di Claudio Magnabosco
Luglio 2002
In Italia vivono, clandestine e
prostitute, migliaia di ragazze nigeriane, sfruttate da un
racket che le ha portate in Europa con false promesse e le ha
ridotte in stato di vera e propria schiavitù.
L'incoscienza di clienti che - di fatto - contribuiscono a
sfruttarle; il perbenismo di quanti ritengono che il problema
può esser risolto solo rispedendole in Africa; il
moralismo di quanti non sopportano neppure l'idea di dover
parlare di prostituzione; l'indifferenza di quanti vivono solo
del loro egoismo e non sanno auspicare altro che soluzioni
punitive e detentive; il razzismo sempre e comunque presente;
l'imperfetto impegno civile di chi ha espresso solidarietà
per Safiya e per Amina, che hanno rischiato di essere lapidate in
Nigeria, ma non sa far nulla per le tante Safiya ed Amina che
vivono in Italia: queste sono le pietre con le quali, ogni
giorno, le africane sono lapidate in Italia.
Il Progetto "La ragazza di Benin City" affronta la
problematica delle ragazze africane che giungono in Italia,
ridotte in condizione di schiavitù e vuol farsi strumento
non confessionale di azione concreta, operando su quattro
fronti:
1 - con le organizzazioni del volontariato, incentivando a
loro favore il flusso dei sostegni finanziari grazie ai quali
possono portare avanti percorsi di recupero di queste
ragazze;
2 - con le istituzioni, sollecitandole a non risolvere il
problema solo con il rimpatrio delle ragazze;
3 - verso i clienti, recuperandoli ad un comportamento
responsabile ed aiutandoli a superare il loro stesso disagio con
l'apporto di gruppi spontanei di auto-mutuo aiuto;
4 - verso l'opinione pubblica proponendo iniziative di
sensibilizzazione.
Il Progetto non raccoglie direttamente e non gestisce denaro, ma
invita chi può e lo desidera, ad adottare a distanza una
ragazza, finanziandone, in modo reciprocamente anonimo, il
percorso di recupero attuato dalle organizzazioni del
volontariato. Il Progetto vuol essere un moltiplicatore di
iniziative e vi operano ex clienti, operatori culturali,
volontari, testimonial. L'idea di fondo è che se non si
coinvolgono tutti gli attori, il fenomeno non sarà
nè compreso, né debellato. Chi vuole spendersi in
prima persona può farlo; chi vuol fare qualcosa, ma
restare anonimo può farlo; chi vuole uscire dal proprio
disagio può farlo.
Al fine di mediatizzare l'iniziativa e di valorizzare il ruolo
dei mezzi di informazione, è stato creato il Premio "La
ragazza di Benin City" che ogni anno verrà attribuito
ad un personaggio che abbia contribuito a creare una cultura
della solidarietà relativamente al problema della
schiavitù e della condizione della donna. Alla Fiera del
Libro di Torino 2002, la prima edizione del Premio è
andata a Toni Capuozzo, giornalista di Canale 5.
Il Progetto prende avvio dalla storia d'amore di un italiano per
una giovane nigeriana. Alcuni lettori del romanzo che ne è
nato, "Akara-Ogun e la ragazza di Benin
City" di Claudio Magnabosco, edito da Quale Cultura -
Jaca Book, hanno fatto "rete" tra loro, trasformando l'esperienza
di ciascuno in una concreta azione di solidarietà umana e
di impegno sociale e civile.
Progetto "La ragazza di Benin City", Claudio Magnabosco (claudio.magnabosco@tiscali.it), Via Parigi 80, 11100 Aosta, cell. 340.7718024