di Claudio Magnabosco
Aosta, 11 maggio 2006
INDICE
NOUS SAVIONS LE CHEMIN / Conoscevamo la strada
| SE POTESSI PARLARE AI VALDOSTANI ... | U.V. ... LA SFIDA ALL'OK CORRAL NON SI FARA' | TURISMO TRA COMUNICAZIONE E CULTURA | COMIZIO ESTEMPORANEO E NON AUTORIZZATO | IL DISAGIO VIENE DA LONTANO | CARO
LUCIANO. Lettera aperta al Presidente della Regione, Luciano
Caveri
Che succede in Valle d'Aosta?
Il movimento/partito storico Union Valdotaine si è
presentato alla ultime elezioni politiche fortemente diviso,
meglio dire lacerato, tanto che una frangia unionista, in
alleanza con i D.S., ha eletto il deputato e senatore che
spettano alla Valle d'Aosta (entrambi schierati con Prodi),
mentre l'U.V., pur avendo rilanciato il progetto
dell'unità di tutti i movimenti autonomisti, è
stata sconfitta. Nulla di strano se si considera che le elezioni
si vincono e si perdono, ma certo singolare il fatto che
nell'U.V. molti credano, al tempo stesso, di averle vinte e di
averle perdute. La cosa difficilmente comprensibile ad un lettore
esterno è che questo sia successo ad una U.V. che nel
Consiglio regionale della Valle d'Aosta ha ottenuto alle elezioni
del 2003, la maggioranza dei seggi, per la prima volta nella
storia: 18 seggi su 35!
Impossibile spiegare questa situazione a persone che non siano
valdostane o non siano dentro alle vicende politiche valdostane.
La sostanza, è, però, molto semplice: è in
corso una lotta di potere e uno dei contendenti è un
leader carismatico un po' troppo peronista, accentratore e poco
propenso ad ascoltare le ragioni della minoranza interna, tanto
che questa si è ribellata e gli ha dimostrato che a non
esser maggioranza questa volta è lui. Si potrebbe trattare
di una banale lotta interna, comune a tutti i partiti, se non
fosse che è combattuta da oltre venti anni e che, per
combatterla, l'U.V. si è allontanata sempre più dai
propri principi e valori ispiratori, diventando, da movimento che
era, un partito di raccolta e pensando più al potere che
al proprio ruolo storico.
Se a lottare, poi, sono solo i politici e tacciono gli
intellettuali, ci possiamo aspettare solo le solite mezze
verità della politica, mentre la verità vera
è più dura: l'U.V. si è persa per strada e
diversamente da quanto un intellettuale poteva scrivere 30 anni
or sono, affermando che conosciamo la strada per difendere i
diritti della Valle d'Aosta, quei diritti oggi non li conosciamo
più: da qui il titolo di questo saggio, "Nous savions le
chemin", conoscevano la strada, ma non la conosciamo più,
che i miei lettori riconosceranno poiché lo utilizzai come
sottotitolo di un altro precedente studio che dedicai alla Valle
d'Aosta. Per comprendere meglio la ricostruzione storica che
propongano, si leggano comunque gli altri studi che ho dedicato
all'U.V. ed alla Valle d'Aosta, potendo, in questo modo, prender
confidenza con i personaggi dei quali parlo in questo
saggio.
La verità è semplice, meno semplice ammetterla:
l'U.V. è divisa da quando Mario Andrione, Presidente della
Giunta, riparò a Nizza per evitare l'arresto ed il suo
delfino, Augusto Rollandin, lo sostituì. Il problema,
quindi, è nato 20 anni or sono e da allora si è
trascinato penosamente. Molti da allora hanno tentato di
evidenziarlo, senza avere - però - l'attenzione di quella
parte di unionisti che solo oggi contesta Rollandin, fingendo che
i problemi siano scoppiati nel 2003, quando l'U.V.
conseguì la maggioranza dei seggi in Consiglio regionale e
Rollandin cominciò a spadroneggiare. In questi ultimi 20
anni, invece, c'è tutta la vera storia del malaise degli
unionisti.
Ci sono la questione morale posta da Emile Chanoux junior, la
sua uscita dell'U.V., il suo movimento alternativo all'U.V:, il
suo suicidio; c'è l'uscita di Tamone, Danna e altri,
c'è la nascita di gruppi e movimenti che hanno tentato di
tenere alta l'attenzione agli ideali dimenticati dall'U.V. E ci
sono strappi interni di non irrilevante peso: presidenze e
assessorati mal distribuiti, incarichi e dirigenze spartiti,
errori amministrativi e contraddizioni elettorali, sul filo di un
equilibrio che non c'era e di ideali - appunto - dimenticati. Chi
oggi contesta Rollandin, è stato dentro a questa U.V., ha
ricoperto ruoli, ha avuto incarichi, presidenze ed assessorati
compresi, consulenze e dirigenze; di conseguenza costoro
contestano sì, ma cercano di salvare la loro immagine: per
tutti la semplificazione della questione è fingere che i
problemi risalgano al 2003, quando Rollandin non volle Caveri
alla Presidenza della Giunta, gli preferì Perrin, ecc.
ecc.
I fatti più recenti assumono, in questo modo, i toni
della farsa: tutti ci divertiamo con le farse dello Charaban, ma
lo Charaban non deve governare, come invece devono fare gli
uomini dell'U.V. Quali le soluzioni? Non certo un
embrassons-nous, né un ripartenza congressuale, né
la nascita di un movimento alternativo, né la confluenza
dei dissidenti nel movimento alternativo già creato da
Louvin. La soluzione è la verità, dichiarare ed
analizzare la verità: l'U.V. è divisa da quando
Rollandin sostituì Andrione; strada facendo le divisioni
si sono accentuate, rese più gravi dal fatto che dopo tre
legislature i consiglieri regionali eletti nell'U.V. non possono
ripresentare la loro candidatura e che neanche occupando tutti i
posti di potere, l'U.V. può soddisfare le ambizioni di
tutti.
Vergognosi appetiti? No. Gestendo un potere troppo clientelare
è inevitabile dar spazio a persone che non hanno altro
merito che assecondare chi detiene il potere, spesso non
possedendo capacità specifiche e lasciando intendere che
per ricoprire incarichi di responsabilità, non siano
indispensabili le competenze e le capacità, ma solo il
possesso di un gruzzolo di consensi da spendere al mercato dei
voti. E gli ideali? Già, questo è il problema: oggi
lo scontro li riporta a galla e tutti tentano di farsene
difensori. Peccato che tutti li abbiano dimenticati per 20 anni.
C'è, inoltre, un fatto gravissimo del quale nessuno sembra
avvedersi: per molti unionisti l'U.V. è una seconda pelle,
di più una seconda anima; essere unionisti è un
sentimento che va oltre gli enunciati e la razionalità,
quasi che - in realtà - l'U.V. incarni una Valle d'Aosta
che si sogna esista, non avendo la capacità di farla
esistere nella realtà quotidiana. Per costoro non votare
U.V., uscirne, contestarla, significa vivere personalmente una
grave crisi morale.
Questo è il peggior male che potesse esser fatto agli
unionisti sinceri e questo spiega perché molti abbiano
taciuto tanto a lungo o abbiano difeso a spada tratta i leader
che si trovavano nei guai con la giustizia. L'U.V. ed i suoi
esponenti politici, avevano il compito storico di traghettare la
Valle d'Aosta e gli unionisti in un futuro nel quale la
consapevolezza identitaria doveva tradursi in coerenza politica:
sognatori, i valdostani stanno scoprendo che i sogni si sono
trasformati in incubi.
In Valle d'Aosta viviamo un periodo di grave crisi. Crisi
culturale, evidenziata dal fatto che non esistono in Valle
d'Aosta momenti di aggregazione culturale volti a approfondire,
elaborare e proporre, ma solo una molteplicità di
occasioni per rileggere acriticamente il passato e per
celebrarlo, oltre ad una lista infinita di opportunità per
fruire passivamente di eventi culturali. Viviamo una crisi
economica a fronte della quale il governo regionale si sta
buttando nel vicolo cieco dei provvedimenti tampone che risolvono
l'oggi, ma aggravano il domani, poiché ritardano la presa
di coscienza delle reali motivazioni della crisi stessa.
La percezione della gravità della crisi e del peso che
sta assumendo nella vita delle persone è alterata: gli
amministratori non si avvedono dell'impoverimento della
popolazione, poiché hanno aumentato gli interventi
economici, i provvedimenti, i contributi a sostegno delle
situazioni di disagio vecchie e nuove; in questo modo,
però, non si fa altro che posticipare l'esplosione delle
negatività. Crisi politica, poiché l'U.V.,
movimento di maggioranza relativa, con 18 consiglieri su 35 in
Consiglio regionale, si sta frantumando, dando vita ad almeno due
o tre movimenti, ormai in sempre più evidente
contrapposizione tra loro: quel che è grave non sono le
divisioni che in politica sono del tutto normali, ma il fatto che
queste si producono senza che i protagonisti siano portatori di
un progetto di uscita dalla crisi immanente, ma litighino sulle
posizioni di potere, occupando le quali possono al massimo
gestire la quotidianità.
La loro diventa una ammissione di impotenza: sembra quasi che la
crisi e le difficoltà siano inevitabili e questa
rassegnazione ha una gravita "storica": i politici valdostani,
infatti; non dovrebbero ragionare come gli amministratori di un
grande condominio, ma come gli statisti di un piccolo Stato. Le
divisioni consentono alla classe politica di fornire all'opinione
pubblica una spiegazione fasulla del perché i problemi non
possano essere risolti e le soluzioni non possano essere
programmate: l'instabilità consente di scaricare su altri,
su quelli che hanno governato in anni precedenti, su quelli che
hanno governato male a fronte di quelli che si propongono di
governare bene, responsabilità che- invece - sono di tutti
degli uomini dell'U.V., il partito/movimento di maggioranza
relativa.
In Valle d'Aosta, in verità, l'instabilità
è un fatto del tutto recente: per decenni, infatti, la
Valle d'Aosta è stabilmente governata da maggioranze
formate dall'U.V. stessa e dai D.S. (ex P.C.I. che in Valle
d'Aosta si chiamano Gauche Valdotaine). L'instabilità,
quindi, non è interna, ma esterna: possiamo cioè
lamentare che in Europa e in Italia non c'è la
stabilità necessaria ad assicurare interventi
politico-economici adeguati; e quando un po' di stabilità
si produce a quei livelli, allora in Valle d'Aosta se ne
evidenziano gli aspetti centralistici. La Valle d'Aosta,
cioè, non è mai responsabile di nulla. Credo
però che, tutto sommato, in Valle d'Aosta siamo tutti
più intelligenti di quel che dimostriamo di essere:
vediamo la realtà dei problemi e le difficoltà di
fronte alle quali la Valle d'Aosta si trova, ma non sappiamo
trovare il coraggio di dire la verità, perché
questa frantumerebbe il difficile equilibrio sociale, economico,
culturale e politico che abbiamo subito e contribuito a costruire
... su basi errate.
La verità è che questo sistema istituzionale
italiano è sbagliato, ma per certi versi funziona e prima
di far funzionare adeguatamente un sistema diverso, quantunque
più corretto, dovremmo cambiare molte cose ed affrontare
non pochi sacrifici. Questo ci spaventa e ci porta a preferire
una dorata dipendenza (ma questo oro si sta rivelando falso...)
ad una problematica libertà. Se siamo in crisi ed in
difficoltà, così, il responsabile dei responsabili
è individuato fuori dalla Valle d'Aosta: responsabili
della crisi diventano la mondializzazione, l'Europa, il
centralismo dello Stato...e, invece, i veri responsabili sono
tutti in Valle d'Aosta, in un movimento che è diventato
troppo forte per le proprie capacità di gestione
democratica dei successi, in una amministrazione che cancella le
intelligenze che la metterebbero in crisi, indicando la
necessità di adottare scelte più coerenti.
Ancora ci basiamo ancora e sempre in Valle d'Aosta,
sull'insegnamento di Chanoux, insegnamento che per certi versi
è invecchiato, pur conservando assolutamente integra la
valenza etica, e che dovrebbe chiarirci una cosa: Chanoux
guardava al futuro della Valle d'Aosta, programmandone la
crescita e lo sviluppo indicando di quali strumenti politici,
culturali, sociali ed economici ci fosse bisogno. Noi non stiamo
più guardando al futuro, perché siamo incapaci di
prefigurarlo e perché anche solo il tentativo di farlo, ci
porrebbe nella situazione di dover cambiare i nostri
comportamenti di oggi: meno attaccamento al potere per il potere,
più lucidità nell'analizzare la crisi!
E più onestà nel riconoscersene responsabili. Per
decenni abbiamo alimentato la sopravvivenza di industrie decotte
che sono arrivate ad insediarsi in Valle d'Aosta perché
allettate da favori di ogni tipo: hanno avuto a disposizione
strutture e finanziamenti agevolati, hanno avuto forniture
energetiche, hanno contato su una pace sociale gestita con il
coinvolgimento dei sindacati. Che si sia trattato di una
impostazione di politica industriale assolutamente sbagliata (e,
per assurdo, gestita per moltissimi anni, continuativamente, dai
D.S., con assessori di dichiarata storia sindacale e comunista!)
lo testimoniano scelte anche antecedenti agli ultimi anni, la
più clamorosa ed incredibile delle quali fu insediare una
fabbrica di rubinetti a Cogne, una sola strada di accesso, una
località alpina che meglio si presta - ovviamente - allo
sci che ...ai rubinetti.
Una marea di pseudo-industriali è giunta in Valle
d'Aosta, ha rapinato la comunità valdostana e se ne
è andata con la stessa fretta con la quale era arrivata.
La necessità di mantenere un accettabile livello
occupazionale nel settore industriale, ha spinto a scelte
sbagliate. Ma l'errore degli errori è stato non riflettere
mai abbastanza chiaramente sul vero significato
dell'industrializzazione della Valle d'Aosta che è stato
quello di succhiare risorse (carbone, ferro, acqua) determinando
un falso sviluppo utile solo ad italianizzare la Valle d'Aosta,
facendovi arrivare migliaia di immigrati. La Valle d'Aosta
afferma di avere una vocazione turistica, ma continua ad essere
una delle regioni alpine turisticamente meno organizzate e
più care; la stagione del turismo valdostano dura pochi
mesi invernali ed estivi, mentre tutti gli altri periodi sono
assolutamente trascurati e non si è mai fatta una politica
turistica che valorizzasse le diverse stagioni e consentisse ad
albergatori e a lavoratori del settore, di lavorare in modo meno
frammentario e precario.
Il numero dei turisti sembra aumentare, ma gli alberghi ed i
residence lamentano di essere sempre in crisi ed in
difficoltà. Incredibile ... Ecc. ecc. ecc. I valdostani
dovrebbero riflettere e dovrebbero riflettere soprattutto quelli
che militano nel S.A.V.T., il sindacato nazionalitario; se non
altro per competenza diretta, non possono non avvedersi del peso
reale della crisi che incombe sui lavoratori e sulla popolazione.
Se i politici possono avere ragioni diverse per fingere che la
realtà sia un'altra, e conservano i loro posti anche
attraverso il populismo, i contributi o il carisma personale, i
rappresentanti dei lavoratori hanno il dovere di dire tutta la
verità, sempre. In Valle d'Aosta, inoltre, il ruolo del
S.A.V.T. è sempre stato quello di essere una delle
componenti di maggior rilevanza nella soluzione della cosiddetta
"question valdotaine", quell'insieme di diritti che non sono
compresi in nessuno Statuto, in nessuna carta istituzionale, ma
nella coscienza dei valdostani: i valdostani che sanno di essere
un popolo, fanno della loro terra una nazione alla quale
competono ruolo e diritti che non possono essere gli stessi
paternalisticamente concessi a semplici regioni o a semplici
minoranze.
Parte di questo movimento, il S.A.V.T. si è trovato in
momenti di crisi e di difficoltà, superati grazie al fatto
che fu l'U.V. ad intervenire organicamente per risollevarlo: in
uno di questi momenti di crisi l'U.V. sostenne la segreteria
sindacale impegnandovi un giovane e dinamico Bruno Salvatori, poi
sostituito da François Stévenin che in 17 anni fece
del S.A.V.T. un sindacato forte ed autonomo anche dalla stessa
U.V. E quando l'U.V. si trovò in difficoltà, anche
sul piano economico, fu all'appoggio del S.A.V.T. a consentire il
superamento di quelle difficoltà. Del movimento che
sostiene la question valdotaine fa parte anche il mondo della
cultura: allora, come dimenticare l'apporto al S.A.V.T.
assicurato da esponenti dell'U.V. come Alexis Bétemps, che
è giusto considerare come il principale studioso della
civilisation, come Pierre Grosjacques autore di quel testo
fondamentale che è "Nous savons le chemin", come l'attuale
segretario Guido Corniolo, già animatore di quella E.A.C.
attiva per più di trenta anni in dinamica europea.
Se, allora, ammettiamo, che la question valdotaine è il
problema storico della Valle d'Aosta contemporanea, non ci
sarà difficile pensare alle sue diverse componenti come ad
un tutt'uno che non può sfilacciarsi, neppure in nome di
un presunta autonomia del sindacato rispetto alla politica o
della cultura rispetto alle istituzioni. La question valdotaine
interessa tutti i valdostani e quelli che desiderano continuare a
considerarsi tali, hanno sempre ritenuto opportuno stare
nell'U.V., nel S.A.V.T. e in organizzazioni culturali,
considerandosi sempre coerenti con l'unica finalità che
conta davvero: l'épanouissement della Valle d'Aosta. Se,
allora, questo è assodato, deve essere assodato anche il
fatto che le difficoltà di una delle componenti, sono le
difficoltà di tutte.
Oggi è in crisi la politica, è in crisi l'U.V.,
ebbene è il momento che il sindacato, il S.A.V.T.,
intervenga. Ci avvediamo che bisognerebbe cambiare e sappiamo
anche come, ma ci ostiniamo a restare nell'errore, perché
è più comodo e richiede meno impegno. E allora ci
rifugiamo dietro una presunta inevitabilità storica di
ciò che sta avvenendo, per spiegare la nostra
incapacità ed impotenza: c'è la globalizzazione,
c'è l'Europa, ecc... Se essere detentori di
un'identità e di una specifica ragion d'essere storica,
fossero davvero la nostra prima preoccupazione - e lo diciamo in
ogni occasione, lo scriviamo nei documenti base dei nostri
Congressi - dovremo partire dalla considerazione che, come
Sindacato, ancora non abbiamo tutti i diritti degli altri
sindacati.
Questo dovrebbe portarci ad approfondire il nostro ragionamento
iniziale complessivo sui limiti istituzionali del nostro agire,
portandoci a trarre una conclusione: siamo all'interno di un
sistema nel quale le forme di autonomia che pur vantiamo,
appartengono allo stesso sistema che ci soffoca. Siamo,
cioè, legati a doppia corda al sistema che ci soffoca, per
la sola ragione che ci siamo accontentati di quel che ci permette
amministrativamente, economicamente, socialmente, culturalmente e
politicamente. Dovremmo, allora, recuperare appieno il senso
profondo dei diritti che derivano dalla nostra identità e
rivendicarli. Questo ci permetterebbe, immediatamente, di
recuperare il senso di provvisorietà e di
precarietà di tutto il resto: se riteniamo di aver diritto
ad esercitare l'autodeterminazione, qualsiasi altra conquista o
concessione, compresa l'autonomia, non sarà altro che un
compromesso provvisorio con la storia e con il potere
centrale.
L'autonomia di cui gode la Valle d'Aosta non è altro che
un compromesso provvisorio con la storia e con il potere
centrale, compromesso che ci offre soltanto alcune piccole
"conquiste" e "concessioni" che noi erroneamente consideriamo
vittorie storiche. Ogni volta che queste stesse piccole conquiste
e concessioni saranno messe in discussione, noi potremo e dovremo
ricordare che ben altro è il diritto e che non ci abbiamo
mai rinunciato. Possiamo, cioè, stare al gioco del sistema
solo se questo non frena il nostro vero sviluppo e soltanto se
non condiziona o non cancella la nostra identità.
Come mai, ad esempio, quelli che sono Diritti Costituzionali,
come l'intera Carta Statutaria, possono essere bipassati dalle
logiche europee? Noi abbiamo firmato una sorta di patto con lo
Stato e lo Stato si permette di gestire la nostra legittima quota
di sovranità e di autonomia con un istituto "superiore",
l'Europa, negando tutto quel che nel patto con noi è
sacrosantamente descritto. Se la costruzione dell'Europa nei
tempi e nei modi che abbiamo conosciuto fosse stata davvero
inevitabile, allora da parte dello Stato (e del Governo) avrebbe
dovuto essere espresso e formulato almeno il diritto dei
valdostani ad avere un loro rappresentante nel Parlamento
Europeo,:invece questo non è avvenuto. Le caratteristiche
storiche, geografiche, culturali e linguistiche dalla Valle
d'Aosta non hanno riconoscimento alcuno in Europa, perché
lo Stato ha dimenticato di sottoscrivere i patti europei,
salvaguardando i patti che aveva già sottoscritto al
proprio interno.
E' indispensabile, cioè, che in Europa la Valle d'Aosta
resti una Regione a Statuto Speciale e non una delle tante
regioni europee, chiamate a gestire da colonizzate i loro spazi
in un Comitato delle Regioni nel quale le specialità sono
morte, soffocate e negate e il resto è mera burocrazia.
Questo è un discorso politico? No, questo è un
discorso che mira a far salve le ragioni d'essere da un lato
dell'U.V. e del S.A.V.T. e dall'altro della Regione Autonoma
Valle d'Aosta. Sì, perché tutti in Valle d'Aosta
possono dirsi autonomisti, ma pochi lo sono nel confronto con lo
Stato, in quanto tutti sono parte organica delle strutture e
degli istituti (compresi i partiti e i sindacati) attraverso i
quali lo Stato si regge.
Per questo in passato il S.A.V.T. e l'U.V. sono stati,
reciprocamente, la stampella l'uno dell'altra, mentre
erroneamente a questo rapporto si faceva riferimento quando si
parlava di "cinghie di trasmissione" accusando il S.A.V.T. di
essere la cinghia dell'U.V. come se l'esistenza di questo stretto
rapporto fosse un male. Sbagliato: S.A.V.T. e U.V. erano,
dovrebbero essere. lo strumento attraverso il quale il popolo
valdostano porta avanti la question valdotaine all'interno dei
sistemi e delle istituzioni esistenti. Ora è più
che probabile che l'U.V. si sia dimenticata questo suo ruolo
storico, ma non altrettanto evidente è che lo abbia fatto
anche il S.A.V.T o che lo debba fare. Se vediamo che l'autonomia
non è applicata, se constatiamo che il S.A.V.T. non
è pienamente riconosciuto, se osserviamo che alla Valle
d'Aosta è negato il diritto ad avere un proprio
rappresentante nel Parlamento Europeo, ecc. ecc., non facciamo
altro che constatare che il sistema ci nega.
Ritrovare le proprie radici storiche non vuol dire solo
proclamarle, ma anche assumere specifiche responsabilità
per riaffermarle. La Valle d'Aosta è una Nazione senza
Stato: sarebbe del tutto normale, allora, che dovendosi limitare
ad esser considerata soltanto una Regione, in Italia fosse almeno
davvero tale, poiché alla base del sistema regionalista
è stata posta l'identità regionale. Ne
discenderebbe, ad esempio, il fatto che tutte le aree alpine dove
sono diffusi il francoprovenzale ed il francese, potrebbero e
dovrebbero costituire un'unica entità regionale
all'interno dello Stato "regionalista", nel senso che afferma di
voler funzionare attraverso il decentramento regionalista. E se
l'esercizio della sovranità è delegato, ormai,
all'Europa, allora dovremmo costruire quella sorta di Romandie
che tenga insieme tutte le regioni di lingua e tradizione franco
e francoprovenzale, ponendo alla base di un pur limitata
autonomia, proprio quello specifico identitario che ne
giustificherebbe ben altra connotazione.
Benché questo non sia un tema squisitamente sindacale, lo
diventa poiché il quadro di riferimento della nostra
azione, muta proprio in considerazione della specificità
che rappresentiamo nel mondo del lavoro: se il S.A.V.T. non
è pienamente riconosciuto è perché
rappresenta lavoratori di una Regione che è - appunto -
solo una Regione, allora è evidente che non potremo mai,
dico mai, tutelare davvero i lavoratori valdostani, poiché
buona parte delle decisioni che riguardano il sistema economico
sono assunte fuori dalla Valle d'Aosta e in Valle sono
semplicemente e automaticamente applicate. Tutto ciò che
riguarda il cosiddetto sviluppo industriale e la sua crisi, oggi
quanto mai attuale, è la dimostrazione che la Valle
d'Aosta non possiede neppure un briciolo di reale
sovranità, ma solo forme di autonomia utili a gestire le
decisioni prese da altri: il che non è molto diverso dal
colonialismo e dal neocolonialismo.
Proporre queste considerazioni teoriche ad una organizzazione
sindacale che quotidianamente gestisce i problemi dei lavoratori
e di quelli che un lavoro non ce l'hanno o lo stanno perdendo,
può sembrare ozioso esercizio intellettuale. Invece non
è così: noi abbiamo bisogno di mutare totalmente
l'ottica della nostra azione sindacale. Se ragionassimo davvero
come una Nazione senza Stato, allora dovremmo affermare
immediatamente che non è più tollerabile dover
lottare per essere un sindacato come gli altri, poiché
questo lo siamo nei fatti. E poiché anche solo restando in
Italia, in altre realtà questi stessi problemi sussistono,
ad esempio in Sardegna, allora è venuto il momento di fare
un investimento storico: creare in Italia una federazione di
Sindacati come il S.A.V.T. ed agire sul piano italiano insieme ai
sardi e ai sudtirolesi, spingendo perché altre
organizzazioni sindacali nascano là dove i diritti delle
Nazioni senza Stato sono negati, costruendo un sindacato con gli
stessi diritti degli altri sindacati: in sostanza si tratta di
prendersi i diritti che non ci sono riconosciuti.
Quali rapporti mantenere o stabilire con le organizzazioni
sindacali italiane? Quelli che sarà possibile e necessario
intrattenere, certo non sacrificando all'altare di una
unità sindacale fittizia, raggiunta in Valle d'Aosta con
C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L., addirittura lo stesso diritto ad
esistere e ad immaginare e proporre uno sviluppo economico e
sociale diverso da quello che ci lega e ci vincola ad interessi
esterni. La globalizzazione, l'Europa sono tutte balle che ci
sono imposte solo perché non siamo capaci di pensare ad
altro e perché, in questo modo, tutte le scelte sbagliate
che dobbiamo subire sembrano dettate da un interesse superiore e
legittimo. Ma come, ancora non abbiamo capito la lezione? Mezzo
secolo di scelte sbagliate se ne è andato proprio
perché gran parte delle decisioni economiche sono state
assunte in nome dell'interesse nazionale italiano, poi
quell'interesse è andato a scatafascio perché a
nessuno stava davvero a cuore e a noi sono rimaste le briciole e
le situazioni di crisi.
Noi continuiamo, allora, a formulare il concetto della
unità nella diversità e quella che gli studiosi
continuano a definire lotta tra le dimensioni globale e locale
non può non imporci opportune riflessioni. Banali,
perché stiamo difendendo un sistema economico che, per
affermarsi, affama il mondo, porta guerre e disastri, arricchisce
pochi ed impoverisce i più... Noi stiamo sostanzialmente
inseguendo il sogno di essere compartecipi della ricchezza,
comunque conquistata, e non ci avvediamo, invece, di essere solo
delle pedine in un panorama economico che ci sta
cancellando.
I contratti, le vertenze, l'organizzazione sociale, i servizi
non possono essere la sola dimensione del lavoro del S.A.V.T.: il
lavoro del S.A.V.T. ha da essere un lavoro politico, chiaramente
e dichiaratamente politico. Il S.A.V.T. ha da essere uno degli
strumenti per l'affermazione della question valdotaine e se,
rispetto a questa, l'U.V. sta arretrando avendo svenduto i
principi al potere, è al S.A.V.T. che spetta il compito di
affermare chiaramente che quei principi hanno ancora una ragion
d'essere. Parliamo un poco dell'acqua: è mai possibile che
il mondo intero si stia attrezzando a quella che, presto,
diventerà una vera e propria guerra per i rifornimenti
idrici e che noi ce ne stiamo alla finestra senza neppure
accorgerci che possediamo una ricchezza e che dobbiamo prepararci
a condividerla se non vogliamo che, più semplicemente, ce
la portino via?
L'acqua vuol dire anche energia: è mai possibile che
possedere una fonte energetica tanto importante non migliori
né le possibilità di sviluppare una industria
compatibile con le nostre caratteristiche ambientali e
territoriali, né favorisca la stessa popolazione
valdostana che paga prezzi esorbitanti e più alti che in
tutte le altre Regioni per l'approvvigionamento energetico
privato? E le nostre intelligenze? Dove sono le nostre
intelligenze se abbiamo una Università che è nata
con 40 anni di ritardo, dimenticando con quanto entusiasmo e con
quanta concretezza per 40 anni i suoi fautori ne abbiano
richiesta l'istituzione per avere a disposizione e al servizio
della Valle d'Aosta, intelligenze da impegnare nello sviluppo
culturale, sociale ed economico? Serve avere come unica
preoccupazione della scuola la preservazione della lingua
francese? Stiamo facendo una battaglia di retroguardia,
difendendo la lingua francese sul piano formale, senza che questo
significhi nulla di più del fatto che la popolazione
valdostana conosce più o meno bene due lingue.
Se diciamo stupidaggini in francese e in italiano, queste
restano delle stupidaggini, indipendentemente dal fatto che
sappiamo dirle non in una sola, ma in entrambe le lingue.
L'identità linguistica deve essere la riprova di una
diversità che si esplica in tutti gli ambiti. Altrimenti
in Europa è ormai diffusa la conoscenza di più
lingue ed esser malamente soltanto bilingui come lo siamo in
Valle d'Aosta, non è una posizione di avanguardia, ma un
patetico retaggio di un passato nel quale il bilinguismo, il
nostro bilinguismo, poteva essere un modello per l'Europa. Se,
quindi, il S.A.V.T. deve prendersi le proprie
responsabilità politiche, allora lo faccia spingendo
affinché la propria voce sia chiara e forte anche nelle
strutture amministrative: non è possibile che in una U.V.
che ha conquistato la maggioranza dei seggi in Consiglio
regionale, la voce dei lavoratori valdostani non si faccia
sentire ed il movimento politico sia, in certo senso,
imborghesito.
La componente sindacale tra i 18 consiglieri regionali è
inesistente: molti consiglieri sono passati attraverso
l'esperienza del sindacato, molti ne sono amici, ma nessuno ne
è espressione. Personalmente non mi preoccupo delle accuse
che potrebbero esser mosse tirando fuori la questione della
cinghia di trasmissione che intaccherebbe il discorso della
autonomia del sindacato dalla politica, poiché la
considero questione effimera. Credo sia assolutamente
indispensabile muovere affinché nel Consiglio regionale,
siano presenti consiglieri espressione dei lavoratori del
S.A.V.T. perché il Consiglio regionale è, al
momento, uno spazio burocratico al quale accedono solo i
portaborse dei leader, ma nel quale le tensioni e le
problematiche reali della comunità valdostana, arrivano
solo quando e se i detentori del potere se ne fanno carico.
Il sindacato sudtirolese non si fa troppi problemi a spingere
affinché la propria voce sia forte nel Consiglio
provinciale. E se la politica deve diventare, come sta
diventando, espressione di lobby, allora non mi sta male che la
lobby sindacale agisca nel politico. In più, visto e
considerato che l'U.V. è in piena crisi ideale ed
ideologica, non sarebbe male che a supportarla ci fosse un
movimento sindacale forte e coerente. Se così non è
vuol dire che la situazione è davvero drammatica; ma ci
dovrà pur esser qualcuno che, prima o poi, si accorge che
i valori di riferimento stanno scemando, che i militanti
più autentici si stanno allontanando, che i vecchi
protagonisti delle battaglie politiche e sindacali sono messi in
disparte, come fossero inutili cariatidi che devono accontentarsi
del fatto di essere invitati alle occasioni celebrative.
Prima delle elezioni
Gli unionisti politicamente onesti dovrebbero ammettere che il
disagio interno all'U.V. si trascina almeno dell'inizio degli
anni '90, quando esponenti di un qualche peso e militanti della
base cominciarono a lamentare ciò che i Louvin ed i Perrin
rilevano e denunciano solo oggi. Chi lasciò in quegli anni
l'U.V. per genuine ed autentiche insoddisfazioni ideali e per
contrapporsi allo strapotere di Rollandin (che, pure, pigliava
più voti di tutti...), oggi patisce più che il
centralismo di Guste, ben noto già allora, i calcoli di
chi ha atteso così tanto tempo per assumere una posizione
politica critica, dopo aver ricoperto importanti cariche
istituzionali in una U.V. di cui Rollandin era "socio di
maggioranza". L'onestà politica è una cosa diversa
dall'onestà civile.
L'onestà in senso lato le dovrebbe comprendere entrambe,
ma poiché l'una delle due non ci compete e riguarda la
Magistratura, sull'onesta politica che invece ci riguarda,
perché possiamo premiare o bocciare con il voto chi la
dimostra o la tradisce, c'è da concludere che oggi non ci
sono più canoni di riferimento, non ci sono più
valori reali sui quali misurare contraddizioni e coerenze.
Succede così, e da troppi anni ormai, che molti unionisti
sono fuori dall'U.V. e molti non unionisti sono dentro:
l'onestà politica dovrebbe far ammettere a tutti quelli
che ne stanno uscendo solo in questi ultimi tempi, lamentando il
tradimento degli ideali, di essere quanto meno in ritardo e di
esser stati, per questo, complici della stessa situazione
negativa che rilevano.
La situazione è talmente ingarbugliata ed indecifrabile
che tutti hanno ragione e tutti hanno torto. Il che vuol dire che
quindici anni fa Rollandin avrebbe dovuto fare un passo indietro
o essere rimosso di forza, ma - nel frattempo - ha acquisito
spazi ulteriori e consensi tali da rendere inspiegabile
perché lo si debba contestare solo oggi. Dopo averlo
criticato e contestato, ma mai troppo, dopo aver condiviso i
successi che l'U.V. ha conquistato anche grazie a lui, dopo aver
ricoperto incarichi di prestigio, magari perché lui stesso
li aveva gratificati magari ben oltre i meriti e le
capacità reali, alcuni si arrogano il diritto di
contestarlo, ma questo diritto ce l'hanno solo quelli che si sono
sempre contrapposti a lui. Le forti ragioni ideali dell'U.V. che
uscì dal primo Congrès National, e le elaborazioni
culturali ed economiche, le alleanze politiche in Valle d'Aosta,
in Italia e in Europa che ne derivarono, si sono sciolte al sole
dell'opportunismo dei più.
Mi rammarico, per questo, e molto, di non esser riuscito,
parlando con i protagonisti delle fronde dei nostri giorni, a far
passare l'unica decisione che mi parrebbe, in tanta confusione,
credibile e chiarificatrice: candidare Louvin al Senato in
contrapposizione a Rollandin, per una sorta di resa dei conti
interna/esterna e per poter ancora credere che, da una parte o
dall'altra, le scelte sono chiare e nessuno fa fare ad altri le
proprie battaglie. A Carlo Perrin, al quale penso con affettuosa
stima, posso solo dire che la sua scelta dell'ultima ora non
può essere premiante e che questa sua battaglia andava
fatta molti anni or sono. A Luciano Caveri auguro di poter
lavorare, finalmente ricoprendo appieno quel ruolo che
l'elettorato gli aveva attribuito e che le lotte interne all'U.V.
non gli hanno ancora permesso di ricoprire in modo
costruttivo.
Agli unionisti che invocano un cambiamento ed un chiarimento
reali, ricordo che quando l'U.V. si spaccò (anni 70) per
poi riunificarsi ed iniziare la crescita che l'ha portata a
diventare il partito di maggioranza, i toni e le polemiche
personali erano durissimi, anche superiori a quelli di oggi...
quindi esiste sempre una possibilità di pacificazione.
L'occasione "storica" di unificare tutti i movimenti autonomisti,
come auspicava Bruno Salvadori, non va sprecata né
dall'U.V., né da quanti la vorrebbero più "Libre",
né dagli Arancioni, né dalla
Fédération, né dalla Stella Alpina. A tutti
i valdostani predico, sì predico, di non votare più
l'U.V. se non ne condividono davvero i principi e se si
accomodano soltanto alla corte dei potenti, cercando prebende e
privilegi: c'è il rischio che le loro posizioni di rendita
durino poco, che gli amministratori finiscano col credersi
onnipotenti e che la Valle d'Aosta vada a rotoli. Parola di
indipendentista.
Leggo spesso sugli organi di informazione, articoli sulle
problematiche del turismo e della cultura e mi soffermo a
commentarle brevemente, considerando, prima di tutto, il fatto
che a nessuno degli intervistati è passata per la testa
l'idea di dover leggere i problemi di oggi anche alla luce degli
errori di ieri. Diciamo, anzitutto, che è difficile tenere
insieme turismo e cultura senza rischiare di trasformare la
cultura in folklore al servizio dei turisti, senza
strumentalizzare la cultura per farne una offerta turistica che
la snatura e la priva di radici e significati. Prima di tentare
un binomio, quindi, è opportuno analizzare gli aspetti
positivi e negativi della vita culturale valdostana e delle
proposte culturali valdostane. Se le poniamo alla base della
proposta turistica, mi pare inevitabile che queste debbano essere
autentiche e coerenti, per non trasformare la Valle d'Aosta in
una sorta di Gardaland dove gli eventi possono anche essere
divertenti, ma sono inequivocabilmente falsi.
Da troppo tempo la vita culturale valdostana è
caratterizzata dal provincialismo; al termine attribuisco un
significato negativo per il semplice motivo che ritengo manchi
una connotazione identitaria e, quindi, si propongano solo eventi
marginali: un artista che giunga in Valle d'Aosta per realizzare
uno spettacolo inserito nei calendari culturali o in quelli
turistici, solo perché sta completando una tournée,
non potrà realizzare un vero evento, ma solo uno dei tanti
spettacoli che fanno cassetta. Il grande nome che passa in Valle
d'Aosta dopo esser transitato a Torino, Ivrea o dintorni, non
renderà sicuramente possibile un discorso culturale e
neppure un discorso turistico.
Dobbiamo, allora, fare in modo che la vita culturale valdostana
abbia una propria identità specifica, tanto vera e
profonda da poter essere proposta anche ai turisti. Da un lato
già abbiamo eventi culturali valdostani di prestigio e di
richiamo per la popolazione (che li vive con sincera e totale
partecipazione), come la Fiera di Sant'Orso, la Battaglia delle
Reines, gli Sports Tradizionali e tutto ciò che ruota
attorno al sistema linguistico valdostano, con il suo teatro, le
sue musiche ed il suo folklore. Di questi si alimenta la proposta
culturale valdostana. Chi giunge in Valle d'Aosta per turismo,
affinché la sua scelta abbia un senso, deve poter fruire
di questi eventi. Dovrebbe essere, quindi, buona regola, non
proporre in Valle d'Aosta eventi culturali che il turista
può seguire a casa propria. La nostra proposta deve
essere, quindi, autentica (è lo è perché
è la proposta di come la gente valdostana vive davvero la
cultura) ed originale (e lo è perché questi eventi
non possono essere prodotti che qui).
Attorno a questa prima banale considerazione ruota tutto
ciò che riguarda la creatività: in tempi passati (e
qui prendono avvio le mie osservazioni storiche) le
attività culturali e quelle turistiche, poggiavano
solidamente sulla scelta di creare una rete di scambi culturali
che dimostrassero quanto vasta era la proposta culturale e
turistica che scaturisce da popoli senza stato come il popolo
valdostano: quando in Valle d'Aosta si realizzarono le grandi
mostre artistiche di Mirò, non si giocò solo
sull'enorme richiamo che le opere del maestro avevano ed hanno
tuttora, ma sul fatto che si creava un confronto tra la cultura
in Valle d'Aosta e la cultura nei paesi catalani, dando il via ad
un interscambio che determinò, a cascata, la circuitazione
di altri eventi artistici, musicali, teatrali, letterari. Si
aprirono alla Valle d'Aosta le porte della Fondazione Mirò
di Barcelona, anche se ai vertici del turismo mancò la
lungimiranza per utilizzarli ed ai vertici culturali
mancò, invece, il coraggio. Ma questo è un altro
problema.
Quando in Valle d'Aosta si realizzarono Rassegne Internazionali
di Cinema delle cosiddette Minoranze Etniche, si offrì ai
valdostani un ulteriore esempio di quanto le culture locali
fossero universali se non si chiudevano in se stesse, ma si
offrì nel contempo l'occasione per offrire ai turisti una
proposta irripetibile ed unica. Quando la Valle d'Aosta fu una
delle tappe di un evento musicale che si svolgeva lungo tutto
l'arco alpino, il Festenal, musica etnica di tutto il mondo, si
inserì la musica valdostana nel circuito europeo ed
extraeuropeo della musica etnica: gli Alan Stivell, I Chieftains,
ecc. di quegli anni, dimostrarono che non solo la musica etnica
aveva una specifica identità, ma che portava valori
universali ben spiegando il successo che alcuni musicisti etnici
riuscivano ad ottenere fuori dalla dimensione locale. E mentre si
proponevano le esperienze più significative della musica
mediterranea, alpina, andina, celtica ed africana, si portavano
avanti, di pari passo, iniziative per raccontare
l'identità dei popoli che avevano prodotto quella
musica.
E quando (siamo agli inizi degli anni 70) arrivarono in Valle
d'Aosta gli scrittori, gli autori che venivano a presentare i
loro libri, da Sergio Salvi a Domenico Canciani, da Edoardo
Ballone a Massino Olmi, non si trattò di incontri
episodici, ma del frutto di una programmazione e di un progetto.
Ecco perché invitavo a guardare al passato. Quelli che
oggi si lamentano perché il loro impegno culturale e
turistico si scontra con i limiti burocratici ed amministrativi
che impedirebbero di fare programmazione e comunicazione,
dovrebbero dire a quale programmazione guardano, come vedono il
disegno complessivo della proposta turistica e culturale
valdostana nella quale intendono inserirsi.
Credo che, prima di tutto, ci vogliano delle idee e non la difesa
a tutto campo di eventi specifici: qualcuno ha difeso l'evento
letterario Agorà, una sorta di Fiera del Libro e della
Letteratura che si svolse negli ani scorsi ad Aosta con buoni
risultati e non ebbe, però, continuità; giusto
difenderla, ma che senso ha farlo se non si elabora una proposta
complessiva che spieghi che cosa dovremmo fare per sintonizzare
gli eventi letterari, armonizzando la partecipazione regionale
alle Fiere letterarie internazionali e, soprattutto, realizzando
incontri con gli scrittori che si tengono in tutta la Valle
d'Aosta e che sono occasione di fruizione di eventi di
qualità per chi è già in Valle d'Aosta come
turista. L'insieme degli eventi letterari proposti in Valle
d'Aosta, armonizzati e gestiti dalla comunicazione, farebbero
della Valle d'Aosta un punto di richiamo per il turismo
culturale: a patto che si realizzi un grande evento. Quindi
è inutile difendere o non difendere Agorà o altri
eventi nella loro specificità, ma sarebbe utile difendere
ciò che rappresentano nella loro complessità.
Ci vogliono delle idee per l'arte perché solo alla fine
degli anni 60 qualcuno pensò con intelligenza alla
realizzazione di grandi eventi: fu l'assessore Milanesio a
proporre la prima grande mostra valdostana, quella di Vedova,
volta a qualificare l'offerta culturale e turistica ed a
qualifica i nostri castelli che ospitavano quelle mostre e che
non avrebbero dovuto ospitare altro che eventi di grande
prestigio. Invece abbiamo squalificato le nostre strutture e
benché avessimo più strutture di grande richiamo e
più idee iniziali di altri, perdemmo di vista l'obiettivo
e lasciammo che non lontano da noi sorgesse quel centro di grande
richiamo che è la Fondazione Gianadda, senza saperlo
anticipare e neppure copiare...che sarebbe negativo, ma almeno
dimostrerebbe che sappiamo copiare. Oggi anche le più
importanti mostre realizzate dalla Regione hanno il sapore della
minestra riscaldata, hanno il senso del déjà vu,
come si può pensare diventino motivo di attrazione
turistica?
Gli esempi ai quali vorrei rifarmi sono molteplici, ma credo che
questi bastino a spiegare il mio pensiero. Sentire Taraglio che
critica le istituzioni che non gli consentono di concretizzare
meglio Celtica, mi lascia perplesso, non perché non abbia
ragione per quanto concerne l'esigenza di una più corretta
programmazione, ma perché mi chiedo se sia opportuno
condizionare le scelte culturali della Valle d'Aosta e quelle
turistiche a mode ondivaghe. Si tratta di fare delle scelte: se
per avere dei turisti dobbiamo raccattare di tutto, allora
dovremmo aprire il territorio ai rave party, ai raduni in costume
dei seguaci di Star Treck o agli appassionati di Elvis Presley,
oppure ai seguaci neonazisti di Julius Evola che ha scelto di
essere sepolto nel ghiacciai di Gressoney, o ai Pride che
radunano il mondo omosessuale.
Taraglio sa bene come la penso sul celtismo e deve riflettere
sul fatto che una cosa è un successo ottenuto con un
evento non privo di fascino, un'altra è costruire una
identità culturale e turistica, basandosi sulle reali
potenzialità e ricchezze della Valle d'Aosta. I Celti
sono, a mio avviso, una sorta di Gardaland; si badi, adoro
Gardaland e la raggiungo spesso perché mi rilassa, ma non
riesco a sposare le idee new age; per quanti eventi prestigiosi
la manifestazione possa proporre, è il suo spirito a non
convincermi. Non mancano a celtica i momenti di discussione
approfondita e gli eventi importanti, ma è l'idea che non
mi convince: proporre in Valle d'Aosta eventi costruiti su una
identità fittizia, quando ne abbiamo una reale.
Come non mi convince il tentativo, neppur troppo velato, di usare
le visite del Papa o i raduni calcistici, come attrattiva. Mi
pare, piuttosto che tutto ciò nasconda l'incapacità
di programmare e, di conseguenza, la scelta utilitarista di
cercare eventi clamorosi e di grande richiamo per sopperire alla
mancanza di una proposta seria. Si badi, non me la prendo con il
celtismo per partito preso, ma fatico ad accettare l'idea che il
celtismo sia buono per fare un discorso culturale, religioso,
sociale, turistico e folkloristico, dimenticando quali sono i
problemi dei popoli le cui origini celtiche costituiscono una
parte della caratteristica nazionale che li distingue da altri.
E, si badi, fatico ad accettare l'idea che si possa costruire
sulla costruzione fittizia di una identità altro che
dinamiche new age a mio avviso foriere di troppe "deviazioni",
sia in campo politico (i leghismi ed i localismi), sia in campo
religioso (le sette), sia in campo sociale (i circoli culturali
carnascialeschi e carnevaleschi).
In definitiva non punterei una lira sul richiamo turistico di
eventi come Celtica, mentre trovo assolutamente perfetto il
lavoro dei fratelli Calì, sempre originali, sempre
divertenti, sempre unici, anche se il loro operato non sembra
rientra immediatamente nel tipo di discorso che sto affrontando
Ma se, da un lato, penso sia opportuno fare della realtà
valdostana, con il suo territorio, la sua identità, le sue
manifestazioni cultuali autentiche (comprese quelle
eno-gastronomiche), il richiamo per attrarre turismo, dall'altro
condivido l'idea di diversificare la proposta con attività
parallele e/o con proposte del tutto diverse e nuove,
purché originali ed uniche. E allora? Ecco che trovo
assolutamente indispensabile poter proporre in Valle d'Aosta
accanto agli eventi fortemente caratterizzati in senso
identitario, anche eventi di altro tipo, purché imperniati
sulla originalità, in modo che altri ce li copino, se
credono, ma che qui questi nascano e si affermino.
Ecco che sul cinema, mi permetto di riflettere considerando
quanto sia importante attivare iniziative legate all'ambiente ed
alla montagna, come già avviene, poiché queste
rientrano nella valorizzazione della nostra caratteristica
alpina. Se, in sostanza, ai turisti proponiamo i nostri alimenti
tipici e tradizionali, non è male offrir loro l'immagine
di una architettura che sia nostra, di una gestione dell'ambiente
che sia nostra, ecc.ecc. Tuttavia, prima ancora di riflettere su
tutto ciò, sarebbe indispensabile sapere a chi rivolgiamo
la nostra offerta di turismo, qual è il nostro target. E
una volta individuato il target bisognerebbe trovare gli
strumenti di comunicazione più adatti. Non ho avuto modo
di analizzare i contenuti delle ultime campagne turistiche
promozionali della Valle d'Aosta, ma una impressione generica
l'ho tratta: si tratta di una promozione generica, rivolta ad una
utenza non diversificata, come dire spariamo nel mucchio,
qualcosa verrà.
Certo non dobbiamo arretrare rispetto alla proposta invernale,
con le solite proposte dello sci, della neve e dintorni, ci
mancherebbe. Ma dovremmo, comunque, comprendere che se la
stagione invernale funzionale e, più o meno, è
soddisfacente dal punto di vista del numero dei turisti che
arrivano, ecc. ecc., ha davvero un senso impegnare enormi risorse
promozionali per cercare altri clienti in questo settore? O non
dovremmo andare a cerca turisti per l'autunno, diversificando la
proposta ed i costi (già ... i costi!).
Durante le elezioni
Appartengo a quella schiera di illusi che hanno creduto in una
U.V. capace di giocare un ruolo storico, riferito ai valori ed
agli ideali dei quali sembrava essere portatrice. In particolare
ho creduto che l'U.V. fosse lo strumento politico/partitico di un
più grande movimento, un unico forte e coerente movimento
valdostano, capace di dare senso ed applicazione alla question
valdotaine. Di questo movimento consideravo parte il sindacato,
le associazioni culturali, i gruppi giovanili, i gruppi estremi
tipo V.A. Libra ecc. in una parola l'intera società
valdostana che riconosceva l'esistenza di una nation.
Non è questo lo spazio per spiegare che il termine non
deve esser inteso come proposta di costituire uno Stato o che
l'indipendentismo che ne consegue non è altro che la
capacità morale, culturale, intellettuale di ragionare in
modo coerente autentico ed indipendente dalle mode, dalle
tendenze e dai limiti istituzionali...Questa è tutta "roba
filosofica" che faccio nei miei studi e nelle mie pubblicazioni,
dove spiego anche la concezione "inclusiva" di questi concetti,
il fatto - cioè - che, come diceva Bruno Salvadori,
"essere valdostani non è una questione di razza". Non
è neppure lo spazio per le dichiarazioni di voto,
poiché spero che la stagione elettorale lasci spazio ad
una stagione di confronto politico vero e proprio, ad una sorta
di nuova réunification, alla vera e non elettoralistica
creazione di un solo movimento autonomista, ecc., ecc.
E' lo spazio, però, per ricordare a chi afferma che oggi
nell'U.V. esisterebbe una situazione di disagio legata
all'egemonia di Rollandin, che questo disagio risale ad almeno 15
anni or sono e che 15 anni or sono molti unionisti iniziarono a
non rinnovare la loro adesione, a lasciare l'U.V., a cercare
altre strade ed altri sbocchi politici. Fatico ad aver fiducia in
chi si avvede solo oggi di questo disagio e che durante i 15 anni
di storia del disagio unionista ha continuato a ricoprire piccoli
e grandi incarichi politici, presidenze, assessorati, direzioni,
ecc. ecc. Dico questo perché se l'azione dell'U.V. fosse,
come credevo, un'azione per la storia, allora le meschinerie, le
scorrettezze, gli errori, le scelte incomprensibili, non
sarebbero altro che l'inevitabile effetto secondario dei limiti
degli uomini, comunque al servizio di una strategia più
grande e moralmente sostenibile.
Mi avvedo, però, che quella strategia non c'era. Spero ci
sia in futuro ed aspetto che gli uomini di questa e quella parte
se ne riscoprano indispensabile strumento e non più,
opportunisticamente, egoisti utilizzatori. Chanoux diceva che il
faut etre très bas pour regarder très haut,
cominciamo allora a guardare in alto. Cito Chanoux solo per
ritrovare un forte riferimento ideale ad una azione che non
è può essere solo una azione politica o partitica:
l'U.V. è solo - come dicevo - uno degli strumenti, quello
politico, cui si devono affiancare il Sindacato, le
organizzazioni culturali e giovanili, ecc. ecc., ma forse la
crisi è più generale e allora mentre la crisi
politica ottenere il clamore della cronaca, quella ideale sta
scrivendo la parola fine alla storia di una nazione.
Dopo le elezioni
Analizzare i problemi dell'U.V. seguendo lo schema Vallet e -
cioè - considerando che si presentino solo "à
partir...des éléctions...de... 2003" è
sbagliato: per meglio dire, l'analisi di Vallet è lucida,
chiara ed onesta, ma poggia su presupposti sbagliati. Uno, in
particolare, l'errore di fondo del suo elaborato: non dire
assolutamente nulla di cosa questi problemi abbiano provocato.
Prima di guardare agli interessi di parte, infatti, bisognerebbe
valutare se quei problemi hanno causato, oppure no, ricadute
negative per la popolazione: senza quei problemi la Regione
avrebbe lavorato meglio? E se si, cosa avrebbe potuto fare, cosa
avrebbe dovuto fare e, invece, non ha fatto a causa di quei
problemi? E', infatti, impossibile pensare che in un momento di
così pesante tensione interna, l'amministrazione pubblica
abbia potuto funzionare al meglio e ai cittadini siano stati
ugualmente assicurati gli interventi migliori e più
adeguati.
Non vorrei, di conseguenza, concludessimo che - sostanzialmente
- la sola cosa che non funziona è che nell'U.V. c'è
un dittatore; vorrei sapere, e vorrei lo si facesse sapere ai
valdostani, se a causa di questa situazione non è stato
possibile affrontare questa e quella criticità, risolvere
questo e quel problema. Se il solo problema fosse la "dittatura"
Rollandin, certo potremmo e dovremmo trovare una via di uscita e
schierarci, ma non potremmo onestamente dare al confronto una
importanza maggiore di quella che ha. Non fino a quando tutte le
verità siano state espresse: e da parte degli oppositori
di Rollandin sento parlare di così tante situazioni gravi
addebitabili a Rollandin che mi aspetto, anzi pretendo, sia fatta
chiarezza in proposito, poiché detesto la cultura del
sospetto.
Nelle analisi dei contestatori che stanno lasciando l'U.V. alla
spicciolata, accentuando l'effetto "disfatta", invece, non
c'è l'analisi puntuale delle conseguenze
dell'iper-centralismo di Rollandin: la discussione sembra quindi,
riferita soltanto agli equilibri interni all'U.V. Un movimento
che è giunto al massimo storico dei suoi consensi
può ragionevolmente entrare in crisi in questo modo, senza
che tutti se ne sentano, in qualche modo responsabili, visto e
considerato che tutti ritengono di aver fattivamente contribuito
a renderlo possibile? L'U.V. ha approvato tesi congressuali,
piani di intervento amministrativo, programmi di maggioranza,
ecc. ecc., assumendo decisioni in merito alle quali non sento
dire nulla di negativo. Leggo, quindi, le criticità, ma
nessuno sembra sentirsene compartecipe e corresponsabile,
scaricandole tutte su Rollandin, come se lui solo fosse stato al
potere e tutti gli altri all'opposizione... Leggendo la schema
Vallet, sembrerebbe che basterebbe gestire meglio e più
democraticamente il movimento. Non sono affatto d'accordo.
Prima di tutto perché le difficoltà di questa
democratizzazione interna nascono dal fatto che Rollandin
è leader unico, riconosciuto dai suoi fedelissimi e dai
suoi estimatori, mentre i suoi oppositori sono una entità
informe, costruita da tanti tasselli indipendenti e da tanti
leader; altrimenti la loro uscita dall'U.V. sarebbe stata
effettuata in massa e non individualmente ed in modo
politicamente frammentato, goccia a goccia, come - invece -
è avvenuto e continua ad avvenire. I vari Caveri,
Viérin, Vallet, ecc. sono dei leader, ma hanno influenza
minore o hanno avuto influenza minore di quella esercitata da
Rollandin; l'ultimo grande leader carismatico di spessore analogo
a quello di Rollandin, è stato, infatti, Andrione e l'U.V.
ne è ancora orfana Non sono affatto d'accordo, argomentavo
sopra, perché i problemi interni all'U.V. risalgono ad una
epoca ben più lontana del 2003 e sono più gravi e
profondi di quelli analizzati da Valletù breve,
soprattutto perché non ne è responsabile un solo
personaggio, ma l'intera U.V. Se, infatti, potremmo - al limite -
concludere che i fatti evidenziati da Vallet, sono il frutto
negativo della egemonia rollandiniana, in nessun modo potremmo
sostenere che tutti i problemi dell'U.V. hanno quella stessa
matrice.
Più che una analisi politica, allora, sarebbe
indispensabile una analisi "storica" che renda evidenti i momenti
ed i problemi che hanno determinato il nascere, in seno all'U.V.,
di quello che è stato definito "malaise". Se diamo per
scontato il fatto che la "questione morale" posta da E. Chanoux
jr, fosse da liquidare perché infondata; e se consideriamo
poco significativa l'uscita dall'U.V. di personaggi come Tamone,
Danna, Grosjacques che lamentavano il tradimento degli ideali,
allora - inevitabilmente - non potremo far altro che deridere
ogni voce di dissenso che pur si è espressa anticipando di
almeno 15/20 anni le argomentazioni di Vallet.
Certo Esprit Valdotain e Indépendantistes, per non citare
che alcuni dei movimenti spontanei nati per contrastare il vuoto
di ideali in casa U.V., non sono riusciti a diventare movimenti
di massa, perché non hanno avuto l'appoggio dei
maggiorenti della politica unionista; questi, tutti, sono rimasti
saldamente nell'U.V., tutti sistemati in Giunta, in Consiglio,
nel sottogoverno e con incarichi dirigenziali, tutti zitti sul
malaise che non solo serpeggiava, ma esplodeva, tanto che - poco
a poco - e da parte di alcuni con colpevole ritardo, la lista dei
fuoriusciti si è ingrossata, potendo infine contare su
personaggi importanti come Bétemps, Andrione, ecc. ecc.
Quando l'U.V. si riunificò alla fine degli anni 70 e
convocò il proprio Congres National, poggiò la
riunificazione su tesi e proposte "forti" che davano una
dimensione moderna ai principi statutari fissati nel '45,
inserendoli in una dinamica che segnava il "ruolo storico"
dell'U.V. in Valle d'Aosta, in Italia, in Europa.
Più che il dettaglio delle tesi di quel Congresso,
è importante rilevare proprio quel fatto: il ruolo storico
dell'U.V. L'U.V. nacque in un momento epocale molto complesso e
può essere considerato il solo movimento che poteva essere
costituito in quel frangente: l'Italia si ricostruiva sotto il
controllo degli alleati e in nessun modo avrebbe potuto esser
proponibile fare della Valle d'Aosta uno Stato a se, un
Principato, un Cantone Svizzero o un Dipartimento francese:
l'U.V: moderò i termini della rivendicazione politica. La
storia ha consegnato, però, all'U.V un ruolo: fissare nei
suoi Statuti i valori di riferimento di una azione democratica,
attraverso la quale raggiungere, in futuro, quegli stessi
obiettivi politici ed istituzionali che la situazione non
consentiva di attuare immediatamente.
Il dibattito statutario dimostra che lo Statuto di Autonomia fu
considerato negativamente dall'U.V.: troppo fragili i contenuti
rispetto alle richieste, troppo complessi i meccanismi di
"dipendenza" burocratica e finanziaria dallo Stato. Di nuovo
furono le ragioni contingenti a costringere l'U.V. ad operare
almeno per attuare integralmente quello Statuto, fermo restando
l'obiettivo di migliorarlo o cambiarlo, quando il momento storico
lo avesse reso possibile. Il primo tradimento dell'U.V. è
stato adeguarsi a conquiste statutarie minime e finire, come
siamo finiti, col celebrare l'autonomia come un evento "storico",
un punto di arrivo, senza aver conservato neppure una piccola
aspirazione morale che dovrebbe farci dire che quello Statuto
frenò i nostri aneliti più autentici.
Il ruolo dell'U.V. avrebbe dovuto essere conservare integri, i
valori di quel composito mouvement valdostano che, nel nome del
diritto alla autodeterminazione, poteva accettare, al più,
un "patto" con lo Stato, un patto chiaro, ma non certo una
concessione paternalistica di diritti residui. Preservare i
valori e rendere possibile quell'épanouissement di cui
parlano gli Statuti, significava aderire all'insegnamento di
Chanoux e promuovere il federalismo. Con questo ruolo "storico",
l'U.V. è diventata la seconda pelle, la seconda anima dei
valdostani di origine e, con sempre maggior evidenza, anche di
quelli di adozione, soprattutto in considerazione di quella
intuizione, espressa da Salvadori, che dichiarò "etre
valdotain n'est pas une question de race".
Diciamoci, tuttavia, il vero, non è che tutti gli
unionisti abbiano digerito appieno questa nuovo presupposto
identitario e, spesso, la grettezza e l'orgoglio hanno portato ad
esprimere posizioni di difesa etnica ridicole:
l'incapacità di leggere e di valorizzare il passato
preistorico della Valle d'Aosta, ad esempio, che ci ha visti
essere anatolici, prima che celti e romani, è una pagina
culturale tutta da riscrivere, poiché troppi valdostani ne
respinsero la verità storica. E per troppi il simbolismo
dei Salassi è stato letto come il segno antesignano di uno
scontro invitabile tra l'U.V. e i partiti romani. Nulla di
più sciocco, soprattutto, se si pensa che stiamo
difendendo i diritti dei "valdostani", cioè degli abitanti
della Valle di Augusto, l'imperatore romano che sottomise i
Salassi; siamo - quindi - anche semanticamente più
"romani" di quel che vorremmo...e più sudditi di Augusto
di quel che crediamo...
Tuttavia se quello era l'obiettivo storico dell'U.V., in nome di
quello gli unionisti hanno sempre attribuito ai leader uno spazio
rappresentativo e decisionale notevole, soprattutto quando questi
leader sono stati molto carismatici. I leader politici hanno
avuto anch'essi un ruolo storico del quale, forse, neppure sono
stati pienamente consapevoli: hanno sostituito il notabilato di
riferimento secolare che metteva il popolo valdostano ai piedi
del prete, del nobile, dell'avvocato e del notaio. Mentre
Andrione rappresentava la buona borghesia urbana post-notabile,
Rollandin ha spezzato l'egemonia notabile urbana e ha
rappresentato l'accesso al potere il mondo contadino.
In questo modo l'U.V. è diventata traghettatrice degli
ideali e i politici dell'U.V. sono diventati traghettatori della
democrazia. Traghettare gli ideali era assolutamente necessario,
poiché alcuni aspetti della vita tradizionale valdostana
(ben espressi da modi di dire quali "Cogne rondze Cogne"o dallo
sfruttamento dei più deboli con l'usurante ratzet,
riuscendo addirittura a mantenere il rispetto dello sfruttato,
indotto a sentirsi in colpa e obnubilato dal senso di
inferiorità accentuato dall'uso di classe delle lingua
francese) erano assolutamente da rileggere e da superare.
Traghettare la democrazia era altrettanto difficile,
poiché l'autonomia non poteva essere forma istituzionale
da affidare ad un leader soltanto, ma imponeva un presupposto: la
condivisione e l' impegno collettivo.
In virtù di questo ruolo non meramente contingente, ma -
appunto - "storico" dell'U.V., nessun unionista ha dato mai gran
peso alle questioni giudiziarie o personali che hanno via via
interessato i leader: i guai di Andrione sono stati letti come
una persecuzione della magistratura, quelli di Rollandin anche,
ma... Ma è almeno da quando Andrione cadde in disgrazia e
Rollandin prese il suo posto che all'interno dell'U.V. si
è fatta spazio una presa di coscienza diversa e
disincantata. Prima di leggere l'evidenza del fatto che un guaio
con la magistratura è un guaio con la magistratura e basta
e che in queste vicende non possiamo leggere - per forza - gli
effetti di uno scontro titanico tra valdostani e italiani, gli
unionisti hanno passato una fase intermedia: Andrione è
innocente, Rollandin è colpevole e viceversa, questo il
pensiero degli unionisti, queste le due U.V. che sono nate,
più o meno, tra il 1985 ed il 1990.
E' assolutamente evidente che in politica criminalizzare
è scorretto ed è assolutamente evidente che un
amministratore può incorrere in guai anche quando è
corretto. Ma con Rollandin è successo qualcosa di diverso,
perché, approfittando dei problemi di Andrione, a poco a
poco egli ha emarginato tutta la struttura politica, culturale ed
amministrativa che aveva per riferimento Andrione, soppiantandola
con uomini di propria fiducia e ciò facendo non si
è peritato di appoggiarsi a uomini che non erano di
provata fede unionista. Emerge, in questa situazione, la
conseguenza che ci siamo trovati all'avvio di una lotta interna,
incentrata sul fatto che certi ricatti, certe pressioni, certe
decisioni unilaterali a favore o contro le persone e persino a
favore o contro gli amici, che fan parte dei comportamenti di
Rollandin, sfuggono alle maglie della legge e perfino della
morale, ma esprimono una valdostanità tribale; evidenziano
la sopravvivenza di una mentalità notabilocentrica che
sorprende in Rollandin, perché non è di estrazione
notabile.
Abbiamo assistito, allora, addirittura, all'inversione dei
valori/disvalori culturali tradizionali e, in politica, ad un
altro tipo di inversione ugualmente incomprensibili: i
tradizionalisti/conservatori dell'U.V. si alleano con la
sinistra, i progressisti/rinnovatori restano all'estremo centro,
i leader diventano figure egemoniche para-fasciste o, quanto
meno, peroniste e populiste. Mentre Andrione si ritirava a vita
privata, salvando appieno la sua immagine persona comunque
onesta, Rollandin è diventato, il nemico di una parte
dell'U.V. che ha finito con leggere i suoi guai giudiziari come
un segno di disonestà e, addirittura, con il considerare
alcuni dei suoi problemi come quelli legati al voto di scambio,
come un segno di decadimento morale: salvo accettare tutti i
benefici personali derivati dal fatto che, con quei voti, l'U.V.
diventava più forte e conseguiva più posti di
potere.
Nessuno ha mai avuto il coraggio di affermare e di pretendere
che Rollandin stesse fuori dai posti decisionali nell'U.V.
perché è disonesto, o perché si riteneva lo
fosse, ma molti hanno approfittato della crescita dei consensi
attribuiti all'U.V. in buona parte grazie al clientelismo
rollandiniano, creandosi una nicchia nella quale hanno raccolto
il consenso degli unionisti più puri, fortemente motivati
dalla necessità di controbattere Guste, mentre gli amici
di Guste facevano - da posizioni inverse - lo stesso gioco. E per
lungo tempo molti, anche molti unionisti, hanno sperato che a
toglier spazio a Rollandin non fosse l'effetto di una seria
opposizione interna, ma la Magistratura...peggior dei peggiori
atteggiamenti umani e politici. Per assurdo Rollandin era stato
valorizzato da Andrione. Per assurdo Viérin e Caveri sono
stati valorizzati da Rollandin. E per ognuno dei leader che oggi
parlano, escono o stanno sulla porta d'uscita, c'è una
storia personale più o meno chiaramente legata alla loro
collocazione in questi "giochi".
Questo è un fatto "normale" in politica e lo sarebbe
ancor più se l'U.V. fosse rimasto un movimento volto a
realizzare un progetto storico; se quello era l'obiettivo, la
verità sulla innocenza o sulla colpevolezza di Rollandin
sarebbe un fatto irrilevante, al più andrebbe considerato
come un problema inevitabile, perché a far politica sono
pur sempre gli uomini, gli uomini possono sbagliare, gli uomini
sono sempre più o meno coerenti, più o meno onesti.
Quel che conta sarebbe l'apporto che questi uomini... con i loro
limiti e con i loro difetti, danno concretamente alla ...causa.
Il riferimento agli ideali, quindi, questo è il metro per
valutare le responsabilità interne all'U.V., perché
altrimenti dovremmo restare su un piano diverso e, precisamente,
su questo piano: se Rollandin è un delinquente se ne deve
andare, ma a denunciarlo devono essere tutti quelli che in Giunta
con lui o al potere con lui, se pur in posizione di distacco in
un percorso pur sempre parallelo al suo, conoscono verità
nascoste. O sanno e denunciano, oppure devono tacere.
E su questo: se l'analisi dei problemi interni dell'U.V.
evidenzia dati sui danni politico-amministrativi causati ai
valdostani da questa lotta interna, allora questi devono essere
esplicitati e descritti, anche proponendo cos'altro si può
e si deve fare. Ma questa analisi nel documento Vallet non
c'è. Si fa solo una analisi dei problemi politici interni,
sostanzialmente ammettendo che la qualità della azione
amministrativa è stata buona e che i problemi (con le
conseguenti crisi, i rimpasti ed i ritardi) sono stati affrontati
e risolti nel migliore dei modi. Se così fosse ci sarebbe
da chiedersi di chi è il merito. Sarei propenso a
riconoscerne almeno una parte a Viérin e a Caveri, ma
così facendo dovrei concludere, e portare i lettori a
farlo, che solo la sinergia tra i leader, Rollandin e c., rende
possibile affrontare seriamente e positivamente i problemi e che
la questione interna all'U.V. è puramente una questione di
potere.
Lo è perché se Rollandin non è un
delinquente e se i risultati dell'azione politico-amministrativa
sono comunque positivi, non vedo cos'altro si debba cercare se
non una nuova armonia tra i leader. I risultati elettorali hanno
segnato, comunque, la pesante sconfitta di Rollandin. Questi
risultati dimostrano che qualcosa sta cambiando negli unionisti.
Soprattutto per quanto concerne gli atteggiamenti culturali: si
comincia a non riconoscere più il valore di un solo
leader, ma ci si avvede che la democrazia interna poggia sulla
valorizzazione di più leader; a ben vedere, del resto, il
successo dell'U.V. poggia, in parte, anche su questa leadership
diffusa. Rollandin non ha compreso questo mutamento culturale in
atto, ma gli altri lo hanno capito davvero? Oppure credono che
solo una complicata alleanza tra "correnti" diverse
antirollandiniane può far fuori Rollandin e cambiare la
situazione in un modo o nell'altro, non importa neppure in quale,
non importa neppure se ciò comporterà un grave
ridimensionamento elettorale dell'U.V. alle prossime
regionali?
Poiché Rollandin non è uno stupido, dobbiamo
chiederci se davvero non ha capito o se, ancora, fa conto sul
fatto che i suoi avversari non sono affatto uniti, per cui alcuni
sono ancora dentro all'U.V., altri stanno con il neosenatore
Perrin senza scegliere il movimento di Louvin, altri ancora
stanno con Louvin stesso ed altri se ne stanno in disparte. O
dobbiamo chiederci se, diversamente da tutti gli altri, Rollandin
abbia un progetto che, alla fin fine potrebbe anche risultare
vincente, proprio perché gli altri hanno come solo
progetto sbarazzarsi di lui. Evidenziavo che Rollandin, smontando
la struttura regionale ed interna all'U.V. creata da Andrione, si
è attorniato di collaboratori spesso non unionisti; questi
sono tanto esterni all'U.V. da sostenerlo come si sostiene il
capo di una lobby, perché attraverso di lui passano
progetti economici, politici e culturali che sono convenienti per
loro, per una lobby grande e forte. Gli altri hanno solo lobby
più piccole e ancor più piccole motivazioni
personali.
C'è una lobby più forte di quella di Rollandin?
certo! E' il popolo valdostano intero, che definisco lobby solo
per pura contrapposizione ed esemplificazione. Nell'U.V. esisteva
e dovrebbe esistere una scala di valori, indispensabile a farne
lo strumento per attuare un progetto storico: in primo piano ci
sono i valori, poi la cultura, poi la politica, poi
l'amministrazione. Su un altro piano, tuttavia, non trovo nessuno
degli schieramenti in campo in grado di potersi ergere ad
accusatore: rispetto agli ideali la lista dei traditori è,
infatti, lunga, ... e sia chiaro che utilizzo un termine duro, al
solo scopo di rendere più chiaro il mio discorso. La lista
non è solo lunga, ma è anche datata e questo ci
riporta all'analisi del documento Vallet per dimostrare
concretamente che è sbagliato analizzare i problemi come
se fossero cominciati nel 2003 o pochi anni prima.
Dopo la riunificazione di tutte le sue frange, scisse
perché infastidite dallo strapotere di Severino Caveri e
dall'invecchiamento del modo di concepire l'azione, per
rilanciare il primato dei valori l'U.V. realizzò nel 1979
il suo primo Congrès National, approvando tesi forti ed
inequivocabili, senza le quali restare coerenti con i principi ed
i valori espressi negli Statuti dell'U.V., non sarebbe stato
possibile o non lo sarebbe stato in modo coerente e moderno.
Ebbene, appena fissati questi principi tra i quali c'era il ruolo
della Valle d'Aosta in Europa, l'U.V. affrontò le prime
elezioni del Parlamento Europeo senza che i suoi esponenti di
spicco ne comprendessero l'importanza e si impegnassero in
campagna elettorale. L'U.V. affrontò la campagna
elettorale in un modo davvero desolante: ai leader importavano i
posti che la riunificazione assegnava, pochi si mossero davvero e
un risultato che era possibile ottenere, sfuggì di mano
all'U.V. ed alla Valle d'Aosta che, ancora oggi, si lamenta di
non poter avere un Parlamentare Europeo.
In queste ultime settimane, mentre l'U.V. si spaccava alle
politiche, i partiti autonomisti di tutta Europa costituivano
l'Alliance Libre Européenne, o meglio la ricostituivano,
perché questa nacque alla fine degli anni 70 con l'apporto
determinante dell'U.V., oggi unico grande assente tra i movimenti
autonomisti europei. Ecco che, allora, ci viene in aiuto, di
nuovo, l'analisi storica: l'U.V avrebbe dovuto tessere reali
rapporti politici in Italia e in Europa per la trasformazione
dello Stato in senso federale e per la nascita dell'Europa dei
Popoli. Ha fatto, in realtà, troppo poco e troppo male.
Anche i rapporti con i sardi che nell'84 e poi nell'89
conquistarono con l'U.V. un posto al Parlamento Europeo, non sono
stati spiegati adeguatamente ai valdostani e agli unionisti. Non
sono i sardi a non rispettare i patti, è stata l'U.V. a
non aver messo l'impegno necessario per giungere a patti chiari
e, soprattutto, per dimostrare di credere davvero in quella
alleanza politica costruita in Italia e in Europa.
Ai leader dell'U.V. l'Europa non interessa, per cui i rapporti
per costruire qualcosa di positivo sono sempre stati aleatori:
per le prime europee, quando una Commissione parlamentare
deliberante guidata dai socialisti, doveva approvare a Roma la
legge elettorale per il Parlamento europeo, furono inviati a Roma
due unionisti, il primo assolutamente estraneo alla questione, il
secondo figura culturale priva di ruolo politico vero. Fu un
disastro e, del resto, la possibilità di far approvare un
qualche meccanismo elettorale che consentisse ai valdostani di
essere rappresentati al Parlamento Europeo, non poggiava su
nulla, né sull'intervento sollecito dei Parlamentari a
Roma, né su adeguate pressioni del Governo regionale; a
Roma: c'erano, sì, gli appelli e le mozioni del Consiglio
regionale, ma allo Stato non si strappa nulla con le sole
parole.
Nelle trattative delle successive elezioni europee, poi, per
accordarsi con i sardi, mentre la fase finale fu affidata
adeguatamente a J.C. Perrin, altri importanti momenti furono
gestiti in modo vergognoso! Ad una riunione a Roma, presso la
sede della Regione Autonoma Valle d'Aosta, parteciparono tutti i
dirigenti ed i Parlamentari del Partito Sardo, Mario Melis in
primis mentre l'U.V. era rappresentata da un solo portavoce che,
non essendo neppure membro del Comité Exécutif,
aveva il mandato di restare in continua comunicazione telefonica
con Tamone per assumere posizioni adeguate e decisioni
conseguenti. L'accordo finale fu firmato in altra occasione,
nella quale fummo più degnamente rappresentati, ma demmo
sicuramente l'esempio di essere degli sbandati.
La rotazione non funzionò. E' storia vera, però,
che il primo passo di Michele Columbu, eletto nell'84 nel
Parlamento Europeo, fu di arrivare ad Aosta subito dopo lo
svolgimento della prima seduta del Parlamento Europeo. Fu
ricevuto dal solo Tamone che lo alloggiò a Nus
Saint-Barthélemy, dove Columbu non ebbe altri abboccamenti
politici significativi e da qui se ne ripartì con la
sensazione che l'U.V. lo snobbasse e non avesse nessuna seria
intenzione di confronto, mostrando di tenere solo a far scattare
la rotazione e a parlare di fondi europei. E l'U.V: teneva
così tanto a quei fondi, da accettare, come compensazione
della mancata rotazione, lo storno di alcuni fondi con i quali
poté pagare un proprio funzionario che operava,
però, ad Aosta.
Questo scarso impegno nel rispetto e nella valorizzazione degli
ideali, ha molteplici riprove ed ha, in particolare, una
conseguenza, in parte legata alla morte di Salvadori, che gestiva
il discorso in primis, in parte legata ad un dopo Salvadori che
ha visto l'U.V. deludere tutti gli alleati: questi, in Italia,
l'avevano vista come un movimento capace di attuare una
trasformazione politica complessivamente favorevole ai diritti
delle minoranze, ma dopo aver spinto e motivato ideologicamente
la nascita e la rinascita di movimenti autonomisti ed
anticentralisti, l'U.V. si è tirata indietro, lasciando
spazio all'avventura leghista. Questa è la
responsabilità dell'U.V. rispetto alla Lega: non tanto
averne ispirato e determinato la nascita, ma averne permesso la
deriva. La Lega è diventata il peggior nemico della tutela
delle lingue e del federalismo, in buona parte perché
abbiamo rinunciato ad esercitare una leadership ideale e politica
che, in Italia, le avrebbe tolto spazio e
credibilità.
La candidatura di Caveri alle europee (che fece seguito a quella
di Stévenin, anch'egli praticamente lasciato solo a
gestire una campagna in giro per l'Italia) è stata, poi,
la botta definitiva alla possibilità di condurre una
battaglia politica fortemente ispirata a valori concreti e non
inquinata da opportunismi e qualunquismi più difficilmente
evitabili nella politica quotidiana. Per questo si è
trattato di una scelta gravemente negativa, in quanto
contraddittoria rispetto agli ideali sventolati ed alle
aspettative dichiarate rispetto all'Europa. Il meccanismo
dell'apparentamento che avrebbe consentito all'U.V. di accedere
al parlamento Europeo legandosi ad un partito italiano, non era,
infatti, la sola opportunità per accedere concretamente al
P.E. e, comunque, era sempre stato respinto, poiché l'U.V.
proclamava di non sentirsi in sintonia con nessuno dei partiti
stato-nazionali.
Caveri divenne Parlamentare Europeo grazie ad un apparentamento,
ma non credette abbastanza all'importanza di quel ruolo, tanto da
dar le dimissioni prima dello scadere del mandato per calarsi
nella politica valdostana, giocando una carta importante per
raccogliere un ampio consenso personale: la sua esperienza nel
Parlamento Europeo e quella nel Parlamento italiano che lo aveva
portato addirittura ad esser designato vice-ministro (per
così dire) del Governo D'Alema. Di tutto ciò e di
molte altre cose contraddittorie in relazione agli ideali,
nell'U.V. non si è mai parlato. In tutto ciò
Rollandin c'entra assai poco, se non come artefice di un disegno
politico complessivo nel quali tanti, troppi si sono
riconosciuti, forse senza avvedersi di quanto si stessero
allontanando da una politica basata sul rispetto degli
ideali.
E mentre tutto ciò avveniva, l'U.V. presentava un
progetto di legge elaborato da Louvin per la trasformazione dello
Stato in senso federale, progetto la cui miopia ed il cui
pressappochismo costituivano un palese tradimento di quanto
esplicitato nel Congrès national dell'U.V., addirittura
appiattendo il significato della specialità e
dell'identità nazionale valdostana, formulando una ipotesi
secondo la quale ogni Regione era una Repubblica e una Nazione,
quindi un tassello insostituibile della nuova organizzazione
federale dell'Italia; dimenticando, inoltre,
l'artificiosità della composizione territoriale delle
regioni, l'esistenza di vere e proprie nazioni non solo senza
stato, ma anche senza regione, l'inesistenza culturale e storica
di intere regioni alla quali l'U.V: offriva gli stessi diritti di
un nazione storica.
Questo fatto evidenzia, inoltre, che i leader dell'U.V. e, di
conseguenza, la base, non hanno assolutamente una chiara
concezione di cosa sia il federalismo e di come il federalismo
possa render possibile la realizzazione delle aspettative (e
degli ideali) degli autonomisti e delle minoranze. Se, come
l'U.V. affermò al Congrès national, la Valle
d'Aosta è una nazione, non è possibile produrre
proposte di legge come quella di Louvin nelle quali questo
specifico identitario è autoridimensionato e si tenta di
salvare capra e cavoli giocando sul significato dei termini come
se popolo, nazione, minoranza, da un lato e, decentramento,
federalismo, autonomia, autodeterminazione, indipendentismo
dall'altro fossero sinonimi di una generica definizione
dell'anelito di libertà.
Sulla difesa della lingua, poi, le contraddizioni ed i
tradimenti sono stati ancor più evidenti. L'unica concreta
iniziativa di promozione e di valorizzazione (ma purtroppo solo
in termini economici) della particolarità linguistica
è stata l'introduzione nel pubblico impiego della
indennità di bilinguismo: mai, come da allora, l'uso del
francese in Regione è abbandonato, mai come da allora
nessuno parla contro il francese, ma... E la lingua valdostana?
Mentre tutti i movimenti autonomisti d'Europa chiedevano la
standardizzazione della loro lingua, per renderla uguale alle
lingue dominanti ed ugualmente fruibile, utilizzabile ed
insegnabile, in Valle d'Aosta esponenti di primissimo piano del
dibattito culturale, come Alexis Bétemps, sostenevano che
il franco-provenzale non poteva essere considerato una
lingua.
Di conseguenza, l'U.V. nulla ha fatto affinché lo Stato
applicasse l'articolo 6 della Costituzione che prometteva tutela
alle lingue delle minoranze e nulla ha fatto perché nelle
dinamiche Europee quella stessa tutela trovasse spazio. Fino a
quando lo Stato italiano, se pur con 60 anni di ritardo, ha
approvato norme di tutela, indicando l'esistenza del fp fra le
lingue e fino a che anche l'Europa ha fatto altrettanto,
predisponendo addirittura finanziamenti per la tutela delle
lingue, fra le quali c'è il fp. Sì che l'U.V. ha
dovuto affermare, ad un certo punto, che in Italia il fp era
lingua, ma solo in Piemonte e nelle Puglie, non in Valle d'Aosta,
mentre ha usato fondi europei, stanziati per la tutela delle
lingue, realizzando iniziative a sostegno del fp che non
considerava essere una lingua. Contraddizioni da ridere? Non
direi proprio, parlerei piuttosto di struggenti miopie. Anche
rispetto ad altre questioni nella quali la traduzione in fatti
concreti degli ideali avrebbe potuto essere facile ed immediata,
l'U.V. è parsa se non contraddittoria, certo
tentennante.
Sui Walser abbiamo fatto pena. La Valle d'Aosta ha avuto un
consigliere regionale walser solo quando, quasi per caso, un
walser è stato eletto nella lista della Lega; l'U.V.
avrebbe potuto produrre una legge chiara per favorire l'accesso
di un walser in Consiglio regionale, ma ha complicato tutto con
dispositivi che hanno dimostrato quanto poco tenesse a cuore la
soluzione del problema. Con i walser le complicazioni legislative
sono state del tutto simili a quelle che lo Stato ha posto in
essere contro la possibilità che i valdostani abbiano un
parlamentare europeo. Sullo Statuto di Autonomia è stato
anche peggio! Non si ritrovano testi, saggi o studi nei quali si
possa capire come l'U.V. pensi di poter e di dover cambiare lo
Statuto di autonomia. La Commissione Nicco ha licenziato una
proposta di revisione molto istituzionale con il risultato
assolutamente demenziale di considerare lo Statuto come il
risultato del concreto esercizio del diritto alla
autodeterminazione.
Ancora una volta tra principi, valori, ideali e fatti concreti,
l'U.V. ha mostrato di non avere le idee chiare. Di più. La
Commissione Nicco ha lavorato, ma si tratta di una Commissione
istituzionale; quali sono state le indicazioni, le riflessioni,
le progettualità prodotte dall'U.V.? Nessuna. Rollandin
è certamente venuto meno alla lotta per gli ideali, ma gli
altri non hanno fatto meglio. Lui ha dimostrato di non crederci,
tanto che ho polemizzato - da solo - con lui, nelle pagine de "La
Stampa", proprio sul fatto che ha dichiarato di non considerare
la Valle d'Aosta una nazione, senza spiegare, perché
questo passaggio non sia stato argomentato in nessun congresso e,
soprattutto, come sia possibile tenere congressi che si
definiscono nazionali, per un movimento che non riconosce di
rappresentare una nazione. Ma lui è stato chiaro, rozzo,
ma chiaro. Gli altri evocano continuamente gli ideali, ma li
tradiscono o non li applicano.
Le parole con le quali si esprimono gli ideali hanno ancora una
grande forza evocative nella base unionista: c'è uno
zoccolo duro di unionisti che considera l'U.V. come una seconda
pelle, una seconda anima, anche se non si preoccupa di sapere, di
capire che cosa significhino davvero quelle stesse parole.
Corrono dietro a leader che sventolano gli ideali e si ritrovano,
come si sono ritrovati, a render possibile una colossale
fregatura come l'Europa e la Costituzione Europea, approvata
dall'U.V. anche se questa Costituzione nulla dice sulle autonomie
e sulle lingue e quando parla di popoli, in realtà parla
di Stati. Sul piano delle attività culturali svolte dalla
Regione Autonoma Valle d'Aosta, non possiamo non constatare
quanto sia avanzata, promossa da amministratori unionisti, la
cultura italiana. Mai come in questi tempi. Tanto che, infine,
abbiamo addirittura finanziato un film in lingua italiana su
Chanoux, nel quale un attore impersona uno Chanoux perfettamente
italofono...
Perfino sul piano delle attività sociali e
socioassistenziali, notiamo, da tempo, ormai, una apertura di
credito a favore di cooperative esterne alla Valle d'Aosta, quasi
che, come già avviene da troppo tempo con l'industria, sia
accettata e promossa dall'U.V. la logica che ciò che viene
da fuori valle è meglio di ciò che nasce qui. Di
tutto ciò e di molto altro che potrei argomentare in modo
dettagliato, non c'è traccia nei discorsi che si limitano
ad analizzare e a contestare lo strapotere di
Rollandin...soprattutto dal 2003 ad oggi. Far partire l'analisi
dal 2003 fa comodo a tutti quelli che, fino ad allora, non hanno
parlato ed hanno accettato posti e prebende, partecipando infine
alla ubriacatura del successo elettorale. Il che vuol dire,
sostanzialmente, che solo la lotta per la gestione del grande
potere attribuito dagli elettori all'U.V. è cominciata da
poco, mentre i problemi sono altri e sono più datati. Se
questa situazione può essere formulata e diventare
elemento centrale di una riprogettazione unionista, questo
è stato possibile per il silenzio degli intellettuali.
Ammesso che l'U.V. ne abbia.
Non si può crescere, come l'U.V. è cresciuta,
senza un progetto politico capace di armonizzare il vecchio e il
nuovo, mantenendo stabile la barra sull'obiettivo primario,
fissato negli Statuti. Sono forse da considerare intellettuali
tutti coloro che ancora si applicano allo studio e all'analisi
della civilisation d'antan? Sicuramente i loro studi sono da
considerare meritori, ma - forse perché appartengono tutti
all'area AVAS/BREL -, si tratta di persone che sembrano ormai
rassegnate al fatto che la Valle d'Aosta non ha un futuro e che,
quindi, è il momento di salvare la memoria del passato. Ma
chi altri, sulla scia di Chanoux, va oltre, discute e propone
temi politici, dando nuovo respiro agli ideali? Il SAVT, un tempo
stampella dell'U.V. in rapporto di reciprocità, è
troppo timido e se non ha una cinghia di trasmissione diretta con
l'U.V:, ha più cinghie di collegamento con i suoi leader,
con il risultato che in un silenzioso ed indolore braccio di
ferro, vive al suo interno le stesse tensioni dell'U.V: e per non
farle esplodere si rassegna all'immobilismo.
Gli ultimi studi sul federalismo sono firmati da Salvadori e,
forse, sono dovuti a Perrin, ma risalgono a 25 anni or sono,
eppure da 40 anni abbiamo in Valle il più grande centro
studi europei sul federalismo. Per ipotizzare qualche innovazione
statutaria, la Regione fa ricorso ad uno studioso di grande
levatura, il professor Onida, costoso, celeberrimo e in gamba, ma
sicuro riferimento negli anni 70 dei Democratici Popolari, quindi
portatore di una forma di autonomismo che allora l'U.V. respinse,
come respinse l'esperienza D.P. nella convinzione che non
potessero esistere due movimenti autonomisti in Valle d'Aosta, ma
ne dovesse esistere uno solo...
In Valle d'Aosta oggi abbiamo la Gauche Valdotaine e la Maison
de la Liberté; questo non vuol dire che si tratti di
schieramenti autonomisti, ma di schieramenti nei quali
l'autonomismo è un aspetto di una politica incentrata
ancora e sempre sulla visione d'insieme dei problemi italiani,
perché l'Italia sarebbe la nazione di tutti. Alle ultime
elezioni politiche l'U.V. ha concretizzato un lista formata dai
soli partiti autonomisti, ma anche questo vuol dire poco: pur
rappresentando la concretizzazione del proposito di creare un
solo movimento autonomista, è, in realtà, una
soluzione dogmatica e strumentale, che ha fatto appello agli
ideali, come ultima ratio, a fronte di un problema che era di
altra natura. C'è un'altra possibilità ancora per
verificare il rispetto dei valori e degli ideali dell'U.V. ed
è l'analisi del voto, l'analisi dell'emorragia degli
iscritti, l'analisi delle nuove iscrizioni all'U.V.
L'analisi dei voti espressi in Valle d'Aosta in occasione di
elezioni europee o politiche, dimostra che molti voti raccolti
alle regionali dall'U.V., in altre occasioni finiscono a
Berlusconi, Fini ed altri leader italiani. Mi pare assolutamente
evidente che non esiste nessuna compatibilità ideale tra
l'U.V. e qualsiasi altro partito italiano, il che dimostra che
una parte degli elettori dell'U.V. non ne condivide affatto gli
ideali. Il consenso elettorale raccolto dall'U.V. è
artificiale, è gonfiato da motivazioni diverse dagli
ideali e non tutte positive come potrebbe essere la semplice
fiducia attribuita ad un movimento capace di assicurare una certa
stabilità (almeno fino al 2003); per molti elettori gli
altri partiti sono meno credibili dell'U.V., per molti altri
valgono le ragioni del clientelismo. Troppi unionisti,
complessivamente, sono fuori dall'U.V: e troppi non unionisti
stanno dentro.
Già, ma questo risale a prima del 2003 e l'unico uomo
politico cosciente del fatto che lo standard di un così
crescente e così grande consenso elettorale poteva esser
preservato solo rafforzando ciò che lo aveva reso
possibile, ha ritenuto opportuno consolidarsi in ogni modo al
vertice del movimento, usando gli uomini privi di strategia come
pedine al suo servizio, conscio che con i soli ideali gli altri
non sarebbero andati molto lontani. Per assurdo Rollandin che se
ne sta lontano dagli ideali. è coerente, mentre gli altri
si sono fatti vivi troppo tardi per esser credibili. Chi ha
ascoltato o letto l'elogio di Andrione alla figura di Emile
Chanoux che, trovandosi all'estero, rientrò in Valle
d'Aosta pur sapendo di rischiare la pelle, ha rilevato una
stonatura... Andrione fuggì a Nizza e restò a lungo
in esilio ed è da quel momento che Rollandin ha trovato
davanti a se la strada spianata; ha affrontato arresti e momenti
durissimi, ma ne è uscito tutto sommato bene, proprio
perché li ha affrontati. Gestì l'intertempo e il
dopo Andrione, evitando che l'U.V. subisse effetti nefasti da uno
scandalo ingiusto, ma pur sempre grave, dimostrò di saper
gestire la leadership e divenne non solo un leader, ma un leader
carismatico.
Anche troppo, ma questa è un'altra questione. Certo la
crescita dell'U.V. ha anche altre ragioni, quali, ad esempio, il
buon lavoro della Giunta Viérin e il carisma di Caveri. Ma
rispetto agli ideali neppure quella Giunta e neppure il lavoro do
Caveri sono stati più coerenti o meno discutibili.
Rilanciare l'U.V. non è, quindi, possibile senza una
lettura concreta, vera, totale, dei problemi e della storia. E
non è neppure possibile costituire una U.V. alternativa a
quella di Rollandin, senza leggere la storia e senza rispettare
davvero gli ideali. J.C. Perrin, assessore regionale in Giunta
con Rollandin, comincia a dirlo e a scriverlo: buon risveglio il
suo, a patto che egli non diventi l'intellettuale serio ed onesto
utile a fingere un rilancio degli ideali, perché prima di
credere a questo rilancio, i valdostani valuteranno - questa
volta - come gli ideali si traducano in fatti concreti anche
nelle scelte amministrative. La scelta di Rollandin di
posizionare Carlo Perrin alla Presidenza della Giunta, fu
anch'essa legata a ragioni di immagini più che di
sostanza, legata come fu alla intenzione di Rollandin stesso di
frenare Caveri e di guidare la Giunta per interposta persona,
contando sul valore aggiunto dell'indiscutibile onestà di
Perrin; fu stata possibile per l'assenso di Perrin stesso e di
tutta l'U.V., forse mal digerita, ma votata e accettata, non
può esser presentata, oggi, come esempio dell'esistenza di
strapotere, poiché quando strapotere esiste è
sempre perché qualcuno lo permette.
Il rilancio dell'U.V. non può avvenire, quindi, su una
finta pacificazione interna o sul recupero di vecchie bandiere
dell'onestà e della continuità ideale, ma su un
concreto rilancio dell'azione e delle scelte
politico-amministrative legate agli ideali. Ma è
necessaria anche una analisi critica delle politiche fin qui
attuate da questa U.V: divisa, ma potente. Sulla difesa del
territorio, dopo le speculazioni turistico-edilizie, il
metanodotto, il Superphoenix che l'U.V. non ha saputo frenare;
dopo le rigimazioni idriche, il traffico dei TIR, le opere
autostradali che l'U.V. ha incoraggiato e sostenuto; dopo le
centrali idroelettriche e l'industrializzazione selvaggia e di
rapina che la Valle d'Aosta non ha saputo evitare, ci vuole
qualche scelta politica forte. Sul turismo c'è da tener
conto dei mutamenti climatici annunciati, del costo eccessivo
della promozione turistica rispetto ai ritorni, di scelte tutte
da verificare quali spingere per il costoso Forte di Bard che non
consentirà ritorni economici e respingere la
fruibilità del sito megalitico di Saint-Martin de
Corléans, sicuro riferimento turistico-culturale, sulla
incapacità di promuovere altra stagionalità che
pochi mesi di turismo estivo ed invernale.
Sull'industria c'è da chiedersi perché non
decollino le produzioni locali, l'oggettistica di montagna,
l'artigianato e si trascino gli effetti di una
industrializzazione evidentemente nata come occasione di
sfruttamento delle nostre risorse e di disidentificazione. Sulla
scuola ancora non si spiega perché L'Università,
attivata con quaranta anni di ritardo!, resti una cenerentola,
perché il federalismo (malgrado il centro estivo europeo
attivo da quaranta anni!) sia sconosciuto, perché i
manager utili alla pubblica amministrazione debbano venir da
fuori Valle quando il SAVT chiedeva trenta anni fa di formare a
questo scopo i nostri giovani. E poi c'è l'acqua, il
nostro petrolio, che non riusciamo neppure a vedere come quella
preziosissima risorsa che è, aspettando forse che una
multinazionale che ce ne rubi il diritto di utilizzazione e
sfruttamento.
Questo accenno finale è a pochi elementi critici
soltanto, giusto per dar prova del fatto che gli ideali non sono
soltanto un fatto intellettuale. Che c'entra Rollandin, allora?
E' solo un leader da sconfiggere o dal quale essere sconfitti,
come se questo fosse il problema. Il problema è non
avvedersi che è finita l'epoca dei leader e che la stessa
leadership è, concettualmente e praticamente,
inevitabilmente legata all'esercizio di un potere condiviso tra
più leader, è l'esaltazione di tutte le
potenzialità e di tutte le capacità, è una
distribuzioni di compiti ed oneri tra persone al servizio del
popolo. Questa nuova concezione della leadership è una
filosofia, un valore irrinunciabile di riferimento: Rollandin
sarà anche un egemone, ma la sua egemonia è
antistorica e tale resterà anche se dovesse conservare il
controllo dell'U.V: Rollandin sta, quindi, frenando l'azione di
una U.V. che non è più se stessa e non è
più "traghettratrice" storica. Non ci si accorge che, poco
a poco, la Valle d'Aosta ed i valdostani non credono più a
queste farse di fine "prima autonomia", uguali nei loro aspetti
patetici, agli episodi di vita valdostana narrati dallo Charaban
che ci fa ridire e sorridere, ma non ha la pretesa di
governarci.
Mi tengo lontano dalla politica da quando - era l'inizio degli
anni 90 - pur militando molto appassionatamente nell'U.V.,
cominciai a percepire quel sottile "malaise" di ho parlato nei
miei saggi, lamentando le censure giornalistiche che dovetti
subire dal "Peuple", troppo incerto sul dar voce oppure no a chi
quel disagio lo rilevava e voleva discuterne pubblicamente,
auspicando addirittura che l'U.V: lo facesse in un Congresso. Mi
pare strumentale, per questo, che molti dei contestatori interni
di oggi, siano rimasti tanto a lungo nell' U.V. (dalla quale
hanno avuto molto, compresi gli incarichi in Giunta), senza
avvedersi delle radici lontane del malessere che essi rilevano
solo ora. Eppure questo malessere ha determinato, da allora,
l'uscita dall'U.V. di molti unionisti. Lo trovo strumentale e
offensivo per tutti coloro che hanno lasciato l'U.V. in tempi
lontani, sono sempre rimasti "nel cuore" unionisti, ma ancora
oggi non possono credere che le cose stiano davvero cambiando,
solo perché Rollandin è stato sconfitto.
Chi ha lasciato l'U.V. all'ultimo momento o solo negli ultimi
anni, contestando lo strapotere di Rollandin, a mio avviso ha
fatto una scelta meno idealistica e storica di quel intende far
credere, celebrando un successo elettorale: contestare Rollandin
dopo avere goduto i frutti dei suoi metodi, ottenendo posizioni
di rendita proprio perché lo assecondavano, è
troppo comodo! E chi lo ha contrastato, ma senza troppa
convinzione, dall'interno, ha trovato spazio proprio grazie a
questo suo "gioco", alla sua blanda opposizione interna che ha
garantito a lungo, all'U.V. una parvenza di democrazia interna.
C'è - o almeno ci dovrebbe essere - prima di tutto la
questione del riferimento agli ideali, argomento sul quale mi
pare indispensabile richiamare l'attenzione di tutti gli
unionisti, oggi dentro e fuori dall'U.V. Gli ideali sono stati
abbandonati da un bel pezzo, perché non se ne riconosce
più la praticità. E non li ha abbandonati
Rollandin, li hanno abbandonati tutti.
Un esempio? Uno solo, tratto da esperienza diretta e scelto fra
altri che richiederebbero un maggior approfondimento: pochi
giorni or sono si è costituito il Partito Europeo
del'Alliance Libre Europeenne: c'erano tutti i partiti delle
cosiddette "minoranze" in Europa, tutti meno l'U.V.; e dire che a
costituire la prima A.L.E negli anni 70 ci fu, in prima linea,
proprio l'U.V: che credeva nella necessità di portare in
Italia ed in Europa, la specificità politica del popolo
valdostano. Non mi si dica che anche questo è un risultato
dello strapotere di Rollandin, perché se nell'U.V. ancora
esistesse attenzione vera per l'Europa e per il Federalismo, a
queste dinamiche internazionali gli oppositori di Rollandin
avrebbero potuto prestare, in mancanza di un impegno ufficiale
del movimento, quanto meno una attenzione personale, mantenendo
rapporti e tessendo fili personali proprio perché la
negatività dei tempi NON DOVEVA influire negativamente
sulla scelta ideale e storica di portare la Valle d'Aosta a
muoversi con gli altri popoli per costruire l'Europa dei
Popoli.
Non ho letto né articoli, né libri su queste
problematiche il che vuol dire o che non ci sono intellettuali di
area, oppure che tutti se ne stati troppo a lungo zitti e zitti.
Forse agli unionisti interessano, più che altro, gli
spiccioli del potere al quale accedono in un modo o nell'altro:
se gli ideali fossero vivi e veri, infatti, nessuna Alliance
europea sarebbe nata senza l'U.V. La presenza ed il ruolo dei
partiti "autonomisti" nell'Europa ha lo stesso valore e lo stesso
significato che 60 anni fa ebbe la nascita dell'U.V. in una
Italia che (come l'Europa di oggi) si costruiva
centralisticamente e riconosceva ai popoli solo poteri residui.
Il problema non è ciò che tu, Presidente/Prefetto,
puoi fare per portare la Valle d'Aosta nell'Europa istituzionale,
muovendoti in modo... istituzionale e facendo, te lo riconosco,
molto soprattutto per preservare l'identità alpina: il
problema è che i principi e gli ideali dell'U.V., come li
ha gestiti l'U.V. e come li hanno vissuti gli uomini dell'U.V.
pro o contro Rollandin, sono stati dimenticati.
In molti altri campi nei quali l'azione dell'U.V. avrebbe dovuto
mostrare attinenza con gli ideali, hanno prevalso altre ragioni,
personali, di corrente o di grettezza. E, allora, si rendano
conto i valdostani tutti, pro e contro Rollandin, che non basta
amare la Valle d'Aosta con le parole e con gli inni stonati, ma
è necessario adottare nell'azione politica opportune
priorità: gli ideali, in questo percorso, non possono
venir sempre dopo... Spero tu possa finalmente svolgere
serenamente la funzione politico-amministrativa che ti compete,
che meriti e per la quale sei stato eletto; spero che,
finalmente, non ci si debba più vergognare di essere
corresponsabili della pessima gestione di un grande consenso
elettorale evidentemente conseguito senza una vera adesione e
presa di coscienza.
La bandiera valdostana resta rossa e nera, lo era anche
nell'avventura indipendentista che tentò di evitare
all'U.V. l'ubriacatura dello strapotere; ora l'ubriacatura
c'è stata e i coscritti in festa hanno scelto da mettersi
al collo fazzoletti di diversi colori, chi il rosso/nero, chi
l'arancione...tutti, però, pur sempre ubriachi.