di Claudio Magnabosco
Aosta, 21 novembre 2005
LA ... REGIONE STRANIERA
Un tempo, per sfuggire ai più svariati problemi, era
possibile andare nella Legione Straniera, oggi si può
andare nella ... Regione Straniera. Il gioco di parole,
propostomi da un amico sardo, è divertente e provocatorio:
non quanto l'idea del Presidente della Regione Veneto di
annettere il suo Veneto al Trentino, in risposta alla richiesta
di un piccolo comune della montagna veneta di fare appunto questo
passo.
Se questa è la tendenza, non vedo come sia possibile
arrestare la sfrenata e disarticolata corsa alla
disgregazione/riaggregazione, mettendo insieme anche Regioni che
appartengono a Stati diversi, visto e considerato che all'interno
dell'Europa non esistono più i confini. Proviamo ad
analizzare la questione, non senza divertirci ...
PICCOLE SECESSIONI, IMPROBABILI ANNESSIONI
...
Il pasticciaccio nasce con la nascita della Lega. Scopiazzando
malamente le idee dell'U.V. e di Bruno Salvadori, Umberto Bossi
si buttò in politica creando strane aggregazioni: dapprima
cercò di affermare che la Lombardia era una Nazione, il
che equivale a dire che qualunque aggregazione umana può
esser definita tale, quindi non si vede perché non
potessero esser considerate Nazioni anche la Campania, l'Umbria,
ecc. ecc. La confusione che ne è nata è stata tale
da rendere praticamente impossibile chiarire quali possano essere
i valori di riferimenti per legittimare l'esistenza di una
Nazione vera, finendo col danneggiare tutte quelle che
oggettivamente e storicamente lo sono.
Ma tant'è! A tutti è parso molto chiaro l'intento
di fondo di Bossi e del Leghismo nordista; se a Regioni del Nord
come la Lombardia, fosse riconosciuta la stessa autonomia che
è riconosciuta alla Valle d'Aosta ed al Trentino, per non
fare che due esempi, la Lombardia sarebbe una delle Regioni
più ricche d'Europa. A Bossi, però, il solo
discorso lombardo andava stretto, anche perché,
soprattutto in Veneto e in Piemonte, altri leader si stavano
affermando, rivendicando per il Veneto e per il Piemonte diritti
autonomistici a quelli rivendicati dalla Lega Lombarda per la
Lombardia ed a quelli già concretamente goduti dalla
Regione Valle d'Aosta e della Regione Trentino Alto Adige.
Bossi fu abile politico: evitò che si rafforzassero
leadership a lui contrapposte, soprattutto in considerazione che
il suo carisma ancora non si era affermato e che altri
personaggi, come Rocchetta in Veneto e Gremmo in Piemonte,
raccoglievano più voti e preferenze di lui. E, in seguito,
trovò il modo di diventare il leader di tutti, creando
quella Padania, che altro non era se non un'idea geo-economica,
politicamente già presa in considerazione da esponenti
della DC, dieci anni prima di lui. Per la Padania propose
addirittura l'autodeterminazione e l'indipendenza, ipotizzando
che all'interno della Padania tutte le componenti "nazionali"
avrebbero goduto, successivamente, di un'ampia autonomia.
Anche questa fu una scopiazzatura maldestra delle idee dell'U.V.
e degli altri partiti nazionalitari i quali, in estrema sintesi,
affermavano questo: i popoli coscienti della loro storia, del
loro specifico insediamento territoriale, della loro cultura,
della loro identità e della loro lingua, specie se
appartenenti ad un gruppo linguistico esterno a quello
maggioritario nel territorio dello Stato nel quale sono
aggregati, sono delle vere e proprie Nazioni senza Stato. Come
tali avrebbero diritto ad esercitare il diritto
all'autodeterminazione e, al limite, a costituirsi in
unità statale indipendente. Se questo non avviene e non
è avvenuto storicamente, le ragioni sono molteplici, ma
è comunque evidente che lo Stato nel quale vivono deve
prendere atto della loro specificità e consentire loro
almeno di autogovernarsi nei limiti e nel contesto dello stato,
cosiddetto, unitario. Più o meno questo è il
ragionamento in base al quale sono nate in Italia le Regioni a
Statuto speciale; alcune potevano rivendicare un diritto ben
più ampio dell'autonomia.
Oggi sta scoppiando una moda: chi vuole annettersi ad un'altra
Regione, chi vuol costruire una nuova Regione, chi vuole
separazioni ed annessioni con Regioni straniere. In Italia le
autonomia speciali sono guardate con un misto di invidia e di
fastidio da quanti vivono, invece, forme "normali" di
regionalismo e decentramento amministrativo. Non possiamo certo
credere che la devolution di cui tanto si parla, muterà la
situazione, trasformando lo Stato in vera repubblica delle
autonomie: in realtà la devolution non è altro che
una forma di decentramento e, per molti versi, si tratta di una
fregature per i fruitori i quali si troveranno a gestire, ad
esempio, il deficit sanitario e ad esser costretti ad imporre
tasse sicuramente impopolari per avere un minimo di certezza
delle entrate.
Chi ha voluto la devolution, da qui a dieci anni dovrà
pagare le conseguenze dell'errore madornale che ha commesso nel
presentarla come una rivendicazione federalista. Il federalismo
nasce dal basso, non dal centro; se nasce dal centro è
mero decentramento. Nel caso italiano, si stanno decentrando i
debiti: lo Stato li cancellerà dal proprio bilancio e
potrà dimostrare che le Regioni e le autonomie non
funzionano, proprio perché, accollandosi la competenza di
settori deficitarii, queste si faranno carico di un debito pur di
poter dire di possedere delle competenze. Qual è il
problema che Regioni come il Veneto stentano a comprendere?
Il vero problema è che non stiamo affatto realizzando il
federalismo, ma solo un sistema che cerca di conciliare
l'inconciliabile. Le Regioni ad autonomia speciale hanno
acquisito potere concreti per una semplice ragione che nulla ha
che fare con la democraticità dello Stato e con la sua
presunta naturale propensione al federalismo: le Regioni a
Statuto speciale sono tali perché, fra tutte, erano le
meno italiane e quelle nelle quali sussisteva la
possibilità di aggregare la popolazione in movimenti
separatisti. Non la democrazia, ma la paura, ha creato le
specialità. Logico che oggi queste specialità siano
rimesse in discussione, poiché la paura è venuta
meno.
Le Regioni a Statuto Speciale non godono di particolari
privilegi, godono di una diminuzione dei poteri che sarebbero
spettati loro riconoscendo loro il diritto alla
autodeterminazione, e quanto maggiore è stato il pericolo
che esse rappresentavano per l'unità dello Stato, tanto
più ampi sono stati i poteri che hanno conquistato. Per
molti anni, comunque, lo Stato che aveva pur concesso le
specialità, ha cercato di fare in modo che esse non
producessero i frutti sperati. Non applicando alle
specialità una vera autonomia finanziaria, per anni lo
Stato ha affossato la possibilità che le autonomia
mostrassero di essere valido strumento amministrativo e di
governo locale, oltre che compensazione per altri diritti
negati.
E' questa la motivazione che spiega perché ogni volta che
i Veneti, i Lombari ed i Piemontesi hanno tentato di definirsi
"minoranze etniche" e di rivendicare il diritto alla
autodeterminazione, con questa loro rivendicazione hanno creato
grave pregiudizio a chi possedeva veramente le caratteristiche
atte a definirle tali, poiché tali caratteristiche erano
di per se svilite. Oggi il Veneto insiste e provoca sul discorso
delle autonomie soltanto perché la qualità della
vita della Regione Trentino, con la sua autonomia, è
migliore di quella di altre Regioni. La verità è
un'altra: le Regioni a Statuto Speciale hanno preservato la loro
specificità attraverso la autonomia, o quanto hanno
tentato di farlo. Questo era l'obiettivo primario dell'autonomia,
non tanto render possibili migliori servi sanitari, non tanto
favorire lo sviluppo industriale ed economico. Certo è che
per preservare questa specificità era ed è
indispensabile preservare e migliorare la qualità della
vita e dei servizi resi al cittadino.
Ma qual era, qual è la specificità della Regione
Veneto o di altre Regioni? Tutte le Regioni italiane potrebbero
rileggere la loro storia, riscoprire autonomie comunali, carte
delle libertà medioevali ed altro e, per questo, giungere
a formulare una richiesta di autonomia da conquistare oggi. Ma
non è questo il principio che può valere e
diventare diritto. Il principio che vale è non aver
dimenticato quella storia, averne fatto un percorso che ha
continuato a riprodursi in ogni epoca, fino ai giorni nostri,
aver resistito – in qualche modo – alle invasioni
preservando identità, lingua e cultura e facendone
strumento di coscienza identitaria popolare.
In un sistema federale, le cosiddette Regioni a Statuto Speciale
dovrebbero essere delle Repubbliche federate una all'altra,
esattamente come fossero degli Stati che hanno deciso di non
nascere, mentre le Regioni a Statuto ordinario dovrebbero avere
forme di autonomia locale, ampia ed importante, ma limitata
rispetto al problema complessivo della gestione della propria
sovranità. Oppure il diritto dovrebbe individuare altre
forme di autonomia da riconoscere a nuove specificità
territoriali, o alle risorgenze culturali, quando siano reali e
vissute non nell'ambizione di una egemonia economica locale, ma
nel sentire e nel vivere della gente. Per dirla in breve non nego
possano esistere nuove forme di autonomia, ancora da immaginare e
configurare, anche se mi preoccupo che le vecchie –
quantunque improprie ed inadatte – non siano
cancellate.
Si tratta, cioè, di identificare l'esistenza o meno di
caratteristiche nazionali, da rispettare attribuendo pieni poteri
a chi le possiede, e di caratteristiche locali, attribuendo a
queste diritti autonomistici. Le caratteristiche locali possono
prodursi all'interno delle Nazioni, ma se mescoliamo il sistema,
allora questo scricchiola e ci restituisce esattamente le
situazioni che ci sta restituendo: la contestazione delle
autonomie speciali che a qualcuno danno fastidio, perché
quel sistema non trova applicazione nella propria Regione. La
sola verità che, però, può spiegare meglio e
più opportunamente che cosa stia accadendo, riguarda il
modo con cui sono state costruite le Regioni.
Le Regioni italiane, speciali e ordinarie, non sono state
costruite seguendo un sistema identitario, ma l'aggregazione
delle comunità regionali è stata impostata in modo
erroneo. Il movimento delle Nazioni senza Stato ha proposto, in
passato, una rilettura del sistema Regionale, affermando che una
ipotetica trasformazione dello Stato italiano in senso davvero
federalista, avrebbe dovuto prendere il via da una azione di
disgregazione-riaggregazione di molte Regioni, spostando alcuni
comunità e territori da una regione all'altra, per ragioni
culturali, linguistiche, storiche, nazionali. Io stesso, facendo
mie le riflessioni ed i progetti elaborati in tal senso da molti
studiosi, ho proposto in conferenze degli anni'70 e '80 e,
successivamente, in questo sito, uno studio sulla nuova
composizione delle Regioni italiane. Ne estrapolo i passaggi
salienti.
Un progetto federalista
Fino alla seconda metà degli anni 80 nessuno formalizza
una proposta articolata e definita di trasformazione dello Stato
italiano in senso federalista. Nei discorsi e nei documenti delle
nazionalità è chiaro che ciascuna ipotizza il
riconoscimento della propria identità e del proprio
territorio in un futuro assetto istituzionale federale; ma non
c'è, non è pensata, una "cartina" che schematizzi
visivamente la nuova articolazione territoriale cui le
nazionalità guardano. Il CIEMEN sta predisponendo due
"carte" fondamentali, la mappa "l'Europa dei Popoli" e la Carta
su "Le lingue nel mondo" che indicano, graficamente, il chi
è ed il dove delle nazionalità.
All'interno della Lega si sentono i primi proclami su di un
federalismo che preveda l'esistenza in una prima formulazione di
tre Italie, in una seconda di due, ecc. Nemmeno l'UV presenta una
proposta definita, ma ospita sul suo settimanale "Le Peuple", una
riflessione su come potrebbe articolarsi lo Stato federale: una
rilettura delle specificità regionali, delle
identità nazionali, delle autonomie già esistenti
porta ad una schematizzazione ed alla seguente affermazione: "fin
tanto che l'Italia esisterà, o se deve esistere come
realtà federale, 10 sono le entità (lander,
repubbliche, regioni o altro) che dovrebbero comporla:
- La ROMANDIE, con la Valle d'Aosta e le Valli Francoprovenzali
del Piemonte;
- L'OCCITANIA, con le valli occitane del Piemonte e della
Liguria
- La SLOVENIA, con le Valli intorno a Gorizia, l'est di Udine e
l'hinterland della costa di Trieste;
- Il SUD TIROLO
- La LADINIA, con il Friuli (senza la Venezia Giulia), i
territori di lingua ladina attualmente in Trentino Alto Adige, la
circoscrizione di Porto Gruaro (Veneto attuale);
- La PADANIA, con la Liguria (senza le zone occitane), il
Piemonte (senza le zone Francoprovenzali ed Occitane), la
Lombardia, l'Emilia Romagna, il Veneto;
- La TOSCANA, senza la Romagna toscana e senza la provincia di
Massa Carrara (Emilia);
- Il MERIDIONE, con una suddivisione sub-regionale articolata
diversamente da ora e con autonomie cantonali per le varie
piccole nazionalità
- La SICILIA
- La SARDEGNA.
La proposta è fortemente innovativa ed apparentemente
utopistica: risponde, però, oggettivamente ad un criterio
etnico e storico. Nessuno si accorse che il progetto formulava
un'identificazione della "Padania" che anticipava la stessa
scelta espressa in tal senso della Lega Nord che quando di
Padania parlerà, di lì a poco, lo farà
comprendendovi Valle d'Aosta, Friuli, Slovenia, Tirolo,
Occitania, rendendo la sua proposta non compatibile con le
istanze nazionalitarie.
All'interno di questa ipotesi restano poi da salvaguardare altre
identità "nazionali" minori, alle quali è opportuno
guardare attribuendo ampie forme di autonomia locale: le varie
isole tedesche dell'arco alpino, la comunità catalana
della Sicilia, la comunità slava della Slovenia. Riterrei,
quindi, del tutto naturale si determini la rivendicazione di
alcune riaggregazioni territoriali ispirate dal criterio
identitario, il solo che può spiegarle e mi piacerebbe
nascesse un grande movimento capace di riflettere su questa
problematica.
Tutto il resto è banalizzazione e provocazione. L'intento
di fondo è sempre sminuire e ridurre le autonomie
speciali, come tenta sempre di fare il centralismo, come ha
tentato di fare il leghismo, come si ipotizza di fare creando una
nuova identità fittizia, quella delle macro-regioni
europee. Va posta attenzione, allora, ad un altro problema:
l'Europa è una realtà senza confini? E allora non
dovrebbe essere impossibile consentire alle Regioni europee,
ridisegnare il loro territorio indipendentemente dagli stati di
appartenenza.
La ricomposizione della Savoia con l'accorpamento dei territori
"italiani", "francesi" (e "svizzeri"), la riunificazione dei
Baschi e dei Catalani, la nascita di un solo Tirolo, tutte
Regioni transnazionali o, meglio transtatali, se non vogliamo
riconoscerle Nazioni senza Stato, sarebbero la sola naturale
soluzione proponibile con un criterio di riferimento molto
preciso. Potremmo allora, per restare a livello di provocazione,
immaginare che la Savoia francese chieda di essere annessa alla
Valle d'Aosta, o viceversa. Certo è da evitare qualsiasi
discorso che, come quello di Galan e del Veneto, poggi solo su un
calcolo economico. Le Regioni del Nord padano devono imparare a
valorizzare la loro identità e a gestire le loro risorse e
potenzialità con i loro strumenti, piuttosto che credere
di poterlo fare meglio con gli strumenti di altri, più che
a cercare il modo migliore per essere più ricche,
più autonome e più ricche.
Poi, per carità, ognuno faccia in politica ciò che
ritiene necessario ed opportuno. Io mi preoccupo solo del fatto
che, poiché ancora credo nel diritto alla
autodeterminazione e nelle Nazioni senza Stato, si creano
rispetto a questo diritto già negato, sempre nuovi
ostacoli. Già viviamo i frutti negativi della
criminalizzazione della rivendicazione del diritto alla
autodeterminazione all'interno dell'Europa che rende intoccabili
gli Stati proprio quando, creando l'Europa, sostanzialmente si
afferma questo: gli Stati dovrebbero cedere la loro
sovranità in due direzioni, verso il basso, a vantaggio
delle realtà località e verso l'altro, a vantaggio
di una autorità – appunto – europea.
Ogni volta, però, che cerchiamo di approfondire il
dibattito su questi temi, scopriamo che l'Europa sta diventando
un super-Stato che ancora e sempre attraverso gli Stati continua
a negare i diritti dei popoli. L'Europa non ha neppure sancito
nella sua Costituzione, l'esistenza di popoli e minoranze etniche
e quando parla di popoli, parla solo di Stati. Bel pasticcio. E
allora a Galan non resta far altro che conferma l'annessione del
suo Veneto all'Italia, migliorandone la democratici e
potenziandone le autonomie.
Si rassegni Galan, il Veneto farà pur sempre parte di una
unica circoscrizione elettorale europea insieme al Trentino ...
bella trovata, anche questa, per danneggiare le Nazioni senza
Stato ... Devo, tuttavia, constatare che si sta diffondendo una
certa rassegnazione negli ambienti politici delle Nazioni senza
Stato, rispetto alla opportunità di insistere nella
affermazione della loro identità e dei diritti che ne
derivano: se Galan può fare un discorso di pura
monetizzazione dell'autonomismo, non è solo colpa sua.
Buona parte dei movimenti politici autonomisti hanno già
ampiamente battuto cassa, trasformando i loro diritti in
privilegi e contribuendo colpevolmente a snaturare la stessa
identità di cui dovrebbero essere primissimi tutori.
Buona parte dei miei scritti sono volti a sottolineare proprio
questa situazione. E buona parte dei miei scritti sono ...
"valdostani". In realtà lo sono meno di quanto il mio
ostinato riferimento alla Valle d'Aosta mostri: spesso basterebbe
poco per adattare le mie considerazioni valdostane ad altre
realtà. Per questo le propongo ad un pubblico di lettori
vasto come quello di APM che so attento e capace di leggere oltre
i limiti stesso della contestualizzazione dei vari contributi.
Non posso allora evitare di proporre, a conclusione di questa
dissertazione, un appello, appunto, "valdostano". In Valle
d'Aosta si è tenuto un Congresso dell'U.V. in occasione
del 60° anniversario del movimento. Un appello
indipendentista, breve, ma credo pregnante, per ribadire che
applicarsi alle dinamiche amministrative e stare acriticamente
dentro alle dinamiche ed alle complicazioni poste in atto dallo
Stato e dall'Europa, senza pensare oltre, è colpevole
regressismo.
30 OTTOBRE 2005 - LETTERA APERTA AL CONGRESSO
DELL'U.V.
Leggo, con enorme piacere, la notizia che l'U.V. ha deciso di
aprire le porte del Congresso a tutte le forze politiche,
superando anche remore e difficoltà oggettive. Al fine di
dare un apporto ulteriore, a nome del composito movimento
indipendentista, dalla cui spinta è pur nata, in passato,
anche una esperienza elettorale mi permetto di formulare queste
osservazioni. Auspichiamo che i valdostani possano esercitare il
diritto alla autodeterminazione e trasformarsi da "minoranza",
come riduttivamente sono costretti a definirsi, in vero e proprio
popolo.
Crediamo, per questo, che nelle logiche della vita
politico-ammnistrativa, l'U.V. debba crescere ancora, aggregare
nuove energie e recuperare quelle che ha perdute, creando un solo
grande partito/movimento autonomista capace di operare con forza
nelle dinamiche e nelle realtà istituzionali. Al tempo
stesso chiediamo, però, che questa riunificata U.V. sappia
tener conto delle istanze che vengono da chi, fuori dai limiti
istituzionali, ancora sogna e ancora pensa ad una Valle d'Aosta
indipendente e alla ricostruzione della Nation savoiarde che nel
Congresso del 1979 l'U.V. proclamava di voler conseguire.
INDEPENDANTISTES
Regione straniera, quindi. In questi giorni, poi, nelle Valli
piemontesi che, per consentire al lettore una immediata
collocazione geografica, comprendono e condividono con la Valle
d'Aosta il Parco del Gran Paradiso, è nato un movimento
che chiede l'annessione alla Valle d'Aosta. Fanno riferimento
all'epoca in cui fecero effettivamente parte della provincia
fascista di Aosta, ma non certo per questo hanno ragion d'essere:
sono valli franco-provenzali ... Regioni straniere, quindi,
soprattutto straniere ... in Italia.