pays européens, et, tout
particulièrement, de ceux qui, comme l'agriculture et la
peche, entrainent un établissement traditionnel de la
population européenne.
* Elles s'engagent à oeuvrer au renforcement des droits de
l'Homme au sein de leurs Etats et nations ainsi que dans le monde
entier. L'Intergroupe des nations sans Etat a inscrit au nombre
de ses priorités la dénonciation de toute violation
des droits de l'Homme en vue de les empecher et de les
prévenir à l'avenir. Il entend pour ce faire
collaborer avec le Tribunal européen des droits de l'Homme
de Strasbourg et avec le Tribunal international de justice de La
Haye.
* Elles réclament l'établissement de
circonscriptions électorales européennes qui
garantissent, une représentation appropriée de
chacune des nations. La carte électorale européenne
devrait etre revue pour mieux refléter la structure
territoriale des nations, que ce soient de véritables
Etats-nations, ou des territoires nationales jouissant d'un auto
gouvernement à caractère politique et
législatif. Elles exigent que l'élargissement
à de nouveaux Etats aille de paire avec l'augmentation du
nombre de sièges au sein du Parlement européen afin
que la représentation actuelle des différents pays
et nations de l'Union ne souffre pas de ce processus.
* Elles défendent la nécessité de
transformer l'Union européenne en une véritable
démocratie, principalement en vue de
l'élargissement à de nouveaux Etats, et demandent
la mise en oeuvre d'un processus ayant pour objectif la
rédaction d'une Constitution Européenne
établissant les principes constitutifs et la
répartition des compétences entre l'Union et les
Etats, les nations et les autres entitès politiques avec
capacité législative propre.
Dans la perspective de la réforme des traités
décidée à Nice et prévue pour 2004,
l'Intergroupe des nations sans Etat encouragera ces principes et
fera des propositions alternatives au sein du Parlement
européen et à la société
européenne en général, ensemble avec le
mouvement démocratique pour une Europe politique et
sociale, en faveur d'une Europe de la diversité nationale
et culturelle.
Saint-Jacques-de-Compostelle, janvier 2001
PRÉLIMINAIRES
Les institutions et les organisations non gouvernementales
signataires de la présente Déclaration universelle
des droits linguistiques, réunies à Barcelone du 6
au 9 juin 1996,
Considérant la Déclaration universelle des droits
de l'homme de 1948, qui affirme dans son préambule sa "foi
dans les droits fondamentaux de l'homme, dans la dignité
et la valeur de la personne humaine, dans l'égalité
des droits des hommes et des femmes" et qui, dans son article 2,
établit que "chacun peut se prévaloir de tous les
droits et de toutes les libertés" sans distinction "de
race, de couleur, de sexe, de langue, de religion, d'opinion
politique ou de toute autre opinion, d'origine nationale ou
sociale, de fortune, de naissance ou de toute autre
situation";
Considérant le Pacte international relatif aux droits
civils et politiques du 16 décembre 1966 (article 27) et
le Pacte international relatif aux droits économiques,
sociaux et culturels de la même date qui déclarent,
dans leurs préambules, que l'être humain ne peut pas
être libre si l'on ne crée pas les conditions qui
lui permettent de jouir autant de ses droits civils et politiques
que de ses droits économiques, sociaux et culturels;
Considérant la résolution n° 47/135, du 18
décembre 1992, de l'Assemblée
générale de l'Organisation des Nations unies
(Déclaration des droits des personnes appartenant à
des minorités nationales ou ethniques, religieuses et
linguistiques);
Considérant les déclarations et les conventions du
Conseil de l'Europe, dont la Convention européenne pour la
protection des droits de l'homme et des libertés
fondamentales du 4 novembre 1950 (article 14), la Convention du
Conseil des ministres du Conseil de l'Europe du 29 juin 1992, par
laquelle est adoptée la Charte européenne sur les
langues régionales ou minoritaires, la Déclaration
du sommet du Conseil de l'Europe, le 9 octobre 1993, relative aux
minorités nationales, et la Convention-cadre pour la
protection des minorités nationales de novembre
1994;
Considérant la Déclaration de
Saint-Jacques-de-Compostelle du PEN Club International et la
Déclaration du 15 décembre 1993 du Comité de
traductions et de droits linguistiques du PEN Club International
concernant la proposition de réaliser une
conférence mondiale sur les droits linguistiques;
Considérant que, dans la Déclaration de Recife
(Brésil) du 9 octobre 1987, le XXIIe Séminaire de
l'Association internationale pour le développement de la
communication interculturelle recommande aux Nations unies de
prendre les mesures nécessaires afin d'adopter et
d'appliquer une Déclaration universelle des droits
linguistiques;
Considérant la Convention n° 169, du 26 juin 1989, de
l'Organisation internationale du travail, relative aux peuples
indigènes dans les pays indépendants;
Considérant que la Déclaration universelle des
droits collectifs des peuples, adoptée en mai 1990
à Barcelone, déclare que tout peuple a le droit
d'exprimer et de développer sa culture, sa langue et ses
règles d'organisation et, pour ce faire, de se doter de
ses propres structures politiques, d'éducation, de
communication et d'administration publique dans un cadre
politique distinct;
Considérant la Déclaration finale de
l'Assemblée générale de la
Fédération internationale des professeurs de
langues vivantes adoptée à Pécs (Hongrie) le
16 août 1991, recommandant que "les droits linguistiques
soient consacrés droits fondamentaux de l'homme";
Considérant le rapport de la Commission des Droits humains
du Conseil économique et social des Nations unies, du 20
avril 1994, sur le texte provisoire de la Déclaration des
droits des peuples indigènes, qui considère les
droits individuels à la lumière des droits
collectifs;
Considérant le texte provisoire de la Déclaration
de la Commission interaméricaine des droits humains sur
les droits des peuples indigènes, adoptée lors de
sa 1278e session, le 18 septembre 1995;
Considérant que la majorité des langues
menacées dans le monde appartiennent à des peuples
non souverains et que deux des principaux facteurs qui
empêchent le développement de ces langues et
accélèrent le processus de substitution
linguistique sont l'absence d'autonomie politique et la pratique
des États qui imposent leur structure
politico-administrative et leur langue;
Considérant que l'invasion, la colonisation et
l'occupation, ainsi que d'autres situations de subordination
politique, économique ou sociale, impliquent souvent
l'imposition directe d'une langue étrangère ou tout
au moins une distorsion dans la perception de la valeur des
langues et l'apparition d'attitudes linguistiques
hiérarchisantes affectant la loyauté linguistique
des locuteurs; considérant donc que, pour ces motifs, les
langues de certains peuples qui sont devenus souverains sont
confrontées à un processus de substitution
linguistique dû à une politique qui favorise la
langue des anciennes puissances tutélaires;
Considérant que l'universalisme doit reposer sur une
conception de la diversité linguistique et culturelle qui
dépasse à la fois les tendances
homogénéisatrices et les tendances à
l'isolement facteur d'exclusion;
Considérant que, pour garantir une cohabitation
harmonieuse entre communautés linguistiques, il faut
établir des principes d'ordre universel qui permettent
d'assurer la promotion, le respect et l'usage social public et
privé de toutes les langues;
Considérant que divers facteurs d'ordre non linguistique
(historiques, politiques, territoriaux, démographiques,
économiques, socioculturels, sociolinguistiques et du
domaine des comportements collectifs) génèrent des
problèmes qui provoquent la disparition, la
marginalisation ou la dégradation de nombreuses langues et
qu'il faut, dès lors, envisager les droits linguistiques
d'un point de vue global, afin de pouvoir appliquer dans chaque
cas les solutions adéquates;
Conscients qu'une Déclaration universelle des droits
linguistiques devient nécessaire pour corriger les
déséquilibres linguistiques et assurer le respect
et le plein épanouissement de toutes les langues et
établir les principes d'une paix linguistique
planétaire juste et équitable,
considérée comme un facteur clé de la
cohabitation sociale;
DÉCLARENT QUE
PRÉAMBULE
La situation de chaque langue, au vu des considérations
précédentes, est le résultat de la
convergence et de l'interaction de facteurs de nature
politico-juridique, idéologique et historique,
démographique et territoriale, économique et
sociale, culturelle, linguistique et sociolinguistique,
interlinguistique et subjective.
À l'heure actuelle, ces facteurs se définissent
par:
- La tendance unificatrice séculaire de la plupart des
États à réduire la diversité et
à encourager des attitudes négatives à
l'égard de la pluralité culturelle et du pluralisme
linguistique.
- Le processus de mondialisation de l'économie et donc du
marché de l'information, de la communication et de la
culture, qui bouleverse les domaines de relation et les formes
d'interaction qui garantissent la cohésion interne de
chaque communauté linguistique.
- Le modèle de croissance économique que promeuvent
les groupes économiques transnationaux prétendant
identifier la déréglementation avec le
progrès et l'individualisme compétitif avec la
liberté, ce qui génère de graves et
croissantes inégalités économiques,
sociales, culturelles et linguistiques.
Les menaces qui pèsent actuellement sur les
communautés linguistiques, que ce soit l'absence
d'autonomie politique, une population limitée en nombre ou
un peuplement dispersé, ou partiellement dispersé,
une économie précaire, une langue non
codifiée ou un modèle culturel opposé au
modèle prédominant, font que de nombreuses langues
ne peuvent survivre et se développer si les objectifs
fondamentaux suivants ne sont pas pris en
considération:
- Dans une perspective politique, concevoir une organisation de
la diversité linguistique qui permette la participation
effective des communautés linguistiques à ce
nouveau modèle de croissance.
- Dans une perspective culturelle, rendre pleinement compatible
l'espace de communication mondiale avec la participation
équitable de tous les peuples, de toutes les
communautés linguistiques et de tous les individus au
processus de développement.
- Dans une perspective économique, fonder un
développement durable sur la participation de tous, sur le
respect de l'équilibre écologique des
sociétés et sur des rapports équitables
entre toutes les langues et toutes les cultures.
La présente Déclaration prend donc, de ce fait,
comme point de départ les communautés linguistiques
et non pas les États. Elle s'inscrit dans le cadre du
renforcement des institutions internationales capables de
garantir un développement durable et équitable pour
toute l'humanité, tout en poursuivant l'objectif de
favoriser l'organisation d'un cadre politique de la
diversité linguistique fondé sur le respect mutuel,
la cohabitation harmonieuse et la défense de
l'intérêt général.
TITRE PRÉLIMINAIRE
- Précisions conceptuelles
Article 1
1. La présente Déclaration entend par
communauté linguistique toute société
humaine qui, installée historiquement dans un espace
territorial déterminé, reconnu ou non, s'identifie
en tant que peuple et a développé une langue
commune comme moyen de communication naturel et de
cohésion culturelle entre ses membres. L'expression langue
propre à un territoire désigne l'idiome de la
communauté historiquement établie sur ce même
territoire.
2. La présente Déclaration part du principe que les
droits linguistiques sont à la fois individuels et
collectifs et adopte comme référence de la
plénitude des droits linguistiques le cas d'une
communauté linguistique historique dans son espace
territorial, entendu non seulement comme l'aire
géographique où habite cette communauté mais
aussi comme un espace social et fonctionnel indispensable pour le
plein développement de la langue. De cette prémisse
découle la progression ou le continuum des droits des
groupes linguistiques visés à l'alinéa 5 de
ce même article et des personnes vivant hors du territoire
de leur communauté.
3. Aux fins énoncées dans la présente
Déclaration, sont donc considérés comme se
trouvant sur leur propre territoire et appartenant à une
communauté linguistique les groupes:
i. séparés du reste de leur communauté par
des frontières politiques ou administratives;
ii. installés historiquement dans un espace
géographique réduit entouré par les membres
d'autres communautés linguistiques; ou
iii. installés dans un espace géographique qu'ils
partagent avec les membres d'autres communautés
linguistiques y ayant des antécédents historiques
équivalents.
4. La présente Déclaration considère
également les peuples nomades dans leurs aires historiques
de déplacement ou les peuples établis dans des
lieux dispersés comme des communautés linguistiques
sur leur propre territoire historique.
5. La présente Déclaration entend par groupe
linguistique tout groupe social partageant une même langue
installé dans l'espace territorial d'une autre
communauté linguistique mais n'y ayant pas des
antécédents historiques équivalents, ce qui
est le cas des immigrés, des réfugiés, des
personnes déplacées ou des membres des
diasporas.
Article 2
1. La présente Déclaration considère que,
lorsque plusieurs communautés ou groupes linguistiques
partagent un même territoire, les droits formulés
dans la présente Déclaration doivent être
exercés sur la base du respect mutuel et être
protégés par des garanties démocratiques
maximales.
2. Afin d'établir un équilibre sociolinguistique
satisfaisant, c'est-à-dire de définir
l'articulation appropriée entre les droits respectifs de
ces communautés ou groupes linguistiques et des personnes
qui les composent, il est nécessaire de prendre en compte
des facteurs autres que leurs antécédents
historiques sur le territoire considéré et leur
volonté démocratiquement exprimée. Parmi ces
facteurs, dont la prise en compte peut comporter un traitement
compensatoire visant à permettre un
rééquilibrage, figurent le caractère
forcé des migrations qui ont conduit à la
cohabitation des différentes communautés ou groupes
et leur degré de précarité politique,
socio-économique et culturelle.
Article 3
1. La présente Déclaration considère comme
droits personnels inaliénables pouvant être
exercés en toutes occasions:
- le droit d'être reconnu comme membre d'une
communauté linguistique;
- le droit de parler sa propre langue en privé comme en
public;
- le droit à l'usage de son propre nom;
- le droit d'entrer en contact et de s'associer avec les autres
membres de sa communauté linguistique d'origine;
- le droit de maintenir et de développer sa propre
culture;
et tous les autres droits liés à la langue
visés par le Pacte international des droits civils et
politiques du 16 décembre 1966 et par le Pacte
International des droits économiques, sociaux et culturels
de la même date.
2. La présente Déclaration considère que les
droits collectifs des groupes linguistiques peuvent comporter,
outre les droits visés à l'article
précédent et conformément aux dispositions
du point 2 de l'article 2:
- le droit pour chaque groupe à l'enseignement de sa
langue et de sa culture;
- le droit pour chaque groupe de disposer de services
culturels;
- le droit pour chaque groupe à une présence
équitable de sa langue et de sa culture dans les
médias;
- le droit pour chaque membre des groupes
considérés de se voir répondre dans sa
propre langue dans ses relations avec les pouvoirs publics et
dans les relations socio-économiques.
3. Les droits des personnes et des groupes linguistiques
précédemment cités ne doivent en aucun cas
entraver leurs relations avec la communauté linguistique
hôte ou leur intégration dans cette
communauté. Ils ne sauraient en outre porter atteinte au
droit de la communauté hôte ou de ses membres
d'utiliser sans restrictions sa propre langue en public dans
l'ensemble de son espace territorial.
Article 4
1. La présente Déclaration considère que les
personnes qui se déplacent et fixent leur résidence
sur le territoire d'une communauté linguistique
différente de la leur ont le droit et le devoir d'avoir
une attitude d'intégration envers cette communauté.
L'intégration est définie comme une socialisation
complémentaire des dites personnes de façon
à ce qu'elles puissent conserver leurs
caractéristiques culturelles d'origine tout en partageant
avec la société d'accueil suffisamment de
références, de valeurs et de comportements pour ne
pas se heurter à plus de difficultés que les
membres de la communauté hôte dans leur vie sociale
et professionnelle.
2. La présente Déclaration considère, en
revanche, que l'assimilation - c'est-à-dire
l'acculturation des personnes dans la société qui
les accueille de telle manière qu'elles remplacent leurs
caractéristiques culturelles d'origine par les
références, les valeurs et les comportements
propres à la société d'accueil - ne doit en
aucun cas être forcée ou induite, mais bien le
résultat d'un choix délibéré.
Article 5
La présente Déclaration part du principe que les
droits de toutes les communautés linguistiques sont
égaux et indépendants du statut juridique ou
politique de leur langue en tant que langue officielle,
régionale ou minoritaire; les expressions "langue
régionale" et "langue minoritaire" ne sont pas
utilisées dans la présente Déclaration car
il y est fréquemment recouru pour restreindre les droits
d'une communauté linguistique, même si la
reconnaissance d'une langue comme langue minoritaire ou
régionale peut parfois faciliter l'exercice de certains
droits.
Article 6
La présente Déclaration exclut qu'une langue puisse
être considérée comme propre à un
territoire sous prétexte qu'elle est la langue officielle
de l'État ou qu'elle est traditionnellement
utilisée sur le territoire considéré en tant
que langue administrative ou dans le cadre de certaines
activités culturelles.
TITRE PREMIER - Principes généraux
Article 7
1. Toutes les langues sont l'expression d'une identité
collective et d'une manière distincte de percevoir et de
décrire la réalité; de ce fait, elles
doivent pouvoir bénéficier des conditions requises
pour leur plein développement dans tous les
domaines.
2. Toute langue est une réalité constituée
collectivement et c'est au sein d'une communauté qu'elle
est mise à la disposition des membres de celle-ci en tant
qu'instrument de cohésion, d'identification, de
communication et d'expression créative.
Article 8
1. Toute communauté linguistique a le droit d'organiser et
de gérer ses propres ressources dans le but d'assurer
l'usage de sa langue dans tous les domaines de la vie
sociale.
2. Toute communauté linguistique a le droit de disposer
des moyens nécessaires pour assurer la transmission et la
pérennité de sa langue.
Article 9
Toute communauté a le droit de codifier, de standardiser,
de préserver, de développer et de promouvoir son
système linguistique, sans interférences induites
ou forcées.
Article 10
1. Toutes les communautés linguistiques sont égales
en droit.
2. La présente Déclaration considère que
toute discrimination à l'encontre d'une communauté
linguistique fondée sur des critères tels que son
degré de souveraineté politique, sa situation
sociale, économique ou autre ou sur le niveau de
codification, d'actualisation ou de modernisation qu'a atteint sa
langue est inadmissible.
3. En application du principe d'égalité, toutes les
mesures nécessaires pour que cette égalité
soit effective devront être prises.
Article 11
Toute communauté linguistique est en droit de disposer de
moyens de traduction dans les deux sens garantissant l'exercice
des droits figurant dans la présente
Déclaration.
Article 12
1. Toute personne a le droit de développer ses
activités publiques dans sa propre langue dans la mesure
où celle-ci est aussi la langue du territoire où
elle réside.
2. Toute personne a le droit d'utiliser sa propre langue dans son
environnement personnel ou familial.
Article 13
1. Toute personne a le droit d'apprendre la langue du territoire
où elle réside.
2. Toute personne a le droit d'être polyglotte et de
connaître et d'utiliser la langue la plus appropriée
pour son épanouissement personnel ou pour sa
mobilité sociale, sans préjudice des garanties
établies dans la présente Déclaration pour
l'usage public de la langue propre au territoire
considéré.
Article 14
Les dispositions de la présente Déclaration ne
peuvent être interprétées ou utilisées
à l'encontre de toute autre norme ou pratique
prévue par un régime interne ou international plus
favorable à l'usage d'une langue sur le territoire qui lui
est propre.
TITRE DEUXIÈME - Régime linguistique
général
Section I - Administration publique et organismes officiels
Article 15
1. Toute communauté linguistique a droit à ce que
sa langue soit utilisée en tant que langue officielle sur
son propre territoire.
2. Toute communauté linguistique a droit à ce que
les actes juridiques et administratifs, les documents publics et
privés et les inscriptions sur les registres publics
réalisés dans la langue du territoire soient
considérés comme valables et effectifs et que
personne ne puisse en prétexter la
méconnaissance.
Article 16
Tout membre d'une communauté linguistique a le droit
d'utiliser sa propre langue dans ses rapports avec les pouvoirs
publics et de se voir répondre dans cette langue. Ce droit
s'applique également dans les relations avec les
Administrations centrales, territoriales, locales ou
supraterritoriales compétentes sur le territoire dont
cette langue est propre.
Article 17
1. Toute communauté linguistique a le droit d'avoir
à sa disposition et d'obtenir dans sa langue tout document
officiel utile sur le territoire dont cette langue est propre,
que ces documents soient sur support papier, sur support
magnétique ou sur tout autre support.
2. Tout formulaire, modèle ou autre document administratif
émis sur support papier, sur support magnétique ou
sur tout autre support par les pouvoirs publics doit être
rédigé et mis à la disposition du public
dans toutes les langues des territoires couverts par les services
chargés de le délivrer.
Article 18
1. Toute communauté linguistique a le droit d'exiger que
les lois et autres dispositions juridiques qui la concernent
soient publiées dans la langue propre à son
territoire.
2. Les pouvoirs publics qui ont plus d'une langue
territorialement historique dans leurs domaines d'action doivent
publier toutes les lois et dispositions de caractère
général dans ces langues, indépendamment du
fait que leurs locuteurs comprennent d'autres langues.
Article 19
1. Les Assemblées de représentants doivent adopter
comme officielles la langue ou les langues qui sont
historiquement parlées sur le territoire qu'elles
représentent.
2. Ce droit concerne également les langues des
communautés dispersées visées à
l'article 1, paragraphe 4.
Article 20
1. Toute personne a le droit d'utiliser oralement et par
écrit, dans les Tribunaux de Justice, la langue
historiquement parlée sur le territoire où ceux-ci
sont situés. Les Tribunaux doivent utiliser la langue
propre à ce territoire dans leurs actions internes. Si le
système juridique de l'État imposait que la
procédure se poursuive hors du territoire d'origine du
justiciable, la langue d'origine devrait néanmoins
être maintenue.
2. Dans tous les cas, chaque personne a le droit d'être
jugée dans une langue qu'elle puisse comprendre et parler
ou d'obtenir gratuitement l'assistance d'un
interprète.
Article 21
Toute communauté linguistique est en droit d'exiger que
les inscriptions sur les registres publics soient
effectuées dans la langue propre au territoire.
Article 22
Toute communauté linguistique est en droit d'exiger que
tout acte notarial ou officiel émis par un officier public
soit rédigé dans la langue propre au territoire qui
est du ressort de cet officier public.
Section II - Enseignement
Article 23
1. L'enseignement doit contribuer à favoriser la
capacité de libre expression linguistique et culturelle de
la communauté linguistique du territoire sur lequel il est
dispensé.
2. L'enseignement doit contribuer au maintien et au
développement de la langue parlée par la
communauté linguistique du territoire sur lequel il est
dispensé.
3. L'enseignement doit toujours être au service de la
diversité linguistique et culturelle et favoriser
l'établissement de relations harmonieuses entre les
différentes communautés linguistiques du monde
entier.
4. Compte tenu de ce qui précède, chacun a le droit
d'apprendre la langue de son choix.
Article 24
Toute communauté linguistique a le droit de décider
quel doit être le degré de présence de sa
langue, en tant que langue véhiculaire et objet
d'étude, et cela à tous les niveaux de
l'enseignement au sein de son territoire : préscolaire,
primaire, secondaire, technique et professionnel, universitaire
et formation des adultes.
Article 25
Toute communauté linguistique a le droit de disposer de
toutes les ressources humaines et matérielles
nécessaires pour parvenir au degré souhaité
de présence de sa langue à tous les niveaux de
l'enseignement au sein de son territoire : enseignants
dûment formés, méthodes pédagogiques
appropriées, manuels, financement, locaux et
équipements, moyens techniques traditionnels et
technologie de pointe.
Article 26
Toute communauté linguistique a droit à un
enseignement qui permette à tous ses membres
d'acquérir une maîtrise totale de leur propre langue
de façon à pouvoir l'utiliser dans tout champ
d'activités, ainsi que la meilleure maîtrise
possible de toute autre langue qu'ils souhaitent apprendre.
Article 27
Toute communauté linguistique a droit à un
enseignement qui permette à ses membres d'acquérir
une connaissance des langues liées à leurs propres
traditions culturelles, comme les langues littéraires ou
sacrées, anciennement langues habituelles de sa
communauté.
Article 28
Toute communauté linguistique a droit à un
enseignement qui permette à ses membres d'acquérir
une connaissance approfondie de leur patrimoine culturel
(histoire et géographie, littérature, etc.) ainsi
que la plus grande maîtrise possible de toute autre culture
qu'ils souhaitent connaître.
Article 29
1. Toute personne a le droit de recevoir l'enseignement dans la
langue propre au territoire où elle réside.
2. Ce droit n'exclut pas le droit d'accès à la
connaissance orale et écrite de toute autre langue qui lui
serve d'outil de communication avec d'autres communautés
linguistiques.
Article 30
La langue et la culture de chaque communauté linguistique
doivent être l'objet d'études et de recherches au
niveau universitaire.
Section III - Onomastique
Article 31
Toute communauté linguistique a le droit de
préserver et d'utiliser dans tous les domaines et en toute
occasion son système onomastique.
Article 32
1. Toute communauté linguistique a le droit de faire usage
des toponymes dans la langue propre au territoire
concerné, et ceci tant verbalement que par écrit et
dans tous les domaines, qu'ils soient privés, publics ou
officiels.
2. Toute communauté linguistique a le droit
d'établir, de préserver et de réviser la
toponymie autochtone. Celle-ci ne peut être ni
supprimée, altérée ou adaptée
arbitrairement, ni remplacée en cas de changement de
conjoncture politique ou autre.
Article 33
Toute communauté linguistique a le droit de se
désigner dans sa langue. En conséquence, toute
traduction dans d'autres langues doit éviter des
dénominations confuses ou péjoratives.
Article 34
Toute personne a le droit d'utiliser son anthroponyme dans la
langue qui lui est propre dans tous les domaines et a droit
à une transcription phonétique aussi fidèle
que possible dans un autre système graphique quand cela
s'avère nécessaire.
Section IV - Médias et nouvelles technologies
Article 35
Toute communauté linguistique a le droit de décider
quel doit être le degré de présence de sa
langue dans les médias de son territoire, et ceci qu'il
s'agisse de médias locaux et traditionnels ou de
médias d'une plus grande portée et recourant
à une technologie plus avancée,
indépendamment du système de distribution ou du
mode de transmission utilisé.
Article 36
Toute communauté linguistique a le droit de disposer de
tous les moyens humains et matériels nécessaires
pour assurer le degré souhaité de présence
de sa langue et de libre expression culturelle dans les
médias de son territoire : personnel dûment
formé, financement, locaux et équipements, moyens
techniques traditionnels et technologie de pointe.
Article 37
Toute communauté linguistique a le droit de recevoir
à travers les médias une connaissance approfondie
de son patrimoine culturel (histoire et géographie,
littérature etc.), ainsi que le plus haut degré
d'information possible sur toute autre culture que
désirent connaître ses membres.
Article 38
Les langues et les cultures de toutes les communautés
linguistiques doivent recevoir un traitement équitable et
non discriminatoire de la part des médias du monde
entier.
Article 39
Les communautés visées à l'article 1,
paragraphes 3 et 4, de la présente Déclaration,
tout comme les groupes évoqués dans le paragraphe 5
du même article, ont droit à une
représentation équitable de leur langue dans les
médias du territoire où elles sont établies
ou se déplacent. L'exercice de ce droit se doit
d'être en harmonie avec l'exercice des droits des autres
groupes ou communautés linguistiques du territoire.
Article 40
Toute communauté linguistique a le droit de disposer
d'équipements informatiques adaptés à son
système linguistique ainsi que d'outils et de produits
informatiques dans sa langue, afin de profiter pleinement du
potentiel qu'offrent ces technologies pour la libre expression,
l'éducation, la communication, l'édition, la
traduction et, en général, le traitement de
l'information et la diffusion culturelle.
Section V - Culture
Article 41
1. Toute communauté linguistique a le droit d'utiliser sa
langue, de la maintenir et de la renforcer dans tous les modes
d'expression culturelle.
2. L'exercice de ce droit doit pouvoir se développer
pleinement sans que l'espace de la communauté
concernée soit occupé d'une façon
hégémonique par une culture
étrangère.
Article 42
Toute communauté linguistique a le droit de se
développer pleinement dans son propre domaine
culturel.
Article 43
Toute communauté linguistique a le droit d'accéder
aux oeuvres produites dans sa langue.
Article 44
Toute communauté linguistique a le droit d'accéder
aux programmes interculturels, moyennant la diffusion d'une
information suffisante et un soutien aux activités
d'apprentissage de la langue pour les étrangers ou
à celles de traduction, de doublage, de
postsynchronisation et de sous-titrage.
Article 45
Toute communauté linguistique a le droit d'exiger que la
langue propre au territoire occupe une place prioritaire dans les
manifestations et les services culturels (bibliothèques,
vidéothèques, cinémas,
théâtres, musées, archives, folklore,
industries culturelles et toutes les autres expressions de la vie
culturelle).
Article 46
Toute communauté linguistique a le droit de
préserver son patrimoine linguistique et culturel, y
compris dans ses manifestations matérielles comme les
archives, les oeuvres et ouvrages d'art, les réalisations
architecturales et bâtiments historiques ou les
épigraphes dan sa langue.
Section VI - Domaine socio-économique
Article 47
1. Toute communauté linguistique a le droit
d'établir l'usage de sa langue dans toutes les
activités socio-économiques au sein de son
territoire.
2. Tout membre d'une communauté linguistique a le droit de
disposer dans sa langue de tous les moyens que requiert
l'exercice de son activité professionnelle, tels les
documents et ouvrages de référence, les modes
d'emploi, les imprimés de toutes sortes ou encore le
matériel et les logiciels et produits informatiques.
3. L'utilisation d'autres langues dans ce domaine ne peut
être exigée que dans la mesure où la nature
de l'activité professionnelle concernée le
justifie. En aucun cas une autre langue d'apparition plus
récente ne peut restreindre ou supprimer l'utilisation de
la langue propre au territoire.
Article 48
1. Sur le territoire de sa communauté linguistique, toute
personne est en droit d'utiliser sa propre langue, avec pleine
validité juridique, dans les transactions
économiques de toutes sortes, comme l'achat ou la vente de
biens ou de services, les opérations bancaires, les
polices d'assurance, les contrats de travail et autres.
2. Aucune clause de ces actes privés ne peut exclure ou
limiter l'utilisation d'une langue sur son propre
territoire.
3. Sur le territoire de sa communauté linguistique, toute
personne est en droit de disposer dans sa langue des documents
nécessaires à la réalisation des
opérations mentionnées ci-dessus, tels les
imprimés, les chèques, les contrats, les factures,
les bordereaux, les commandes et autres.
Article 49
Sur le territoire de sa communauté linguistique, toute
personne est en droit d'utiliser sa langue dans n'importe quel
type d'organisations socio-économiques, tels les syndicats
ouvriers ou patronaux et les associations ou ordres
professionnels.
Article 50
1. Toute communauté linguistique a le droit d'exiger une
présence prédominante de sa langue dans la
publicité, sur les enseignes commerciales, dans la
signalétique et, d'une façon
générale, dans l'image du pays.
2. Sur le territoire de sa communauté linguistique, toute
personne est en droit de bénéficier dans sa langue
d'une information complète, aussi bien orale
qu'écrite, sur les produits et les services que proposent
les établissements commerciaux, ceci concernant tant les
modes d'emploi que les étiquettes, les listes
d'ingrédients, la publicité, les garanties et
autres.
3. Toutes les indications publiques concernant la
sécurité des personnes doivent être
exprimées dans la langue propre au territoire
concerné dans des conditions non inférieures
à celles de toute autre langue.
Article 51
1. Toute personne a le droit d'utiliser la langue propre au
territoire dans ses relations avec les entreprises, les
établissements commerciaux et les organismes privés
et d'exiger qu'il lui soit répondu dans cette
langue.
2. Toute personne a le droit, comme client, consommateur ou
usager, d'exiger d'être informée oralement ou par
écrit dans la langue propre au territoire dans les
établissements ouverts au public.
Article 52
Toute personne a le droit d'exercer ses activités
professionnelles dans la langue propre au territoire, sauf si les
fonctions inhérentes à l'emploi requièrent
l'utilisation d'autres langues, comme c'est le cas des
professeurs de langues, des traducteurs ou des guides.
DISPOSITIONS ADDITIONNELLES
Première
Les pouvoirs publics, dans leurs domaines d'action, doivent
prendre toutes les mesures opportunes pour l'application des
droits proclamés dans la présente
Déclaration. Plus particulièrement, des fonds
internationaux devront être destinés à l'aide
à l'exercice des droits linguistiques pour les
communautés manifestement sans ressources. Les pouvoirs
publics doivent, par exemple, apporter l'aide nécessaire
à la codification, à la transcription et à
l'enseignement des langues des diverses communautés, ainsi
qu'à leur utilisation dans l'administration.
Deuxième
Les pouvoirs publics doivent veiller à ce que les
autorités, les organisations et les personnes
concernées soient informées des droits et des
devoirs qui découlent de la présente
Déclaration.
Troisième
Les pouvoirs publics doivent prévoir, en accord avec la
législation en vigueur, les sanctions réprimant la
violation des droits linguistiques visés par la
présente Déclaration.
DISPOSITIONS FINALES
Première
La présente Déclaration propose la création
d'un Conseil des Langues au sein des Nations unies. C'est
à l'Assemblée générale des Nations
unies qu'il revient de mettre en place ce Conseil, de
définir ses fonctions et de nommer ses membres. Il est
également de son ressort de créer l'organisme de
droit international chargé de défendre les
communautés linguistiques à la lumière des
droits reconnus dans la présente Déclaration.
Deuxième
La présente Déclaration propose et promeut la
création d'une Commission mondiale des droits
linguistiques non officielle et consultative, composée de
représentants des ONG et d'autres organisations
concernées par les problèmes de droit
linguistique.
Barcelone, juin 1996
1 - L'Union Européenne et les Nations sans Etat, sujet
brûlant d'actualité
Dans les divers Traités et Accords qui ont marqué
le processus de création et de développement de
l'Union européenne, il faut mentionner, en tant que
protagonistes du projet et de sa réalisation, non
seulement les gouvernements étatiques, mais encore les
citoyens et les peuples qui forment la société
européenne. Ce sont, en définitive, les citoyens et
les peuples qui donnent leur sens et
représentativité aux gouvernements
étatiques. Cependant, il y a des déficits
structurels et politiques dans l'intéraction entre les
gouvernements établis, les citoyens et les peuples.
Autrement, il n'y aurait plus de conflits et de tensions qui
marquent aujourd'hui, souvent d'une façon grave, la vie
quotidienne de la société européenne.
Pour combler ces déficits, l'Union Européenne
devrait être un nouveau terrain ou un nouveau environnement
dans lequel puissent s'ouvrir de plus nombreuses et meilleures
voies, afin de mieux promouvoir le respect et
l'égalité intrinsèques de tous les
êtres humains (dans notre cas, de tous les citoyens
européens) ainsi que le respect à la
différence qui personnifie ou distingue chacun de ces
citoyens (avec les langues, cultures, et identifications
correspondantes à un des peuples ou communautés qui
forment la mosaïque humaine de notre continent).
Ce processus devrait permettre d' avancer vers le
perfectionnement de la démocratie et, en
conséquence, de la coexistence, de personnes et de
peuples, qualifiés généralement de
minorité sur leur propre territoire historique, se
trouvent marginalisés; à cause d'un ensemble de
circonstances qui ne leur ont pas été favorables.
Ce sont ces personnes et ces peuples qui sont les plus
disposés, au moins objectivement, à revendiquer une
Union Européenne qui soit, véritablement, le
paradigme, dans le monde, de la pluralité et de
l'égalité des citoyens, peuples ou nations.
Malgré tout, il n'existe pas assez de plateformes ou de
points de rencontre entre les partis, mouvements, associations
des peuples marginalisés ou non reconnus comme tels, pour
pouvoir discuter et fixer les axes de travail de manière
à obtenir l'Union Européenne qu'ils souhaitent,
c'est-à-dire plus compréhensive et compromise avec
leur propre réalité plurinationale. C'est de
là qu'est partie la proposition bien opportune que
l'association culturelle CIEMEN (Centre International
Escarré pour les Minorités Ethniques et les
Nations) et d'autres associations ont diffusé, au
début des années 1980, de créer une
"Conférence des Nations sans Etat d'Europe" (CONSEU)
permanente. La proposition répondait aux besoins de
trouver une issue à un sujet brûlant au sein de
l'Union Européenne qui pose en question les visions et les
comportements démocratiques de la classe politique
dominante.
2 - Objectifs de la CONSEU
Depuis sa toute première session, en 1986, la CONSEU a
étudié les aspects communs qui caractérisent
la situation des Nations sans Etat au sein de l'Europe et a
recherché des solutions aux problématiques,
également communes, qui concernent ces Nations dans le
contexte européen et, plus généralement,
dans le monde. Les participants des trois sessions qu'a tenu la
CONSEU (1986, 1989, 1998) ont toujours essayé de
défendre le principe selon lequel, pour reformuler la
question nationale et pour redonner à tous les citoyens et
à tous les peuples la place juste qui leur correspond au
sein de la mosaïque qu'est la société
européenne, il faut approfondir le sens des droits de
l'homme.
Dans cette perspective, un des aboutissements les plus
remarquables, à ce jour, de la CONSEU a été
la rédaction d'une "Déclaration Universelle des
Droits Collectifs des Peuples" proposée à la
société et à ses institutions en tant que
complément à la "Déclaration Universelle des
Droits de l'Homme" (concentrée sur les droits individuels)
et point de référence pour la construction de
systèmes démocratiques plus conformes à
l'évolution de la compréhension des droits humains.
Cette dernière initiative de la CONSEU est une tentative
de combler un vide, étant donné que jusqu'à
présent aucune institution officielle n'a
démontré un vrai intérêt pour ce
thème, malgré le fait que la société
civile assume de plus en plus que nous nous trouvons dans une
"nouvelle génération" des droits humains,
marquée justement par leur dimension collective, et qu'il
faut être conséquents Avec sa démarche, la
CONSEU a voulu souligné que les valeurs de
référence pour construire l'Union Européenne
sont insuffisants dans la "Déclaration Universelle des
Droits de l'Homme" de l'ONU. Il faut avancer pour que, par
exemple, l'Union Européenne soit capable de
répondre à ces défis, afin de bâtir
une Europe plus humaine, plus fidèle à
l'identité plurielle qui la défini. Bien sûr,
l'introduction des coordonées contenues dans la dimension
collective des droits humains, implique des changements
importants dans la restructuration de l'espace politique
européen. La CONSEU les a signalé à travers
ce slogan: non à l'Europe fermée des Etats, oui
à l'Europe ouverte des Peuples ou Nations. C'est à
dire, non à une Europe qui veut construire un nouveau
espace démocratique en tenant compte seulement les droits
humains individuels, oui à une Europe qui assume les
droits humains dans leur double versant, individuelle et
collective.
C'est dans le contexte de telles contradictions, qu'est apparue
l'idée, chaque jour plus partagée et
consolidée, que l'Union Européenne, pour arriver
à atteindre ce qu'elle devrait être, doit se doter
de sa propre Constitution, qui corresponde à ce que les
Européens veulent pour leur futur. Les discussions autour
de cette question, ont commencé à se cristalliser,
au niveau de la classe politique dominante, en un projet de
"Charte Européenne des Droits Fondamentaux"; projet qui
est retenu par plusieurs observateurs et politiciens comme
l'embryon ou le préambule de ce que serait la Constitution
Européenne, d'après les critères qu'on
pourrait définir de l'Europe officielle.
3 - Contribution au débat sur la nécessité
de rédiger une "Constitution Européenne"
Encouragé par cette dynamique, le Secrétariat de la
CONSEU, aux termes des résolutions prises dans la
Troisième Assemblée Générale de la
CONSEU (22 novembre 1998), convoque la Quatrième
Assemblée Générale pour les 19-21 janvier
2001 Barcelone (Pays Catalans), dans les conditions
indiquées par le Programme ci-joint.
Le thème central de la Quatrième Assemblée
Générale sera, comme vous pourrez l'observer dans
le texte du Programme, la Constitution Européenne: que
peuvent apporter les Nations sans État, à partir de
leurs expériences respectives et de leurs respectives
revendications ou aspirations.
D'ores et déjà, le Secrétariat de la CONSEU
demande que les participants à cette assemblée
(ouverte à tous ceux accrédités d'une
association civique, politique ou syndicale) préparent
leur contribution, par écrit, si possible, afin de
simplifier et de faciliter les travaux.
Un des objectifs des travaux de la Quatrième
Assemblée est de démontrer que beaucoup de membres
des Nations sans Etat sont favorables à une Constitution
Européenne qui considère les droits de l'homme
individuels et collectifs comme valeurs prioritaires, comme
source, justification et garantie de la démocratie
à construire.
Les propositions concrètes issues de cette
Assemblée, seront adressées aux institutions
européennes, en commençant par le Parlement
européen, et à la société
européenne en général; propositions qui
puissent servir à améliorer ou compléter
d'autres projets qui s'élaborent dans diverses
instances.
Enfin, Il s'agit d'une occasion unique, dans le sens que nous
nous trouvons au seuil du processus qui devrait nous mener
à faire un pas de grande signification pour le futur de
l'Union Européenne. Les Nations sans Etat ont,
naturellement, leur mot à dire, encore qu'à
certains niveaux de décision elles se trouvent
écartées comme telles.
4 - Considerazioni sulla CONSEU
La CONSEU deve diventare una dinamica reale. Per riuscirci
è necessario svincolarla dal CIEMEN che - tuttavia - ne
è, ne resta e ne deve rimanere il principale componente.
La CONSEU non può vivere solo e quando il CIEMEN si attiva
per realizzarne una nuova edizione, assumendone - tra l'altro -
gli oneri e gli obblighi. Altrimenti la CONSEU corre gli stessi
rischi che già il CIEMEN corre e, cioè, la
catalanizzazione. Altrimenti la CONSEU resterà solo una
delle molteplici attività del CIEMEN.
Propongo che la CONSEU diventi un Parlamento delle Nazioni senza
Stato e che, di conseguenza, ogni Nazione vi abbia un proprio
"Parlamentare". I lavori di preparazione delle riunioni del
Parlamento dovranno essere coordinati da un "esecutivo",
organismo ristretto ed agile, formato da persone che possano
contattarsi ed incontrarsi con una certa facilità; il
CIEMEN potrà agevolare questa fase di lavoro, facendo in
modo che i membri di questo esecutivo siano i
referenti/protagonisti/invitati nelle attività (riunioni,
convegni, congressi, dibattiti) promosse e finanziate da enti
diversi (Governi locali, Parlamento europeo, ecc.) per affrontare
le diverse problematiche. I membri di questo esecutivo potranno
approfittare di queste occasioni per incontrarsi e discutere le
problematiche della CONSEU, spostandosi grazie a rimborsi ed
ospitalità.
E' necessaria, quindi, una fase di ricostituzione della CONSEU;
la partecipazione ai lavori della CONSEU da parte di Parlamentari
e rappresentanti politici che vi aderiscono come si aderisce ad
un Congresso qualunque, non serve a nulla. La partecipazione di
Parlamentari e forze politiche che usano la CONSEU, ma non ne
portano in alcun modo avanti i progetti, è inutile e
negativa: si rischia addirittura che per avere una di queste
partecipazioni occasionali, si delegittimi il lavoro di chi opera
con più continuità e coerenza, ma non ha al momento
posizioni di potere o di prestigio e vede presenti nella CONSEU
proprio i responsabili di questa situazione.
Propongo la designazione di un "esecutivo" provvisorio, formato
da persone che abbiano il compito di convocare la prossima CONSEU
in modo che questa sia davvero una riunione del Parlamento delle
Nazioni senza Stato.
E' indispensabile che il CIEMEN riattivi il proprio sito INTERNET
e che questo sia articolato, come lo era in passato, con una
finestra riservata alla CONSEU.
Questa edizione della CONSEU è deficitaria dal punto di
vista della comunicazione e della organizzazione, perché
non basta inviare un programma di massima ai potenziali
partecipanti per ottenere un risultato; e non si può
ottenere l'attenzione dei media senza una preparazione adeguata
ed appositamente gestita all'interno delle singole Nazioni senza
Stato.
Non si deve aver paura di agganciare in alcune Nazioni senza
Stato solo dei piccoli gruppi o dei singoli militanti; se - ad
esempio - i partiti nazionalitari non rispondono perché
sostanzialmente difendono posizioni meramente regionaliste,
dobbiamo avere il coraggio della clandestinità
intellettuale, dare forza alle piccole, ma coerenti voci e non
aggregarsi al coro della cultura dominante, nemmeno al coro delle
accomodanti scelte di quanti considerano le Nazioni senza Stato
delle Minoranze e, in virtù di questo, mendicano
privilegi, briciole d'autonomie, stracci di regionalismo.
Purtroppo perfino all'interno delle Nazioni senza Stato il
riconoscersi "minoranze" cui spettano diritti promessi e fissati
da altri, è un atteggiamento prevalente, neppure
giustificato da scelte strategiche che rendano tale
rivendicazione preferibile al nulla, ma risultato di
un'omogeneizzazione delle coscienze e di un appiattimento
culturale.
A tal punto ciò è grave che chi rivendica
l'autodeterminazione - non ha bisogno di fare le scelte
drammatiche dell'ETA per esser considerato portatore di
rivendicazioni illegali e pericolose. A tal punto manca il
coraggio di assumere tali posizioni, che per non essere
criminalizzati, oltre a ridimensionare la portata delle proprie
rivendicazioni, ci si unisce al coro di quanti considerano gli
etarra solo dei criminali.
Dobbiamo cercare l'autodeterminazione nella pace, ma non possiamo
suicidarci per far piacere agli Stati, alla destra europea
postfascista, postnazista e postfranchista. Bisogna negare agli
Stati - responsabili della minorizzazione delle Nazioni senza
Stato - ed ai partiti della destra statonazionalista il diritto
di considerare chiusa la storia e di negare, pertanto, che il
diritto all'autodeterminazione possa ancora essere esercitato
anche in Europa, malgrado l'Europa.
La CONSEU deve diventare un momento di concreta militanza
politica, non una passerella per politici in carriera, non una
spazio dove realizzare sofisticate operazioni di chirurgia
giuridica, sottilizzando sul significato delle parole e - di
fatto - consegnando non agli intellettuali, ma
all'intellettualismo il compito di approfondire la trattazione
dei problemi.
In questo modo potremo ottenere almeno un risultato: quello di
fare da cassa di risonanza per i protagonisti di una cultura
diversa da quella legata - in un modo o nell'altro - alle logiche
del compromesso troppo forti in Europa, negli Stati e perfino
all'interno delle Regioni/Comunità, ecc. dove concreta
dovrebbe essere, invece, la preoccupazione non per l'Europa, non
per i singoli Stati, non per le Regioni/Comunità, ecc., ma
per la propria Nazione senza Stato.
Manca uno spazio di libertà per le Nazioni senza Stato: in
Europa tutto sembra limitarsi culturalmente a ciò che si
può fare nel Bureau, politicamente a ciò che fa il
partito europeo che raggruppa gli autonomisti o a ciò che
fa l'Intergruppo delle minoranze nel Parlamento Europeo,
istituzionalmente al lavoro all'interno del Comitato delle
Regioni, negli spazi della Cooperazione transfrontaliera, nei
Comitati (ad esempio per le Alpi o altro), nelle Regioni o
Comunità Autonome.
Il titolo che ho dato a queste brevi considerazioni e proposte,
riassume lo spirito che credo debba animarci, altrimenti, lo
ripeto, la CONSEU diventerà un Congresso qualunque, una
delle tante attività del CIEMEN e la Dichiarazione
Universale dei Diritti Collettivi uno dei tanti velleitari
appelli, più significativo di tanti altri documenti
conclusivi di Congressi solo perché si è dato un
titolo roboante.
Questo documento è stato redatto e discusso in seno
alla "noua Equipe d'Action Culturelle", associazione culturale
che, sorta in forma spontanea nel 1967, organizzata
strutturalmente nel 1973, attiva sotto questa forma fino al 1998,
riorganizzata in prospettiva "nuova" nel 1999, ha recentemente
raccolto 2487 firme in calce ad un progetto di legge d'iniziativa
popolare per il riconoscimento della lingua francoprovenzale come
lingua della Valle d'Aosta.
Negli ultimi dieci anni le forze politiche, sindacali e culturali
attive in Valle d'Aosta si sono misurate in modo molto
contraddittorio con il problema della autodeterminazione e della
costruzione dell'Europa dei Popoli.
Fino al 1990 l'UV, partito di maggioranze relativa, si definiva
"movimento nazionalitario", portava avanti accordi organici di
collaborazione politica ed elettorale con le forze delle
nazionalità presenti nello Stato italiano; il SAVT,
secondo sindacato in VdA, se pur a fatica dava seguito agli
intenti condivisi con gli altri Sindacati del CPSN (Comitato
Permanente dei Sindacati Nazionalitari); le forze culturali o
risultavano autocentrate (e, quindi, poco attente alle dinamiche
internazionali), o erano fiancheggiatrici dell'UV e della sua
politica interna ed esterna. L'UV ed i suoi uomini che reggevano
il potere locale, hanno poi mutato scelte e posizioni:
in ambito culturale, hanno privilegiato i rapporti con il
COMFEMILI, gestito e controllato da personaggi della politica
italiana, contribuendo a far entrare in crisi le organizzazioni
nazionalitarie storiche;
in ambito sindacale hanno quasi interrotto le relazioni con i
sindacati membri del CPSN, limitandoli alle sole occasioni
ufficiali e simboliche, privilegiando politiche di unità
con i sindacati italiani;
in ambito politico elettorale hanno interrotto la stretta
collaborazione con i partiti nazionalitari, giungendo alle ultime
elezioni europee ad apparentarsi con un partito italiano, i
Democratici di Prodi e Di Pietro, ottenendo un parlamentare
europeo;
in ambito istituzionale hanno presentato a Roma un progetto di
"trasformazione dello Stato in senso federalista", nel quale
tutte le attuali Regioni dello Stato italiano vengono definite
Repubbliche, rinunciando a qualsiasi affermazione relativa alle
nazionalità ed al fatto che le attuali Regioni
corrispondono solo ad un criterio geografico.
La rinuncia ad una politica nazionalitaria si è tradotta
in posizioni regressiste assunte a fronte di diverse
problematiche:
a fronte di un referendum popolare che chiedeva il riconoscimento
del francoprovenzale come lingua, l'UV, il SAVT e le forze
culturali affini, hanno affermato che il francoprovenzale non
è una lingua;
a fronte del dibattito sulla applicazione dell'articolo 6 della
Costituzione italiana (lo Stato tutela le minoranze
linguistiche), l'UV ha tiepidamente sostenuto la rivendicazione
e, quando una legge è stata approvata dallo Stato, ha
sostenuto i diritti della lingua francoprovenzale in Piemonte, ma
non in Valle d'Aosta;
i richiami da parte di esponenti culturali al rispetto della
Dichiarazione Universale dei Diritti linguistici, che il
Consiglio regionale della Valle d'Aosta ha pur formalmente
approvato, sono stati inutili.
E' successo, così, che all'interno dell'UV prima, e fuori
di essa poi, si è fatta sentire una contestazione
fortemente ancorata ai valori ideali e caratterizzata dalla
rivendicazione del diritto alla autodeterminazione e dalla
affermazione che il francoprovenzale è la vera lingua dei
valdostani (senza negare il valore storico culturale della lingua
francese).
E' successo che è stata contestata una legge regionale che
prevede il pagamento a tutto il pubblico impiego di
un'indennità di bilinguismo: ogni mese i lavoratori
percepiscono una somma per il fatto che "conoscono la lingua
francese"; questa conoscenza non è neppure accertata
seriamente e, comunque, è assurdo che se la lingua
francese fosse la lingua dei valdostani, come afferma l'UV che
considera il francoprovenzale un dialetto francese, questi siano
pagati perché la conoscono: un referendum per
l'abrogazione di questa legge ha raccolto oltre 2000 firme ed
è stato poi sospeso per non scatenare uno scontro
linguistico, avendo comunque trovato l'opposizione dell'UV e del
SAVT che con questa indennità hanno "comprato" quanti non
conoscono la lingua francese, non la usano, ma si fingono
bilingui.
E' successo che alle ultime elezioni regionali un movimento
politico indipendentista, formato da giovani e da ex unionisti,
ha raccolto l'1% dei voti, togliendo all'UV (che ha conquistato
17 seggi dei 35 disponibili nel Consiglio regionale) il 18°
seggio.
E' successo che alle ultime regionali, quasi il 30% della
popolazione o non ha votato o ha lasciato la scheda in bianco o l
'ha annullata.
In Italia l'azione del CIEMEN e gli effetti della CONSEU sono
impossibili se si continua a ritenere che partiti come l'UV o la
SVP o il Partito Sardo d'Azione (che in SudTirolo e in Sardegna
operano sostanzialmente con le stesse contraddizioni dell'UV in
Valle d'Aosta) e governi locali come quelli retti dall'UV o dalla
SVP o con l'apporto del PSd'Az. possano essere un interlocutore
privilegiato. E' piuttosto necessario portare avanti con coerenza
le "nostre" prospettive e richiamare i partiti e movimenti
nazionalitari dello Stato italiano ad un'azione più
corretta: toni e modalità possono essere affinati, ma la
sostanza non cambia: se ci accontentiamo delle Dichiarazioni di
principio, non andremo lontano.
Al moment que estem entrant en el període de
construcció política de la Unió Europea i
que comença el procés d'integració al seu si
de pobles i nacions del centre i de l'est del nostre continent,
la CONSEU ha convocat la seva IV Assemblea plenària, a
Barcelona, els dies 19-21 de gener del 2001. En coherència
amb les raons que la van fer néixer, el 1985, s'ha
proposat donar nous passos cap a la promoció dels drets
col·lectius fonamentals dels pobles i de les nacions sense
Estat.
La CONSEU considera que la dinàmica actual de
construcció de la Unió Europea, seguidora dels
acords diplomàtics presos entre Estats que s'han
atribuït la sobirania popular a fi d'organitzar el mercat
liberal, no pot desembocar en la formació d'institucions
europees realment democràtiques. Ho il·lustra el
fet que l'essencial del poder legislatiu ha estat usurpat per una
Conferència intergovernamental i un Consell Europeu,
emanacions dels Estats. Aquesta confiscació és en
detriment del Parlament Europeu, l'única
representació democràtica que té avui la
Unió Europea. En efecte, al Parlament Europeu només
se li concedeix un paper de codecisió, amb
competències limitades.
D'altra part, la "Carta dels Drets Fonamental de la Unió
Europea", tal com ha estat adoptada pels Estats, a través
del Consell Europeu, a Niça el desembre del 2000, tot i
tenir presents una sèrie important de drets humans
individuals, no segueix la mateixa línia pel que fa als
drets col·lectius dels pobles. Aquests es troben
reduïts a una petició de principi tan sols referit al
respecte de la diversitat cultural i lingüística. Si
en la perspectiva d'elaboració d'una Constitució
Europea, l'aportació d'aquesta Carta resulta si més
no un mig fracàs, és perquè els governs
estatals conserven una clara voluntat de continuar repartint-se
les prerrogatives de la sobirania per a utilitzar-les segons les
seves conveniències.
Tanmateix, la necessitat d'elaborar normes jurídiques i
polítiques fonamentals que esdevinguin la base per a
organitzar les institucions europees i el funcionament de la
Unió Europea, constitueix una preocupació de primer
ordre en el conjunt de la societat civil europea. D'aquí
que la CONSEU s'hagi decidit a promoure i alimentar un debat per
tal que d'aquesta preocupació, convertida en oportunitat
històrica, en surtin unes propostes sobre la
construcció d'unes institucions europees: unes
institucions que, tot posant en qüestió la
visió estatalista d'Europa dels segles XIX i XX, siguin
garantides per una Constitució que tingui com a
paràmetres, d'una banda, els Drets Humans, tal com
són articulats en la Declaració Universal dels
Drets Humans de l'ONU i la Convenció Europea dels Drets
Humans, i de l'altra banda, en la Declaració Universal
dels Drets Col·lectius dels Pobles, redactada i aprovada
per la CONSEU, en sintonia amb l'anomenada nova generació
dels drets humans.
En efecte, la construcció de la futura Europa no
garantiria el principi de la igualtat dels éssers humans
si no es basés en el respecte d'unes normes que són
els eixos de qualsevol organització democràtica de
la vida pública.
Com a primer pas, i per a fer arrencar una dinàmica
constituent, des de les Nacions sense Estat d'Europa, les
organitzacions presents a la quarta CONSEU, originàries de
nombrosos països, han centrat l'atenció en els
següents aspectes que haurien de ser contemplats en la
Constitució Europea: els principis generals d'un dret
democràtic europeu, els fonaments de les institucions
europees futures, la sobirania compartida, la gestió dels
moviments migratoris i del creixement sostenible.
Sobre aquests punts, la CONSEU ha marcat les línies de
recerca i reflexió que es podrien sintetitzar en els
següents enunciats:
1) la separació efectiva dels poders i la devolució
efectiva de les facultats legislatives a la representació
popular democràticament elegida;
2) el respecte al dret a l'autodeterminació de tots els
pobles del continent, sigui quina sigui la seva dimensió
demogràfica;
3) el compartir voluntàriament i igualitàriament
entre aquests pobles la seva respectiva sobirania per a
l'interès comú;
4) la possibilitat oferta a qualsevol migrant de gaudir plenament
dels mitjans per relacionar-se i viure dins de la comunitat en
què s'instal·la i per integrar-s'hi.
Dins d'aquesta perspectiva cal fer evolucionar les institucions
actuals de la Unió Europea seguint un procés que
les porti a transformar-se per fer possible la realització
dels objectius apuntats. Es tracta d'un procés que
s'haurà d'anar verificant per etapes successives.
Per a portar a terme una primera etapa, la CONSEU proposa:
1) transferir ràpidament el poder legislatiu al Parlament
Europeu i el poder executiu a la Comissió Europea;
2) generalitzar el mode d'escrutini electiu del Parlament Europeu
en circumscripcions electorals que corresponguin, almenys, a les
diverses nacions, amb o sense Estat existents, tot reunint
eventualment les nacions que avui es troben separades per
fronteres estatals.
3) facultar la participació de les nacions sense Estat, a
través dels seus representants elegits, en els
àmbits de decisió europeus en tots els afers que
les afectin més directament.
A fi de potenciar la dinàmica de reflexió i de
diàleg per a elaborar propostes de cara a la
confecció de la Constitució Europea,
dinàmica iniciada en el curs de la present sessió
plenària, la CONSEU vol consolidar-se com a "grup de
pressió". I amb aquest objectiu decideix::
1) crear un Comitè de seguiment de les resolucions preses,
amb la missió de recollir les propostes, preparar i
redactar un projecte institucional global per a l'Europa dels
Pobles;
2) restablir el Secretariat permanent que tindrà aquestes
funcions:
2,1), sostenir logísticament el Comitè de
seguiment;
2,2), alimentar el debat el més ampli possible sobre les
orientacions esmentades, en particular a partir de la
instal·lació d'una pàgina web pròpia
a internet, oberta a totes les contribucions;
2,3), convocar una Convenció dels Pobles d'Europa per a
aprovar un projecte definitiu de Constitució Europea, a
partir dels treballs del Comitè de seguiment, abans de la
cimera intergovernamental europea que tindrà lloc a Berlin
el 2004 i en la qual es discutiran, probablement, els continguts
de la Constitució Europea.
La CONSEU, a través dels seus òrgans esmentats, es
compromet ja a:
1) presentar, en un breu termini els primers resultats dels seus
treballs al Parlament Europeu, partint de la voluntat expressada
en la present resolució, com a primera contribució
a la reflexió general sobre el futur de la Unió
Europea i de les seves institucions;
2) tenir informats, periòdicament, els parlamentaris
europeus sobre els progressos dels treballs del Comitè de
seguiment fins a la Convenció anunciada;
3) difondre les resolucions preses al conjunt de l'opinió
pública europea.
En tota aquesta sèrie de propostes i decisions, la CONSEU
vol remarcar el seu convenciment que com més
democràtic sigui l'espai humà europeu, més
cabuda justa hi tindran tots els seus ciutadans i tots els
pobles, millor convivència i solidaritat hi haurà
entre ells. És per això que la CONSEU està
ben decidida a continuar la seva tasca comuna amb la certesa que
el respecte als Drets Col·lectius dels Pobles en
l'elaboració de normes que hauran de regir l'Europa
futura, és l'únic mitjà per a preservar una
pau duradora, més enllà dels conflictes que,
després de la segona guerra mundial, han estat massa
sovint generats pel no respecte a aquests drets
fonamentals.
Finalment, la CONSEU es felicita per l'interès que
està suscitant, sigui entre les Nacions sense Estat
d'Europa, com bé ho demostra la participació de
representants polítics, socials, culturals, de tantes
d'aquestes Nacions, sigui entre els parlamentaris europeus de
diferents formacions, com bé ho manifesta la seva
participació en aquesta IV Assemblea.
L'Assemblea de la IV Conferència de Nacions sense Estat
vol encara felicitar el Centre Internacional Escarré per a
les Minories Ètniques i les Nacions (CIEMEN), en
ocasió del vint-i-cinquè aniversari del seu
naixement, tot recordant que és l'organisme que va
permetre la creació de la mateixa CONSEU i li ha garantit
la continuïtat. Els participants en la present CONSEU li
desitgen que pugui prosseguir les seves tasques de
col·laboració amb la CONSEU amb l'entusiasme,
rigor, perseverança i coratge que sempre ha
demostrat.
Barcelona, 21 de gener del 2001
El CIEMEN valora molt positivament la celebració de la
IV Assemblea de la Conferència de Nacions sense Estat
d'Europa (CONSEU), que ha tingut lloc al Pati maning (Antiga Casa
de la Caritat) de Barcelona, durant els dies 19, 20 i 21 de
gener:
- La iniciativa ha tingut el suport institucional de la
Generalitat de Catalunya, a través de la Conselleria de
Relacions Institucionals (des de la Direcció General de
Relacions Exteriors), de la Diputació de Barcelona i de
l'Ajuntament de Barcelona.
- Per a la seva organització s'ha comptat amb un Consell
assessor fomat per persones vinculades a diverses opcions
polítiques, Joan Vallvé (CiU), Jaume Renyer(ERC),
Joan Colom i Xavier Rubert de Ventós (PSC), Antoni
Gutiérrez Díaz (IC).
- La convocatòria ha estat seguida per un públic
nombrós que ha omplert del tot la capacitat de la Sala
d'actes de la Casa de la Caritat.
- Per primera vegada s'ha aconseguit reunir a Barcelona
representants de la majoria de les nacions sense estat d'Europa:
(CiU, ERC, PSC, IC, PSAN, BNV, PSM, PNB, EA, EH, BNG, UDB, PDB,
Còrsica Nazione, Sardigna Natzione, Partito Sardo
d'Azione, Volksunie, Partit Nacionalista Gal·lès,
Celtic League, Playd Cymru, SNP, Sinn Feinn, ...a més
d'entitats cíviques i culturals)
- Les sessions s'han desenvolupat en un ambient d'absoluta
normalitat democràtica, sense posicions radicals ni
exclusivismes, de manera que han pogut conviure i dialogar des
d'un vicepresident del Parlament Europeu socialista, a
eurodiputats del PNB, EA o EH, en una actitud modèlica per
part de tothom de respecte pels valors democràtics i de
tolerància envers les posicions dels adversaris
polítics.
- S'ha aconseguit fer participar en un mateix fòrum de
debat, representants de diverses formacions polítiques amb
representants d'entitats cíviques i culturals, propiciant
així un acostament real de la societat civil a les
institucions europees.
- Les conclusions dels treballs portats a terme aquests dies
esdevenen una aportació molt interessant de cara a la
construcció d'una Europa més democràtica i
respectuosa amb la diversitat. Es planteja la necessitat
d'avançar cap a una veritable unió europa, entesa
com a federació de pobles, que trenqui amb les actituds
tancades i fonamentalistes d'uns estats que es resisteixen a
perdre els seus privilegis.
- Les nacions sense estat d'Europa representades en la CONSEU han
posat en evidència una clara voluntat europeista, que
contrasta amb els posicionaments conservadors dels estats que a
Niça van voler fer valdre els seus particularismes
alentint així el procés d'unificació
europea, assegurant-se que no perdrien la seva capacitat de
decisió en detriment de les institucions
comunitàries.
- S'ha posat les bases per a crear un ampli grup de
pressió que integri tots els partits nacionalistes
europeus, a més entitats i organitzacions cíviques,
de cara a fer un front comú en defensa dels drets
col·lectius dels pobles. Amb la perspectiva d'un extens
programa d'acció conjunta per fer arribar al Parlament
Europeu, a la resta d'institucions i a l'opinió
pública en general els principis i les propostes
aquí elaborades, i en general la veu de totes les nacions
sense estat.
- L'acord de tots els grups presents a la CONSEU queda
només pendent de la confirmació dels seus
respectius òrgans de direcció, per tal de formar un
secretariat permanent que permeti vehicular fins al Parlament
Europeu les propostes aprovades aquests dies, i emprendre altres
iniciatives de coordinació i d'actuació
conjunta.
Per tot això, el CIEMEN considera aquesta CONSEU com un
esdeveniment molt important de cara a consolidar una força
europea que aglutini les nacions sense estat, que permeti
defensar els seus drets tot construint una Europa més
justa, més democràtica i més respectuosa amb
els drets col·lectius dels pobles.
Il 19 dicembre del 1943 i rappresentanti delle popolazioni
alpine si riunirono clandestinamente a Chivasso per tracciare,
insieme, le linee di un'azione antifascista che portasse alla
caduta del regime ed alla trasformazione dello Stato italiano in
vera Repubblica Federale, sull'esempio della Svizzera e della sua
organizzazione cantonale. La "Dichiarazione di Chiasso" è
rimasta a lungo, e lo è tuttora, un documento di
riferimento imprescindibile per quanti sono impegnati nella
rivendicazione dei diritti dei Popoli.
Tuttavia il 1943 è lontano e, per questa ragione alcuni
esponenti del CIEMEN hanno voluto riunirsi il 19 dicembre
dell'anno 2000 per verificare l'attualità del Documento e
per proporne una riscrittura. Il nuovo Documento non è
stato diffuso in quanto è considerato soltanto una bozza
di lavoro; è stato, però, proposto all'attenzione
di numerosi esponenti della cultura e della politica dell'arco
alpino, affinché una nuova Dichiarazione di Chivasso sia
effettivamente redatta.
Chivasso, 19 dicembre 2000
Noi Popoli delle vallate alpine
CONSTATANDO
che gli effetti della oppressione politica, il mancato reale
sviluppo economico e la distruzione della cultura locale
denunciati nella Dichiarazione sottoscritta il 19 dicembre 1943
come doloroso risultato di 20 anni di governo fascista e
accentratore, ancora permangono in larga parte dopo quasi 60 anni
di democrazia,
RIAFFERMANDO
come nel 1943
a) che la libertà di lingua è condizione essenziale
per la salvaguardia della personalità umana;
b) che il vero federalismo è il quadro più adatto a
fornire le garanzie di questo diritto individuale e collettivo e
rappresenta la soluzione del problema delle piccole
nazionalità, garantendo nel futuro assetto europeo
l'avvento di una pace stabile e duratura.
CONSIDERANDO
che a fronte
- dei mutamenti determinati dalla nascita di un'Europa,
rispondente più ai bisogni degli Stati e dei mercati che a
quelli dei Popoli,
- del fenomeno della mondializzazione
- del fatto che le riforme politico - istituzionali non sono
più procrastinabili in Italia,
si impone l'esigenza di un rinnovato impegno a favore dei diritti
individuali e dei diritti collettivi dei Popoli, diritti
formalizzati in Dichiarazioni, Carte ed Appelli sottoscritti da
istituzioni internazionali o da organismi di cooperazione tra i
Popoli stessi.
DICHIARIAMO
quanto segue:
1- nel quadro generale del prossimo Stato italiano che
economicamente ed amministrativamente auspichiamo sia organizzato
con criteri veramente federalistici, alle valli alpine
dovrà essere riconosciuto il diritto a costituirsi in
comunità politico-amministrative autonome e/o indipendenti
di tipo cantonale;
2- come tali ad esse dovrà. essere assicurata adeguata
rappresentanza nelle assemblee parlamentari dello Stato e
dell'Europa;
3- ad esse dovrà essere riconosciuto, altresì, il
diritto all'uso della lingua locale anche in tutti gli atti
pubblici e il diritto all'insegnamento, in tutte le scuole di
ogni ordine e grado, della e nella lingua stessa.
6- dovrà, inoltre, esser sancito il riconoscimento
costituzionale del diritto alla autodeterminazione.
CI IMPEGNIAMO
- affinché questa Dichiarazione sia ampiamente diffusa
nelle Alpi, concorrendo con questo alla ricomposizione di antiche
Nazioni divise dai confini tracciati dagli Stati, facendo
dell'area alpina il territorio delle libertà e dei diritti
dell'uomo e dei Popoli.
AFFIDIAMO
agli organismi internazionali che si occupano di diritti dei
Popoli e delle minoranze, l'onere morale di tener conto della
voce dei Popoli alpini anche affrontando il difficile momento
della integrazione europea: l'Europa rischia - infatti - di non
essere altro che una sorta di nuovo Stato che promette ai Popoli
ed alle minoranze ciò che i vecchi Stati hanno già
promesso pur di non riconoscere ai Popoli ed alle minoranze il
rispetto dei loro diritti fondamentali e - tra questi - il
diritto alla autodeterminazione.
Il presente progetto è una semplice proposta. Nessuno
si è occupato di dargli un seguito, resta, quindi, lo
studio di attuabilità di un'idea. Illustra l'esigenza di
analizzare cosa ne sia degli emigrati che, provenendo da zone
dove si parla una lingua "meno diffusa", sono andati ad
insediarsi in zone dove sono in uso altre lingue "meno diffuse".
Gli uni diventano lo strumento di denazionalizzazione degli altri
nel momento stesso in cui, essendo costretti all'emigrazione,
subiscono essi stesi gli effetti di una disidentificazione. A
meno che tra immigrati e comunità ospitanti non scattino
meccanismi di solidarietà e di collaborazione ...
Il presente documento, destinato ipoteticamente ad esser
finanziato dalle istituzioni regionali ed europee, ne assume il
linguaggio (in particolare il riferimento alle lingue definite
"meno diffuse") anche se ne resta evidente la
contraddittorietà.
Oggi l'unità europea pone tutti i cittadini su un piano di
parità di diritti.
Gli spostamenti da un paese all'altro per turismo, lavoro,
cultura, sono favoriti e nessuno è più straniero o
emigrante in Europa se appartiene ad uno degli Stati che hanno
costruito l'Europa.
Sussistono, tuttavia, in questa stessa nuova Europa, gli effetti
di un fenomeno sociale relativo ad un diverso momento storico nel
quale molti Popoli europei e, in particolare, quelli
economicamente disagiati, hanno conosciuto massicce
emigrazioni.
Una delle direttrici di queste emigrazioni sono state le Regioni
più ricche dello stesso Stato d'appartenenza; una seconda
direttrice sono state le aree europee dove lo sviluppo economico
ed industriale offriva opportunità di lavoro; una terza
sono stati i più lontani continenti.
Esistono anche situazioni diverse, legate a specifiche
professionalità che hanno aperto spazi importanti a
migranti meno oppressi dai bisogni elementari; o legate a
progetti politici che spostando da un'area all'altra masse
consistenti di popolazione, hanno determinato una
"snazionalizzazione" di aree alloglotte invise alle logiche
centraliste.
Lo studio che ci proponiamo di realizzare consiste nella
riscrittura di alcune pagine di questa storia di migrazioni di
europei all'interno dell'Europea (tralasciando, quindi, l'altra
emigrazione di cui ci occupa prioritariamente nei nostri tempi e,
cioè, quella dei terzomondiali), affrontando temi quali
l'integrazione, o l'assimilazione degli emigranti/immigranti; nel
fare ciò lo studio si propone di verificare, in
particolare per le comunità parlanti lingue che l'Europa
definisce "meno diffuse", come sia stato possibile preservare
radici, identità e lingue originarie insediandosi in
territori dove altre lingue e culture "meno diffuse" sono
presenti; rispetto ai problemi specifici posti da questa
situazione particolare, ci si propone di verificare se
integrazione ed assimilazione sono avvenuti nel rispetto
dell'identità delle comunità ospitanti o invece in
ossequio dei piani centralisti di disidentificazione attivati nei
loro confronti.
Non si tratta di un fenomeno del passato, esaurito dal procedere
della storia: la capillare presenza di associazioni, ad esempio,
friulane, sarde e valdostane in tutta Italia e in tutta Europa
(oltre che nel mondo, ma questo è un altro tema) non
è solo emblematica di altre analoghe situazioni ma, sulla
base di dati concreti, quantunque non analizzati
scientificamente, porta a constatare come anche le seconde e le
terze generazioni dei migranti conservano identità e
lingua di provenienza e chiedono strumenti nuovi per poterla
preservare ulteriormente.
Quindi, mentre oggi auspichiamo che un cittadino sardo che va a
lavorare in Catalogna, impari il Catalano e non dimentichi il
sardo (pur praticando l'italiano e lo spagnolo), dobbiamo
consentire lo sviluppo economico di tutte le comunità,
affinché l'emigrazione non sia più una piaga
determinata dal mancato sviluppo economico ma, effettivamente,
solo una libera circolazione di cittadini europei in
Europa.
Lo studio che ci proponiamo mira a render possibile un mappatura
del fenomeno dell'emigrazione in Europa (e, in particolare
quindi, nelle aree di stanziamento di comunità parlanti
lingue meno diffuse) di cittadini appartenenti a comunità
parlanti altre lingue meno diffuse.
Si ritiene che dall'analisi delle diverse problematiche usciranno
non solo interessanti osservazioni e proposte sulla costruzione
di una coscienza europea ed europeista, non solo concreti
progetti di ulteriore valorizzazione delle lingue "meno diffuse",
ma anche elementi utili a comprendere il nuovo fenomeno
migratorio che pone l'Europa di fronte a significative masse di
extra-comunitari africani e di cittadini dell'Europa
dell'est.
Il progetto si potrebbe sviluppare nell'arco di tre anni di
ricerca, prendendo avvio dall'analisi delle problematiche
dell'emigrazione dallo Stato italiano verso l'Europa di persone o
gruppi parlanti le lingue meno diffuse dello Stato.
L'iniziativa potrebbe essere promossa dalle sezioni operanti in
Italia del CIEMEN e dell'OPM, affiancate dalla LELINAMI.
Partner istituzionali ideali potrebbero essere la Regione
Autonoma Valle d'Aosta, la Regione Sardegna e la Regione Friuli
Venezia Giulia.
Il lavoro di ricerca potrà essere attivato con il
coinvolgimento delle associazioni degli emigranti delle singole
comunità parlanti lingue meno diffuse, interessando -
altresì - le strutture e gli organismi istituzionali
dell'emigrazione italiana.
Il primo passo verso la realizzazione del progetto è la
costituzione di un Comitato scientifico, alla cui composizione
dovranno partecipare gli organizzatori ed i partners.
Il secondo passo è l'attivazione di un gruppo di lavoro,
incaricato di procedere materialmente alla raccolta dei materiali
e dei dati. Questo gruppo potrebbe operare a contatto con
l'Ufficio di Bruxelles del Bureau europeo per le lingue meno
diffuse, al fine di facilitare taluni contatti preliminari ed
ottenere da rappresentanti delle singole comunità parlanti
lingue "meno diffuse", un'analisi per quanto concerne la loro
realtà specifica, della problematica della ricerca.
Il sostegno delle Regioni potrebbe consistere nell'attivazione di
progetti-obiettivo che consentano l'assunzione di personale a
tempo determinato per l'attuazione della ricerca.
Le fasi successive del progetto, relative al secondo ed al terzo
anno, comportano uno sforzo considerevole poiché, la
mappatura dovrebbe interessare il problema delle migrazioni
interne all'Europa di tutte le comunità parlanti lingue
"meno diffuse".
Il Bureau Europeo per le Lingue Meno Diffuse ha edito numerose
pubblicazioni. Tra queste spicca "Parole chiave", curato da
Silvia Carrel. Il volumetto è di un certo interesse, in
particolare perché è il frutto dello sforzo di dare
omogeneità non tanto all'azione del Bureau che opera in
ambiti e contesti ben definiti, quanto al metodo di ricerca e
presentazione delle singole realtà. Chi, tuttavia, ha
un'ottica diversa da quella del Bureau, non può non
individuare alcune contraddizioni nel volumetto, contraddizioni
così riassumibili.
Il volumetto "Parole chiave" edito dal BELMR presenta alcune
incongruenze che andrebbero modificate. Ci sembra, anzitutto,
sbagliato dedicare al BILINGUISMO soltanto lo spazio di un rinvio
al PLURILINGUISMO. Superfluo precisare quanto il Bilinguismo sia
specifico; pur portando al Plurilinguismo, di esso sussistono
esperienze concrete, elaborazioni culturali, analisi
sociolinguistiche e studi psicolinguistici oltre che concrete
esperienze politiche ed amministrative. Ci sembra necessario
trattare anche l'argomento del MONOLINGUISMO, dimenticato del
tutto nel libretto, atteggiamento psicologico rilevante, per
quanto non positivo in assoluto, che induce alcune
comunità parlanti lingue meno diffuse ad affermare,
anzitutto, la propria lingua nel proprio territorio e solo
successivamente, per libera scelta, per necessità di
comunicazione e per situazione contingente disegnata dalla
storia, a passare al bilinguismo ed al plurilinguismo.
Ciò comporta un approfondimento del tema della IDENTITA'
(linguistica, etnica, nazionale) e dei DIRITTI COLLETTIVI che
spettano alle identità stesse, voci che andrebbero
trattate nel manualetto.
Ci sembra assolutamente irrinunciabile poter agevolmente
individuare sul manuale quali Stati abbiano firmato la CARTA
EUROPEA DELLE LINGUE MINORITARIE E REGIONALI; per alcuni è
indicata addirittura la data della firma, per altri non è
indicato neppure se abbiano firmato oppure no. Sarebbe,
altresì, utile poter individuare a quali lingue la Carta
faccia riferimento, poiché, piemontesi, veneti e lombardi
(per fare un esempio delimitato allo Stato italiano) fanno
riferimento alla Carta per affermare che la loro lingua è
riconosciuta a livello europeo, al pari del basco, del sardo,
ecc.
Ci sembra assolutamente necessario che la trattazione di una
lingua meno diffusa, non scompaia nel passaggio da uno STATO dove
è individuata ad un altro dove è stanziata, ma
è dimenticata nel volume. Un esempio emblematico: i
francoprovenzali non esistono solo in Italia; poiché sono
presenti pure in Francia, non possono scomparire nella
trattazione specifica della realtà francese senza che
ciò rappresenti o un errore o una grave
incongruenza.
Talune situazioni linguistiche particolari, vedi le lingue
bavaresi presenti in Italia, meritano una trattazione che ne
evidenzi la specificità: i CIMBRI arrivano dallo Jutland
con cui hanno mantenuto o ritessuto collegamenti culturali; sono
la matrice, non una delle componenti, della presenza "bavarese"
in Italia. Senza questa indicazione risulterebbe necessario
distinguere anche le diversità dialettali WALSER, ecc.,
scendendo via via fino al campanilismo linguistico delle varianti
dialettali.
Ancora per quanto concerne queste stesse comunità vale, in
parte, quanto osservato a proposito dei francoprovenzali: non
sono presenti solo in Italia e non si comprende come possano
scomparire dalla trattazione dei singoli altri Stati in cui sono
stanziati. I WALSER, ad esempio, sono presenti lungo l'asse
Italia, Austria, Svizzera e Liechtenstein. Se, come il volume
evidenzia, sussiste la possibilità che una lingua sia
lingua in uno Stato e dialetto in un altro, ciò non spiega
perché, allora, meritino spazio a sé, i dialetti
d'oil in Francia e non quelli germanici nei paesi di lingua
tedesca.
La sensazione di disomogeneità nasce quando è
evidente che non può essere il CRITERIO NUMERICO DEI
PARLANTI a determinare la considerazione della presenza o meno di
una lingua: poiché, i francoprovenzali scompaiono in
Francia, i grecanici dovrebbero scomparire in Italia ... mentre
è opportuno che in una corretta mappatura nessuno
scompaia.
Il manuale non dovrebbe, poi, dimenticare alcune presenze
linguistiche particolari come i tabarchini di Sardegna, e questo
non per la necessità di dar spazio e citazione ad alcuni
dialetti soltanto, ma perché di essi (dei tabarchini nel
caso specifico) si fa menzione in una legge regionale importante,
quella con la quale la Regione Sardegna ufficializza il sardo e
il catalano.
Perché, poi, occuparsi delle problematiche linguistiche di
alcune COMUNITA' RELIGIOSE (gli ebrei) evitando di trattare, per
analogia, la realtà, ad esempio, della comunità
valdese, a cavallo tra francese, occitano e
francoprovenzale?
Sarebbe utile chiarire se i gruppi linguistici siano INDO-EUROPEI
o no, indicandone sempre l'appartenenza o dandola per scontata e
specificando, di conseguenza, solo i casi contrari.
Sarebbe interessante poter almeno accennare, per alcuni casi
più rilevanti, all'importanza del SUSTRATO LINGUISTICO. Ad
esempio per il sardo è scorretto limitarsi alla
indicazione "lingua autoctona" quando le specifiche del testo
rimandano poi soltanto alle influenze catalane e castigliane
molto importanti, ma non sufficienti a spiegare la
specificità della lingua sarda.
Analogamente varrebbe la pena di citare la presenza di componenti
particolari in una lingua: il francoprovenzale, ad esempio,
conserva qualcosa del suo carattere celtico e qualcosa della sua
STORIA pre-indoeuropea; se questo fatto non è
scientificamente rilevante per i linguisti lo è, quanto
meno, dal punto di vista culturale generale: in Valle d'Aosta ci
sono i più importanti ritrovamenti archeologici relativi
ad una civiltà pre indo-europea.
Evidenziamo, poi, un'anomalia "politica": mentre in tutti gli
Stati è normalmente indicata la presenza di un Comitato
dell'Ufficio Europeo per le lingue meno diffuse, in Italia
è messa in particolare risalto la presenza del Confemili.
Ora se il Confemili è il Comitato in Italia dell'Ufficio
stesso, non si capisce perché meriti tanto specifica e
difforme individuazione rispetto ai Comitati degli altri Stati;
se non lo è, o se non è soltanto questo, salta agli
occhi di tutti che ci troviamo di fronte all'unico organismo nato
solo quando e perché sussiste l'Ufficio e l'Europa ha
attivato meccanismi di rappresentatività e di
finanziamento; in ogni caso l'esistenza di organizzazioni
storiche della cooperazione e della collaborazione tra
organizzazioni delle lingue meno diffuse non può esser
dimenticata, a meno di non operare una volontaria
discriminazione. Alcune di queste organizzazioni sono presenti
fin dagli anni '60; nel volume alcune di esse sono indicate tra
le Organizzazioni internazionali che hanno una propria specifica
voce; ma, oggettivamente, quando - come il CIEMEN - sono
addirittura nate in Italia, non si vede come possano scomparirvi.
Su 5 organizzazioni esistenti in Italia, il Bureau ha contatti
istituzionali con una sola, discrimina - quindi - le altre - e
legittima quella che ha meno storia.
Ancora a proposito di omogeneità, sorprende l'indicazione
del PIEMONTESE come voce attraverso cui trattare il tema della
problematica lingua-dialetto. Perché non il veneto? E
perché citare espressamente le lingue d'oil e non quelle
gallo romanze o gallo-italiche?, ecc. La tendenza di questi
ultimi tempi è quella di considerare le espressioni
linguistiche della cosiddetta "Padania" come diversificazioni di
un'unica lingua, essendo le differenze tra di esse minori delle
differenze che sussistono - ad esempio- tra i diversi "dialetti"
occitani.
Ci pare, comunque, che l'indicazione delle "lingue d'oil" e delle
problematiche comunque legate al Piemontese, ecc. siano
equivoche; per la stessa ragione per quale vengono citate le
"lingue" d'oil, potrebbero esser citate e differenziate anche le
lingue d'oc, ecc. e potrebbe, ad esempio, esser distinto perfino
il catalano usato a Barcelona da quello usato a Velencia, facendo
arbitrariamente del catalano due lingue.
Ci pare gravissima l'indicazione contenuta nel manuale relativa
al sardo "vissuto come un patois italiano"; se ciò fosse
vero bisognerebbe - e a ben maggior ragione - evidenziare per
molte altre lingue il rapporto di dipendenza da un'altra lingua;
occitani e francoprovenzali sono italianizzati e piemontesizzati;
anche molti "tedeschi" sono italianizzati, senza che di questo si
faccia ceno nel libretto; una simile CARATTERIZZAZIONE del sardo
è - quindi - fuori luogo e disomogenea rispetto alla
trattazione delle altre situazioni linguistiche.
POPOLO, NAZIONE e REGIONE ci paiono voci assolutamente
irrinunciabili in quanto appartenenti al linguaggio, alla
rivendicazione delle diverse realtà parlanti lingue meno
diffuse. Purtroppo nel volumetto non sono prese in
considerazione.
La DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI LINGUISTICI merita una
voce specifica, non solo per l'ampiezza dei suoi contenuti e per
la serietà del lavoro che l'ha resa possibile; istituzioni
autonomistiche importanti come il Consiglio regionale della Valle
d'Aosta, il Parlamento Catalano, quello Basco, ecc. l'hanno fatta
propria. Non si vede come possano essere considerate patrimonio
di riferimento culturale delle comunità parlanti lingue
meno diffuse, solo le Carte e le Dichiarazioni scaturite dagli
Stati e - talora - neppure da questi sottoscritti, mentre non lo
siano altre Carte e altre Dichiarazioni nate dalle
comunità stesse e da queste approvate formalmente, sia in
sede politico-culturale che nell'ambito delle loro
istituzioni.
Il riferimento alla SUSSIDIARIETA' è importante, ma
può risultare poco credibile se la sussidiarietà
è estrapolata dal suo humus naturale, il federalismo; il
FEDERALISMO merita una voce specifica, risponde alle aspettative
delle comunità parlanti lingue meno diffuse, sia che
l'abbiamo concepito "contro" la logica degli Stati, sia che
l'abbiano scelto nella sua componente "linguistica" (espressa da
importanti filosofi e studiosi).
Noi siamo coscienti che queste e altre osservazioni possibili
evidenziano non i limiti di una pubblicazione che ha indubbi
meriti, ma un limite politico-culturale insito nella logica sin
qui portata avanti dal Bureau, in particolare per quanto concerne
lo Stato italiano. Ci permettiamo di ritenere che il Bureau e
l'Europa non possano ritenersi soddisfatti della situazione che
si è determinata in Italia, situazione che non è
risultata in tutta la sua negatività soltanto
perché le organizzazioni esterne al Bureau ed al
Confemili, non hanno mai scelto la strada di un'aperta
contestazione.
Verbali di un gruppo di studio e di lavoro
Parlare di indipendenza e di autodeterminazione è sempre
difficile.Un gruppo politico indipendentista ha svolto
recentemente alcune riunioni di formazione, rivolte soprattutto
ai giovani, nel tentativo di spiegare problemi e
difficoltà di una scelta "altra" rispetto alle tendenze ed
alle mode che semplificano i problemi ricorrendo a parole
"magiche" come "Europa", "mondializazione", "globalizzazione"
quasi che queste fossero il punto di vista obbligatorio cui
ricondurre tutto il resto, compreso il diritto dei Popoli alla
Autodeterminazione. Ma chi impone questo obbligo?Il testo
è qui presentato nella sua forma originale di verbale
interno; i limiti formali del testo risentono, oltre che di
questo, anche del fatto che nelle riunioni la lingua utilizzata
non era l'italiano: questo documento è una
traduzione.
...
Il Gruppo ha analizzato, anzitutto, le difficoltà create
dal fatto che non esistono norme, leggi, disposti del diritto
internazionale che consentano direttamente il libero accesso
all'autodeterminazione e, quindi, all'indipendenza da parte di
tutti i Popoli e di qualunque Popolo.
I riferimenti pur esistenti in materia, non vengono presi in
considerazione all'interno dell'Europa occidentale, dove è
riconosciuta a livello internazionale solo l'esistenza di
"minoranze etniche'" cui vanno applicate - al massimo - norme di
tutela e specifiche limitate garanzie da parte degli Stati.
I Popoli che si trovino in questa situazione, qualora i loro
diritti in quanto minoranze vengano violati, possono rivolgersi a
diverse autorità internazionali per lamentare la
violazione subita.
Il diritto all'autodeterminazione trova più facile
applicazione in due tipi di Stati: quelli che non appartengono al
mondo occidentale e quelli che, essendo organizzati su base
federale, non sono Stati unitari: in Jugoslavia, nell'URSS, in
Cecoslovacchia l'esercizio da parte di alcuni Popoli, del diritto
all'autodeterminazione è stato possibile, oltre che per le
gravissime contingenze della storia, anche per il fatto che si
sono resi indipendenti Popoli che erano già riconosciuti
istituzionalmente come Popoli e non come minoranze.
Ciò detto potrebbe apparire che non esistano altre
possibilità per accedere all'autodeterminazione, se non
quella della lotta, della rivolta, delle armi.
Ci sono esempi di Popoli che hanno conquistato con le armi la
loro indipendenza e, da quel momento, sono entrati a far parte
del consesso internazionale dei popoli, passando direttamente dal
non essere altro che gruppi terroristici al diventare Stati
pienamente riconosciuti. Ci sono anche esempi di Popoli che,
malgrado una dura lotta armata (vedi Palestinesi e Curdi), non
hanno ottenuto ciò che speravano e cui avevano diritto e
subiscono una criminilizzazione della loro lotta, considerata
solo come terrorismo
Pare, quindi, assolutamente necessario affermare il principio
secondo il quale le cosiddette "minoranze" sono, in
realtà, Popoli cui, anche all'interno dell'Europa, va
riconosciuto il diritto all'autodeterminazione.
In tal senso vanno recuperati positivamente tutti i documenti e
le carte internazionali che affermano il diritto
all'autodeterminazione dei Popoli e vanno recuperati i documenti
che richiedono l'applicabilità di tale diritto anche in
Europa occidentale.
Le Nazioni senza Stato d'Europa (occidentale ed orientale) hanno
firmato negli anni '85 e '90, la Dichiarazione Universale dei
Diritti Collettivi dei Popoli, che è l'unico documento
internazionale nato non dal volere degli Stati, ma dalla
collaborazione tra i Popoli, le Nazioni senza Stato.
In questo ambito internazionale sono state messe in atto
iniziative concrete affinché il diritto internazionale
comprendesse anche questa specifica rivendicazione dei Popoli,
delle Nazioni senza Stato; in particolare è stato
consegnato all'ONU, direttamente nelle mani del Segretario
generale Perez de Quellar, il "Document Emile Chanoux" che
concerne proprio il diritto alla autodeterminazione.
...
Il Gruppo si è interrogato su quali altre strade siano
percorribili per rendere l'indipendenza possibile e non rischiare
che gli indipendantisti siano portatori soltanto di un sogno
irrealizzabile.
...
Molto più a lungo si è discusso di strategie
internazionali e di cooperazione con altre organizzazioni: da un
lato è emersa la necessità di interpretare il
diritto dei Popoli alla autodeterminazione in senso lato ed
aperto, ipotizzando che tale opportunità riguardi tutti i
gruppi umani che si riconoscano e si autodefiniscano Popoli;
dall'altra è emersa l'esigenza di affrontare la
problematica secondo l'ottica "etnica", in base alla quale gli
Stati dovrebbero esser costituiti sulla base di
un'identità, e dovrebbero poter diventare Stati
soprattutto tutte quelle Regioni-Comunità-Popolazioni ecc.
la cui identità abbia una vera radice.
In tal senso è stato evidenziato il rischio che i vantaggi
e/o i privilegi dell'autonomia e della indipendenza possano
alimentare campanilismi ed egoismi mascherati da identità
nuove; è stato evidenziato il rischio che "Popoli" come
quello lombardo, risvegliatosi o inventato grazie alla
rivendicazione leghista, possano proporsi o essere considerati
degli alleati della battaglia indipendentista dei popoli che
hanno un'identità storica, culturale e linguistica
reale.
...
E' stato evidenziato, altresì, il rischio che una visione
tanto allargata possa risultare un deterrente che impedisca
vieppiù l'applicazione del diritto alla
autodeterminazione: considerare che tutti i singoli localismi, i
provincialismi, gli autonomismi, ecc. individuano un Popolo che,
potenzialmente, ha il diritto alla autodeterminazione, significa
- in sostanza - affermare che questo diritto non ce l'ha nessuno;
diversamente tutti gli Stati attuali non avrebbero più
ragione di esistere e potrebbero esser spaccato in cento Stati e
si sancirebbe un sistema politico economico squilibrato in seno
al quale i poteri e l'esercizio di una qualche sovranità
sarebbero continuamente rimessi in discussione.
A sostegno di queste considerazione è stato portato
l'esempio delle molteplici iniziative per l'applicazione
dell'articolo 6 della Costituzione italiana che avrebbe dovuto
assicurare alle minoranze linguistiche un'apposita tutela; con il
termine "minoranze linguistiche" il costituente intendeva quei
Popoli la cui lingua non appartiene, in alcun modo, al sistema
linguistico della lingua di Stato, risultando o completamente
autoctoni o posti a scavalco delle frontiere di Stato. Sulla base
di questo criterio sono state individuate le lingue oggetto della
tutela ex art. 6 che sono, in tutto secondo alcuni 12, secondo
altri 13 o 14, a seconda che si vogliano o no riconoscere i rom,
a seconda che i valdostani siano considerati francofoni o
francoprovenzali. Ogni volta che la legge è stata in
procinto di essere approvata, superando gli ostacoli posti dai
neofascisti che riconoscevano solo la lingua italiana, è
stato posto l'ostacolo di integrare la lista con altre lingue
quali il piemontese, il lombardo, il veneto, il ligure, ecc. e la
legge si è arenata. Solo dopo 50 anni la legge è,
poi, stata approvata.
Il problema non è quello di individuare lingue di serie A
e lingue di serie B, Popoli di serie A e Popoli di serie B:
è che senza specifici criteri di riferimento, la nostra
rivendicazione rischia di diventare una rivendicazione
sconclusionata.
E' stato evidenziato che in nessun modo i baschi ed i catalani
potrebbero pensare di allargare, nella penisola iberica, il
riconoscimento di Popoli senza Stato alle molteplici
identità regionali della Spagna, mentre è indubbio
che Galleghi-Baschi e Catalani sono Popoli del tutto diversi dal
Popolo Castigliano; tutti, compresi baschi, catalani galleghi e
castigliani hanno variabili regionali della loro identità,
variabili che costituiscono un problema diverso da quello
ricondotto al diritto alla autodeterminazione. Gli accordi tra
"nazionalità" e "regionalità", quindi, possono
essere soltanto di tipo ideologico, riguardare - cioè - ad
esempio la condivisione della lotta di classe, che è una
cosa diversa dalla lotta di liberazione nazionale. Può
esistere una sintonia tra quanti mirano a portare avanti una
lotta di liberazione nazionale e di affermazione del socialismo
al tempo stesso (è quanto hanno fatto i firmatari della
Carta di Brest), ma questa è una ulteriore
diversificazione del problema.
...
E' stato osservato che se il problema è abbattere lo Stato
italiano affinché, di conseguenza, ciascun Popolo giochi
le sue carte, allora i possibili alleati sono molto più
numerosi di quelli che si possono trovare tra quanti rivendicano
una più o meno discussa identità nazionale: i
centri sociali, l'area della autonomia extraparlamentare, l'area
del cosiddetto Popolo di Seattle, ma questo è un terreno
nel quale è molto pericoloso e contraddittorio andare a
cercare alleati.
...
E' stato anche osservato che se il criterio è quello di
riconoscere il diritto alla autodeterminazione a tutti e a
chiunque, non sussisterebbero ragioni valide per contrapporsi
alla Lega Nord o per differenziarsi da essa, mentre,
sostanzialmente, valdostani-sudtirolesi-occitani ecc. non si
considerano in alcun modo padani.
Sulla provocazione di immaginare e disegnare una mappa "etnica"
dei Popoli oggi all'interno dello Stato italiano, evitando che le
Regioni disegnate dai geografi italiani acquisiscano
un'identità che non hanno, il Gruppo - data l'ora tarda -
interrompe la discussione.
...
Nel corso dell'incontro serale il Gruppo ha illustrato agli altri
partecipanti i primi risultati dell'incontro di informazione e
formazione.
Ne è scaturito un dibattito riguardante la dimensione
europea dei fenomeni sociali, culturali e politici contemporanei:
secondo alcuni questa è una dimensione ineluttabile e
positiva; secondo altri è la dimensione pericolosa di un
nuovo Stato o, comunque, di una federazione di Stati; secondo
altri ancora l'indipendenza comporta un ritenersi liberi di
immaginare scenari diversi da quelli esistenti, quali, ad
esempio, la nascita di una Confederazione delle Alpi o del
Mediterraneo.
...
La prosecuzione della trattazione è stata rinviata alla
prossima riunione del Gruppo, con l'impegno di approfondire il
problema delle cosiddette istituzioni transfrontaliere, create
dagli Stati e dall'Europa: se si riconosce l'esistenza di
identità transfrontaliere, coinvolgendo Popoli e Regioni
che non hanno alcuna affinità, allora si può
riconoscere validità a qualsiasi arbitraria costruzione di
identità quale l'identità padana.
...
Il Gruppo ha iniziato la riunione leggendo la proposta di verbale
delle precedenti riunioni e traendo dalla lettura lo spunto per
approfondire ulteriormente gli argomenti.
Sono emerse due posizioni: la prima ipotizza di interpretare il
diritto dei Popoli alla autodeterminazione in senso lato, senza
limite alcuno e, in tal modo, estendendolo a piemontesi,
lombardi, veneti e a quant'altri lo richiedano. Sostenendo questa
posizione è stato evidenziato che il Popolo X per accedere
alla autodeterminazione, mentre non intende far ricorso alla
lotta armata, non si preclude nessun'altra strategia, ivi
compresa quella di tentare di destabilizzare lo Stato italiano
con l'apporto di quanti lavorano in tal senso: in una situazione
destabilizzata, l'esercizio della autodeterminazione potrebbe
essere facilitato e favorito dal persistere di specifiche
caratteristiche etniche, linguistiche, culturali, storiche,
territoriali, ecc.. La seconda posizione parte dalla
considerazione che sia necessario operare concretamente per
rendere applicabile quanto già espresso nel diritto
internazionale a proposito del diritto alla autodeterminazione;
quello che manca è il chiarimento su chi siano i fruitori
di tale diritto e dove esso possa essere applicato (anche
all'interno dell'Europa?). Sostenendo questa tesi è stato
affermato che il diritto alla autodeterminazione dovrebbe
riguardare le "Nazioni senza Stato", quelle cioè, la cui
coscienza storica della propria identità, le ha portate ad
esser riconosciute almeno come minoranze; tale riconoscimento
riduttivo è, comunque, la prova che il diritto
internazionale riconosce che tali Popoli non avendo un proprio
Stato hanno, comunque dei diritti, non concedendo i quali lo
status quo potrebbe essere messo in discussione; a sostegno di
questa tesi che non esclude la possibilità o il diritto
per i Popoli e/o le Nazioni di volontà di accedere alla
autodeterminazione per altre ragioni che non siano quelle
storiche, quelle etniche e quelle linguistiche, è stato
ricordato che in Italia l'applicazione dell'articolo 6 della
Costituzione è stata impossibile per due ragioni;
l'opposizione dei fascisti e la richiesta di allargare
l'applicazione del diritto alla tutela linguistica non solo alle
lingue intese dal costituente (le lingue straniere all'Italia),
ma a tutte le lingue parlate in Italia, senza considerare se
siano lingue, dialetti, parlate e gerghi. A sostegno della
seconda tesi è stata tratta la conclusione che se non
esiste certezza del destinatario di un diritto, nessuno ne
fruirà.
Il confronto sulle due tesi è proseguito a lungo,
sostanzialmente, continuando a riproporre le due tesi seguendo
ottiche ed esemplificazioni diverse.
...
Illustrando le diverse argomentazioni, nel corso della riunione
serale sono affiorate alcune considerazioni circa la non
incompatibilità delle due posizioni.
E' stato, tuttavia, evidenziato che mentre è in atto
questo approfondimento, non sono da trascurare altre esigenze
relative alla chiarezza del problema indipendentista; è
stato, così, richiesto al gruppo di lavorare nel senso di
un documento di "fattibilità" dell'indipendenza.
E' stato, altresì, evidenziato, che l'indipendenza
comporterà, anche qui a livello teorico,
l'opportunità di non restate necessariamente collocati
nell'Europa .
...
Uno dei partecipanti ha espresso la seguente posizione: "In
merito al confronto interno che stiamo portando avanti sul
problema della autodeterminazione e della indipendenza, ritengo
necessario formalizzare alcune considerazioni.
Il nostro Popolo esiste, storicamente esiste, ed è una
Nazione come lo sono tutti i Popoli che hanno coscienza diffusa
della loro identità.
Come tale il nostro Popolo ha diritto ad accedere alla
autodeterminazione attraverso la quale scegliere liberamente il
proprio destino: noi riteniamo che il suo futuro migliore sia
quello di costituirsi in Stato, pur non ritenendo che lo Stato
sia la forma istituzionale migliore, ma solo quella che
consentirebbe al nostro Popolo, di potersi effettivamente
governare e rappresentare da se.
Da queste prime considerazioni discende una impostazione politica
e culturale che è il nucleo forte della proposta
indipendentista: proponiamo un progetto di indipendenza
sostenibile, perché il diritto non può negare ad
una Nazione senza Stato la possibilità di darsi uno
Stato.
Sappiamo benissimo che quasi nessuno Stato costituito è
nato sulla base di un criterio veramente nazionale; sappiamo,
tuttavia, che l'ambizione degli Stati è stata quella di
diventare Stati nazionali, attribuendosi forzatamente quelle
caratteristiche di unità linguistica, culturale, storica e
territoriale e quella coscienza della propria identità che
non possedevano e che erano indispensabili a fare di essi,
appunto, delle Nazioni. Su questa base il diritto internazionale
formula il diritto alla autodeterminazione che noi chiediamo sia
applicato a tutte le Nazioni senza Stato.
Sostenere la legittimità, per chiunque lo desideri, di
diventare uno Stato per ragioni diverse da quelle identitarie,
è in realtà, riconoscere, in buona sostanza, che
l'identità non è indispensabile per accedere al
diritto di darsi uno Stato.
Così come i vecchi Stati attuali sono sorti per ragioni
diverse, per lo più economiche, così pure nuovi
Stati possono nascere per analoghe ragioni: la Lombardia, ad
esempio, avrebbe - in tal senso - tutte le ragioni e le
potenzialità economiche per diventare uno Stato.
Il che ci pone di fronte ad una precisa responsabilità
politica e culturale: quella di assecondare una strategia di
disfatta dello Stato italiano, portata avanti con l'apporto di
tutti e di chiunque, nella aspettativa di uscire dal caos che ne
nascerà con la conquista della autodeterminazione. Che la
conquistino Nazioni senza Stato vere e proprie o altre forme di
aggregazione attorno all'idea di Stato, non dovrebbe - in tal
senso - interessarci più di tanto.
A credere in questa "soluzione" sono state, nella storia
d'Italia, quattro diverse forze: i comunisti prima di diventare
PDS, Ulivo ed altro, quando avevano come obiettivo quello di
portare l'Italia fuori dall'Europa occidentale; i fascisti, prima
durante e dopo il ventennio, quando hanno cavalcato la teoria
"tanto peggio tanto meglio"; la Lega, in tempi a noi vicini,
quando auspicando che l'Italia non entrasse in Europa e nei
meccanismi dell'EURO, riteneva di poter determinare una
spaccatura dell'Italia a causa dalla doppia velocità di
sviluppo del nord del sud; i rivoluzionari che svilupparono la
teoria del "nazimaoismo", l'alleanza - cioè- tra
estremismi e forze antisistema di qualunque tipo, pur di rendere
possibile la rivoluzione e destabilizzare le istituzioni.
Se come indipendentisti abbiamo ben chiara la prospettiva
identitaria, immetterci in un meccanismo di disfatta strumentale
dello Stato italiano potrebbe risultare contraddittorio: infatti
o scegliamo la via di quel federalismo (globale) che mira alla
scomparsa dello Stato e cerchiamo di affrettare questo processo
in Italia (tagliandoci, tuttavia le gambe da soli, poiché,
noi uno Stato lo vogliamo!), oppure scegliamo la strada del
federalismo etnico e, allora, rispetto alla forma Stato dobbiamo
avere un atteggiamento più radicato al rispetto di regole
e norme, altrimenti non costruiremo mai l'Europa dei Popoli, ma
solo una diversa Europa degli Stati.
Ma dobbiamo rendere credibile e sostenibile il progetto
indipendentista: quando parliamo di Popoli, di Nazioni, di
federalismo, di diritto, queste parole non devono essere
equivoche
Il potenziale rivoluzionario su cui possiamo contare, oggi, in
Italia, è assai ridotto: in Veneto e in Lombardia la
rivendicazione non è ad un punto di rottura (anche se le
azioni di rivolta sono eclatanti, come l'occupazione del
Campanile di San Marco a Venezia), perché le ragioni
ideali della rivendicazioni sono state sovrapposte alle ben
più forti rivendicazioni economiche che le hanno
innescate; i grandi e piccoli imprenditori che oggi sostengono la
ribellione contro lo Stato, sanno bene fino a che punto possono
arrivare, dopo di che scaricheranno gli idealisti e si
accontenteranno di quella autonomia fiscale e politica che lo
Stato, comunque, accorderà loro. E' l'Europa a metterli in
guardia dal non estremizzare troppo le rivendicazioni,
perché, fuori dall'Europa essi sono fuori dal
mercato.
Il potenziale di solidarietà internazionale all'interno
dell'Europa è considerevole, anche se è impensabile
che tutte le Nazioni senza Stato possano, da un momento
all'altro, accedere tutte e contemporaneamente alla
autodeterminazione; questo perché non esiste un diritto
internazionale che si sovrapponga al diritto interno ai singoli
Stati costituiti che esercitano la sovranità su di un
territorio. Ciò che può nascere dal livello
internazionale non è il diritto in se, ma la cultura del
diritto e della necessità del diritto rispetto al problema
della autodeterminazione e della indipendenza.
Noi possiamo sicuramente percorrere tutte le strade possibili, ma
rispetto al problema che ci siamo posti di fronte ai Popoli (la
coscienza) e di fronte alla prospettiva di far crescere la
cultura del diritto alla autodeterminazione in Europa, noi
dobbiamo imparare a scindere il terreno strategico da quello
ideale, senza invertirli.
Se per noi il principio identitario è importante ed
è forte, a livello di impostazione ideale e culturale non
possiamo e non dobbiamo prescindere da esso; il che significa
aspettarsi dagli "altri", amici-alleati che siano, ugual
approfondimento: il ragionamento identitario rivolto all'Italia,
ad esempio, è importante per diverse ragioni:
- la prima è che siamo in Italia e che in Italia dobbiamo
affermare il nostro diritto a staccarci dall'Italia; che ci
piaccia oppure no, questo è un passaggio inevitabile.
Dobbiamo aver ben chiaro nella mente il processo ipotetico di
esercizio della autodeterminazione: il nostro Popolo chiede
l'autodeterminazione; le sue istituzioni formalizzano la
richiesta di esercizio della autodeterminazione allo Stato
Italiano oppure, avendo una risposta negativa, propongono
direttamente un referendum in tal senso; nel primo caso il
risultato del referendum è già di per se
ufficializzato e riconosciuto, nel secondo le tensioni che
seguiranno dovranno essere risolte a livello - questo sì -
internazionale, come qualsivoglia altro conflitto. In questo
percorso sono necessari i presupposti che formulavo inizialmente
e, cioè, il diritto della nostra Nazione senza Stato a
darsi uno Stato attraverso una via democratica.
L'altro percorso implica il caos. Certo una Italia in situazione
caotica potrebbe trovarsi nella condizione di "mollare" nei
confronti di rivendicazioni più legittime, tenendo invece
uno zoccolo duro nazionale proprio: come dire che Valle d'Aosta e
Sud Tirolo potrebbero andarsene, mentre per gli altri cambierebbe
poco, anche a costo di bloccare il caos distribuendo prebende ed
autonomie fiscali.
Io sono convinto che questa seconda strada, quella dell'accordo
politico tra tutti gli anti-statalisti, non vada del tutto
trascurata: è stata, del resto, la strada indicata nel
1979 per spiegare gli accordi elettorali europei raggiunti dai
partiti delle Nazioni senza Stato con siciliani, albanesi,
veneti, lombardi e piemontesi; ma questa non è la strada
che possiamo apertamente proporre per condividere la
rivendicazione dell'indipendenza, né quella che possiamo
sostenere come irrinunciabile presupposto culturale ed
ideale.
Ci troviamo a dover affrontare un'epoca nella quale tutto
è massificato: la risposta più logica e diretta
alla massificazione è il recupero della microdimensione.
Chi ha una vera identità da proporre e da difendere ha un
futuro; chi non ce l'ha, la cerca, la inventa perché
è comunque questa la strada che gli Stati esistenti hanno
percorso e che la stessa Europa percorre: darsi una
identità a tutti i costi".
Claudio Magnabosco, Via Parigi 80, 11100 Aosta, e-mail: claudio.magnabosco@tiscali.it, cell. 340.7718024