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PER UN MOVIMENTO DELLE NAZIONI SENZA STATO
Materiali per riflettere

di Claudio Magnabosco

Aosta, 20.6.2006

INDICE
Dopo le elezioni politiche, un grazie ai sardisti | Referendum sulla devolution ... un bel chi se ne frega | L'autodeterminazione: Montenegro, Euskadi e le altre nazioni senza Stato | L'U.V. a Congresso tra federalismo, nuovo Statuto e rilancio dell'idea di nazione | Referendum sulla Autonomia: la Catalogna è una Nazione | Annessione alla Valle d'Aosta

Dopo le elezioni politiche, un grazie ai sardisti [ su ]

Un grazie ai sardisti, pochi voti alle elezioni politiche, nessun risultato concreto, ma una testimonianza importante. Mi chiedo, infatti, che cosa possano mai centrare con i gravi problemi della Sardegna, le battaglie tra Prodi e Berlusconi, tutte giocate sul filo di diverse concezioni economiche e sociali, di una diversa etica, ma ispirate ad un sostanzialmente uguale anelito centralista. Per fortuna che in Valle d'Aosta e in Sud Tirolo le spinte autonomiste trovano ancora spazio e fan crescere dalla radice storica una concreta alternativa politica. Non che le esperienze politiche dell'U.V. e della S.V.P. siano un "modello", anzi, spesso rappresentano un pessimo esempio di conservatorismo e di egoismo, ma certo ancora aggregano il consenso popolare nel rispetto di una specifica identità.

Siamo, altrove, all'omologazione: "prodiani o berlusconiani, ma sempre italiani", slogan celato ma persistente, dovrebbe far riflettere, appunto, i sardi. La Sardegna ha bisogno di una maggiore autonomia e, almeno, delle potenzialità istituzionali e delle ricchezze autonomistiche della Valle d'Aosta e del Trentino che sono realtà a Statuto Speciale come la Sardegna, ma sanno rappresentare l'autonomismo in modo molto più determinato. L'Italia non è un alleato nel quale soffocare le proprie aspirazioni e la propria identità; l'Italia è uno Stato senza Nazione e la Sardegna è una Nazione senza Stato ... chi può mai aver davvero diritto a governare il futuro della Sardegna, pensando con logiche che hanno a cuore la preservazione di un certo ruolo e di una certa identità dell'Italia, vista sempre come una entità i cui problemi configurano sempre un "interesse superiore"?

Qui non si tratta di separatismo e di indipendentismo, principi-valori e rivendicazioni per certi versi improponibili, almeno fino a quando non poggeranno su una reale indipendenza mentale, culturale e sociale, percepita dai sardi come l'orgoglio di una identità che pensa se stessa e difende i propri diritti al di fuori degli schemi politici, culturali, sociali, mentali, istituzionali dello specifico momento storico. La storia non è finita, la storia non segna nulla di irreversibile: sono caduti imperi e regimi, possono cadere anche gli Stati.

Qui non si tratta neppure di essere o non essere italiani: se lo Stato italiano è uno Stato di diritto, anche i sardi sono "italiani", nel senso che appartengono allo Stato italiano; si tratta, però, di rivedere che cosa ciò significhi. Lo Stato italiano ha al proprio interno molte identità nazionali definite minoritarie; il che non sembra voler dire, però, che sono numericamente minoritarie, ma che sono considerate tali sul piano dei diritti ... perché una falsa concezione dei diritti dei popoli, attribuisce ai popoli più piccoli meno diritti degli altri. Anzi i sardi non sono affatto riconosciuti come un popolo: se lo fossero, la Sardegna non potrebbe esser trattata solo come una regione, una provincia o...un'isola.

L'insularità, gap politico-economico, deve diventare una ricchezza ... la separatezza che evidenzia deve trasformarsi in capacità dei sardi di vivere, produrre e pensare in modo diverso e ... indipendente. Solo a quel punto l'indipendentismo avrà un senso. Oggi le rivendicazioni estreme fanno paura ai sardi, perché sono prive di concretezza, propongono una rivoluzione che nessuno vuole fare, una libertà che nessuno vuole conquistare ed esaltano valori massimalisti, quali l'orgoglio, rafforzato dal fatto di sentirsi più soli ed accerchiati, quindi ultimi testimoni di una identità che muore poco a poco. E per orgoglio si muore, ma si è coerenti. Per orgoglio i sardi sono andati a morire in guerre che sono servite ad una Italia che ha poi rimosso il problema dell'autonomia sarda per allontare ancor più la possibilità di doversi confrontare con l'indipendenza della Sardegna. Sconfitti, i sardi si rifugiano nell'orgoglio e nei residui di una balentia che sarà anche espressione ultima e morente di un sardismo puro e onesto, ma è anche espressione di uno stupido masochistisco senso di autodistruzione.

Invito i sardi a riprendere a pensare da sardisti, ad abbandonare leader che pensano all'Italia più che alla Sardegna, ai partiti italiani più che alla rappresentanza politica dei diritti dei sardi. Insomma, i sardi non saranno mica più incoscienti dei valdostani e dei sudtirolesi che, in nome della propria identità, gestiscono concretamente una fetta importante della propria vita come popolo, piccolo popolo che vive nell'Italia e nell'Europa e vuol essere partecipe diretto delle dinamiche italiane ed europee ... E, si badi, gestiscono anche i compromessi e i giochi di potere propri di ogni sistema politico, ma se una accusa vogliono sempre evitare è quella di far tutto ciò per giocare al tavolo di prevaricanti interessi italiani. Grazie, comunque, agli uomini ed ai partiti del sardismo vecchio e nuovo, vecchie e nuove bandiere che non sventolano altrove ...

Per costruire una Italia ed una Europa federali, ormai lo abbiamo capito, non sono utili neppure i servi ed egoistici proclami di una Lega populista, ma è indispensabile la nascita di uno stabile rapporto federale tra le identità politiche che, prima di guardare a Prodi e a Berlusconi, devono guardano alla storia ed al diritto dei loro popoli, negati nel diritto e traditi da troppi propri figli che si sono posti al servizio di agenzie anti-sarde, anti-valdostane, anti-trentine, ecc. ecc. Propongo, sostanzialmente, la rinascita dell'autonomismo e del federalismo e se la Sardegna è una Nazione senza Stato, il suo Statuto di Autonomia dovrà regolare un patto dei sardi con lo Stato italiano nel quale siano delimitate non le competenze della "Regione", ma quelle dello Stato. E dopo questo patto i sardi ne dovranno fare un altro con l'Europa, sulla stessa base.

Passo dopo passa costruiremo un indipendentismo sostenibile e credibile, ma dobbiamo iniziare con il negare ai partiti italiani che operano in Sardegna e ai sardi che vi militano, il diritto di parlare per la Sardegna e per i sardi; sono asserviti all'Italia e sono i veri responsabili del mancato sviluppo dell'isola. Due parole sulla lingua: non abbiano paura, i sardi della loro stessa lingau, non si dividano perché la si standardizza in un modo anziché nell'altro: le specificità sussistono e il problema non è, non è stato, come scrivere il sardo: il problema è stato ed è la negazione dell'esistenza del sardo, scelta politica del centralismo italiano ed europeo, appena annacquata da tardive leggi di presunta tutela. Più i sardi si dividono su queste cose, più l'Italia e l'Europa si faranno beffe di loro.

Referendum sulla devolution ... un bel chi se ne frega [ su ]

Per chi si sente federalista, esser chiamato ad esprimere un parere su una legge che è ispirata a meri criteri di decentramento è alquanto paradossale, soprattutto se si vuol presentare questo decentramento definendolo devolution, come un qualcosa che abbia una qualche attinenza con il federalismo. Il Referendum sulla devolution fortemente voluta dalla Lega è uno spreco ed un falso storico; forse dal Governo che l'ha concepita o dalla forza politica che l'ha sospinta non è possibile attendersi altro e, forse, nella loro ottica, si tratta di una legge che avrà una qualche incidenza ed un qualche peso nella riorganizzazione delle funzioni delle regioni.

Ma interessa assai poco fare una battaglia presentata come un si oppure un no al federalismo, perché il federalismo è qualcosa di ben diverso. In Italia, inoltre, ci sono alcune realtà che pur godendo di diritti o di Statuti realmente ispirati ai principi federalisti, rappresentano qualcosa che va oltre la semplice Regione e va oltre anche le Regioni che si rinnovano acquisendo la titolarità di competenze ad esse devolute: le Regioni Autonome a Statuto Speciale, dovrebbero rappresentare l'esempio di un corretto rapporto, su base paritaria, raggiunto tra lo Stato ed alcune Comunità (diciamolo, Nazioni senza Stato).

Se il rapporto paritario è il principio ispiratore delle autonomie speciali, è evidente che le autonomie speciali non sono nate da una devolution, ma da un compromesso politico tra l'autodeterminazione delle Nazioni senza Stato e la volontà dello Stato di restare unito, pur senza ammettere la propria plurinazionalità. La questione attuale è la seguente: se le autonomie speciali rappresentano un esempio imperfetto di patto (foedus) con una concreta parvenza di federalismo, la devolution non riguarda le autonomie speciali.

La devolution riguarda il resto del territorio dello Stato e così come sarebbe assurdo, ad esempio, che le decisioni relative alla valle d'Aosta non venissero adottate dalle altre regioni, visto che la Valle d'Aosta ha una minima incidenza demografica ed un popolazione irrisoria rispetto al resto d'Italia, così pure sarebbe corretto che la devolution fosse approvata o bocciato solo da coloro che ne beneficeranno direttamente. Non è accettabile, infatti, il principio secondo il quale alcuni benefici possano essere estesi anche a chi gode già di altri, altrimento verrebbe meno il patto, l'accoro paritario e torneremmo al decemtramento.

L'autodeterminazione: Montenegro, Euskadi e le altre nazioni senza Stato [ su ]

Il premier basco Juan José Ibarratxe ha commentato i risultati del referendum sulla indipendenza del Montenegro, osservando che "con il referendum in Montenegro si è dimostrato che il diritto alla autodeterminazione si applica nel cuore dell'Europa in maniera efficace per risolvere conflitti politici". La consultazione montenegrina dimostra che richiedere l'autodeterminazione non significa fomentare violenze e terrorismo, ma aprire alle popolazioni una opportunità politica altrimenti inspiegabilmente negata.

Non esistono, inoltre, soluzioni alternative all'autodeterminazione, anche se esercitarla non significa unicamente costituire uno Stato nuovo, ma può significare raggiungere qualsiasi altra soluzione istituzionale liberamente scelta; quando si pensi, allora, ad una semplice autonomia, questa non ha ragion d'essere se è concepita come concessione di mero decentramento, mentre è strettamente connessa all'esercizio del diritto alla autodeterminazione, quando significa il raggiungimento di un patto tra pari, sottoscritto tra uno Stato ed una Nazione senza Stato. Anche in Italia le Nazioni senza Stato hanno diritto ad accedere all'autodeterminazione e a non accontentarsi di forme di autonomia riduttive.

Rivendicare l'autodeterminazione, comunque, non è un reato e non può essere criminalizzato chi la esprime come rivendicazione e progetto politico. Il nostro movimento a questo mira, aggregando le diverse Nazioni senza Stato per l'affermazione dei loro diritti, contro il regionalismo, contro il falso federalismo, contro l'Europa degli Stati.

L'U.V. a Congresso tra federalismo, nuovo Statuto e rilancio dell'idea di nazione [ su ]

In piena crisi, dopo la sconfitta elettorale alle politiche e dopo essersi divisa in tre parti, l'U.V. è andata nuovamente in Congresso. Grande attenzione ai problemi interni, nessuna alla reale rispondenza tra ideali e azioni.

L'Università della Valle d'Aosta celebra la Costituzione Europea che non contiene, in realtà, nessun riferimento alle autonomie speciali, al diritto dei Popoli (il termine Popoli vi è utilizzato per definire gli Stati), alle lingue delle minoranze. Se la Costituzione italiana non avesse avuto tra i suoi contenuti l'Autonomia (legge Costituzionale) ed il principio della tutela delle minoranze linguistiche, avremmo fatto una dura battaglia. Oggi, invece, la Costituzione Europea dimentica la Valle d'Aosta, le minoranze e le Nazioni senza Stato eppure nessuno muove foglia, nessuno contesta, anzi ci caliamo in un dibattito accademico. In verità la Costituzione Europea non costruisce il federalismo e non costruisce l'Europa dei Popoli. E dire che tra i primi a volere l'Università in Valle d'Aosta, quando nessuno la voleva (anni 60), c'era Bruno Salvadori, dimenticato padre dell'idea di dotare la Valle d'Aosta di una Università e dell'idea di costruire l' Europa dei Popoli.

Distratti da troppe emergenze, i valdostani andranno a votare per il referendum sulla devolution e anche in Valle d'Aosta si sono costituiti i comitati per il No e per il Si. Nessuno ha pensato, però, che ai valdostani non piace che qualcuno ingerisca dall'esterno nelle competenze statutarie. Parimenti bisognerebbe evitare che i valdostani, appena sfiorati dalla questione delle competenze che la devolution attribuirà alle regioni, ingeriscano negl interessi altrui. Le nostre competenze sono state fissate in un patto con lo Stato, quindi dovremmo evitare di partecipare a decidere se i contenuti della devolution (puro ma imperfetto decentramento) debbano o non debbano essere applicati alle regioni che ne sarebbero interessate. Visto che gli equilibri in Italia sono delicati, perchè mai qualche voto valdostano dovrebbe contribuire a decidere il successo del si o del no, visto che la vicenda non ci riguarda? Si perchè se ci interessasse vorrebbe dire che il nostro patto è aleatorio e che quel che pretendiamo non è legato alla nostra forza e progettualità rivendicativa, ma agli incerti destini della storia politica italiana contemporanea.

L'U.V., intanto, è a Congresso. Ritengo che una pacificazione tra le correnti ed i personalismi dovrebbe esser sottoscritta sulla base di un progetto politico ispirato davvero ai valori. L'ultima volta che questo è stato fatto era il 1979, quando l'U.V. si riunificò dopo molte lacerazioni, convocò il primo Congrès National, rilesse in modo moderno i valori di riferimento, attivò il proprio rilancio. Che ne è rimasto della Nation? E se non c'è coerenza rispetto a questo, che senso ha convocare un Congrès national? Che ne è rimasto del Progetto di costruire l'Europa dei Popoli? Che ne è rimasto dell'idea di trasformare l'Italia in senso federale?

Referendum sulla Autonomia: la Catalogna è una Nazione [ su ]

Sottoposto a referendum, il nuovo testo dello Statuto di Autonomia della Catalogna è stato approvato. Tra i contenuti positivi sui quali sarebbe oppurtuna una analisi economica, c'è la grande nonivtà: la catalogna si definisce ed è riconsociuta come una Nazione. E' un passo storico, lungamente preparato ed atteso: da anni la società civile catalana, molto vivace ed attenta, mira ad affermare che la propira identità non può essere concepita riduttivamente come quella di una minoranza.

Il risultato della Catalogna impone a tutte le Nazioni senza Stato, quanto meno dell'Europa, una riflessione: all'interno degli Stati e nel contesto Europeo esistono vere e propire Nazioni senza Stato alle quali non è possibile riconsocere soltanto diritti residuali e alle quali non è possibile attribuire minime competenze amministrative; purtroppo sono ancora tante le nazioni senza Stato alle quali manca il coraggio di affermarsi come tali e di rivendicare, di conseguenza, diritti maggiori di quello che gli Stati e l'Europa sono disposti a riconoscere. Ma è del tutto evidente che l'impegno e la pressione della popolazione possono render possibile il superamento di quello che è da consiedrare un gap democratico: se una popolazione, addiritttura con una espressione democratica, afferma i propri diritti e la propria identità, non può esistere un diritto esterno a una democrazia statale che li nega solo perchè nel contesto dello Stato, quella popolazione è una "minoranza" alla quale si ritiene di poter accordare solo il riconoscimento regionalistico.

Annessione alla Valle d'Aosta [ su ]

Alcuni Comuni di lingua francoprovenzale, attualmente compresi nel territorio del Piemonte, hanno avviato le procedure per annettersi alla Valle d'Aosta. Si tratta di Comuni alpini, quasi del tutto dimenticati dal Piemonte e, forse più per questo che per reale bisogno di trovare rispondenza istituzionale ad una bisogno di riconoscimento identitario, ritenengono che il loro futuro possa essere migliore entrando a far parte della Valle d'Aosta. Alla Valle d'Aosta li unisce non solo una continuità territoriale che ha come umico limite lo spartiacque alpino, ma la condivisione dell'appartenenza al territorio al Parco Nazionale del Gran San Bernardo.

Purtroppo, però, la risposta del'U.V., il partito politico che, agendo su base identaria e basando sulla identità culturale e linguistica le proprie ragioni d'essere, non è stata favorevole; all'U.V. l'annessione alla Valle d'Aosta dei Comuni francoprovenzali non interessa, anzi, l'U.V. teme che ponendo un simile problema sul tavolo del confronto con lo Stato, i rapporti possano complicarsi. Si ripropone, così, una azione politica valdostana non priva di ambiguità che, fino a pochi anni or sono, portò l'U.V. addirittura a negare che il francoprovenzale fosse una lingua e che la sola lingua da difendere in Valle d'Aosta fosse il francese, mentre al francoprovenzale potevano e dovevano pensarci le istituzioni locali e quella regionale. Scelta tanto scorretta da portare addirittura alla affermazione che il francoprovenzale riconosciuto finalmente come lingua in Europa e in Italia (ex articolo 6 della Costituzione), quindi in Piemonte e Puglia, non dovesse esser riconosciuta tale in Valle d'Aosta, dove, pure, è l'espressione linguista di maggior utilizzo.

Negli anni 80, al momento di proporre un concreto progetto di trasformazione dello Stato in senso federale, alcuni intellettuali dell'U.V. ipotizzarono che base di discussione della trasformazione fosse la riaggregazione identitaria di territori culturalmente, linguisticamente, storicamente e geograficamente omogenei; l‘ipotesi di individuare tra le componenti dello Stato federale, i territori e le popolazioni di lingua francoprovenzale, uniti in una sola istituzione (Regione/Repubblica o altro, comunque definita), evidenziò quanto forte fosse l'attenzione identitaria e la negazione della possibilità che a "regioni" disegnate solo sulla carta, fossero applicati diritti da attribuire, invece, a "Nazioni senza Stato", sminuendo in tal modo il significato stesso del diritto dei Popoli.

Oggi negare alle popolazioni francoprovenzali, la possibilità di entrare a far parte della Valle d'Aosta, significa rifiutare l'idea stessa che in Europa, una sola istituzione rappresentante l'area francoprovenzale dell'Italia e della Francia attuali, abbia un senso; strano che proprio in Valle d'Aosta si parli però del futuro delle euro-regioni, aggregando territorio geograficamente viciniori, ma culturalmente disomogenei come il Piemonte e la Liguria.


Il libro 'AKARA-OGUN E LA RAGAZZA DI BENIN CITY', 2002Vedi anche di Claudio Magnabosco:
> Una lettura strumentale delle identità
> "Sono nessuno o sono una nazione", > su evolutionbook.com, versione .rtf zip 55KB
> Akara-Ogun e la ragazza di Benin City
> La ragazza di Benin City
> Decine di africane sono state assassinate in Italia. Le altre Amina: ogni giorno le africane sono "lapidate" in Italia
> Identità nazionale e minoranze nello Stato italiano
> Indipendentismo sostenibile, Nazione inclusiva, moltiplicatore. Tre teorie tra storia del federalismo e attualità del dibattito sul micronazionalismo
> Celtismo, New Age, Sindacalismo: Tre problematiche a confronto con l'idea di nazione e con il rischio di fascistizzazione delle nazionalità
> Nazioni senza Stato e diritti collettivi
> Per una storia della Valle d'Aosta dal 1945 al 2000
> Le chemin du S.A.V.T. 1952-2002
> Settembre 1945 - Settembre 2005 Per una storia dell'Union Valdotaine
> IMMIGRATI E NAZIONI SENZA STATO Il caso italiano - storia dei migranti, diriti, democrazia e voto - Negare il voto agli immigrati?
> Nuovi annessionismi. La farsa delle devolution e le sue conseguenze
> Valle d'Aosta: NOUS SAVIONS LE CHEMIN / Conoscevamo la strada

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