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Libia: azienda italiana di armamenti fornirà tecnologia satellitare per monitorare le frontiere

Lotta al terrorismo e misure europee contro l'immigrazione rischiano di creare ulteriori problemi nel Sahara

Bolzano, Göttingen, 28 novembre 2013

Alle minoranze non arabe come i Tuareg bisogna garantire un'adeguata partecipazione alla vita politica in Libia. Foto: CC BY-NC-SA minina007 (flickr.com). Alle minoranze non arabe come i Tuareg bisogna garantire un'adeguata partecipazione alla vita politica in Libia. Foto: CC BY-NC-SA minina007 (flickr.com).

L'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha accolto con molta preoccupazione l'annuncio del ministro degli esteri libico Abdullah Al-Thinni secondo cui a partire dalla fine del 2014 la frontiera meridionale della Libia sarà controllata tramite sistemi satellitari. Durante la sua visita in Italia dello scorso 27 novembre, il ministro Al-Thinni ha dato incarico all'impresa Selex ES di proprietà della Finmeccanica (partecipata per il 30% dallo Stato italiano) per l'installazione di sistemi di controllo satellitari sulla frontiera meridionale del paese nordafricano. L'Italia, ex potenza coloniale in Libia, ha tuttora enormi interessi economici nel paese e la ministra degli esteri Emma Bonino ha recentemente espresso la sua preoccupazione per il possibile pericolo di anarchia e penetrazione di gruppi terroristici in Libia e ha chiesto un migliore controllo delle frontiere libiche. Così l'accordo tra Libia e Italia prevede anche l'addestramento da parte dell'Italia di 3.000 soldati libici incaricati dei controlli di frontiera e di porre fine al traffico di profughi provenienti dall'Africa Occidentale e Orientale. L'intero progetto dovrebbe partire in dicembre 2013 ed essere terminato a fine 2014.

Non è chiaro come il governo libico si porrà in futuro nei confronti di popoli quali i Tuareg, i Toubou, i Berberi e altri, le cui zone di insediamento vengono attraversate dalle linee di confine tracciate arbitrariamente secondo riferimenti artificiali quali paralleli e meridiani e ignorando completamente le esigenze dei popoli del Sahara. Per i popoli che tradizionalmente vivono nel Sahara, le frontiere non sono mai veramente esistite e le persone si sono sempre spostate al di qua e al di là dei confini per commerciare e scambiare beni come il sale, la pasta e altri oggetti di uso quotidiano. Il 90% del flusso di merci attraverso il Sahara è costituito proprio da questa tipologia di piccolo commercio. Con l'installazione dei nuovi sistemi di controllo satellitare si rischia di colpire questi commercianti molto più dei grandi trafficanti di droga, armi e persone. Se infatti i futuri controlli satellitari non sapranno tenere conto delle esigenze dei popoli del Sahara, questi perderanno o avranno fortemente limitata la possibilità di commercio attraverso il Sahara, vedranno peggiorare ulteriormente le loro condizioni economiche e di vita e saranno così a maggior ragione spinti tra le braccia del terrorismo religioso. In cambio il traffico di droga, armi e persone non necessariamente sarà fermato dai nuovi sistemi satellitari. Questi sono traffici illegali controllati perlopiù da grandi cartelli con notevoli disponibilità finanziarie per corrompere il personale di frontiera e soprattutto con ottimi rapporti nelle cosiddette alte sfere fino a raggiungere le file governative di vari paesi.

Se la politica europea di lotta al terrorismo e di controllo dell'immigrazione finirà per togliere la base di sussistenza ai popoli del Sahara senza dare loro alcuna altra possibilità di vivere dignitosamente il risultato sarà diametralmente opposto a quanto pianificato e i problemi creati supereranno di gran lunga quelli che effettivamente si riuscirà a risolvere.